Non è questa la sede per indagare sulle differenti tecniche di lobbies, e sulle correlate professionalità, ma risulta in tutta la sua attualità la carenza di una disciplina che consenta di coniugare trasparenza ed efficienza.
Appare utile una carrellata sulla disciplina statunitense ed europea sulla materia.
Gli Stati Uniti con il Federal regulation of lobbying act (emanato nel 1946), e con il Lobbying disclosure act (emanato nel 1955 e attualmente in vigore) rappresentano il primo, e per certi versi, unico esempio di regolamentazione pubblica della materia.
Tale normativa prevede la registrazione obbligatoria dei lobbisti presso l'organismo decisionale sul quale si intende incidere e la predisposizione di relazioni periodiche dettagliate contenenti, tra l'altro, l'indicazione degli atti su cui si è intervenuti e dei mezzi finanziari ricevuti dai committenti.
La filosofia ispiratrice della regolamentazione statunitense parte dalla considerazione che la democrazia sia luogo di mediazione permanente fra interessi, e l'attività lobbistica funziona da amplificatore degli interessi organizzati verso il decisore pubblico, così consentendo a quest'ultimo di calibrare le azioni pubbliche, legislative o amministrative, anche alla luce della prospettazione degli interessi coinvolti.
L'Unione europea non ha una legislazione ad hoc che disciplini l'attività lobbistica, sul modello statunitense, ma ha sviluppato e consolidato una prassi, che indirettamente costituisce fonte di regolamentazione.
Al Parlamento europeo esiste un sistema di registrazione, rivolto ai soggetti che assistono per motivi professionali ai lavori parlamentari.
La Commissione europea prevede invece la presenza e la rappresentanza di interessi nell'ambito di comitati consultivi.
Esistono poi appositi codici di autoregolamentazione, adottati dal personale della Commissione e dai commissari, finalizzati a rendere trasparente il rapporto con i lobbisti.
L'Italia risulta a oggi priva di disciplina, come anche di prassi codificate, con l'eccezione della Toscana, che nel 2002 ha approvato una normativa regionale istitutiva del registro delle categorie economiche, sociali e del terzo settore, abilitate a perseguire i propri interessi presso le istituzioni regionali, e segnatamente presso il consiglio regionale.
Non v'è dubbio che la complessità crescente del processo democratico, connessa alla molteplicità di soggetti coinvolti, imponga una riflessione sulla regolamentazione di un fenomeno, altrimenti destinato a veder perpetuare un controproducente clima di opacità.
Occorre però, nel contempo, evitare il rischio di una disciplina ´istituzionalizzata', eccessivamente rigida, che prescinda dalla necessaria dinamicità del sistema di relazioni, propria dell'azione lobbistica.
La soluzione va ricercata nella previsione di un registro, o albo, dei soggetti sociali, economici e del terzo settore portatori di interessi qualificati, al quale riconnettere la legittimità e l'accesso procedimentalizzato alle attività di relazione con i soggetti decisionali pubblici.
Va infine regolamentata e chiarita la funzione professionale di chi opera in un settore che negli anni ha visto emergere, oltre a professionisti deontologicamente ineccepibili e utili al processo democratico, una serie di figure non sempre qualificate e non sempre trasparenti.
In tal modo è possibile organizzare un sistema efficace di controlli e insieme rendere sicura e professionale l'azione lobbistica, uscendo dalla indefinitezza che ha caratterizzato in Italia da sempre il sistema di relazioni istituzionali.
Si tratta in ultima analisi di un intervento che consentirebbe l'attivazione di un circuito virtuoso tra momento decisionale e rappresentanza di interessi legittimi e qualificati, in linea con la definitiva affermazione di una democrazia matura.
Gianfranco Passalacqua - Italia Oggi





















