La Settimana dell’Amministrazione Aperta ha ispirato interessanti iniziative sulla trasparenza e partecipazione della decisione pubblica. E il dibattito sulle lobby ha preso una piega, forse definitivamente, positiva. Da oggi attivo il Registro dei lobbisti alla Camera.
Con il galileiano “Eppur si muove” l’associazione Riparte il futuro ha fotografato in un Rapporto la regolamentazione del lobbying in Italia nel 2016, un anno considerato “di svolta”. L’evento di presentazione dello studio, ospitato mercoledì 8 marzo presso il Centro Studi Americani, è stato l’occasione per confrontarsi sui passi compiuti verso una democrazia trasparente in una dimensione nazionale e locale. Presenti, infatti, il viceministro delle infrastrutture Riccardo Nencini, l’assessora a Roma semplice Flavia Marzano, l’assessore a Partecipazione, cittadinanza attiva e Open Data del Comune di Milano Lorenzo Lipparini e il consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Roma Angelo Sturni. Ad aprire e chiudere i lavori, moderati dal professor Pier Luigi Petrillo, docente di Teorie e tecniche del lobbying alla LUISS Guido Carli, il responsabile relazioni istituzionali di Riparte il futuro Federico Anghelé.
Pur in assenza di una legge quadro nazionale sul fenomeno lobbistico, in base al report il 2016 ha fatto registrare il lancio del registro dei portatori di interesse e un’agenda pubblica degli incontri per Ministro, vice e sottosegretari presso il MISE. L’iniziativa, tra l’altro, pare in procinto di essere replicata dal Ministero della pubblica amministrazione (e non solo) nell’ambito del Terzo Piano d’Azione dell’Open Government Partnership. A livello regionale sono arrivate importanti novità per merito della Regione Lombardia e della Regione Calabria, con il consiglio regionale della Puglia impegnato a vagliare una proposta molto ambiziosa in materia. Roma e Milano, in questo senso, hanno messo in piedi operazioni trasparenza degne di nota istituendo delle agende pubbliche degli incontri con i portatori di interesse.
Il viceministro Nencini, che vanta nel proprio curriculum l’istituzione nel 2002 di un registro dei lobbisti presso il Consiglio regionale toscano quando ne era Presidente oltre che l’attuale pubblicazione sul sito del MIT di un’agenda degli incontri coi portatori di interesse particolari, ha individuato nell’instabilità dei governi e nella presenza di culture politiche ostili all’economia di mercato le ragioni per il ritardo normativo in materia. Nencini ha anche segnalato la necessità di intervenire regolamentando il lobbying nei confronti di Direttori Generali e uffici legislativi dei Ministeri, ha espresso la preferenza per la parificazione dei sindacati agli altri soggetti che sono obbligati ad iscriversi ai Registri e verso un modello maggiormente inclusivo degli interessi particolari che coinvolga anche la fase di formazione della norma.
Gli assessori Lipparini del Comune di Milano (qui la sua intervista a Lobbying Italia nell’ottobre 2016) e Marzano del Comune di Roma, accompagnata dal consigliere comunale Angelo Sturni, hanno presentato i rispettivi progetti di applicazione delle iniziative sulla trasparenza legate alla OGP. In particolare, su impulso della fondazione Cultura Democratica (che ha già presentato alla Giunta Marino un progetto di regolamentazione dell’attività di lobbying per Roma), il consigliere Sturni ha aperto ad un’effettiva azione in tal senso da parte dell’amministrazione del Movimento 5 Stelle, dopo però necessari step tra i quali una normativa nazionale in materia cui rifarsi.
Il giorno prima, Ferpi (federazione che rappresenta i professionisti che operano nelle Relazioni Pubbliche) ha organizzato, sempre a Roma, un incontro dal titolo #AroundPA, in cui si è discusso di lobbying e trasparenza. Tra i rappresentanti del settore, Fabio Bistoncini di FB&Associati e Paolo Zanetto di Cattaneo, Zanetto & Partners, tra i relatori assieme a David Maria Mariani, responsabile dell’unità del MISE che si occupa del Registro per la Trasparenza recentemente istituito. Presenti anche altri lobbisti e specialisti delle PR, che hanno concordato su alcuni punti chiave: il “puzzle normativo” che rallenta lo sviluppo italiano di un settore del lobbying professionalizzato; la necessità di maggiore trasparenza del processo, finalizzata però all’apertura alla partecipazione da parte di tutti i soggetti interessati alle policy pubbliche – non alla trasparenza fine a sé stessa; la richiesta di una normativa nazionale che consenta agli ordinamenti locali e amministrativi, da un lato, e agli operatori del settore dall’altro di agire con efficienza ed efficacia, e senza buchi normativi o lentezze burocratiche.
Giovedì 9 marzo un altro “punto a favore” della creazione di un ambiente positivo per la regolamentazione delle lobby è stata poi la dichiarazione del Presidente di ANAC, Raffaele Cantone, in merito alla normativa attuale. "Se la legislazione vigente è sufficiente a regolamentare lobby e fondazioni? Assolutamente no, è una delle questioni su cui bisogna intervenire: le lobby sono state, da tempo, oggetto di disegni di legge, ma mai di un intervento comprensivo e coerente” ha affermato Cantone a LaPresse, prima di un convegno al Mibact. "Lobby non è una brutta parola, in tutto il resto del mondo è una parola seria, ma è una parola che richiede regolazione e trasparenza - ha sottolineato Cantone - le fondazioni e le associazioni, che fanno politica, hanno bisogno di regole che riguardano la trasparenza in entrata e in uscita". È la prima, vera occasione in cui l’Anticorruzione di schiera proattivamente a favore di una legge sulle lobby e, in particolare, sottolinea il necessario legame con le leggi in materia di finanziamento della politica.
Da oggi 10 marzo, poi, è attivo il Registro dei Rappresentanti di interesse di Montecitorio (qui il link). Per registrarsi è necessario avere un account SPID. È possibile richiedere l'iscrizione al Registro dei soggetti che svolgono professionalmente attività di rappresentanza di interessi nei confronti dei deputati presso le sedi della Camera, disciplinato dalla delibera dell'Ufficio di Presidenza dell'8 febbraio 2017 ("Disciplina dell'attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati"), che definisce le modalità attuative della regolamentazione approvata dalla Giunta per il Regolamento il 26 aprile 2016. La registrazione permette di accedere a locali della Camera per svolgere attività di rappresentanza di interesse. Previsto inoltre l’obbligo, per i soggetti registrati, di presentare una relazione annuale su un apposito modello standard entro il 31/01 di ogni anno, sull’attività di rappresentanza di interesse, indicando contatti posti in essere, obiettivi perseguiti e ulteriori informazioni. Come affermato dalla vicepresidente della Camera Marina Sereni, relatrice della delibera istitutiva del registro, nel corso di un seminario sul tema organizzato da Open Gate Italia lo scorso 6 febbraio, si va ad ampi passi verso una sempre maggior definizione del ruolo del lobbying nel processo di formazione delle leggi, con benefici per decisori, cittadini e organizzazioni. La vicepresidente ha inoltre ipotizzato un veloce recepimento della regolamentazione (che ha forma di atto amministrativo e, quindi, non incide sulle norme già presenti nell’ordinamento o in corso di attuazione) anche al Senato.
Trasparenza nella rappresentanza di interessi. Benefici per istituzioni, organizzazioni e cittadini from Open Gate Italia
Gli sforzi compiuti dall’Ufficio di Presidenza della Camera per l’approvazione di un registro dei lobbisti e della cosiddetta “sala lobby” rappresentano un ulteriore passo in avanti, seppur timido, nella regolamentazione del lobbying e, allo stesso tempo, rendono ancora più insopportabile la giacenza in Commissione Affari costituzionali del Senato del ddl del senatore Orellana ormai datato aprile 2015. Ma qualcosa si muove, ed è già molto.
