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Three strikes, one kill. E la legge sulle lobby va a picco
Scritto il 2013-07-18 da lobbyingitalia su Italia

(Gianluca Sgueo) Quando il governo il 24 maggio ha annunciato che sarebbe intervenuto sulle lobbies molti hanno pensato che fosse fatta. Dopo 52 tentativi infruttuosi in quasi 40 anni sembrava finalmente arrivato il momento di porsi al passo con le altre democrazie occidentali. A Bruxelles c’è un registro dei lobbisti dal 1996, in Austria e Germania dagli anni 80, in UK dal ’98. Negli Stati Uniti la legge sul lobbying c’è addirittura dal 1946.

Da quel giorno però tutto, o quasi, è andato per il verso sbagliato. A cominciare dal metodo di lavoro. Prima una riunione romana tra lobbisti, seguita da un incontro ufficiale a Palazzo Chigi, durante il quale sono emerse profonde divergenze di vedute. Da una parte si sono schierati i lobbisti favorevoli alla trasparenza totale attraverso un registro a iscrizione obbligatoria, dall’altra quelli a favore di un registro facoltativo. Che però è una presa in giro. Quello europeo, che è appunto facoltativo, funziona malissimo. Ha dati non aggiornati, le iscrizioni in calo e non piace a nessuno. Da una ricerca pubblicata a giugno dalla multinazionale Burson-Marsteller è emerso che l’86% degli addetti ai lavori giudica negativamente il registro europeo, e lo vorrebbe cambiare.

Secondo errore: in Consiglio dei Ministri venerdì arrivano 2 testi. Uno targato Palazzo Chigi, l’altro Ministero delle riforme. E sono testi molto diversi. Uno promuove la Civit a organo di vigilanza delle lobbies, l’altro affida il compito all’Antitrust. Uno prevede un albo (e relativo ordine), l’altro un più tenue registro. Ma soprattutto il testo targato Chigi elimina la possibilità di fare donazioni ai partiti. L’idea è ottima, ma apriti cielo. Su questo punto il Consiglio si è diviso e l’approvazione è sfumata.

Terzo e ultimo errore: l’agenda dei lavori. Formalmente il Ministro Moavero è stato incaricato di fare una ricognizione della normativa europea. Il suo lavoro sarà sicuramente utile. Il problema però resta. Bisogna trovare la quadra sui punti cruciali: primo, registrazione obbligatoria o facoltativa? Secondo, regole valide solo per il governo o anche per il Parlamento? Terzo, regalie ai partiti ammesse o no? Tutto questo mentre il DDL sul finanziamento ai partiti giace, moribondo, in Parlamento.

