(voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di 'passaggio', 'corridoio'; in tedesco, Laube, portico).
Il significato attuale - 'gruppo di pressione', 'gruppo di interesse' - nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali - i lobbisti - fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.
Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico. Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo - pur diffusissimo - è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l'interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.
L'esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi - anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti - . Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare - e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto - è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di 'trionfo del particolare', che lede sia l'autonomia della politica sia l'uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.
Tramontata da molti decenni l'ipotesi corporativa - che consisteva nel dare rilievo pubblico e giuridico agli interessi sociali organizzati, all'interno di uno Stato autoritario - , la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l'anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell'aula.
Oggi, così, le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un 'si salvi chi può' permanente, è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno.
Fonte: La Repubblica
(voce inglese, dal latino medievale lobia, loggia, portico; dalla metà del XVI secolo ha il significato di 'passaggio', 'corridoio'; in tedesco, Laube, portico).
Il significato attuale - 'gruppo di pressione', 'gruppo di interesse' - nasce dal fatto che lobby è anche la grande anticamera nella Camera dei Comuni, a Londra, dove i rappresentanti degli interessi sociali - i lobbisti - fino dalla prima metà del XIX secolo prendevano contatto con i deputati, per rendere note a essi le esigenze e le richieste dei loro mandanti.
Oggi negli Usa il lobbismo, ossia il rappresentare interessi sociali davanti ai parlamentari, è del tutto ufficiale e pubblico. Al contrario, negli ambiti politici continentali, dove la rappresentanza politica si legittima attraverso il bene comune, o la volontà della nazione, il lobbismo - pur diffusissimo - è informale, non ufficiale e non trasparente. Se infatti è in linea di principio ammissibile che un parlamentare venga a contatto con pezzi della società civile, per conoscerne le esigenze, è anche evidente che non può essere il portavoce diretto di interessi particolari, perché il suo compito è precisamente legiferare avendo come obiettivo l'interesse generale. Il passaggio di denaro, poi, dal lobbista al politico, è sempre illecito, e in sospetto di corruzione.
L'esistenza di interessi particolari è strutturale nella società. Questi interessi possono farsi valere sulla scena politica attraverso i partiti, che nei loro programmi fanno riferimento abbastanza chiaro a ceti o a gruppi - anche quando, come avviene oggi, i partiti sono largamente post-ideologici e post-classisti - . Gli interessi, in questa ipotesi, si affacciano sulla scena pubblica attraverso il processo elettorale, i partiti, il parlamento; dove, peraltro, devono sforzarsi di assumere un valore generale, di acquisire una piena legittimità politica attraverso un processo di confronto aperto e pubblico. Quello che gli interessi particolari non possono fare - e dovrebbero in ogni caso non trovare ascolto - è chiedere e ottenere, dal ceto politico, specifiche esenzioni da obblighi, o specifiche conferme di privilegi, o specifiche omissioni di intervento legislativo. In tal modo si assiste a una sorta di 'trionfo del particolare', che lede sia l'autonomia della politica sia l'uguaglianza dei cittadini: se la politica è fatta dalle lobbies, infatti, è più che probabile che vincano sempre i più forti, i più ricchi, i più influenti. La lobby dei farmacisti (solo per fare un esempio fra i mille possibili) prevarrà sempre su quella dei pensionati.
Tramontata da molti decenni l'ipotesi corporativa - che consisteva nel dare rilievo pubblico e giuridico agli interessi sociali organizzati, all'interno di uno Stato autoritario - , la crisi del modello liberaldemocratico, che prevede una forte e decisa mediazione dei partiti e del parlamento, porta di fatto l'anticamera a prevalere sulla Camera, la politica di corridoio a sostituire quella dell'aula.
Oggi, così, le lobbies sono più forti e influenti che mai, e hanno abbastanza potere per impedire riforme sgradite agli interessi più forti, o più diffusi, bloccando di fatto la società (e le sue energie) in una miriade di privilegi grandi e piccoli, che non si limitano a danneggiare il cittadino in quanto consumatore ma impoveriscono anche la politica e la sfera pubblica in generale, trasformandola in una giungla in cui vige la legge del più forte e nessuno è vincolato a un orizzonte generale. Questa vittoria del privato sul pubblico, in ogni caso, è frutto di scarsa lungimiranza. Un Paese senza politica, composto da gruppi che si comportano come free rider e tendono a spostare il peso della politica sulle spalle altrui, in un 'si salvi chi può' permanente, è infatti intrinsecamente a rischio. E, se crolla, trascina alla rovina anche gli interessi particolari delle lobbies oggi trionfanti. E non si salva nessuno.Carlo Galli - La Repubblica
Lo sostiene Pier Luigi Petrillo, professore aggregato di diritto pubblico comparato presso Unitelma Sapienza – Università di Roma e docente di tecniche di lobbying alla Luiss Guido Carli, nel Focus “Lobbies. Le norme ci sono, basterebbe applicarle” (PDF).
Scrive Petrillo: “pur nell’assenza di uno specifico codice di condotta o codice deontologico per chi è chiamato ad assolvere il mandato parlamentare, è possibile rintracciare nell’ordinamento disposizioni che definiscono norme comportamentali minimali per deputati e senatori”, così come esistono forme di regolamentazione dell’attività stessa di lobbying.
Tuttavia, prosegue Petrillo, “Tale complesso di norme, introdotte e aggirate, definiscono un “modello” regolatorio di tipo strisciante ad andamento schizofrenico poiché è tipico di questa nevrosi il dichiarare di volersi comportare in un certo modo e poi fare l’esatto opposto... Stando così le cose, il rapporto tra gli organi costituzionali e le componenti del sistema politico che ne influenzano l’indirizzo (le lobbies, appunto) è avvolto da un velo impenetrabile di oscurità: il luogo della decisione, lungi dall’avere pareti di vetro, ricorda una brasserie ottocentesca, piena di fumo e cattivo odore, dove, pur entrandovi, si fatica a distinguere le persone, le voci, i movimenti”.
In conclusione, “se queste regole fossero applicate, resterebbe la sola necessità di far emergere i portatori di interessi oscuri, magari prevedendo un registro degli stessi e vincolando l’esercizio del lobbying all’iscrizione”.
Il Focus di Pier Luigi Petrillo, “Lobbies. Le norme ci sono, basterebbe applicarle”, è liberamente scaricabile qui: (PDF).Pier Luigi Petrillo - IBL
La premessa.
Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad una modificazione sostanziale della figura
del lobbista nel nostro Paese. Se ancora oggi i media trattano lʼargomento utilizzando
spesso stereotipi consolidati che distorcono la funzione e lʼattività di relazione con le Istituzioni,
al contrario le organizzazioni complesse (di qualsiasi natura: dalle aziende alle ONG
alle associazioni imprenditoriali) hanno sviluppato la consapevolezza che il lobbying rappresenta
una leva strategica necessaria per raggiungere i propri obiettivi.
Da qui la nascita di un vero e proprio mercato competitivo e la definizione di figure professionali
in grado di svolgere diverse funzioni. Una professione che è ancora in profonda
evoluzione. La secolarizzazione della società, la disintermediazione della partecipazione,
la moltiplicazione dei centri decisionali, la complessità delle decisioni pubbliche, il proliferare
dei gruppi di interesse che intendono influenzare il decisore: sono tra le tante dinamiche
evolutive che stanno modificando lo scenario di riferimento.
Scarica l'intervento completo in .pdfFabio Bistoncini - FB & Associati
Il termine «advocacy» ricorre con una certa frequenza anche in lingua italiana, in particolare nel lessico delle organizzazioni che operano per la tutela e la promozione dei diritti. Si ricorre a un termine inglese - che letteralmente può essere tradotto con vocaboli diversi, fra cui avvocatura, appoggio, patrocinio, arringa - in quanto manca un adeguato equivalente italiano per indicare l'insieme di azioni con cui un soggetto collettivo sostiene attivamente la causa di qualcun altro, in ambito giudiziario ma anche politico. Peraltro, nel nostro Paese e non solo, il termine è utilizzato secondo accezioni prossime ma non coincidenti e comunque riferite a pratiche distinte e nei campi più diversi (dal marketing allo studio delle politiche pubbliche, dal campo della salute a quello del volontariato, dalla formazione al ruolo della difesa e promozione dei diritti). Il denominatore comune sta probabilmente nel fatto che si tratta di azioni di soggetti collettivi, ad es. associazioni, a vantaggio di terzi che non necessariamente ne fanno parte.
Tutelare i diritti
In una prima accezione, il termine viene utilizzato in un ambito propriamente giuridico e processuale, per indicare l'attività di un'associazione delegata a rappresentare o a tutelare civilmente i diritti di persone che si ritengano vittime di un pregiudizio, o che lamentino di non essere ascoltate e sufficientemente rispettate dai loro interlocutori istituzionali, fino al punto di incontrare ostacoli alla loro piena cittadinanza. È il caso, per limitarci ad alcuni esempi fra molti, delle associazioni di donne che intervengono a fianco di quelle che subiscono abusi, o delle associazioni antirazzismo a difesa di chi ne è vittima.