In collaborazione con Francesco Angelone
Non solo Poste Italiane nel settore dei servizi postali italiani. Si è recentemente costituita Assopostale, nuova associazione composta da piccoli operatori del mercato, che si propone di fare lobbying a tutela dei diritti degli operatori postali privati operanti in Italia.
Le aziende dell’associazione si propongono come attori di un settore finora monopolizzato da Poste Italiane. I tre soci fondatori sono gli operatori privati Sail Post (City Post), Globe Postal Service (GPS) e Friend Post. GPS e Friend Post sono proprietari del maggior numero di cassette delle lettere diffuse su tutto il territorio nazionale alternative a quelle di Poste Italiane, mentre Sail Post è il primo operatore privato per numero di agenzie postali e punti posta operativi in Italia. Assopostale inoltre si propone di attrarre altri operatori, per ottenere un’immediata estensione su tutto il territorio nazionale, in attesa del perfezionamento di altri soci ordinari. Possono presentare richiesta di affiliazione in Assopostale tutti gli operatori in possesso di Licenza Individuale o Autorizzazione Generale.
Tra i temi di policy dell’associazione, il cui direttivo è composto dal presidente Valterio Castelli, dal Vicepresidente Stefano Paniconi e dal Segretario Generale Emanuel Bonanni, vi è il ripristino di un servizio postale tradizionale, efficiente ed al passo con l’evoluzione dei tempi, grazie alla liberalizzazione del mercato (in attuazione di una recente direttiva europea,vicenda per la quale l’Italia è sotto osservazione dall’UE) e alla valorizzazione di tutto il territorio nazionale nel rispetto dei cittadini e dell’ambiente. Gli operatori di Assopostale sono infatti presenti in molti dei territori nei quali Poste Italiane sta disinvestendo. Proprio il tema della creazione di valore sul territorio, in particolare nelle aree interne, sarà un elemento di distinzione e promozione della nuova associazione.
La creazione di Assopostale si inserisce in un quadro di settore in cui Poste Italiane, ex monopolista di Stato, sta attraversando diverse difficoltà a livello locale, in particolare con la chiusura di alcuni uffici postali in molte zone della periferia italiana, che hanno portato alla presentazione di diverse interrogazioni parlamentari negli ultimi mesi. E nei prossimi mesi anche i vertici di Poste Italiane verranno rinnovati, come tutti gli altri vertici di società ex pubbliche. E proprio l’AD di Poste potrebbe essere uno dei manager non confermati, dopo la vicenda del fondo immobiliare Invest Real Security: situazione da tenere sotto controllo per i nuovi entrati nel settore.
Un luogo di raccolta per lobbisti e deputati, trasparenza, partecipazione: questi i principali punti della proposta di regolamento sull’accesso dei lobbisti a Montecitorio, di cui Lobbying Italia ha preso visione. Qualcosa in più di un primo passo?
Il “regolamento-Pisicchio” non è rimasto lettera morta. Su impulso della vice-presidente della Camera dei Deputati Marina Sereni (PD), che da almeno due anni sponsorizza l’idea di una regolamentazione del lobbying a piccoli passi, l’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati esaminerà una Proposta di deliberazione dell’Ufficio di Presidenza sull’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei Deputati, di cui Lobbying Italia ha preso visione. Si tratta dell’attuazione della regolamentazione (sempre riservata ai lavori della Camera) approvata lo scorso 26 aprile 2016 presso la Giunta per il Regolamento, a cura dell’onorevole Pino Pisicchio (Gruppo Misto).
C’è tempo fino a giovedì 26 gennaio per la presentazione di emendamenti al testo, che dovrebbe essere esaminato a partire da inizio febbraio.
Definizioni: lobbying e portatori di interessi
In 7 articoli, viene delineata una serie di norme e regole nei confronti dei portatori di interessi particolari e di deputati e funzionari della Camera dei Deputati. La proposta dell’UdP dà attuazione al Registro dei rappresentanti di interessi previsto dalla regolamentazione Pisicchio, a cura del Collegio dei Questori (che già è l’organismo incaricato del controllo degli accessi ai locali di Montecitorio – elenco finora non pubblico). È contenuta anche una definizione dell’attività di lobbying, o rappresentanza di interessi:
“ogni attività svolta nelle sedi della Camera dei deputati professionalmente dai soggetti di cui alla Regolamentazione attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri della Camera dei deputati.
Non costituiscono attività di rappresentanza di interessi le dichiarazioni rese e il materiale depositato nel corso di audizioni dinanzi alle Commissioni e ai Comitati parlamentari”.
Il Registro: per tanti ma non per tutti
Importante la lista dei soggetti tenuti a iscriversi al Registro, che comprende:
organizzazioni sindacali e datoriali
organizzazioni non governative
imprese
gruppi di imprese
aziende
soggetti specializzati nella rappresentanza professionale di interessi di terzi
associazioni professionali
associazioni di categoria o di tutela di interessi diffusi
associazioni di consumatori
nonché ogni altro soggetto che intenda svolgere l'attività di lobbying. Interessante la previsione secondo cui la medesima disciplina si applica anche ai parlamentari cessati dal mandato ove intendano svolgere attività di rappresentanza di interessi.
Rimangono ancora esclusi dalla regolamentazione molti soggetti:
amministrazioni di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale
amministrazioni pubbliche
autorità di regolazione e garanzia
organizzazioni internazionali e sovranazionali
agenti diplomatici e funzionari consolari
partiti e movimenti politici
confessioni religiose.
I soggetti dovranno registrarsi online sul sito della Camera, fornendo una serie di dati comparabili a quelli forniti al MISE per la registrazione dei portatori di interesse. L’iscrizione va confermata ogni anno, pena cancellazione. Unica eccezione le organizzazioni sindacali e datoriali che hanno sottoscritto contratti collettivi nazionali di lavoro, la cui registrazione – qualora effettuata – ha la stessa durata della legislatura.
Accesso ai locali della Camera: la lobby per i lobbisti
Entro 30 giorni dall’iscrizione, ogni lobbista iscritto ha diritto ad un tesserino d’ingresso di durata annuale. Presente una regola per scongiurare le revolving doors: non possono esservi iscritti soggetti che hanno ricoperto negli ultimi dodici mesi cariche di governo né svolto il mandato parlamentare.
Per le persone non fisiche iscritte (in pratica, società e altre organizzazioni) saranno disponibili al massimo due tesserini: una regola che sembra non prendere in considerazione le dinamiche interne ad alcuni tipi di soggetti (ad esempio, società di consulenza, associazioni o aziende dotate di un ufficio relazioni istituzionali numeroso) che impiegano più persone nell’attività di rappresentanza di interessi. Per rappresentanti di organizzazioni sindacati e datoriali sono disponibili 4 tesserini. Eventuali tesserini permanenti attualmente a disposizione (come quelli destinati alle società ex pubbliche) cessano di avere validità decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento.
“Divieto di sosta” per i lobbisti negli spazi antistanti le commissioni e le altre aule parlamentari. Per loro è prevista una stanza ad hoc, dotata di infrastrutture informatiche che consentano di seguire i lavori parlamentari. Anche qui vi sono delle limitazioni: il Collegio dei Questori, in via sperimentale, si riserva di mantenere disponibile la stanza solo per provvedimenti di particolare rilievo.
La Trasparenza: relazione annuale e sanzioni
Il 31 gennaio di ogni anno i soggetti registrati devono – tassativamente, pena esclusione dalla registrazione per 5 anni - presentare all’UdP una relazione annuale relativa all’attività di rappresentanza di interessi svolta nell’anno precedente. Ogni relazione è pubblicata sul sito internet della Camera.
La violazione degli obblighi posti dal regolamento comporta, a seconda dei casi, sospensione o cancellazione dal Registro. Il soggetto registrato può essere messo sotto indagine su richiesta di deputati o funzionari della Camera.