Fonte: La Discussione - 10 luglio, 2013

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Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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Saranno ormai quarant'anni che si parla di regolamentare le lobby. Allora, era la metà degli anni 70, bisognava spiegare cosa significasse quella parola; nel frattempo "lobby" ha fatto a tempo a dilatarsi e insieme a rattrappirsi, comunque moltiplicando i suoi valori d'uso oltre ogni ragionevole significato. In questi casi, anche se il termine suona un po' ricercato, si dice che la lobby, anzi le lobby sono divenute polisemiche. I politici e i giornalisti, categorie per loro natura e vocazione abbastanza orecchianti, adorano le polisemie, specie quando gli lasciano le mani libere - un po' meno la testa, ma è un altro discorso. Può esistere dunque una lobby rosa, nel senso di un gruppo che favorisce gli interessi e il potere delle donne nelle istituzioni e nell'economia: "Emily", il "branco rosa" e così via. Ma anche esiste una agguerrita lobby delle armi, cioè gente che cerca di piazzare mine, cannoni e micidiali sistemi di puntamento in giro per il mondo, soprattutto ai paesi africani, cosa non proprio simpatica. Le aziende dispongono di professionisti ad hoc che battono anche il Parlamento. In una raccolta di vignette su Montecitorio, già alla metà degli anni 80 il disegnatore Vincino raffigurò "il lobbista dell'Aeritalia" che svolazzava per il Transatlantico con delle eliche che gli uscivano dal retro della giacca, come un drone ante litteram. Insomma tante cose diverse. Nell'economia la faccenda è più pacifica che in politica o nella cronaca giudiziaria. Si tratta di tutelare degli interessi, come spiegano benissimo i protagonisti dell'inchiesta di Carmine Saviano. Le Camere sono la palestra, il giacimento, l'arena, la serra, la taverna e il giardino zoologico dei lobbisti. Qualche mese fa i cinquestelle hanno beccato un ex funzionario di Montecitorio che scriveva, al volo e brevi manu, un emendamento per modificare un provvedimento in commissione, e l'hanno fatto cacciare. Hanno poi esposto il suo volto in aula con dei cartelli. Quello, poveretto, ha cercato di sminuire il suo ruolo, pure definendosi "un giuggiolone". Ma ai tempi in cui Marcello Pera presiedeva il Senato, 2005, nel depliant della sua fondazione "Magna Carta" era esplicitamente contemplata l'attività di lobbying; e l'ex presidente della Camera Irene Pivetti, adesso, cosa fa? Semplice, fa lobbying.  Dal che si intuiscono gli effetti non tanto forse della mancata regolamentazione, ma della implicita e magari anche connaturata confusione che reca in sé l'ambiguo tragitto della parola "lobby", nella sua variante "all'italiana". Così alla caduta del governo Berlusconi l'ex ministro Mastella, l'ineffabile, evocò la "lobby ebraica"; ma qualche mese prima, quando alla presidenza della Rai era arrivata Letizia Moratti, venne lanciato un allarme contro la "lobby di San Patrignano", che sarebbe una nota comunità di recupero per tossicodipendenti, ma si disse così per intendere che direttori di rete o dei tg si diventava solo previo assenso della Moratti, appunto, che dell'iniziativa di Vincenzo Muccioli (poi con il figlio e la moglie hanno ferocemente litigato) era e seguita a restare la grande patrona e finanziatrice.  Altre lobby entrate più o meno di straforo nella cronaca: la "lobby di Lotta continua" (ai tempi dei processi Sofri); la "lobby gay" (in Vaticano); la "lobby dei tesorieri di partito" (che continua a bussare a quattrini aggirando leggi e referendum). Si tratta di esempi per lo più negativi. Ma per anni il progetto educativo del cardinal Ruini è stato presentato anche dai suoi fautori come strutturalmente connesso a un'opera di lobbying a favore dei principi irrinunciabili. Bizzarro perciò è il destino dei grimaldelli semantici, sempre sul punto di trasformarsi in piè di porco. Questo, per dire, è un Lele Mora d'annata, già proteso a togliersi dagli impicci: "Io - diceva - non piazzo le starlette nei letti, faccio solo incontrare gente, lobbying, altro che festini!". Era la fine del 2006, poi è finita con qualche anno di galera. Nel frattempo le lobby crescono e si moltiplicano a loro indeterminato piacimento. E ciascuno le consideri un po' come meglio ritiene: se e quando verranno regolamentare, sarà probabilmente troppo tardi. Fonte: Filippo Ceccarelli - Repubblica.it