La possibilità che un singolo si faccia sostenere in un giudizio concernente la tutela dei suoi diritti da un'associazione a cui abbia conferito delega è un istituto tipico del diritto anglosassone, recepito anche dall'ordinamento italiano a partire dalla L. 11 agosto 1991, n. 266, Legge quadro sul volontariato. Successivamente l'art. 36, c. 2, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, in caso di procedimenti penali per violenza sui minori con handicap, consente la costituzione di parte civile anche all'associazione cui è iscritta la vittima del reato o un suo familiare. Ma un'affermazione generalizzata del ruolo di advocacy attribuita alle associazioni arriva in maniera più piena con la L. 30 luglio 1998, n. 281, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti: si tratta certo di categorie specifiche di cittadini, ma di ampiezza tale - come numero e come rilevanza sociale - che la normativa in questione si configura come un riconoscimento generalizzato dell'attività di advocacy.
La L. 7 dicembre 2000, n. 383, Disciplina delle associazioni di promozione sociale, rafforza ulteriormente il ruolo di advocacy delle associazioni. L'art. 26 riconosce ai sodalizi che svolgono «attività di utilità sociale a favore degli associati e di terzi» il diritto di accesso ai documenti amministrativi rilevanti rispetto alle finalità statutarie. Secondo l'art. 27, c. 1, lett. a), inoltre, tali associazioni possono ricorrere alla magistratura o intervenire in giudizi promossi da terzi «a tutela dell'interesse dell'associazione», ossia in funzione dello scopo per cui sono costituite e senza la limitazione che un associato sia direttamente coinvolto. Il ricorso all'autorità giudiziaria è uno strumento fondamentale per la difesa dei diritti, ma acquista pieno valore e forza maggiore se è collocato in un percorso di corresponsabilità dell'intera società, che si preoccupa che tutti i suoi componenti siano integrati e tutelati nelle forme e modalità sostenibili e realizzabili. Si apre così la strada verso altre accezioni del termine advocacy.
Incidere nella realtà sociopolitica
In un senso più ampio, esso definisce l'insieme di azioni di difesa e promozione dei diritti collettivi (specialmente delle fasce più deboli della popolazione) esercitate da associazioni e organizzazioni non governative (ONG). In questa prospettiva, l'advocacy mira a influenzare le decisioni politiche nazionali e/o internazionali in materia di sviluppo, lotta alla povertà, promozione dei diritti umani e della giustizia economica e sociale, utilizzando una pluralità di strategie di azione: dare voce alle vittime, assicurare protezione ai gruppi vulnerabili attraverso una presenza sul campo, promuovere l'applicazione delle leggi e la tutela dei diritti che esse garantiscono, in particolare in situazioni di crisi o di manifeste violazioni. In questa ottica, gli spagnoli traducono a volte advocacy con incidencia o incidencia política, sottolineando la capacità di incidere sulla concreta attuazione delle politiche in contesti specifici, con azioni preventive (evitare le violazioni della legge e dei diritti) o reattive (assicurare il rispetto dei diritti di coloro che ne sono privati).
L'advocacy così intesa scaturisce dalla vicinanza e nella condivisione con le vittime delle ingiustizie e dalla presenza attiva nei confronti dei problemi sociali. Non si esaurisce in un'unica azione: è un processo dinamico che comprende l'ascolto e l'accompagnamento delle persone coinvolte, lo sviluppo di strategie, la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e mobilitazione dell'opinione pubblica, e il costante rapporto con le istituzioni, allo scopo di orientarne l'attività e di influire sui processi decisionali. Sono quindi essenziali sia il contatto diretto con le vittime e con coloro che generano ingiustizie, sia un lavoro di ricerca, condotto da esperti, sulle cause strutturali che le spiegano e sulle possibili soluzioni, in particolare sulle politiche pubbliche già in atto. Altrettanto importanti sono le risorse ideali, motivazionali, valoriali e spirituali delle organizzazioni impegnate nell'advocacy e dei loro operatori; in una società pluralista, esse possono riferirsi a tradizioni o ideologie diverse.
Nel tentativo di includere i gruppi che patiscono ingiustizia ed emarginazione e che proprio per questo sono normalmente esclusi dal dibattito pubblico e dai circuiti decisionali, l'advocacy contribuisce a costruire un senso di corresponsabilità per il bene comune e la qualità della vita politica in genere. La sua pratica è da considerarsi un elemento di cittadinanza responsabile e di partecipazione politica.
Advocacy e lobbying
In quanto attività volta al cambiamento politico, orientando le decisioni dei responsabili della cosa pubblica, non è facile distinguere l'advocacy dal lobbying, cioè dall'azione che determinati gruppi di interesse o pressione esercitano per influenzare, contrastare o sostenere provvedimenti legislativi e normativi o specifiche politiche pubbliche (cfr TINTORI C., «Lobby», in Aggiornamenti Sociali, 4 [2009] 303-306). Di fatto, in alcuni contesti i due termini sono usati quali sinonimi, come avviene negli Stati Uniti anche se limitatamente alle azioni di pressione esercitate a livello governativo.
Tuttavia ci sembra importante sottolineare che esistono importanti differenze pratiche e di fondo. Alcuni definiscono l'advocacy come promozione e difesa di principi e il lobbying come l'utilizzo di strumenti di pressione per promuovere e difendere interessi. Si valorizza in questo caso il fatto che l'azione di advocacy è assai spesso disinteressata, in quanto - come abbiamo visto - è condotta a favore di terzi esterni al soggetto che la porta avanti. In questo senso, se il lobbying come azione di pressione sui livelli decisionali del potere è uno degli elementi costitutivi di un'azione di advocacy, è riduttivo considerarlo solo come un suo sottoinsieme; esso ha una consistenza propria e vi ricorrono anche gruppi di interesse che non mostrano alcuna preoccupazione per la giustizia sociale.
Un ulteriore elemento rilevante in questo senso è rappresentato dal tipo di riconoscimento o legittimazione che le istituzioni conferiscono ai soggetti impegnati nell'advocacy, che spesso è una vera e propria partnership: è il caso delle ONG con statuto consultivo presso il Consiglio economico e sociale (ECOSOC) dell'ONU o presso le istituzioni europee. Queste ultime attribuiscono anche alle Chiese un ruolo istituzionale di partner nel dialogo (cfr art. 17, c. 3, della Versione consolidata del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea: «Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali Chiese e organizzazioni»), differenziandole in questo modo dai lobbisti.
Un altro elemento di distinzione discende dal fatto che l'attività di lobbying è rivolta direttamente ai detentori del potere (membri del Governo, parlamentari, funzionari e dirigenti pubblici) e si propone di influenzarne le decisioni. L'advocacy, invece, ha uno spettro di azione più ampio e comprende l'insieme delle attività che permettono la difesa e la promozione di valori e diritti, con una spiccata attenzione per la sensibilizzazione e la mobilitazione dell'opinione pubblica, cioè per il mutamento culturale e la crescita della coscienza civile e sociale. Ha dunque di mira la società nel suo insieme e punta a influenzare in questo modo i processi decisionali, e non solo attraverso l'interazione diretta con i detentori del potere, per quanto importante.
Un equilibrio sempre da ricercare
Dal punto di vista operativo, il lavoro di advocacy deve sostenere tensioni intrinseche, non superabili una volta per tutte, ma da affrontare continuamente: si tratta di sfide che richiedono impegno e costante lavoro.
La prima è quella tra la prospettiva «critica», di denuncia delle ingiustizie, e quella «costruttiva», che cerca di stabilire ponti tra le parti in causa proponendo soluzioni. Un lavoro di advocacy che affronti questioni di giustizia conduce con facilità a situazioni di conflitto con interessi che, in modo più o meno aperto, sembrano sostenere ingiustizie. Richiede quindi la capacità di affrontare reazioni negative o ostili e si configura come un impegno critico nei confronti dei centri di potere. Tuttavia non può rinunciare all'ottica della costruzione di possibili soluzioni; altrimenti la protesta, per quanto necessaria e motivata, rischia di rimanere sterile. L'advocacy quindi è orientata alla «conversazione» e alla persuasione, e non all'opposizione: cerca di includere, e non di respingere, coloro che vuole mettere in questione, per quanto realisticamente possibile. Almeno come obiettivo di fondo, si propone di costruire e non di rompere il tessuto sociale, evitando il ricorso alla logica «amico-nemico».
Una seconda tensione è quella fra advocacy «profetica» e «pragmatica». La prima assume una visione ideale dello stato delle cose, che il più delle volte non è immediatamente raggiungibile; tuttavia l'ideale deve essere affermato e servire da punto di riferimento per determinare la direzione in cui orientare l'azione. L'advocacy pragmatica, invece, vuole essere più realistica e mira a cambiamenti incrementali in specifiche politiche o pratiche; non deve però dimenticare i principi che la animano e la tensione a un cambiamento radicale. A torto o a ragione, la posizione profetica può essere criticata come ingenua e astratta; quella pragmatica condannata come limitata, rinunciataria e troppo pronta a scendere a compromessi. Un sano equilibrio tra le due è comunque indispensabile.