Pro e contro
Non si tratta di una rivoluzione, tuttavia è un passo in avanti, dopo quelli compiuti con il registro del MIPAAF (poi bloccato) e del MISE, per un riconoscimento della professione e professionalità dei lobbisti a livello nazionale. La normativa, che necessiterà sicuramente di un rodaggio di qualche mese prima di entrare a regime, mira a far emergere i professionisti dei public affairs e fare ulteriore chiarezza sul ruolo dei lobbisti nell’ordinamento.
Restano però alcuni punti critici, tra cui le modalità di accesso, gli incentivi alla registrazione, gli elementi da riportare nella relazione annuale.
Di certo, manca ancora una regolamentazione nazionale, organica e smart del fenomeno. La proliferazione di normative settoriali rischia di creare disomogeneità tra ordinamenti: si pensi ad esempio che il Senato, con le stesse funzioni e poteri della Camera, non ha adottato né ha in programma di adottare alcuna regolamentazione simile. Lo stesso può dirsi a livello ministeriale (solo il MISE ha un registro della trasparenza) o riguardo a ordinamenti locali (gli ultimi quelli regionali della Lombardia, della Puglia o del Comune di Milano).
Il problema riguarda l’adozione di standard differenti, che creano regole di comportamento e prassi istituzionali diverse, con conseguente spaesamento per operatori del settore e stakeholder decisionali.
Tra i dossier aperti del nuovo Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, potrebbe quindi tornare quello sulla regolamentazione nazionale del lobbying, tema da lei affrontato nel corso degli ultimi mesi di presidenza della commissione Affari Costituzionali del Senato, dove il ddl Lobby è “incagliato” in attesa di sviluppi, con un testo ormai desueto (è stato presentato nel giugno 2014 e la discussione è ferma dal giugno 2016).
Come riportato dal Corriere della Sera, l'ufficio di presidenza della Camera dei Deputati sta per varare il regolamento interno per l'accesso dei lobbisti ai locali di Montecitorio e la trasparenza degli incontri tra portatore di interessi e decisore istituzionale.
Il lobbista in una stanza. La Camera dei deputati avrà presto uno strumento per rendere trasparente quell’attività che spesso trasparente non è: la cosiddetta «rappresentanza degli interessi», insomma il lavoro delle lobby.
I «sottobraccisti»
Oggi l’ufficio di presidenza di Montecitorio dovrebbe approvare la proposta di regolamentazione presentata dalla vice presidente Marina Sereni, Pd. Cosa cambierà? Per fare il lobbista sarà necessario iscriversi ad un apposito registro on line, che comporta una serie di onori e oneri. Ma soprattutto ai «sottobraccisti» - come venivano chiamati un tempo, vista la tecnica usata per agganciare i parlamentari in Transatlantico - sarà riservata una stanza dentro Montecitorio. Da lì, con la tv a circuito chiuso, potranno seguire in diretta i lavori parlamentari. E sempre lì potranno essere raggiunti dai deputati che li vogliono incontrare. Viene poi confermato il divieto di incrociare davanti alla porta delle commissioni, in attesa del momento giusto. Il tutto per limitare appostamenti e inseguimenti, eredità del passato arrivata fino ai nostri giorni, nonostante il sottobraccista non abbia più bisogno del «contatto fisico» per sostenere le sue ragioni.
Il lungo dibattito
Il registro della Camera arriva dopo un dibattito che nel nostro Paese dura da anni, con una lunga lista di proposte di legge più volte annunciate e mai arrivate in porto. «È una prova di maturità - dice Marina Sereni, relatrice del provvedimento - che riguarda tutto il nostro sistema politico. Se si pensa che la trasparenza è importate allora si deve valorizzare chi la sceglie». Per iscriversi al registro sarà necessario non aver subìto, negli ultimi dieci anni, condanne definitive per reati contro la pubblica amministrazione, come la concussione o l’abuso d’ufficio. La strada sarà sbarrata anche a chi, nell’ultimo anno, è stato parlamentare oppure al governo. Perché? È la cosiddetta norma contro le revolving doors, le porte girevoli. Serve a evitare che chi ha appena interrotto la sua carriere politica venga arruolato dalle società di lobbying per sfruttare il suo patrimonio di conoscenze tecniche e, soprattutto, personali.
Chi deve iscriversi
Saranno tenute a iscriversi, se vogliono fare attività di lobby, le imprese, i sindacati, le organizzazioni non governative, le associazioni di categoria come quelle dei consumatori e quelle professionali, come gli ordini degli avvocati o dei commercialisti. Ogni anno, entro il 31 gennaio, chi è nel registro dovrà presentare una relazione al collegio dei questori, i tre deputati che vigilano sul rispetto delle norme interne della Camera. «In caso di violazione delle regole - spiega ancora Sereni - potrà scattare la sospensione fino a un anno. O il divieto di chiedere l’iscrizione per un periodo massimo di cinque anni». Quello della Camera sarà il primo vero albo italiano dei lobbisti, dopo le mosse fatte in passato dal ministero dell’Agricoltura e di recente dal ministero dello Sviluppo economico. Possibile che a questo punto si muova anche il Senato, dove la discussione era stata congelata vista la «quasi cancellazione» prevista dalla riforma costituzionale poi saltata con il referendum. Resta la domanda, però: bastano un elenco e una stanza per evitare quelle interferenze che oramai posso seguire canali molto più sottili e discreti di un caffé alla buvette? «I lobbisti - dice ancora Sereni - sono portatori di interessi legittimi ma parziali. Si esprimono comunque. Se lo fanno in modo più trasparente credo sia meglio per loro, per i politici. E soprattutto per i cittadini». Chissà cosa ne penserebbe il mitico Wilmo Ferrari detto «la Clava»? Da mago del settore si vantava di aver piazzato nella sua carriera quasi 7 mila emendamenti.
Riorganizzazione di ANAS e Direzione Affari Istituzionali oggetto di un'interrogazione da parte del gruppo dei Conservatori e Riformisti.
Come riporta Public Policy, è stata presentata alla Camera un'interrogazione su Anas a firma CoR (Conservatori e riformisti) rivolta al ministero dei Trasporti e a quello dell'Economia. In particolare, il primo firmatario Benedetto Francesco Fucci (l'altro è Antonio Distaso), chiede di sapere dai dicasteri guidati da Graziano Delrio e Pier Carlo Padoan chiarimenti sull'organizzazione della società, in particolare della direzione Affari istituzionali. Questa "risulterebbe esser stata, a quanto risulta agli interroganti, prima abbinata all'ufficio stampa e relazioni esterne, che ai tempi della gestione del duo Ciucci-Scanni (l'ex presidente e direttore centrale delle relazioni esterne e delle relazioni istituzionali, Ndr) assommava a un direttore e altri due dirigenti con una settantina di risorse e che ora, invece, prevede per la sola direzione affari istituzionali, separata dall'ufficio stampa e relazioni esterne, ben quattro dirigenti (un direttore e tre dirigenti responsabili) nonché una dozzina di collaboratori". L'interrogazione, quindi, chiede di sapere quali siano le motivazioni che hanno indotto i vertici di Anas ad adottare il modello gestionale scelto e con quali criteri la gestione Armani sia pervenuta alla scelta dei dirigenti, nonché a quella del direttore degli affari istituzionali di Anas.
La neo costituita direzione affari istituzionali risulterebbe esser stata, a quanto risulta agli interroganti, prima abbinata all'ufficio stampa e relazioni esterne, che in passato assommava a un direttore e altri 2 dirigenti con una settantina di risorse e che ora, invece, prevede per la sola direzione affari istituzionali, separata dall'ufficio stampa e relazioni esterne, ben 4 dirigenti (1 direttore e 3 dirigenti responsabili) nonché una dozzina di collaboratori.