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È convinto di farcela il Viceministro alle Infrastrutture a regolare – con dei limiti – l’attività di lobbying in Italia. Del resto ci è già riuscito una volta per primo – sempre con dei limiti – quando era presidente del Consiglio Regionale della Toscana. Riccardo Nencini, segretario PSI, senatore, è Vice Ministro alle Infrastrutture e Trasporti del Governo Renzi, e nel suo ruolo che lo vede driver della riforma del Codice degli Appalti sta cercando di arrivare ad un qualcosa che oltre 60 progetti di legge (e un ddl governativo a firma Santagata, governo Prodi II) in 37 anni non sono riusciti ad ottenere: regolamentare le lobby (per le quali alcune regole peraltro già esistono, basterebbe che lo Stato le applicasse). NORME SUL LOBBYING: LIMITI E TEMPISTICHE L’ambito, appunto, è limitato, dato che il ddl delega su cui poi il Governo dovrebbe lavorare. La tempistica? “Il ddl delega sulla riforma degli appalti che avuto il via dal Governo lo scorso 29 agosto andrà a breve al Senato, dove dovrebbe speriamo possa essere approvato entro novembre, per poi passare alla Camera e aver l’ok entro aprile. Puntiamo ad emanare il decreto legislativo entro l’autunno 2015”. Ma la delega non pone dei limiti al tipo di regolamentazione che si vuole ottenere? “Certamente la normativa sarà limitata al tema della delega, sarà un primo approccio, ma faremo un lavoro per gettare trasparenza sui processi. L’idea è quella di consentire tutti gli operatori di essere messi alla pari in partenza, di poter contribuire ai processi normativi, senza che ci siano dei privilegi informativi”. Pochi giorni fa la presidenza del Consiglio ha affidato la delega sulle lobby al ministero per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme, mentre al Senato si stanno accorpando i vari ddl (se ne attende uno, che si vocifera interessante, di Laura Puppato del PD) ed è stato nominato relatore del provvedimento il senatore ex M5s, Francesco Campanella (ora nel Gruppo Misto, con la componente ‘Italia lavori in corso’). Non si rischia un’inutile sovrapposizione? “Assolutamente no. Stiamo cercando di avviare un percorso che si integrerà poi perfettamente con un’eventuale normativa più ampia”. LE REGOLE A lavorare sul tema lobby con Nencini c’è una commissione di studio istituita ad hoc al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che avrebbe individuato alcune priorità da inserire nella norma addivenire: l’istituzione di un registro pubblico dei portatori di interesse; la previsione di criteri oggettivi per l’iscrizione al registro; la fissazione alcuni criteri di reciprocità nell’acquisizione, accesso e scambio di informazioni; l’analisi preventiva di impatto ‘pubblico’ delle normative (peraltro già prevista dalla normativa AIR, mai del tutto applicata); trasparenza nell’accesso dei portatori di interessi. Una serie di punti che sembrano rispecchiare – almeno per quanto fuoriuscito – quelli del suo disegno di legge del 2013, considerato anche dagli operatori del settore un’ottima base di lavoro. OBBLIGHI ANCHE PER I DECISORI Ci saranno anche obblighi per i decisori pubblici? “Certamente sì. Dovranno attenersi alla norma e rapportarsi solo con i soggetti iscritti. Chiunque ricopra un ruolo istituzionale, se riceve un lobbista, dovrà annotare su un registro apposito tutto su quell’incontro: chi era, chi rappresentava e cosa chiedeva la persona ricevuta”. Proprio su questo punto, ricordiamo, si areno in un Consiglio dei Ministri dell’estate 2013, la proposta che sarebbe dovuta uscire dal Governo Letta. In prima fila ad opporsi a questo tipo di obblighi c’era l’allora Ministro dell’Agricoltura e oggi capogruppo NCD, l’on. Nunzia De Girolamo, che parlò addirittura di “legge sovietica”, e che fece in modo di non dare seguito al primo esperimento di norme sul lobbying avviato dal suo predecessore al MIPAAF, Mario Catania. Nencini ha già regolamentato una volta le lobby, in Toscana, prima Regione italiana nel 2002, seguita poi da Molise e Abruzzo e Molise, anche se da più parti sulla norma sono piovute critiche, essendo rivolta solo alle associazioni, ed escludendo quindi aziende e consulenti. “In realtà la mia proposta era assai diversa. Il Consiglio Regionale ha poi deciso di procedere in quel modo. Si è scontato anche un certo approccio ideologico di vedere le lobbies”. IL CONVEGNO, SABATO 4 OTTOBRE E proprio in Toscana, a Firenze, sabato 4 ottobre [vai alla locandina della conferenza] Nencini si siederà  intorno ad un tavolo – moderato dall’ex deputato (nel 2006 presentò anche una proposta sul lobbying) ed oggi docente di comunicazione politica  Chiara Moroni – con lobbisti tra i quali Tony Podesta (fondatore del Podesta Group), Patrizia Rutigliano (Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione di SNAM, e presidente di FERPI), Simone Bemporad (Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne del Gruppo Generali), Simone Crolla, Consigliere Delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy e per breve tempo deputato nella scorsa legislatura. Con loro ci saranno anche l’on. Mariastella Gelmini, Vice Presidente Vicario del Gruppo Parlamentare FI della Camera e – principalmente – l’on. Luca Lotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e uomo tra i più vicini a Matteo Renzi. Un tavolo di grande livello in cui si parlerà di regolamentazione dell’attività di lobbying proprio in vista delle nuove norme. LOBBY CHE FRENANO Un convegno che però sembra presentare una sedia vuota. I consulenti, che rappresentano una fetta importantissima del lobbying in Italia, e che da anni si battono per ottenere regole. Da alcune parti però viene adombrata l’idea che alcuni lobbisti, principalmente quelli facenti capo ad aziende partecipate dallo Stato o ex monopoliste, frenino di fronte ad ogni tipo di regolamentazione complessiva per così mantenere una sorta di rendita di posizione (a cominciare da privilegi esemplari quali il tesserino di accesso al Parlamento garantito) nei rapporti con la politica. “Lei è un peccatore impenitente” [intendendo a pensare male, NdR], risponde non rispondendo – ma nemmeno smentendo – il Viceministro Nencini, che però rassicura. “Ma questo è solo il primo convegno che il Ministero terrà sul tema, ne seguiranno altri presto cui faremo intervenire anche i consulenti, certamente. L’obiettivo finale è quello di regole che portino trasparenza e pari condizioni per tutti”. ORIANA E “DAGLI AMICI MI GUARDI IDDIO”… Nel suo bellissimo “Intervista con la storia” Oriana Fallaci – di cui Nencini fu amico, pubblicando anche un libro su di lei, “Morirò in piedi” – scrisse: “Pietro Nenni [leader storico del PSI, NdR] sarebbe stato uno splendido presidente delle Repubblica, e ci avrebbe fatto bene averlo al Quirinale. Ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici”. Ecco, si spera che ad un altro socialista, Nencini in questo caso, che le regole le farebbe e bene, non sia impedito a proprio dagli “amici” di arrivare all’obiettivo.

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