Un'ultima fonte di tensione proviene dal fatto che condurre in modo serio un'azione di advocacy richiede inevitabilmente il coinvolgimento di attori (personali, associativi e istituzionali) con una varietà di competenze e di provenienze: accademici e ricercatori (ad es. professori universitari), esperti e specialisti (ad es. membri di ONG), sindacalisti, politici e diplomatici, operatori sociali e attivisti, beneficiari (rifugiati, migranti, vittime di guerra, povertà, degrado ambientale, ecc.). Pur nella difficoltà delle relazioni tra portatori di prospettive tanto diverse, questa interazione creativa, purché orientata all'«eterogeneità ottimale», cioè funzionale a raggiungere il massimo degli obiettivi, è di cruciale importanza, anche per la costruzione di percorsi di interazione fra ambiti sociali che altrimenti difficilmente si intersecano.
Dare vita a una coalizione a sostegno di un concreto cambiamento sociale richiede la condivisione di obiettivi e strategie di azione, ma comporta anche il dialogo fra ispirazioni, valori di fondo e visioni del mondo che in una società pluralistica possono anche essere profondamente diversi. In questo senso impegnarsi in un'azione di advocacy vuol dire riconoscere che nella sfera pubblica, oltre agli interessi, anche le idee, le credenze, i valori e la cultura «contano» e possono fare la differenza.
Per saperne di più
ALECCI E. ET AL., Advocacy. Restituire un ruolo politico al volontariato, CSV Centro di Servizio per il Volontariato provinciale di Padova, Padova 2008, <www.csvpadova.org/images/stories/csv/pubblicazioni/allegati/colel24_advocacy.pdf>.
CARITAS ITALIANA, Lobby e advocacy a fianco dei dimenticati: esperienze della rete Caritas nella tutela dei diritti umani, EDB, Bologna 2008.
MARELLI S. ET AL., Lobbying e advocacy. Elementi metodologici, FOCSIV, Roma 2008.
SABATIER P. A. - JENKINS SMITH H. C. (edd.), Policy Change and Learning. An Advocacy Coalition Approach, Westview Press, Boulder (Colorado, USA) 1993.Giacomo Costa S.I. - Aggiornamenti Sociali
Atrio, ingresso, anticamera: sono questi i primi significati, rintracciabili in qualunque dizionario inglese-italiano, del termine «lobby». L'uso istituzionale della parola nasce attorno al 1650 in Inghilterra, per indicare la stanza d'ingresso della Camera dei Comuni; successivamente, a metà del diciannovesimo secolo, con lobby ci si riferisce alla zona del Parlamento inglese dove i deputati erano soliti incontrare il pubblico. Dall'altra parte dell'oceano, la fortuna del termine lobby è legata a qualche singolo cittadino (definito lobby agent) che, ritenendo i propri interessi non sufficientemente protetti dagli eletti, si recò a Washington e cominciò a «fare anticamera», inaugurando così quella che diventò una vera e propria professione, fatta di incontri e scambi di favori tra i parlamentari e i gruppi di interesse. Così lobby è divenuto sinonimo di gruppo d'interesse o di pressione, cioè un insieme di persone che mobilita risorse per influenzare - cioè supportare o contrastare - decisioni legislative e/o governative delle istituzioni.
Il lobbying è diffuso e ampiamente praticato in tutte le democrazie. In particolare, oltre alla Capitale degli Stati Uniti, vi è un altro luogo e sistema politico dove le lobby sono di casa: Bruxelles, sede della Commissione europea.
L'universo delle lobby è eterogeneo almeno quanto le materie disciplinate dalle leggi; più gli interventi governativi sono dettagliati e mirati a regolamentare singoli settori, più coinvolgono gruppi di pressione specifici. Così, ad esempio, troviamo le lobby del tabacco e del petrolio, dei diversi settori industriali (dal meccanico all'energetico), quelle «istituzionali» (Forze armate, Chiese e organismi religiosi, Enti locali, ecc.), le associazioni ambientaliste, i movimenti sociali, le ONG (Organizzazioni non governative).
Gruppi di pressione e partiti
Le lobby raccolgono spesso sospetti e reazioni negative in quanto generalmente associate ai poteri forti, primo fra tutti quello economico. Eppure sono ritenute anche espressione della libertà democratica di associazione e unione, ad esempio quando permettono ai soggetti più deboli di accrescere le loro possibilità di influenza mediante azioni di pressione mirate.
Collocate all'interno di un contesto istituzionale, le lobby possono recare al processo decisionale pubblico un apporto prezioso, divenendo fondamentale collegamento tra le istituzioni e la società civile.
Uno degli aspetti più rilevanti della collocazione dei gruppi di pressione all'interno di un determinato sistema istituzionale è il loro rapporto con i partiti. Infatti è da considerare se e quanto questi ultimi permangono ricettori (gatekeeper) degli interessi dei loro elettori.
Concretamente le lobby possono interagire con i partiti a livello elettorale (nella definizione delle candidature, durante le campagne), all'interno degli stessi (assumendo ruoli strategici), con dichiarazioni programmatiche (suggerendo posizioni ad hoc), e a livello decisionale (con interventi diretti sui parlamentari). Le modalità di questi rapporti possono essere di vario tipo: di simbiosi, quando un partito e una lobby si rafforzano a vicenda nelle rispettive sfere di attività (com'è avvenuto nel dopoguerra tra i partiti socialisti e i sindacati); di parentela, per cui il partito si mostra ricettivo solo alle pressioni e ai suggerimenti delle lobby della sua stessa matrice ideologico-politica; oppure neutrali, quando i partiti conservano il loro ruolo di gestione delle domande provenienti dai cittadini, della selezione di quelle meritevoli e dei risultati decisionali. La neutralità comporta un'autonomia completa delle lobby e lo stabilirsi di rapporti limitati nel tempo e definiti nella specifica tematica, anche contemporaneamente con diversi partiti.
Può pure succedere che le lobby non abbiano bisogno di interagire con i partiti, come avviene il più delle volte a livello europeo, potendo contare su un accesso diretto alle sedi decisionali governative e parlamentari, centrali o locali, con proprio personale di fiducia.
Le probabilità di successo di una lobby sono fortemente influenzate dalle risorse a sua disposizione, in particolare la dimensione, la disponibilità economica, la qualità e l'ampiezza delle conoscenze, così come il livello di rappresentatività.
L'attività di lobbying
La letteratura politologica individua tre condizioni indispensabili affinché i gruppi di pressione esercitino in modo legittimato la loro attività di lobbying: la diffusione e il radicamento delle associazioni nel tessuto sociale; istituzioni di governo aperte alle domande della società e capaci di rispondervi in modo responsabile; un sistema di gruppi di pressione che sia il più pluralista possibile.
Per quanto riguarda le tecniche di pressione, i gruppi ne utilizzano diverse. Il rapporto faccia a faccia (lobbying diretto), nel quale si mette in campo l'«arma» della persuasione per raggiungere gli obiettivi desiderati, è tra i più diffusi. Poi abbiamo il lobbying indiretto, che, attraverso il coinvolgimento dei cittadini, aiuta gli stessi a praticare attivamente la propria cittadinanza (mobilitazione dell'opinione pubblica); le coalizioni di interessi, formate anche da centinaia di organizzazioni, che consentono di dare più forza ai gruppi di una stessa famiglia di interessi; i finanziamenti elettorali, che contribuiscono a sostenere una determinata area politica. Oltre a questi figurano anche le audizioni parlamentari, cioè l'ascolto da parte delle assemblee legislative, per lo più in commissione, dei portatori di interessi specifici. Si tratta di prassi istituzionalizzate in gran parte dei Paesi democratici. L'attività di lobbying è un processo che il più delle volte non si esaurisce nell'utilizzo di una sola di queste tecniche, ma le unisce fra loro in maniera strategica.
Lo stile del lobbista deve essere necessariamente concreto - quanto basta per informare, documentare e orientare in modo preciso e sintetico il titolare della decisione politica - e trasversale, cioè capace di rapportarsi con appartenenti di ogni schieramento politico.
Forme di regolamentazione
Il lobbismo è una condizione fisiologica o patologica della democrazia?
Il problema della regolamentazione dell'attività di lobbying riguarda sia il versante sociale - dalla cultura del lobbying al riconoscimento della professione vera e propria - sia quello giuridico. Attualmente solo Austria, Canada, Germania, Israele, Stati Uniti e Svizzera dispongono di strumenti legislativi ad hoc.
Negli USA il lobbismo è tutelato come diritto costituzionale dal primo emendamento della Costituzione, dove si legge: «Il Congresso non farà alcuna legge [...] che limiti il diritto delle persone a riunirsi pacificamente e a rivolgere petizioni al Governo per riparare i torti subiti». Come Paese che per primo regolamentò giuridicamente l'attività di lobbying (Federal Regulation of Lobbying Act del 1946), gli USA hanno più volte modificato la legge in materia, sempre in direzione di una maggiore trasparenza (obbligo di registrazione per le lobby attive al Congresso) e di meccanismi sanzionatori severi e puntuali. Anche l'ultima legge, firmata dall'allora presidente G. W. Bush nel settembre 2007, va in questa direzione: tra le altre disposizioni, prevede maggiori verifiche sull'attività delle lobby, con rapporti pubblici dettagliati (anche sugli stipendi dei lobbisti) sei volte all'anno, e sanzioni severe, fino alla reclusione, per i trasgressori delle norme «etiche».
