(Gianluca Sgueo) Quando il governo il 24 maggio ha annunciato che sarebbe intervenuto sulle lobbies molti hanno pensato che fosse fatta. Dopo 52 tentativi infruttuosi in quasi 40 anni sembrava finalmente arrivato il momento di porsi al passo con le altre democrazie occidentali. A Bruxelles c’è un registro dei lobbisti dal 1996, in Austria e Germania dagli anni 80, in UK dal ’98. Negli Stati Uniti la legge sul lobbying c’è addirittura dal 1946.
Da quel giorno però tutto, o quasi, è andato per il verso sbagliato. A cominciare dal metodo di lavoro. Prima una riunione romana tra lobbisti, seguita da un incontro ufficiale a Palazzo Chigi, durante il quale sono emerse profonde divergenze di vedute. Da una parte si sono schierati i lobbisti favorevoli alla trasparenza totale attraverso un registro a iscrizione obbligatoria, dall’altra quelli a favore di un registro facoltativo. Che però è una presa in giro. Quello europeo, che è appunto facoltativo, funziona malissimo. Ha dati non aggiornati, le iscrizioni in calo e non piace a nessuno. Da una ricerca pubblicata a giugno dalla multinazionale Burson-Marsteller è emerso che l’86% degli addetti ai lavori giudica negativamente il registro europeo, e lo vorrebbe cambiare.
Secondo errore: in Consiglio dei Ministri venerdì arrivano 2 testi. Uno targato Palazzo Chigi, l’altro Ministero delle riforme. E sono testi molto diversi. Uno promuove la Civit a organo di vigilanza delle lobbies, l’altro affida il compito all’Antitrust. Uno prevede un albo (e relativo ordine), l’altro un più tenue registro. Ma soprattutto il testo targato Chigi elimina la possibilità di fare donazioni ai partiti. L’idea è ottima, ma apriti cielo. Su questo punto il Consiglio si è diviso e l’approvazione è sfumata.
Terzo e ultimo errore: l’agenda dei lavori. Formalmente il Ministro Moavero è stato incaricato di fare una ricognizione della normativa europea. Il suo lavoro sarà sicuramente utile. Il problema però resta. Bisogna trovare la quadra sui punti cruciali: primo, registrazione obbligatoria o facoltativa? Secondo, regole valide solo per il governo o anche per il Parlamento? Terzo, regalie ai partiti ammesse o no? Tutto questo mentre il DDL sul finanziamento ai partiti giace, moribondo, in Parlamento.







