Dal settembre 2016 la direttrice degli affari istituzionali di ANAS è Emanuela Poli, per tre anni direttrice dei Public Affairs di Salini Impregilo e in passato Direttrice Generale del Segretariato del Comitato Internazionale per la Programmazione Economica tra il 2008 e il 2012 (governo Berlusconi e poi Monti) e collaboratrice del Ministro dello Sviluppo Economico Barca. Oxfordiana, ha lavorato anche in AGCom e al MEF. I fittiani, inoltre, hanno annotato anche l'assunzione di Rocco Girlanda, ex sottosegretario del ministero delle Infrastrutture nel governo Letta per Forza Italia, giornalista e Segretario Generale del CIPE.
Entrambi quindi legati, dal lato pubblico e da quello privato, al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, tornato alla ribalta nei mesi scorsi.
Tratto dal n. 4 di Innovazione&Riforme, la rivista scientifica del think tank Cultura Democratica. A cura di Giacomo Pistelli
In base a recenti studi, sono oggi 23 i Paesi al mondo dotati di leggi che regolamentano in modo organico il fenomeno lobbistico[1]. Tra questi, 11 appartengono all’Unione Europea. L’Italia non rientra in tale lista.
Obiettivo di questo lavoro è quello di proporre un’analisi degli strumenti normativi introdotti negli Stati Uniti d’America per disciplinare l’attività di lobbying, instaurando peraltro un paragone con il panorama italiano in modo da evidenziare le lacune che tuttora affliggono in questo ambito il nostro sistema legislativo.
La scelta del modello statunitense è da attribuirsi al fatto che non solo tale democrazia può a buon diritto fregiarsi a livello mondiale del titolo di patria del fenomeno lobbistico, ma rappresenta al contempo uno degli esempi più efficaci di normazione della materia.
VV., Lobby. La rappresentanza di interessi, in Paper No. 2014-13, Università Commerciale Luigi Bocconi, 2014
La legislazione statunitense sulla rappresentanza di interessi particolari
E’ interessante evidenziare subito come l’attività di lobbying sia a tal punto connaturata alla forma di governo statunitense e parte integrante del suo sistema socio-politico da essere espressamente tutelata dalla Costituzione stessa di questo paese[2].
Il Primo Emendamento al testo costituzionale del 1787 parla, non a caso, di un “right to petition to the Government”, concetto non traducibile letteralmente, che potremmo comunque riassumere nella perifrasi “diritto di poter influenzare il decisore pubblico”[3].
Prima di proseguire nella trattazione, occorre a questo punto compiere un necessario passo indietro, al fine di chiarire cosa si intenda esattamente con il termine “lobbying”.
Il vocabolo inglese “lobby” ha origini molto antiche. Deriva dalla parola latino-medievale “laubia”[4], utilizzata per la prima volta intorno alla metà del 1500, prevalentemente in ambienti monastici. La traduzione letterale in lingua italiana è “loggia” o “vestibolo” e fa riferimento ad un luogo coperto al di sotto del quale è possibile camminare e dialogare. Nel linguaggio politico-istituzionale, invece, il termine “lobby” fa la sua prima apparizione alla House of Commons di Londra, dove viene utilizzato per intendere la grande sala d’ingresso dell’edificio, luogo aperto al pubblico e sede di confronto e discussione tra parlamentari e soggetti portatori di interessi di vario genere.
E’ tuttavia negli Stati Uniti d’America, a partire dai primi anni del 1800, che il termine assume il significato attuale. In particolare, nel 1832, l’appellativo di “lobby-agents” venne attribuito a tutti coloro che cercavano di esercitare attività di pressione nei confronti dei membri del Congresso di Albany, in quell’epoca capitale dello Stato di New York. Una versione alternativa[5], probabilmente più romanzata che reale, vuole che il vocabolo divenne noto all’interno del linguaggio dei media e di uso comune durante il mandato dell’amministrazione Grant, Presidente degli Stati Uniti tra il 1869 ed il 1877. Egli soggiornava spesso nel celebre Willard Hotel di Washington, strategicamente situato in prossimità della Casa Bianca e del Congresso. Proprio nella “hall” o “lobby” di questo albergo era solito concedere udienze a portatori di interessi particolari, che in virtù di tale motivo presero ad essere chiamati “lobbisti”.
“Fare lobbying”, pertanto, sta ad indicare l’insieme delle attività e delle strategie messe in atto da parte di un gruppo d’interesse o gruppo di pressione al fine di influenzare il decisore pubblico per trarne un vantaggio, di carattere non necessariamente economico[6].
Come opportunamente sottolineato da Giuseppe Mazzei, presidente de Il Chiostro[7], “la dinamica degli interessi particolari che cercano di influire sulle decisioni pubbliche” - al fine di vedere le proprie istanze tutelate - “è una realtà esistita in tutte le epoche e in tutti i regimi” e “trova la sua espressione più coerente nelle democrazie pluralistiche”. E’ dunque soltanto l’assenza di un’opportuna regolamentazione del fenomeno in Italia - prosegue Mazzei - unita alla carente trasparenza che ne deriva, ad aver trasformato il termine “lobby” da “pilastro della democrazia” a “parolaccia” sinonimo di opacità e, talvolta, di corruzione[8].
Proprio per garantire opportuni livelli di trasparenza all’interno dei processi decisionali e fornire all’attività lobbistica la legittimità che le compete, il Congresso degli Stati Uniti approvò già nel 1946 una prima legge organica della materia, il “Federal Regulation of Lobbying Act”.
Il testo in questione prevedeva che chiunque “individualmente, o attraverso un loro agente o impiegato o altre persone di qualunque tipo, direttamente o indirettamente sollecita, raccoglie o riceve denaro o altre cose di valore da usare principalmente per aiutare, o il cui fine principale è di aiutare l’approvazione o la bocciatura di qualsiasi legge da parte del Congresso degli Stati Uniti”[9] dovesse registrarsi in uno specifico Albo e fornire, sotto giuramento, determinate informazioni al Segretario del Senato e a quello della Camera dei Rappresentanti. I lobbisti dovevano, in particolare, esplicitare chi fosse il loro datore di lavoro, quali fossero gli interessi che andavano a tutelare, quale la loro remunerazione per i servizi forniti e quale, infine, l’ammontare di denaro speso nello svolgimento del proprio lavoro. Erano inoltre tenuti a redigere un rapporto quadrimestrale con informazioni dettagliate in merito alle loro attività. Tutte queste dichiarazioni venivano poi raccolte nel “Congressional Record”, il Registro del Congresso[10], al fine di individuare eventuali omissioni o trasgressioni del regolamento, per le quali erano previste sanzioni che potevano giungere, nei casi più gravi, perfino alla carcerazione. Sebbene tale legge rappresenti un passo in avanti di assoluta rilevanza nella regolamentazione del fenomeno lobbistico, l’assenza di una chiara definizione di chi fosse effettivamente chiamato ad iscriversi all’Albo, così come la mancanza di un organismo volto a controllare la veridicità delle informazioni contenute nel Registro del Congresso, inficiarono considerevolmente la concreta efficacia della suddetta norma.