A Bruxelles sono stati contati più di 15mila lobbisti (dato al settembre 2008 estratto dal «Rapporto Stubb» del Comitato Affari costituzionali del Parlamento europeo), una quantità enorme, ma proporzionale alla complessità e alle vastissime competenze che l'Unione Europea ha maturato in questi anni; l'entità di tale cifra è anche conseguente alla scarsa capacità aggregativa dei partiti europei. Dal 1996 esiste una sorta di «albo» dei lobbisti accreditati presso il Parlamento europeo, un registro volontario nel quale risultano iscritti 5mila attivisti, senza indicazioni del settore in cui operano e il budget a loro disposizione. 2.500 gruppi di pressione dispongono di uffici permanenti a Bruxelles, esercitando prevalentemente la propria influenza sull'attività della Commissione (su commissari e funzionari) e del Consiglio (rappresentanze permanenti).
L'universo europeo delle lobby è così costituito: il 65% appartiene agli interessi economici, il 25% alla società civile e il 10% a enti locali e organizzazioni internazionali. Per esempio, tra i rappresentanti degli interessi economici troviamo uffici degli affari europei di singole società, associazioni di categoria di tutti i settori, studi legali; tra gli interessi sociali vi sono le ONG e coloro che difendono i consumatori; tra i lobbisti degli enti pubblici sono presenti i rappresentanti regionali, provinciali e network di città ed enti locali con interessi trasversali. Poiché non esiste un'apposita legislazione comunitaria che disciplina l'attività di lobbying europea, quest'ultima si regge esclusivamente su codici di condotta volontari.
Circa 1.400 lobbisti ruotano attorno all'attività legislativa e governativa italiana: attraverso emendamenti, ordini del giorno, sostituzioni anche di singole parole nei testi delle leggi, portano avanti interessi di chiunque abbia la forza economica di farsi sentire. In Italia, la fine anticipata della scorsa legislatura ha impedito il proseguimento di un disegno di legge (approvato dal Governo Prodi nell'ottobre 2007) volto a regolamentare l'attività di rappresentanza di interessi particolari. Il fatto che siano oltre trenta i progetti di legge che dal 1948 a oggi sono stati depositati in Parlamento, e che nessuno di questi sia mai approdato alla discussione delle aule di Camera e Senato, è indicativo della scarsa sensibilità di gran parte dei nostri politici rispetto al tema della trasparenza nell'attività di lobbying. In confronto con le esperienze americane ed europee, quella italiana presenta due tratti distintivi. Il primo è la lenta e incompiuta affermazione del lobbismo come professione autonoma; il secondo, certamente più preoccupante, è il legame presunto o reale tra lobbying e corruzione. In quest'ultimo caso i gruppi di pressione non perseguono esplicitamente finalità criminose, ma condizionano i membri delle istituzioni o organizzazioni pubbliche mediante transazioni illegali, la cui merce di scambio è di solito il denaro. In realtà, l'attività di lobbying, così come viene praticata a Washington e a Bruxelles, è sostanzialmente opposta e contraria a ogni forma di clientelismo: essa si configura come complementare all'attività dei partiti e dei rappresentanti eletti dai cittadini.
Per tornare alla domanda di apertura di questo paragrafo, il quarto presidente statunitense, James Madison (1751-1836), sosteneva che i gruppi di pressione fossero un male necessario, che è meglio controllare piuttosto che eliminare. Ancora oggi, nessun Paese democratico può realisticamente pensare di fare a meno delle lobby. Tuttavia è da scongiurare l'ipotesi - sempre più reale nel contesto europeo - che i singoli deputati, commissari o ministri diventino semplici intermediari dediti a trasferire gli interessi di settori particolari nella macchina del processo decisionale. Altrimenti, il termine «lobby» continuerà a evocare qualcosa di negativo nell'immaginario collettivo, proprio perché associato a interessi particolari che rischiano di sovrastare il bene comune, più o meno al limite della legalità.
Ricondurre la decisione a discorso pubblico, favorendo la reale partecipazione dei cittadini, anche per ricucire il rapporto coi governanti, potrebbe rappresentare un primo passo verso una maggiore integrazione dell'operato delle lobby nel contesto democratico. La maturità di una democrazia si misura anche dalla sua capacità di pretendere trasparenza nell'attività dei gruppi di pressione, pena la coincidenza inevitabile del lobbismo con fenomeni più o meno gravi di corruzione.
Per saperne di più
FIORENTINO L., K il lobbista. Introduzione al principio di democrazia partecipativa, ESI (Edizioni Scientifiche Italiane), Napoli 2007.
GRAZIANO G., Le lobbies, Laterza, Roma-Bari 2002.
PASQUINO G., «Gruppi di pressione», in BOBBIO N. - MATTEUCCI N. - PASQUINO G., Dizionario di politica, TEA, Milano 1990, 467-476.
www.corporateeurope.org
www.lobbyingitalia.comChiara Tintori - Aggiornamenti Sociali
Da una tesi di Anita Alfonsi intitolata “Lobbying per la vita - L’attività di pressione di due associazioni nel campo delle scelte di fine vita” il confronto tra due modi di opposti di operare e due visioni opposte della libertà. Associazione Luca Coscioni e Scienza&Vita diverse non solo in quel che pensano ma anche nel modo in cui si organizzano e trovano fondi.
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La “Coscioni” corre, Scienza&Vita rincorre (con qualche spinta?)
di Anita Alfonsi
Da una tesi di Anita Alfonsi intitolata “Lobbying per la vita - L’attività di pressione di due associazioni nel campo delle scelte di fine vita” il confronto tra due modi di opposti di operare e due visioni opposte della libertà. Associazione Luca Coscioni e Scienza&Vita diverse non solo in quel che pensano ma anche nel modo in cui si organizzano e trovano fondi.
PREMESSA
Cos'è il lobbying in pratica? Quali sono le tecniche,quali sono i passaggi da compiere e quali le strade per arrivare a influire sul decisore pubblico? Volevo vederci chiaro e devo dire che non è stato facile portare in superficie meccanismi che attengono al funzionamento interno e ai "segreti" professionali di chi li utilizza.Nel corso della trattazione emerge che i contatti personali e i colloqui informali sono un canale prezioso. Riuscire a sapere come si muove una associazione sotto questo punto di vista è come rubare il brevetto a un inventore. Significherebbe essere assorbiti nell'organizzazione e nella gestione del lavoro di chi fa lobbying o indagare quasi come uno 007 tutti i documenti resi pubblici. Compito ancora più difficile se si sceglie un tema etico e si individuano due associazioni che non si muovono propriamente come lobby: temi l'eutanasia e il testamento biologico. Non intendo formulare giudizi di merito in un lavoro che si prefigge di analizzare la questione da un punto di vista esclusivamente tecnico,ma devo anche dire che a volte mi è stato difficile evitare che trapelasse la mia soggettività.
INTRODUZIONE
Il presente lavoro è centrato sul lobbying dell'associazione "Scienza e Vita" e dell'"associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca" in merito alle tematiche legate alle scelte di fine vita, sull'attività di pressione e sui canali utilizzati per ottenere gli obiettivi. Associazioni come Scienza e Vita e l'associazione Luca Coscioni, con le loro battaglie influenzano la società, contribuiscono al mutamento di essa e sono uno strumento attraverso il quale portare le richieste della società nelle sedi decisionali. Si introduce, così l'interesse. Si è scelto di analizzare l'attività di due soggetti che sullo stesso tema hanno obiettivi opposti: l'associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca e l'associazione Scienza e Vita, che saranno presentate in modo da far emergere le loro particolarità di organizzazione, di struttura e funzionamento interno e di finanziamento, elementi che vanno ad incidere sul loro modo di agire.
1. PRESENTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI
1.1.Associazione Scienza&Vita
L'associazione è nata nel dicembre del 2005, dai soggetti provenienti dal mondo della scienza, della cultura, delle professioni, dell'associazionismo e della politica che hanno dato vita nel periodo febbraio-giugno 2005 al Comitato per la Vita, avente come obiettivo la difesa della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Nel manifesto si legge: solo la tutela e la promozione della vita garantiscono il pieno rispetto dei diritti di ogni essere umano. Solo una scienza al servizio di ogni essere umano è al sicuro da qualsiasi tentazione di onnipotenza. Solo l'alleanza tra scienza e vita offre il fondamento stabile e oggettivo per una società capace di porre al proprio centro [...] la dignità intrinseca di ogni essere umano in tutte le fasi della sua esistenza, e in particolare quando è più vulnerabile: all'inizio e alla fine del ciclo vitale, come anche nella malattia, nella debolezza e nella disabilità. L'associazione promuove «l'autentica ricerca per la vita e la incoraggia, impegnandosi a dedicare ogni sua energia a una formazione sempre più diffusa sui temi della bioetica». L'obiettivo generale dell'associazione è, quindi difendere e promuovere il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale e di affrontare i temi della ricerca scientifica, raccogliendo e diffondendo i dati della ricerca che tocca gli ambiti medico- biologici, filosofici, giuridici, relativi alla bioetica, in modo da dar risposte ai problemi posti dalla contemporaneità con le sue nuove frontiere in campo scientifico e alla "concezione utilitaristica dell'uomo e della società. Gli strumenti con cui sono perseguiti gli scopi dell'associazione sono la promozione su tutto il territorio di convegni, incontri, dibattiti, iniziative culturali, formative, sociali e politiche, l'impiego di tutti i mezzi di informazione per assicurare la presenza dei temi centrali dell'associazione e la collaborazione con altre organizzazioni e con le realtà locali, provinciali e regionali, per realizzare a livello periferico campagne culturali, informative, educative, scientifiche e politiche. Dalla lettura di queste righe di presentazione preliminare emergono tre elementi interessanti per questo lavoro e per l'attività di lobbying: la politica, la comunicazione mediatica e il cittadino, i tre interlocutori, da cui una efficace azione di lobbying non può prescindere. L'azione di lobbying va verso due direttrici: una conduce al decisore pubblico, o seguendo una strada diretta, servendosi dei canali istituzionali e dei veicoli messi a disposizione dall'ordinamento italiano, oppure passando per il tramite dei mezzi di comunicazione di massa che fanno da cassa di risonanza nei confronti delle istituzioni. L'altra direttrice raggiunge l'opinione pubblica, seguendo anche in questo caso il tracciato diretto di una comunicazione in cui si richiama il cittadino all'azione, oppure salendo sul "carro dei media", che danno il risalto necessario alle iniziative e ai temi dettati dalle associazioni per essere accolti come istanze sulle quali è necessario soffermarsi e per innescare quel circuito vitale della democrazia, in cui l'opinione pubblica controlla e incide sulle scelte della politica. Il manifesto dell'associazione riporta esplicitamente gli strumenti di cui si servirà e che, non a caso, saranno ripresi nella parte finale dell'elaborato dedicato alla comunicazione e alla sua funzione nell'ambito del lobbying, a conferma che la tela di una efficace azione di pressione sul decisore pubblico non può prescindere dalle tecniche comunicative. Il lobbying non può neanche prescindere dalla conoscenza della forma di organizzazione dell'associazione. Un passaggio non trascurabile per il lobbista è avere un quadro delle forma di finanziamento e di gestione dei fondi della associazione. Non esiste nessuna attività di lobbying senza le risorse finanziare adeguate a mettere in piedi una macchina organizzativa e comunicativa. Maggiori sono le entrate, maggiori sono le possibilità di essere efficienti e di investire sugli strumenti che con più facilità consentono di raggiungere l'obiettivo prefissato: si va dalla possibilità di avere un abbonamento on line per disporre con un solo clic della rassegna stampa quotidiana sui temi di maggiore interesse, fino alla possibilità di organizzare convegni in grande stile o di essere finanziatori di progetti, per avere un ritorno in termini di reticoli sociali e di immagine. Scienza e Vita si definisce associazione senza scopo di lucro, per cui gli avanzi di gestione sono interamente reinvestiti nelle attività della associazione e negli articoli 17 e 18 dello statuto si legge: "il patrimonio dell'Associazione è costituito dagli eventuali versamenti effettuati dai suoi componenti o da terzi a tale titolo, [...] l'Associazione non ha scopo di lucro; essa trae i mezzi necessari per le sue attività attraverso: a) eventuali quote dei Soci, fissate annualmente dal Consiglio Esecutivo; b) da oblazioni; c) i contributi liberali da parte di enti pubblici e/o privati; d) ogni altro provento comunque conseguito o contributo comunque assegnato. L'Associazione promuove la raccolta delle risorse finanziarie al fine della predisposizione dei singoli interventi". Le indicazioni fornite sono piuttosto vaghe, soprattutto in questi ultimi punti che non consentono di capire la natura dei proventi e contributi. Fermarsi alla lettura di queste poche righe è sicuramente utile per il lobbista, nella misura in cui lo induce ad approfondire la questioni e a porsi interrogativi: quali sono e di quale tipologia sono gli enti pubblici e privati che elargiscono contributi liberali? Chi ha facoltà di assegnare contributi? L'otto per mille alla Chiesa cattolica è destinato anche alle casse di Scienza e Vita? C'è un rapporto privilegiato con alcuni enti o fondazioni? Le risposte a queste domande possono venire solo dalla diretta voce di chi è impegnato direttamente nella attività della associazione, dal Tesoriere o dall'ufficio amministrativo che gestisce la contabilità, dal momento che i bilanci non sono accessibili al pubblico. Purtroppo, però, non si è riuscita ad ottenere nessuna risposta che derogasse dalla giustificazione delle entrate della associazione mediante contributo libero. Nel colloquio avuto con Beatrice Rosati, responsabile del coordinamento generale e della comunicazione, è stata enfatizzata la capacità di ottenere grandi risultati con poche risorse o con risorse a basso costo, come la posta elettronica. Si è sottolineata l'azione volontaria di chi è impegnato nella causa dell'associazione, ad esempio, nei convegni e seminari, i relatori prestano la loro disponibilità senza nessun rimborso, la maggior parte dei convegni e delle iniziative si svolge in sede per eliminare i costi delle location e le associazioni presenti sul territorio provvedono autonomamente alla stampa e ai costi di riproduzione del materiale informativo. Si afferma che è in procinto di realizzazione un progetto per il fund raising, ma non si entra troppo nel dettaglio, così come non si menzionano in alcun modo strutture universitarie, enti privati o fondazioni che erogano finanziamenti per l'attività di "elaborazione scientifica" dell'associazione. Alla insinuazione sull'eventualità di fondi provenienti dall'otto per mille la risposta è negativa e la domanda bollata come un luogo comune veicolato dai media. Nel confronto tra le associazioni, il principio di trasparenza è un codice di condotta che contraddistingue maggiormente l'associazione Luca Coscioni, ma di questo aspetto si parlerà nella parte dedicata al soggetto in questione. L'ultimo aspetto è relativo al network di associazioni satellite che supportano e determinano le azioni di Scienza e Vita. Ci si accorge che si è nella galassia cattolica sia nel campo dell'associazionismo che della educazione e istruzione, che in campo medico. Per completezza di informazione se ne possono citare alcune e constatare che molti soci fondatori hanno funzioni di dirigenza in esse: università Vita Salute, san Raffaele di Milano, Azione Cattolica, Confederazione Italiana Centri Regolazione Naturale Fertilità (CICRNF), Associazione Loris Brunetta per la ricerca sulle cellule staminali somatiche, Movimento per la Vita, Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris), Associazione Giuristi Cattolici Italiani, Associazione Medici Cattolici Italiani, Unitalsi, Comunione e Liberazione, Comunità di Sant'Egidio. Testimonianza che il lobbying passa anche attraverso la sapiente tessitura di una tela di relazioni che, se ben costruite, danno il loro frutto, pervadendo la società come avviene in questo caso, perché, come sostengono a Scienza e Vita "ci siamo accorti che c'è un popolo, c'è molta gente che intuisce la necessità di un altro pensiero ed è poi la gente che scende in piazza".
1.2. Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
Nella descrizione dell'associazione si seguirà la stessa struttura tracciata nella precedente presentazione, dando informazioni generali su di essa, sulla sua storia e sui suoi obiettivi, affrontando la struttura organizzativa, le risorse finanziarie e presentando, infine i soggetti che la compongono. L'informazione preliminare che non si può ignorare e quasi tautologica è che l'associazione Luca Coscioni è soggetto costituente del Partito Radicale Transnazionale e che tutta la sua attività e le impostazioni di metodo, nonché lo sfondo di ideali appartiene alla "galassia Radicale". Marco Cappato, Segretario dell'associazione, nell'intervista concessa per questo lavoro, spiega che "l'associazione Coscioni rimane collegata alla galassia radicale perchè noi riteniamo di non poterci limitare a una battaglia associativa come quelle di tante altre associazioni,o a fare l'associazioncina per l'eutanasia - c'è Exit, che è una grande cosa; ma se tu fossi in una condizione di libertà mediatica, politica, di confronto, tu puoi sperare che, seppur piccolino ma con l'accordo di tanti sul tuo tema, diventerai grande e farai le tue lotte e magari vinceraiinvece qui il ragionamento è diverso. Il bisogno è quello di superare il malfunzionamento del sistema democratico, hai bisogno di aggredire il fatto che non c'è democrazia, che se il Vaticano parla non c'è contraddittorio, se c'è il 60-70 % di persone che è d'accordo su un tema non c'è dibattito da Vespa. Queste cose sono parte integrante della nostra battaglia. Quello che interessa a me non è la maggioranza dei consensi per il Partito Radicale,io voglio semplicemente imporre il tema nell'agenda di regime, ai vertici della politica, andare al confronto lì e vincerlo ma non perché io diventi il partito del 51%". Si ha di fronte un soggetto difficile da inquadrare. È più semplice definirlo con quelle che i linguisti e grammatici chiamano proposizioni negative, piuttosto che fare affermazioni su cosa è. Questo lavoro di tesi vuole porsi interrogativi in merito, escludendo ogni certezza e ammettendo la possibilità che vi siano soggetti che difficilmente rientrano in una categorizzazione. Il lavoro di indagine che si è realizzato permetterà di sviscerare meglio la questione e di giungere a conclusioni giustificate. L'associazione ha lo scopo di promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, di promuovere l'assistenza personale autogestita ed affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili. Così come attestavano le dichiarazioni di intenti di Scienza e Vita, anche per l'Associazione Coscioni, il ruolo della comunicazione e l'utilizzo degli strumenti disponibili in tal senso rivestono importanza primaria. Il capitolo dello statuto dedicato alle risorse palesa quali sono le modalità con cui l'associazione può avere finanziamenti. In particolare si legge: "Le risorse dell'Associazione sono costituite da: - le quote dei soci; - le sovvenzioni provenienti da enti pubblici o privati o persone fisiche; - i redditi relativi ai beni di proprietà dell'Associazione; - le eventuali donazioni o lasciti; - le eventuali collette associative; - qualunque risorsa o finanziamento non vietato dalla legge. I proventi derivanti dalle attività dell'Associazione non possono in nessun caso essere divisi fra gli associati, neanche in forme indirette. Gli eventuali avanzi di gestione vengono reinvestiti in favore delle attività istituzionali previste dal presente Statuto". I soci sono un valore per questa associazione sia in termini di capitale umano che di risorse economiche. Chiunque può diventare socio, anche se appartenente a nazionalità diversa da quella italiana, purché rispetti il requisito dell'iscrizione nel registro dei soci, previo versamento della quota associativa, che è di 100 euro per i soci ordinari, del doppio per i soci sostenitori, e del quadruplo della quota ordinaria per i finanziatori. Ciascun socio ha inoltre diritto a un voto nell'assemblea generale dei soci. Le quote provenienti dai soci rappresentano una fonte di entrata cospicua per l'associazione, ma non si può trascurare anche il finanziamento che proviene da enti, fondazioni e istituzioni. Per avere un quadro concreto e recente della gestione delle spese e dei finanziamenti dell'associazione Luca Coscioni, *nelle pagini seguenti* è riportato il bilancio di missione. La considerazione preliminare da fare è il carattere pubblico del bilancio, consultabile on line sul sito dell'associazione, un marchio che attesta la trasparenza anche in un ambito in cui, in un Paese democratico come l'Italia, paradossalmente, si resta stupiti della trasparenza nell'ambito della gestione e nell'ordinaria amministrazione di un ente o associazione.
