Al Congresso l’approvazione della nuova legge sull’attività di lobbying, grazie ad una iniziativa parlamentare bipartisan, è avvenuta in tempi brevi. È una risposta agli scandali recenti legati al lobbyista Jack Abramoff, che con le sue regalie per ottenere favori dai deputati ha travolto l’ex capogruppo repubblicano alla Camera, Tom DeLay, e ha fatto tornare di moda il detto che la politica si influenza con le tre “B” – bambole, bottiglie e bustarelle. C’è poi l’eterna polemica sui finanziamenti privati alla politica, sempre di attualità negli anni di campagna elettorale per le presidenziali.
L’“Honest Leadership Act” introduce nuove regole per i lobbyisti. I report sulle loro attività di relazioni istituzionali andranno inviati trimestralmente anziché ogni sei mesi, e saranno disponibili online. Già oggi i report delle società di lobbying, consultabili presso gli uffici del Congresso, contengono i nomi delle società clienti, le parcelle fatturate e le istituzioni coinvolte nell’attività di influenza. I media americani hanno dunque la possibilità di puntare la luce sulle campagne di lobbying più intense, come quella portata avanti dal fondo di private equity Blackstone, che nel primo semestre 2007 ha investito quasi quattro milioni di dollari per fare pressione sul Congresso contro la proposta di innalzare dal 15 al 35 per cento la tassazione sui capital gain. Il tutto alla luce del sole.
Ma la vera novità della legge è che le nuove disposizioni sono destinate soprattutto ai parlamentari. Si introduce l’obbligo per deputati e senatori di dichiarare il totale cumulato dei contributi elettorali ricevuti da lobbyisti e aziende, anche se spalmati tra finanziamenti diretti al politico, a fondazioni sue amiche, alla sezione locale del suo partito e simili. Si prevede che gli emendamenti a leggi di spesa siano pubblicati su Internet due giorni prima della votazione. Si fa divieto ai parlamentari, ai candidati e persino ai loro assistenti di accettare regali di qualsiasi tipo – inclusi pranzi e cene, viaggi della durata di più di un giorno, voli su aerei privati. Soprattutto, si impongono restrizioni al meccanismo della “porta girevole”, tanto criticato dall’opinione pubblica americana, per il quale un ex esponente del governo o parlamentare si fa assumere da una società di lobbying per influenzare quelli che fino a poco prima erano i suoi colleghi. I senatori non potranno diventare lobbyisti per almeno due anni dal termine del mandato, i loro collaboratori per un anno. Una volta oltrepassata la porta girevole, gli ex parlamentari perderanno il diritto d’accesso ai corridoi riservati del Congresso, ai ristoranti e al parcheggio. Inoltre in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, gli ex deputati e senatori perderanno la pensione parlamentare.
Con questa legge si allarga il baratro che separa Washington e Bruxelles in termini di trasparenza dell’attività di lobbying. Da qualche mese il commissario estone Siim Kallas ha lanciato la proposta di istituire un registro pubblico dei lobbyisti presso le istituzioni europee. L’adesione al registro sarebbe volontaria. Chi si registra avrebbe il dovere di comunicare il soggetto – azienda, associazione – per cui fa lobbying e le eventuali parcelle fatturate al cliente per questa attività. La Commissione europea vorrebbe che al registro si iscrivessero anche studi legali, fondazioni culturali, think-tank e Ong, il che ha destato prevedibili polemiche. Ma persino le società di lobbying di Bruxelles, tramite l’associazione di categoria Epaca, hanno comunicato che non intendono aderire a registri pubblici. Kallas ha risposto che, in mancanza di adesione volontaria al registro, valuterà di regolamentare in modo stretto l’attività di public affairs a Bruxelles. Ma, considerata la prassi del quartiere europeo della città, ci sono dubbi che Kallas riuscirà a tenere a bada gli stessi funzionari della Commissione, abituati a fuggire dai grigi palazzi della burocrazia per intrattenersi in pranzi e ricevimenti assai più stimolanti.
In Italia il dibattito sulla regolamentazione dell’attività di lobbying non è mai seriamente iniziato, nonostante alcune proposte di legge presentate alla Camera. Non sembra essere una priorità, anche se il ministro Giulio Santagata ha annunciato un disegno di legge sul tema. Negli scorsi anni si è lavorato per dare trasparenza al processo legislativo, ma non c’è ancora nessuna forma di pubblicità sull’attività di influenza. Forse perché si stenta a credere che sia nata una generazione di lobbyisti professionalizzati, che consentono a imprenditori e manager di avere armi più efficaci della leggendaria risposta di Francesco Gaetano Caltagirone a Evangelisti, “a Fra’ che te serve?”.
Paolo Zanetto - Il Foglio



