Prima di vedere emanata una normativa che tentasse di colmare le lacune appena evidenziate, si dovette attendere sino al 1995, anno in cui il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton introdusse il “Lobbying Disclosure Act”, norma ancora in vigore sebbene sia stata oggetto di successive modifiche, apportate in particolare dal Presidente Barack Obama a partire dal 2009. Il testo in questione ha il merito di tratteggiare con maggior precisione la figura del lobbista, da considerarsi ora come ogni individuo “impiegato o stipendiato tramite compensi finanziari o non per servizi che includano più di un contatto lobbistico”[11], laddove per “contatto lobbistico” si intende “ogni comunicazione orale o scritta, comprese le comunicazioni elettroniche, comunque indirizzate a un pubblico ufficiale appartenente a un ufficio esecutivo o legislativo, svolta per conto di un cliente, e riguardante la formulazione, la modifica, l’adozione di leggi federali; la formulazione, la modifica, l’adozione di una norma federale, di un regolamento, di un Executive Order ministeriale, o di un qualsiasi altro programma, o qualsiasi presa di posizione del Governo degli Stati Uniti; l’amministrazione e/o l’esecuzione di un programma federale (compresa la negoziazione, la sovvenzione, la stipula e l’amministrazione di un contratto federale, di un prestito, di un permesso, di una licenza); la nomina o la conferma di una persona a un incarico soggetto al parere o alla ratifica del Senato Federale”[12]. Ad essere esclusi dalle disposizioni contenute nel testo normativo erano invece tutti quei soggetti per i quali l’attività di lobbying costituiva meno del 20% del totale di ore lavorative dedicate a un singolo cliente per un periodo complessivo di 6 mesi[13].
Nel 2007, a seguito del celebre “scandalo Abramoff”[14], l’amministrazione dell’allora Presidente George W. Bush decise di introdurre norme più stringenti in materia tramite l’“Honest Leadership and Open Government Act”. La peculiarità del testo risiede nel fatto che non solo dispose controlli più severi nei riguardi dei lobbisti, i quali da allora furono obbligati a presentare rapporto in merito alle proprie attività con cadenza trimestrale, ma inserì anche precise disposizioni riguardo gli stessi decisori pubblici. Fu infatti previsto che tutti i membri del Congresso dovessero dichiarare il totale dei contributi elettorali ricevuti singolarmente sia da privati che da aziende, “anche se spalmati tra finanziamenti diretti al politico, a fondazioni sue amiche, alla sezione locale del suo partito e simili”[15]. Venne inoltre disposto per i medesimi il divieto assoluto di accettare regali di qualsivoglia genere da parte di lobbisti o società che avessero tra i propri dipendenti personale iscritto al succitato Registro[16]. Inoltre, particolarmente significative furono le disposizioni inserite per arginare il complesso fenomeno del “revolving door”, ossia il passaggio dalla carriera politica a quella lobbistica e viceversa, con la creazione di evidenti conflitti d’interesse. Si stabilì pertanto il divieto per i membri del Congresso d’intraprendere la professione lobbistica prima del decorrere di 2 anni dal termine del proprio mandato. Il divieto venne esteso anche ai collaboratori e componenti dello staff dei rappresentanti politici, con vincolo ridotto in quest’ultimo caso ad 1 anno[17].
Come in parte già ricordato, con l’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca nel 2008, nuovi provvedimenti sono stati approvati per una più efficace regolamentazione dell’attività di lobbying, primo fra tutti l’“Ethics Committments by Executive Branch Personnel”. Quest’ultimo incentra la propria azione riformatrice non tanto sulle lobbies, quanto piuttosto sui decisori pubblici, i quali, più di altri, risultano destinatari di attività di pressione. L’Ordine Esecutivo oggetto della presente riflessione[18], prevede al suo interno la predisposizione di un “Ethics Pledge”, un vero e proprio documento di natura contrattuale che ogni dipendente assunto o politico nominato in qualsiasi ente governativo è chiamato a firmare. In base ad esso, i sopracitati soggetti hanno l’obbligo di compilare - a seguito di ogni contatto avvenuto con un lobbista registrato all’Albo - il “Disclosure of Lobbying Activities”, testo in cui devono essere esplicitate l’identità della persona incontrata e la finalità della conversazione avuta. L’insieme di questi dati viene in seguito raccolto dall’“Office of Government Ethics” (OGE), che li utilizza allo scopo di redigere annualmente un resoconto consultabile su internet, rendendo in tal modo possibile un monitoraggio costante dell’attività di lobbying nei confronti del Governo e garantire una maggiore trasparenza nei confronti dei cittadini.
Norme verso i portatori d’interessi particolari e norme verso i decisori pubblici rappresentano tuttavia soltanto 2 dei 3 pilastri su cui si basa un’efficace regolamentazione dell’attività di lobbying[19]. Le disposizioni finora elencate risulterebbero infatti vane senza il contraltare di una normativa che disciplini accuratamente il finanziamento alla politica e a tutti i candidati a cariche pubbliche. E’ proprio in quest’ottica che nel 1971 negli Stati Uniti venne redatto il “Federal Election Campaign Act” (FECA), legge ancora in vigore, la quale attibuisce ad ogni cittadino o associazione la facoltà di costituire “Political Action Committees” (PACs), comitati volti alla raccolta fondi per il finanziamento di candidati disposti a tutelare uno specifico interesse. Si tratta delle “cassaforti elettorali dei gruppi di pressione”[20], grazie alle quali questi ultimi sono in grado di arrivare ad influenzare gli stessi programmi politici dei partiti. Tutto ciò avviene nella massima trasparenza grazie al ruolo esercitato dalla “Federal Election Commission” (FEC), agenzia dotata di carattere indipendente, il cui compito è di vigilare sull’effettivo rispetto delle norme in materia e di pubblicare online tutti i dati relativi ad ogni singolo PAC. Tramite uno specifico sito internet[21], il cittadino è messo così nelle condizioni di sapere da quali gruppi di pressione ciascun candidato abbia ricevuto finanziamento (e per quale ammontare), acquisendo di conseguenza coscienza degli interessi che questi andrà a tutelare nel corso del suo eventuale mandato. L’assoluta trasparenza del procedimento favorisce, pertanto, una maggiore consapevolezza nell’espressione del voto alle urne.
Il contesto italiano
Una volta esplicata la disciplina normativa vigente negli Stati Uniti d’America, é opportuno rivolgere l’attenzione sull’analisi della legislazione italiana in materia di rappresentanza degli interessi particolari, al fine di fornire maggiori elementi di ricerca alla comparazione che si vuole illustrare.
In Italia la situazione è notevolmente diversa, in considerazione di una legge sul finanziamento dei privati ai partiti non altrettanto incisiva e della totale assenza di una legge organica che a livello nazionale regolamenti l’attività di lobbying.
Per quel che riguarda la legislazione italiana in materia di finanziamento della politica, nell’impossibilità in questa sede di darne un’esaustiva trattazione, vengono proposte soltanto alcune specifiche riflessioni.
La recente legge n. 13/2014, avente ad oggetto “Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”, introduce 3 disposizioni di particolare rilievo attinenti il finanziamento da parte di soggetti privati ai partiti politici. Innanzitutto, non viene previsto obbligo di pubblicità per donazioni inferiori ai 5.000 euro annui, cifra piuttosto elevata se considerato che in altri paesi “è necessario documentare qualsiasi contributo elettorale che superi i 50 dollari in USA, o le 50 sterline in Gran Bretagna o i 50 euro in Francia, Austria e Germania”[22].
In secondo luogo, si dispone un “tetto massimo” per le elargizioni da parte di singoli privati, che non potranno essere superiori ai 100.000 euro annui. Tale vincolo può essere tuttavia “superato, poiché nessun tetto è posto alle elargizioni verso singoli membri di Governo o Parlamento; nonché moltiplicato indefinitamente, costituendo una serie di società donanti o avvalendosi di fondazioni, alle quali non è imposta alcuna rendicontazione pubblica dei finanziamenti”[23].
Per ciò che concerne, infine, le donazioni comprese tra i 5.000 ed i 100.000 euro annui, è stato previsto che, per ragioni di privacy, queste vengano rese pubbliche soltanto in caso di consenso da parte del finanziatore stesso. Questo non significa, come opportunamente chiarito dal Garante per la Privacy Antonello Soro, che “in assenza di consenso il dato sull’erogazione del contributo sia ‘segreto’ e che quindi non vi possano essere controlli sulle fonti di finanziamento”[24].
Ne consegue, tuttavia, una carente consapevolezza da parte dei cittadini, impossibilitati a sapere in che misura aziende e soggetti privati finanzino partiti e candidati politici.