Si può, inoltre sottolineare quante risorse siano investite in convegni, congressi, in pubblicazioni e in campagne di informazione, che costituiscono l'ossatura della associazione. Ciò permette di intuire la portata delle azioni della associazione, volte a diffondere conoscenza e informazione. È invece intenzione di chi scrive analizzare approfonditamente i canali di "nutrimento economico" di una associazione per cui è vitale disporre di una linfa che la renda indipendente da condizionamenti che inevitabilmente andrebbero ad incidere sui suoi contenuti. Il campo sarebbe in balia del miglior offerente e a quel punto l'associazione non sarebbe più portatrice di un interesse generale, ma prostrata di fronte al feudatario di turno, che non avrebbe alcuno scrupolo ad utilizzarla come tramite per i propri interessi particolari, depredando le precedenti conquiste ottenute sul campo di battaglia dei diritti civili, piegando risultati storici a mera strumentalizzazione e annientando così l'identità dell'associazione. Per fortuna, sotto questo punto di vista gli anticorpi maturati nel corso della sua storia sono robusti e resi tali dalla trasparenza che le è propria. Non è stato difficile, infatti, attingere alle tipologie di entrate finanziarie, come si è potuto constatare con la tabella sopra riportata, ma come si può constatare anche dalla pubblicità a proposito della donazione del 5 per mille. Qualsiasi cittadino che abbia presentato dichiarazione dei redditi, ha, infatti, potuto scegliere di devolvere il 5 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) a sostegno di una delle tre categorie indicate dalla legge, tra cui ci sono le associazioni di promozione sociale. L'associazione Luca Coscioni è una delle 137 associazioni, iscritte in un apposito registro, tenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali, a cui viene riconosciuta tale denominazione. È, secondo la definizione, un'organizzazione in cui gli individui si associano per perseguire un fine di natura non commerciale. Sono esclusi da questa dicitura tutti gli organismi che hanno come obiettivo la tutela esclusiva degli interessi economici dei membri, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria. Sono differenti anche dalle organizzazioni di volontariato, che, a differenza degli enti di promozione sociale, non hanno la possibilità di remunerare i propri soci. In base alla legge le associazioni di promozione sociale possono avere particolari benefici fiscali e non, e la possibilità di ricevere donazioni e lasciti. Di certo la constatazione che l'associazione Coscioni fa parte di questa categoria, rende la definizione di essa ancora più complicata, non comparandola ad esempio ai partiti politici. I due soggetti sono essenzialmente diversi fra loro: da un lato si hanno soci fondatori e non esiste altra possibilità di diventare socio di Scienza e Vita per un semplice cittadino, ma solo la possibilità di versare un contributi e di diventare sostenitori, dall'altro lato c'è una realtà che vive grazie ai suoi soci. Da un lato per la "Luca Coscioni" c'è un segretario, figura spiccatamente connotata politicamente e che raccorda gli indirizzi forniti dagli altri organi che hanno potere decisionale, dall'altro lato il segretario sembra avere una funzione meno marcata. Da un lato c'è un soggetto che si dichiara esplicitamente politico e dall'altro lato, di Scienza e Vita, un'associazione che, come la dott. ssa Rosati afferma, "è luogo di elaborazione scientifica" da cui poi discende informazione e sensibilizzazione al cittadino. I parallelismi tra le associazioni, però, ci sono e si osservano sulle modalità di relazione con le istituzioni, in particolare con il Parlamento e con il Comitato Nazionale di Bioetica e nel legame con il mondo della medicina, della giurisprudenza, della ricerca scientifica e della bioetica, individuate come le aree privilegiate di sostegno e di diffusione della conoscenza. Tutti i soggetti interlocutori delle associazioni rappresentano un passaggio importante verso il raggiungimento dei loro obiettivi e a tale scopo esse tendono a fare in modo che il rapporto sia con le istituzioni che con i pubblici influenti non sia un rapporto puramente di interlocuzione. Si mira, infatti a coinvolgerli in prima persona, affinché si possa creare il consenso attorno ai temi e una adesione valoriale precedente al braccio di ferro dentro le sedi del potere.
CONCLUSIONI
La presidente dell'associazione, nell'intervista rilasciata precisa che «l'Associazione Scienza & vita non ha fini politici se per "politica" si intende scegliere e appoggiare uno schieramento o un partito; di contro l'Associazione "Scienza & vita"ha fini politici se per "politica"si intende partecipare in modo attivo e propositivo al dibattito pubblico su temi che riguardano il bene comune e il bene di ogni essere umano». L'associazione Luca Coscioni ha come obiettivo - come si è visto durante lo svolgimento del lavoro - modificare la situazione nelle sedi decisionali, quindi anche in questo caso è presente una finalità politica, la quale non può prescindere dal legame con la società, come fa notare Cappato: "Mi permetto di dire che l'associazione Coscioni, è un ibrido tra la politica e l'azione sociale. È un modello positivo e uno dei modi per cercare di recuperare il contatto tra la politica delle istituzioni e la realtà sociale, non considerando le due questioni come compartimenti stagni". Se si vuole definire univocamente le due associazioni, di certo si può dire che esse sono un gruppo di interesse, in primis, e un gruppo di pressione in secondo luogo, per il carattere di accesso diretto al processo decisionale. Entrambe sono un gruppo di interesse pubblico secondo la definizione data da Olson: i vantaggi della loro azione non vanno direttamente ai loro membri, i quali non si aspettano vantaggi materiali. Ma per quanto riguarda l'associazione Luca Coscioni non si è semplicemente di fronte ad un gruppo di pressione, ma ad una associazione che inserisce le sue issues all'interno di un paradigma politico di riferimento che è quello Radicale e che promuove battaglie politiche, proponendo anche schieramenti trasversali in Parlamento sui temi della libertà di ricerca scientifica e i diritti della persona. L'associazione Luca Coscioni si pone al crocevia tra rappresentanza e pressione a formare un ibrido che scardina ogni interpretazione univoca dei concetti di pressione e lobby, di rappresentanza, di interesse, così come anche Scienza&Vita sfugge a molte categorizzazioni che la letteratura in materia ha tracciato, testimoniando quanto il campo di indagine in merito sia ancora da approfondire e da definire meglio, anche in vista di una futura legislazione in materia. Spostando l'attenzione dai soggetti all'azione, si possono tirare le somme sulle modalità e le strategie adottate dall'una e dall'altra parte, evidenziando un dato lampante: la specularità di molte tecniche utilizzate. Negli atti parlamentari non c'è una occasione in cui ricorrono nomi dell'una senza quelli dell'altra, il CNB è un canale privilegiato da entrambe, se un quotidiano riporta una notizia riguardante un aspetto tematico di interesse di una associazione, si può star sicuri che ce n'è sempre un altro che offre il punto di vista opposto; persino l'articolazione dei siti internet si rispecchia, soprattutto se si analizza la suddivisione tematica per link. Con la differenza che sotto alcuni aspetti "l'associazione Coscioni corre, Scienza&Vita rincorre", parafrasando uno slogan elettorale di qualche anno fa. Il sito internet è uno di questi aspetti, è aggiornato con maggiore costanza, è più interattivo, è a tutti gli effetti lo strumento di comunicazione ufficiale, mentre meno attento e meno valorizzato è quello di Scienza& Vita; la prima ha un canale aggiuntivo per veicolare informazione, Radio Radicale, di cui non dispone la seconda; una visione più cosmopolita e una maggiore attenzione al contesto internazionale trapela dall'analisi dell'associazione Coscioni ed infine una strategia vincente è stata per essa "il caso Welby" che, come si è illustrato, ha esercitato una influenza maggiore di qualsiasi altra attività. Dall'altro lato si deve far notare l'esclusività di Scienza&Vita nel campo della formazione e istruzione e della salute, aspetti di vantaggio per il network che riesce a creare intorno a sé e per la possibilità divulgative e di informazione che ciò comporta, contribuendo a creare un futuro di scienziati e ricercatori che condividono una determinata impostazione valoriale, muovendosi