In considerazione del fatto che, proprio in base a quanto stabilito dalla legge n. 13/2014, a partire dal 2017 si verrà a decretare una considerevole riduzione del finanziamento pubblico ai partiti, con conseguente incremento della rilevanza della componente privata, i limiti della normativa in questione appaiono ancor più evidenti.
Spostando invece la nostra attenzione sulla regolamentazione dell’attività di lobbying in Italia, occorre innanzitutto constatare che, a fronte di 59 disegni di legge presentati in materia[25], a cui vanno aggiunti 11 proposte di legge attinenti le pubbliche relazioni, l’ordinamento italiano non dispone di alcuna legge organica disciplinante il fenomeno.
I tentativi di superare tale impasse hanno seguito nel nostro paese 3 prevalenti direttrici: introduzione di norme a livello regionale, approvazione di modifiche al Regolamento delle Camere, applicazione di “Registri per la trasparenza” da parte dei singoli Ministeri.
In assenza di una legge di carattere nazionale, sono stati innanzitutto gli enti regionali a tentare di fornire opportuna regolamentazione alla materia. Toscana, Sicilia, Molise, Abruzzo, Calabria e, in ultimo, Lombardia hanno infatti introdotto norme simili per la disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari nei confronti delle istituzioni locali. Nonostante si tratti di leggi approvate in via definitiva, nessuna di queste trova sostanziale e concreta applicazione.
Non differente esito ha avuto, per il momento, la modifica al Regolamento della Camera dei Deputati approvata dalla Giunta per il Regolamento il 26 aprile 2016[26]. Il testo del provvedimento inerente la “Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei Deputati”, prevede in particolare l’istituzione di un Registro presso l’Ufficio di Presidenza della Camera ove sono chiamati ad iscriversi quanti svolgano attività di rappresentanza di interessi nei confronti dei Deputati presso le sedi della Camera stessa. Gli iscritti al Registro dovranno inoltre redigere un resoconto annuale comprensivo degli incontri avuti, degli obiettivi conseguiti e dei soggetti interessati. Sebbene tale iniziativa possa rappresentare senza dubbio un significativo progresso nella disciplina del settore, occorre tuttavia sottolineare come, trattandosi esclusivamente di un regolamento interno della Camera dei Deputati, questo non sia in grado di garantire la trasparenza di tutti quegli incontri tra Deputati e portatori d’interessi svolti al di fuori delle stanze di Montecitorio[27].
A tale criticità si aggiunge la circostanza per cui, sebbene approvato all’incirca 6 mesi fa, il Registro non è ancora operativo in quanto l’Ufficio di Presidenza della Camera non si è ancora riunito per definire “le ulteriori disposizioni relative all’iscrizione e alla tenuta del registro nonché alle modalità di accesso alla Camera dei Deputati dei soggetti iscritti nel registro e all’eventuale individuazione di locali e attrezzature per favorire l’esplicazione della loro attività”[28]. Il provvedimento dunque, similmente alle succitate norme regionali, risulta ad oggi inattuato.
A essere invece attivo, e online dal 6 settembre di quest’anno, è il “Registro Trasparenza”, strumento voluto dal Ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, per garantire “maggiori informazioni sui processi decisionali e sui soggetti portatori di interessi interlocutori del Ministero”[29]. Tale Registro, ispirato a quello già in uso presso le istituzioni europee e all’“Elenco dei lobbisti” sperimentato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali nel 2012[30], si prefigge lo scopo di rendere pubbliche e accessibili online informazioni dettagliate in merito agli interessi perorati presso il MISE, da chi vengono sostenuti e tramite quali dotazioni finanziarie. L’obbligo d’iscrizione per quanti intendano incontrare Ministro, Viceministri e Sottosegretari all’interno del dicastero di Via Veneto scatterà a partire dal 6 ottobre, data in cui scadranno i 30 giorni previsti per provvedere alla registrazione. Tra società di consulenza, imprese ed associazioni di categoria, organizzazioni non governative, centri di studio, istituti accademici ed altri, ad oggi risultano iscritti 106 soggetti portatori di specifici interessi[31].
Di nuovo ci troviamo senza dubbio di fronte ad un’iniziativa più che lodevole, sintomo di una sempre maggiore sensibilità verso la necessaria regolamentazione del fenomeno ma che, se confrontata con il modello statunitense, rivela ancora evidenti lacune. In primo luogo sotto il profilo “geografico”, dato che non viene previsto alcun obbligo di rendicontazione per tutti quegli incontri tenuti al di fuori della sede del Ministero, e in secondo luogo per quanto riguarda il ristretto numero di decisori pubblici coinvolti, in considerazione del più che rilevante ruolo svolto invece da figure che spaziano dal Capo di Gabinetto ai responsabili delle varie Direzioni Generali, fino allo staff che coadiuva il Ministro nelle sue attività quotidiane.
Quanto finora illustrato ci consente quindi di affermare che, se gli Stati Uniti possono essere presi quale virtuoso modello di regolamentazione del fenomeno lobbistico, l’Italia presenta tuttora un preoccupante vulnus legislativo in materia.
E’ bene tuttavia sottolineare come l’efficacia delle norme introdotte nel Paese americano risieda non tanto nella severità delle disposizioni applicate, quanto piuttosto nel corretto bilanciamento tra gli obblighi ed i diritti riconosciuti ai membri di tale categoria professionale.
Non a caso il Professor Petrillo, Docente di Teoria e Tecniche del Lobbying presso la LUISS Guido Carli di Roma, inserisce gli Stati Uniti all’interno di quei Paesi che hanno adottato il c.d. modello partecipazione[32] per la disciplina dell’attività di lobbying. Infatti, le lobbies statunitensi, oltre ad un vincolo all’assoluta trasparenza rispetto alle proprie attività, godono di un vero e proprio diritto di partecipazione al processo decisionale[33]. Ciò deriva dal fatto che viene loro unanimemente riconosciuto il merito di arricchire il procedimento legislativo, fornendo autorevoli pareri e differenti punti di vista. Non c’è da sorprendersi allora se lo stesso John F. Kennedy riferendosi ai lobbisti fosse solito dire: “Sono dei gran tecnici, capaci di spiegarti problemi complessi e difficili in modo chiaro, comprensibile e rapido”[34].
Una definizione, questa, certamente contrastante con la vulgata tradizionale e che meglio ci aiuta a comprendere il reale ruolo da essi svolto all’interno del contesto socio-politico. E’ attraverso norme poste a garanzia di una maggiore trasparenza ed una maggiore equità nell’accesso al decisore pubblico che si potrà infatti fornire il giusto riconoscimento ad una professione non soltanto legittima, ma sale di ogni democrazia.
Fonti:
[1] Spicciariello F., Norme sul lobbying: l’Europa avanza, l’Italia è immobile, in Formiche.net, 29/01/2014
[2] De Caria R., Lobbying e finanziamento elettorale negli Stati Uniti al tempo di Obama, in Palici di Suni E. (a cura di), La presidenza Obama nel sistema costituzionale statunitense: novità e riconferme, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010
[3] Petrillo P., Democrazie sotto pressione, Giuffrè Editore, 2011
[4] Petrillo P., Democrazie sotto pressione, op. cit.
[5] Bistoncini F., Vent’anni da sporco lobbista, Guerini e Associati, 2011
[6] Petrillo P., Democrazie sotto pressione, op. cit.
[7] Associazione impegnata nel promuovere la cultura, la pratica e la regolamentazione della trasparenza nella rappresentanza degli interessi.
[8] G. Mazzei, Premessa in AA. VV., Lobby. La rappresentanza di interessi, in Paper No. 2014-13, Università Commerciale Luigi Bocconi, 2014
[9] Federal Regulation of Lobbying Act of 1946, in Lobby: il Parlamento invisibile di Franco M., Edizioni del Sole 24 Ore, 1988
[10] Franco M., Lobby: il Parlamento invisibile, op. cit.
[11] Art. 3, n. 10, Lobbying Disclosure Act 1995
[12] Zagarella A., Come si regola la pressione nel mondo, in AA. VV. Lobby. La rappresentanza degli interessi, op. cit.
[13] Art. 3, n. 10, Lobbying Disclosure Act 1995
[14] Caso di corruzione in cui vennero coinvolti Tom Delay, ex Capogruppo repubblicano, ed una ventina di membri del Congresso tra cui il Deputato repubblicano Robert Ney, Presidente della Commissione Finanziaria.
[15] Zanetto P., Washington fa la nuova legge sul lobbying, Bruxelles cerca di fare un registro, ne Il Foglio, 30/08/2007
[16] Sec. 541-546, Subtitle D, Honest Leadership and Open Government Act 2007
[17] Sec. 531-535, Subtitle C, Honest Leadership and Open Government Act 2007
[18] Executive Order 13490, Ethics Committments By Executive Branch Personnel, 21/01/2009
[19] Cfr. P. Petrillo, Democrazie sotto pressione, op. cit.
[20] Franco M., Lobby: il Parlamento invisibile, op. cit. p. 171
[21] www.fec.gov
[22] Petrillo P., “Soldi privati ai partiti. La legge è un colabrodo”, in Avvenire, 12/09/2014
[23] Azzolini V., Finanziamento ai partiti: trasparenza è credibilità, ne Il Fatto Quotidiano, 15/10/2015
[24] Soro A., in risposta a Tecce C., Soldi ai partiti, dichiarare il nome dei finanziatori non è più obbligatorio. In nome della privacy, ne Il Fatto Quotidiano, 14/02/2016
[25] Petrillo P., Sulle lobby più trasparenza per i decisori: parla il Prof. Petrillo, in Lobbyingitalia.com, 21/07/2016
[26] Servizio Studi Camera dei Deputati, La disciplina dell’attività di lobbying, Dossier n. 235, 18/05/2016
[27] Cfr. http://www.fbassociati.it/fblab/scheda-lobby.pdf
[28] Napoli F., Camera, ancora niente registro delle lobby. Al massimo entro fine anno, in Public Policy, 24/08/2016
[29] http://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/comunicati-stampa/2035133-il-ministro-calenda-lancia-il-registro-trasparenza-l-attivita-del-mise-sempre-piu-vicina-ai-cittadini
[30] https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5791
[31] http://registrotrasparenza.mise.gov.it
[32] Petrillo P., Democrazie sotto pressione, op. cit.
[33] Ibidem
[34] Franco M., Lobby: il Parlamento invisibile, op. cit.
Durante i lavori della Commissione riforme istituzionali presieduta da Erio Congedo, il presidente della Regione Michele Emiliano ha illustrato il disegno di legge che disciplina l’attività di lobbying presso i decisori pubblici.
Secondo il presidente Emiliano, firmatario del provvedimento, la legge “tende ad evitare la partecipazione indesiderata e segreta”. “La legge è molto semplice – ha proseguito - e abbiamo evitato di dare alla tecnica legislativa un’impostazione quanto meno formale, cercando di imitare i padri costituenti e di avere fiducia negli interpreti”.
Il provvedimento serve a disciplinare l'attività di lobbying dei rappresentanti di gruppi di interesse particolare presso i decisori pubblici, regolamentandone l'interazione attraverso strumenti, dispositivi e procedure definite, che assicurino il perseguimento dei principi di eguaglianza, non discriminazione e proporzionalità delle decisioni pubbliche, nonché di trasparenza e partecipazione democratica ai processi di formazione della decisione, rendendo conoscibili le modalità di confronto e di scambio di informazione fra decisori pubblici e gruppi di interesse particolare. La trasparenza degli atti politici e amministrativi deve essere sempre garantita, sia in termini di accessibilità alle informazioni e agli atti, sia rendendo tracciabile ogni fase dei procedimenti.
In particolare, con la legge regionale si intende dare piena attuazione al Titolo III dello Statuto della Regione, in base al quale viene riconosciuto il valore della partecipazione attiva e consapevole dei cittadini quale elemento essenziale della vita pubblica democratica, e a promuovere il rapporto tra società ed istituzioni. La norma risponde ai principi di trasparenza, parità di condizioni ed efficacia nei rapporti tra la Regione e i portatori di interessi particolari, in coerenza con il Programma di governo regionale, nel convincimento che partecipazione democratica e trasparenza siano elementi indivisibili di una buona governance. La disciplina inoltre è funzionale ad attuare i principi in materia di anticorruzione, in quanto indispensabile per prevenire comportamenti corruttivi che riguardano la pubblica amministrazione e prima ancora le scelte dei decisori pubblici.
Il presidente Emiliano ha spiegato che la principale caratteristica del provvedimento è l’istituzione del Registro pubblico dei rappresentanti di gruppi di interesse particolare, fissando i requisiti per l’iscrizione, e di un’agenda pubblica in cui sono resi noti gli incontri tra gruppi e decisori che disciplina le forme di partecipazione e indica le incompatibilità e le sanzioni.
Altro aspetto importante della norma è la definizione e la distinzione del ruolo dei lobbisti. “Da questa legge emerge – ha evidenziato il presidente - la distinzione tra l’interesse generale e l’interesse particolare, altrettanto legittimo ma con la differenza che l’interesse generale è lo scopo della decisione politica. La legge tende, quindi, a trovare una prima regolamentazione, ovviamente si tratta del primo esperimento di questo oggetto, ed è evidente che la discussione che la Commissione ed il Consiglio farà sulla legge viene considerato dal governo molto positivamente. È una legge che il governo propone nella consapevolezza che ha bisogno di essere vissuta dal Consiglio senza timore, perché da questa norma ne uscirà più legittimato, considerato che si discute sulla base di una forte partecipazione popolare, escludendo tutti i soggetti portatori di interessi privati ed occupandosi solo dell’interesse generale”.
Fonte: Giornale di Puglia
(di Paolo Pugliese) Nel mondo dell'informazione mainstream le parole “lobbista” e “lobby” sono spesso visti come sinonimi di corruzione, scarsa trasparenza e nessun riguardo per null'altro che la crescita dell'azienda a cui si è collegati o del proprio conto in banca. Ma il lobbista non è sempre ed esclusivamente legato ad interessi economici. Sono nati negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Italia alcuni esperimenti di “lobby (o forse, più propriamente, advocacy) dei cittadini”, il cui fattore comune è la rappresentazione di interessi generali della comunità di cittadini. Parliamo di iLobby, società operante negli Stati Uniti, l’associazione The Good Lobby con sede a Bruxelles e la nostrana Riparte il Futuro.
iLobby, grassroots lobbying 2.0
Nell'ambito del sistema politico americano, in cui le grandi imprese hanno un enorme peso nel processo legislativo, iLobby si rivolge al pubblico di massa, permettendo a chiunque di fornire il proprio contributo alla modifica e al miglioramento del corpus normativo. Il grassroots lobbying, diversamente dall'attività di lobby tradizionale-diretta in cui il consulente si interfaccia personalmente con i decisori, si propone di influenzare indirettamente il dibattito parlamentare, accrescendo la consapevolezza del pubblico di massa relativamente ad un tema e invitando i cittadini a riportare la propria opinione agli organi decisionali attraverso il tramite dei rappresentanti di interessi e di personaggi pubblici.