sul piano culturale e avvicinandosi nel presente alle istituzioni in modo agevole. Non si deve sottovalutare neanche l'aspetto numerico, che può sembrare superfluo ma non lo è in uno scenario in cui la maggioranza fa la differenza e, su questo un rapido conteggio dei membri del Comitato Nazionale di Bioetica e dei soggetti auditi dal Parlamento riconducibili all'area di Scienza&Vita può bastare a dare una conferma. Riguardo la struttura associativa, il soggetto Radicale presenta un approccio più aperto, tutti possono diventare soci e partecipare alle assemblee; le azioni di grass roots lobbying chiamano in causa come protagonisti tutti i cittadini di cui si richiede il sostegno attivo attraverso lo strumento delle petizioni e hanno una preponderanza maggiore rispetto all'altro soggetto, in cui soci sono solo quelli fondatori ed in cui la partecipazione è ristretta in modo da dare risalto ai contributi di ricercatori e persone con competenze tecniche e scientifiche attraverso convegni, seminari e corsi, anche se la cesura non è così netta, considerando quanto in entrambi i casi sia ricercato il sostegno dei pubblici influenti. A definire il concetto di minore o maggiore apertura delle associazioni contribuisce infine la trasparenza delle iniziative e di bilancio, che come si è visto è più tangibile nel caso dell'associazione Luca Coscioni, a testimonianza di un sistema di gestione democratico e trasparente. Di certo per l'associazione Luca Coscioni la strada da percorrere è ancora lunga e il fervore che essa manifesta con la dinamicità e costanza delle sue iniziative non può essere paragonato all'attività di salvaguardia di interessi condotta da Scienza&Vita. Gli atteggiamenti sono differenti: da un lato l'interesse è quello di cambiare le carte in tavola, dall'altro lato è quello di opporsi a questo cambiamento e di mantenere lo status quo, da un lato le azioni sono da rivolgersi ai decisori pubblici, perché la società è dalla propria parte, dall'altro lato si deve puntare sull'opinione pubblica e al convincimento dei cittadini. Rimane un elemento paradossale in questa questione: l'opinione pubblica si esprime favorevolmente per una legge sul testamento biologico, ma per un gioco strano, le sedi decisionali, espressione della volontà popolare, sono impermeabili a tali richieste e per adesso lo sono anche nei confronti del dialogo sulla questione. Ciò apre un'ulteriore discussione, che si lascerà alla riflessione del lettore, sulla maturità del sistema democratico italiano e sulla necessità di un dialogo sano con i diversi portatori di interessi, privo di condizionamenti sull'operato del decisore, che deve assumersi le sue responsabilità in piena autonomia.
Anita Alfonsi
ll «lobbying» è lo strumento di rappresentanza politica con il quale gruppi, organizzazioni ed individui, legati tra loro da interessi comuni, incidono, legittimamente, sulle istituzioni al fine di influenzarne le decisioni a proprio vantaggio.
I «gruppi di pressione», così come viene definito il fenomeno in Italia, rappresentano oggi una parte fondamentale della dialettica politica: il lobbismo è infatti considerato come un aspetto indispensabile del procedimento parlamentare. Ma, malgrado ciò, il nostro ordinamento giuridico non prevede una normativa che regolamenti la rappresentanza di interessi particolari in Parlamento.
Una situazione leggermente migliore è quella che riguarda l’Unione europea. Se da un lato, infatti, può affermarsi che da poco più di un anno è stato istituito il Registro dei lobbisti, dall’altro occorre precisare da subito che l’iscrizione (e la consequenziale osservanza del Codice di condotta, di requisiti e sanzioni) non è obbligatoria, per cui le adesioni al Registro non rendono l’idea della reale attività che i circa quindicimila lobbisti e le 2500 organizzazioni – secondo il Rapporto Stubbs del Comitato Affari costituzionali dello scorso 2008 – esercitano tra Bruxelles e Strasburgo.
Il fenomeno, la cui nascita si attribuisce generalmente al Parlamento britannico ma la cui regolamentazione è invece ricondotta agli Stati Uniti d’America, è stato affrontato in modo eterogeneo nei Paesi europei ed extraeuropei: in alcuni Stati l’attività lobbistica è stata oggetto di una regolamentazione specifica che prevede obblighi e diritti per chi esercita il lobbismo: è il caso di Canada, Stati Uniti, Israele, Germania, Svizzera ed Austria. In altri Stati prevalgono, invece, procedimenti consuetudinari e i relativi codici di condotta e di deontologia professionale: è il caso questo di Francia e Gran Bretagna. In altri Paesi ancora, ed è questo il caso dell’Italia, manca ogni forma di normazione.
Attualmente in Italia l’unico limite è dato esclusivamente dal rispetto dei valori fondamentali della Costituzione e, questa lacuna normativa, ha portato molto spesso ad eccessi e al superamento di limiti che si sono rilevati poi lontani dagli scopi di ricerca ed informazione, a causa della complessità della vita sociale e delle decisioni a livello istituzionale, oltretutto connotando spesso l’attività di lobbying in senso negativo.
In Italia, dal 1948 al 2006, sono state presentate 25 proposte di legge volte a riconoscere e disciplinare il fenomeno lobbistico, ma nessuna è mai stata discussa in aula: c’è sempre stata, infatti, una sorta di ritrosia da parte del legislatore a causa, probabilmente, del forte ruolo esercitato dai partiti nel rapporto tra Stato e società. In questo contesto, due sono state le modalità inerenti la regolamentazione del rapporto tra gruppi di pressione e decisore pubblico:
regolamentazione - trasparenza: che palesa al cittadino i vari fattori che hanno portato ad una determinata decisione pubblica;
regolamentazione – partecipazione: che oltre a rendere trasparente il processo decisionale ne consente la partecipazione dei rappresentanti di interessi particolari.
Ben sei sono state le proposte presentate soltanto nella XV legislatura: il disegno di legge n. 1866 è quello a cui, generalmente, si presta maggiore attenzione, non soltanto perché è stato giudicato, nel complesso, positivamente dalle stesse associazioni di lobbisti ma soprattutto perché è il primo disegno di legge ad essere stato presentato da un Ministro del Governo, segno questo che è stato considerato come il riconoscimento istituzionale di un fenomeno che per molto tempo si è voluto che passasse quasi inosservato. Nell’attuale legislatura sono, invece, tre i disegni di leggi finora presentati.
Il disegno di legge n. 1866 della 15^ legislatura.
Il disegno di legge – definito Santagata dal nome dell’allora Ministro per l’Attuazione del programma – si prefigge di regolare il rapporto tra i gruppi di pressione e i decisori pubblici, garantendo la partecipazione dei rappresentanti di interessi particolari nel processo decisionale legislativo.
Il ddl, prevedendo anzitutto che i decisori pubblici rendano conoscibili a chi ne faccia richiesta i documenti presentati dai lobbisti (art. 6), individua nel Cnel il soggetto garante dell’esercizio delle attività di lobbying. Si prevede infatti l’istituzione di un apposito «Registro pubblico dei rappresentanti di interessi particolari» con lo scopo di rendere pubblici soggetti, settori e attività di chi influenza i processi decisionali (art. 3).
Compito del Cnel, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge e consultando le varie organizzazioni rappresentative di settore, è l’emanazione di un Codice di deontologia il cui rispetto sarà requisito irrinunciabile (art. 4).
Le varie organizzazioni lobbistiche, dal canto loro, dovranno presentare ogni anno al Cnel una relazione sulla loro attività di rappresentanza di interessi particolari, potendo essere chiesto loro, dallo stesso organo garante, informazioni a chiarimento della loro attività. (art. 5 comma 1). Il Cnel entro il 30 di giugno di ogni anno, invierà al Parlamento una relazione sulla propria attività di verifica (art. 5 comma 5 ).
Come soggetto garante delle attività lobbistiche, compito del Cnel è anche e soprattutto quello di emettere sanzioni al fine di assicurare il corretto adempimento degli obblighi del lobbista: si prevede anzitutto, salvo che il fatto non costituisca reato, una sanzione amministrativa che va da 2000 a 20000 euro per coloro che esercitano attività lobbistica senza essere iscritti nel Registro (art.8), ma anche la possibilità di censurare, sospendere o cancellare dal Registro, con un provvedimento motivato, i lobbisti responsabili di falsità, di violazioni della legge e del Codice deontologico (art. 8 comma 2).