Queste attività, però, non esauriscono lo spettro di azioni intraprese da società come iLobby che, nelle parole del suo fondatore John Thibault, applicano altresì strumenti di microlobby: la piattaforma, infatti, indicizza le tematiche del dibattito parlamentare americano con gli stessi tag utilizzati dal sito del Congresso e le incrocia con l'elenco dei rappresentanti, permettendo ai propri utenti di svolgere ricerche per collegarsi in prima persona ai parlamentari (nonché ad altri cittadini) più sensibili alle proprie istanze e di creare dei gruppi di discussione su disegni di legge o macro-aree di interesse. All'interno di questi gruppi tutti i membri hanno la possibilità di proporre modifiche e di esprimere i propri dubbi approvando o meno le proposte della comunità, accrescendo ulteriormente la sensibilità sia del pubblico sia dei decisori precedentemente contattati.
Se la propria causa riuscisse a coagulare attorno a sé sempre più persone interessate la piattaforma offre la possibilità di assumere lobbisti professionisti ed esperti del settore, così da usufruire anche degli strumenti più tradizionali della rappresentanza suddividendo le spese necessarie tra tutti i sostenitori del tema che vogliano intervenire personalmente con un contributo economico.
Le preoccupazioni e le rimostranze dei cittadini in questo modo possono rientrare nell'agenda parlamentare con forza, creando un interessante momento di engagement diretto degli elettori nel processo legislativo e dei rappresentanti nei confronti delle loro constituencies, in un momento in cui da entrambi i lati dell'oceano si verifica un sempre maggiore scollamento dei cittadini dalla cosa pubblica, che sicuramente non giova alle istituzioni democratiche.
The Good Lobby: l’arma in più degli eurocittadini
The Good Lobby, invece, si propone di reclutare volontari e supporter e di effettuare il perfetto abbinamento tra le competenze messe a disposizione, le ONG che lavorano sul tema selezionato (tra i loro clienti spiccano Politico e la Wikimedia Foundation) e i professionisti della legislazione nell'ambito del framework normativo europeo.
Tramite questo procedimento la “quota di voce” di enti come le ONG e le associazioni dei consumatori si amplia notevolmente, potendo raggiungere ed influenzare un pubblico sempre maggiore, oltre al già citato risultato di riavvicinare cittadini e istituzioni che, specialmente nel caso di Bruxelles, vengono percepite come lontane, eccessivamente burocratizzate e indifferenti.
Riparte il Futuro, la lotta dei cittadini per la trasparenza
Infine Riparte il Futuro, che conta circa 1 milione di iscritti, si è prefissata un obiettivo ambizioso quanto arduo: l'eliminazione della corruzione dal nostro sistema politico e decisionale. L'impatto effettivo dei fenomeni corruttivi nel nostro sistema Paese è stato oggetto di diversi studi, tra cui quello di Transparency International, che pone l'Italia al 61esimo posto su 168 Stati oggetto di analisi in materia di corruzione percepita, penultimo in Europa: nonostante un quadro non incoraggiante Riparte il Futuro ha ottenuto risultati di prima importanza come la riforma dell'art. 416-ter c.p. riguardante il voto di scambio politico-mafioso e l'introduzione di una normativa che disciplini l'accesso ai dati in possesso della Pubblica Amministrazione.
La metodologia scelta differisce in parte dalle altre sopracitate: infatti si chiede ai cittadini di firmare petizioni e partecipare a video che illustrino le motivazioni e le aspirazioni delle proposte, anche con il tramite di opinion leader, esperti del settore, giornalisti e decisori pubblici. Diversi passi in più rispetto all’opera, lodevole ma parziale, di piattaforme come Change.org che si occupano di raccogliere firme “virtuali” per sottoporre richieste o petizioni al governo.
Tra i risultati principali di RIF, da rilevare la creazione di piattaforme attraverso le quali i candidati alle elezioni (nazionali e locali) forniscono agli elettori informazioni essenziali quali il loro cv dettagliato, una dichiarazione sui potenziali conflitti d'interesse, lo status giudiziario e la situazione patrimoniale e reddituale. E anche l'abolizione dei vitalizi per i parlamentari condannati in via definitiva per mafia e corruzione. Molto importante è anche il coinvolgimento della base di cittadini, attraverso una newsletter dettagliata e sottoscritta da centinaia di migliaia di persone, oltre che la condivisione, attraverso i social network, di contenuti, video, infografiche.
Indubbiamente si tratta di esperimenti di enorme importanza e valore, fondamentali per la ripresa di un dialogo sano tra governanti e governati, anche al di fuori di logiche partitiche e particolari, con il fine della mobilitazione pubblica per il miglioramento del paese, che è l'essenza stessa della politica.
La Camera ci prova. Anche se per adesso ci sono soltanto alle linee guida, che serviranno come base per elaborare un testo vero e proprio. L'ufficio di presidenza di Montecitorio sta infatti mettendo a punto il regolamento attuativo per l'iscrizione al registro delle lobby, così come stabilito ad aprile dalla Giunta del regolamento. La relatrice in Ufficio di presidenza è Marina Sereni (Pd), che ha recentemen¬te illustrato ai colleghi quelli che saranno i capisaldi del regolamento. Undici pagine in tutto, che La Notizia ha potuto visionare, divise in 7 capitoli. Si va dalla "definizione dei soggetti tenuti all'iscrizione nel registro" fino alle "sanzioni", passando per le "modalità di accesso alle sedi della Camera dei soggetti iscritti nel registro" e l'"eventuale individuazione di locali e attrezzature". Andiamo con ordine. "Dai lavori preparatori", spiega il documento, "emerge l'obiettivo di escludere dall'obbligo di iscrizione i soggetti portatori di interessi pubblici e istituzionali".
DENTRO E FUORI
Non dovrebbero quindi essere costretti a registrarsi rappresentanti delle amministrazioni di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, delle regioni, degli enti locali, delle autorità di regolazione e garanzie istituite dalla legge, delle Forze armate e delle Forze dell'ordine e delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, gli agenti diplomatici e i funzionari consolari. "Dovrebbero ritenersi escluse dall'obbligo di iscrizione", è scritto a pagina 4, "anche le confessioni religiose". Non dovrebbe invece essere prevista l'esclusione di organizzazioni sindacali, organizzazioni non lucrative di utilità sociale e associazioni di consumatori. Quindi il registro, secondo quanto illustrato dalla Sereni, potrebbe essere così articolato: organizzazioni sindacali e datoriali; organizzazioni non governative; imprese, gruppi di imprese, aziende; soggetti specializzati nella rappresentanza professionale di interessi di terzi; associazioni professionali; associazioni di categoria o di tutela di interessi diffusi; altro. La richiesta di iscrizione al registro dovrebbe invece essere diretta dall'Ufficio di presidenza, magari individuando "un organo avente compiti istruttori e di supervisione, anche in materia di sanzioni".
IL CONTROLLORE
Non è però da escludere una modalità di gestione informatizzata del registro stesso, "anche mediante la predisposi-zione di una specifica applicazione che consenta l'acquisizione on line delle richieste di iscrizione e delle successive variazioni". Per quanto riguarda il destino dei pass, la relatrice ha fatto sapere che il Comitato per la sicurezza ritiene preferibile che l'accesso dei lobbisti alla Camera avvenga sulla base di permessi temporanei giornalieri, rilasciati previa richiesta di un deputato. Sul fronte degli spazi accessibili a Montecitorio, l'ipotesi è invece quella di lasciare invariata la regola attuale che prevede il divieto di accesso ai corridoi e agli spazi antistanti le commissioni. Per la relatrice sarebbe bene individuare degli spazi riservati ai lobbisti con computer o monitor per seguire i lavori che potranno essere tempo¬ranei o permanenti.
CHI SBAGLIA PAGA
Capitolo sanzioni. La disciplina approvata dalla Giunta individua quelle della sospensione e della cancellazione dal registro, rimet-tendo all'Ufficio di presidenza il compito di irrogarle graduandole in relazione alla gravità. L'iter ipotizzato dalla Sereni dovrebbe prevedere anche l'eventuale audi¬zione dell'interessato o il deposito di memorie.
Giorgio Velardi - La Notizia (scarica l'articolo in .pdf)