Il disegno di legge – che contiene una relazione con un’analisi tecnico-normativa – istituzionalizza alcune definizioni che hanno fatto parte del linguaggio comune in tema di lobbying:
- «rappresentanti di interessi particolari»: vi si indicano i soggetti che rappresentano interessi leciti presso i decisori pubblici e presso i membri del Parlamento al fine di incidere su processi decisionali pubblici in atto;
- «portatori di interessi particolari»: vi si intendono i datori di lavoro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente con i rappresentanti di interessi particolari;
- «decisori pubblici»: vi si intende il Governo ( Ministri, vice Ministri, Sottosegretari), i membri del Parlamento nazionale e i vertici delle Autorità indipendenti;
- «processi decisionali pubblici»: vi si indica il processo di formazione degli atti normativi e degli atti amministrativi;
- «attività di rappresentanza di interessi»: ci si riferisce all’attività svolta dai portatori di interessi particolari attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi e ricerche ed ogni altra iniziativa utile.
Anche se il ddl aveva accolto sostanzialmente le richieste dei «gruppi di interesse» con la previsione del Registro e del Codice deontologico, vi sono dei passaggi per i quali gli stessi lobbisti auspicavano un miglioramento del testo:
- secondo quanto prevede l’art. 8 si rilevava, infatti, che la sanzione sarebbe stata corrisposta senza contraddittorio: si richiedeva, pertanto, che l’iscritto fosse chiamato a rispondere prima che la sanzione venisse comminata;
- l’art. 9 invece escludeva dalla copertura della legge l’attività di rappresentanza di interessi particolari svolta da enti pubblici o altri soggetti rappresentativi di enti pubblici; secondo i lobbisti anche i soggetti pubblici svolgono attività lobbistica così come i soggetti privati, tanto che a Bruxelles, per esempio, i rappresentanti delle varie regioni italiane devono sottostare alle stesse regole dei lobbisti delle aziende private.
- altro punto controverso è dato dal «concetto di decisore pubblico» che non comprenderebbe oltre a Governo e Parlamento, le Regioni le Province e i Comuni: pertanto chi avrebbe dei vincoli presso le istituzioni centrali non li avrebbe nelle istituzioni locali.Il progetto di legge n. 1594 della 16^ legislaturaIl progetto di legge n. 1594 dell’on. Milo dell’Mpa è stato presentato alla Camera dei Deputati l’1 agosto 2008 e assegnato in Commissione il 16 marzo 2009.
Malgrado il testo sia stato presentato da forze politiche opposte rispetto a quelle del ddl Santagata, i contenuti e l’impalcatura stessa del progetto appaiono abbastanza coincidenti: segno questo che, probabilmente, è comune, ai fini di una corretta regolamentazione e trasparenza del lobbismo, la volontà di creare un Registro pubblico di lobbisti e di varare il relativo Codice deontologico.
Poche infatti risultano, almeno a parere dello scrivente, le differenze tra i due testi che ineriscono più che altro sull’aspetto sanzionatorio il quale, nel presente testo, appare più blando rispetto al ddl n. 1866: le sanzioni vanno infatti da un minimo di 1000 (mille) a un massimo di 10.000 (diecimila) euro; nel caso in cui venga disposta la cancellazione dal Registro, perché il lobbista cancellato possa richiedere una nuova iscrizione possono passare soltanto 18 (diciotto) mesi contro i quattro anni previsti dal ddl Santagata nel quale la maggiore rigidità in fatto di sanzioni si riscontrava, già, laddove questo prevedeva che in caso di cancellazione del lobbista dal registro occorreva farne una pubblicazione – a carico del lobbista stesso – su due quotidiani nazionali, di cui uno economico, entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione allo stesso della cancellazione.
Per contro è possibile ravvisare nel progetto di legge n. 1594 una maggiore rigidità in entrata per i professionisti, che oltretutto vengono specificamente individuati nell’art. 3: essi, infatti, possono iscriversi nel Registro tenuto dal Cnel solo se hanno già esercitato attività di rappresentanza di interessi nei tre anni precedenti, o comunque, dopo un periodo di affiancamento di tre anni sotto la guida di un esperto in materia (art. 3).
Il progetto di legge dell’on. Milo prevede anche la possibilità che siano gli stessi decisori pubblici a poter chiedere l’intervento dei rappresentanti di interessi sollecitando «informazioni, incontri, udienze, proposte, richieste, suggerimenti, emendamenti, studi, ricerche, analisi, memorie scritte, documenti e qualsiasi altra documentazione relativa all’interesse documentato a corredo di iniziative da intraprendere nel corso della medesima attività» (art. 8).
Il progetto n. 1594 prevede 12 mesi di tempo dall’entrata in vigore del testo per definire forme e modalità di esercizio dell’attività in base a quanto disposto dalla legge dinanzi ai decisori pubblici, alle Amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo ed alle Autorità indipendenti contro i 90 giorni previsti dal ddl n. 1866.
Nella 16^ legislatura vi sono altri due progetti di legge in materia presentati dagli on. Mura e Pisicchio dell’IdV che si differenziano dal progetto trattato per la tenuta del Registro affidato in questo caso alle Presidenze di Camera e Senato, al Governo e alle varie altre istituzioni dove viene esercitata l’attività e per le multe fino a 50 mila euro per coloro che effettuano il lobbying senza essere iscritti nel Registro.Il caso particolare della Regione Toscana e Molise
La Toscana è stata la prima Regione a dettare una specifica disciplina in materia istituzionalizzando il fenomeno lobbistico con la legge regionale n. 5 del 2002. La legge, che è stata approvata con una larga maggioranza e col solo voto contrario del Pci, ha la scopo di favorire la presenza di soggetti rappresentativi di interessi nell’attività politica ed amministrativa della Regione, al fine consentire la trasparenza dell’attività politica.
In questo modo la Regione Toscana, così come successivamente la Regione Molise (che ha replicato la legge toscana con la legge regionale n. 24 del 2004), hanno riconosciuto i gruppi di pressione sviluppandone il loro ruolo di portatori di interessi.
La legge n. 5 ad ogni modo non definisce né le «lobbies», né i «gruppi di pressione o di interesse», ma distingue nell’art. 2 tra gruppi che rappresentano categorie economiche, sociali e del terzo settore (che risultano rappresentativi a livello regionale e provinciale), e in altri gruppi comunque presenti sul territorio toscano. Questa distinzione è importante ai fini della registrazione nel «Registro dei gruppi di interesse accreditati» presso il Consiglio regionale: per il primo gruppo infatti l’iscrizione avviene d’ufficio, i secondi, invece, devono inviare una richiesta al Consiglio regionale. Tutti devono essere costituiti da almeno sei mesi e «perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».
Il registro, diviso in cinque settori (attività istituzionali, attività produttive, sanità, cultura e turismo, territorio e ambiente), al 2006 contava 102 gruppi di interesse iscritti, con un aumento del 9% rispetto al 2005, e 115 ad oggi. Vi si annoverano, tra gli altri, l’Associazione Amici dei Musei fiorentini, il Comitato per lo sport regionale, l’Associazione conciatori della Toscana, Tethys – Associazione culturale di quartiere, Confcommercio, Lega Coop, Cgil, Cisl, Cna, Coldiretti.
Malgrado i rappresentanti dei gruppi possano accedere ai locali del Consiglio regionale e seguire i lavori delle Commissioni di loro interesse, al 2006, non risultava alcun documento inviato alle Commissioni, nessuna proposta e nessuna spiegazione su atti del Consiglio.
L’art. 4, infine, pone l’attenzione alle sanzioni; è previsto infatti il divieto di «esercitare nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto». Spetta alla Presidenza del Consiglio esaminare il comportamento e le relative sanzioni che vanno dal richiamo, alla sospensione temporanea, alla revoca. Ma, non essendoci stata alcuna attività, quanto meno concreta, dei gruppi di pressione toscani, nessuna sanzione è stata comminata dalla Presidenza del Consiglio regionale.
Ad ogni modo, le leggi sono rimaste praticamente inattuate e, malgrado abbiano avuto il merito di rendere palesi i gruppi di pressione, al fine di una reale applicazione avrebbero, molto probabilmente, dovuto consentire ai gruppi in questione di agire oltre che sul Consiglio anche sulla Giunta regionale.Fonte: Diritto.it - Giuseppe Massimo AbateBibliografia
Progetto di legge n. 1594 (16^ legislatura)
Progetto di legge n. 854 (16^ legislatura)
Disegno di legge n. 1866 (15^ legislatura)
Regione Molise – legge n. 24 del 22 ottobre 2004
Regione Toscana – legge n. 5 del 18 gennaio 2002
Cattaneo A. – Zanetto P., Fare Lobbying. Manuale dipubblic affairs, etas 2007
Mazzei G., Lobby della trasparenza. Manuale di relazioniistituzionali, Centro Doc. Giornalistica 2006
Fotia M., Le lobby in Italia. Gruppi di pressione e potere, Nuova Biblioteca dedalo, 2002
A partire dal secondo dopoguerra si è affermata la lobbying della scienza rivolta ai decisori politici e all’opinione pubblica in generale. Caratteristiche specifiche
presenta la lobbying di un ente pubblico di ricerca nel contesto italiano. Competenze, preparazione, capacità di visione e di analisi sono tra le doti necessarie.
L’attività di lobbying degli enti pubblici di ricerca
Marco Franza, Gabriella Martini - ENEA - Ufficio di Presidenza
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