(Pier Luigi Petrillo) Chi ha accusato le lobby di bloccare la modernizzazione del paese dovrebbe provare a cambiare punto di vista e met-tere da parte quel finto moralismo che vuole l'interesse generale del tutto avulso dagli interessi particolari. Come se davvero le norme siano scritte alzando gli occhi al cielo cogliendo l'interesse generale da un albero come fossero mele.
Le lobby fanno il loro mestiere, ovvero quello di in-fluenzare il decisore pubblico rappresen-tandogli interessi particolari di cui sono portatori. E cosa dovrebbe fare, in un sistema democratico, il decisore pubblico? Dovrebbe sinterizzare i vari interessi in gioco, in modo da soddisfare - quanto più possibile - l'interesse generale. Ma soprattutto dovrebbe assumersi la responsabilità della sua decisione.
Ed è qui l'anomalia italiana. Nel nostro paese, le lobby rappresentano una via di fuga per la classe politica; è sempre colpa delle lobby quando la decisione assunta dalla politica non piace ai cittadini; è colpa delle lobby se le liberalizzazioni non vengono attuate; colpa delle lobby se il prezzo della benzina sale; colpa delle lobby se le medicine costano di più; colpa delle lobby se solo qualcuno paga quanto deve e molti altri evadono. Le lobby sono divenute così un "paravento" della mancata scelta del politico di turno, nel tentativo di fare cosi dimenticare ai cittadini che la responsabilità di una scelta è sempre e solo del politico, e non dei soggetti esterni alla politica che hanno provato a influenzarlo.
Da cosa dipende questa anomalia? Da due motivi: da un lato dal fatto che in Italia le numerose norme volte ad assicurare la trasparenza degli interessi dei par-lamentari sono disapplicate; dall'altro dal fatto che manca una regolamentazione or-ganica del fenomeno lobbistico. Così, ad esempio, non tutti sanno che dal 1981 è in vigore una legge (la n. 659) che obbliga tutti i parlamentari, i loro coniugi e i loro figli conviventi, entro tre mesi dall'elezione, non solo a depositare la dichiarazione dei redditi ma anche a dichiarare i diritti reali su beni immobili e mobili, le azioni di sovietà possedute, le quote di partecipazioni a società, l'esercizio di funzioni dí sindaco o amministratore di società; ed una identica dichiarazione deve essere resa anche a conclusione del mandato parlamentare, entro un mese, al fine di evidenziare eventuali guadagni non coerenti con lo stipendio percepito. Di tali dichiarazioni, che dovrebbero essere rese pubbliche sul sito web della Camera e del Senato, non c'è traccia. Perché?
Per quanto riguarda le lobby, la situazione è ancora più imbarazzante. Qualcuno si chiederà come facciano le lobby ad accedere ai Palazzi del potere. In molti sistemi democratici avanzati (Stati Uniti d'America, Unione europea, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria) esiiste un registro dei lobbisti in cui questi de-vono dichiarare chi li paga e per fare cosa; i soggetti iscritti nel registro hanno, tra l'altro, il diritto a entrare in Parlamento.
E in Italia? In Italia l'accesso a Camera e Senato dipende dall'assoluta discrezionalità del Collegio dei questori (composto da deputati o da senatori) che decide, di volta in volta, e sulla base delle richieste dei lobbisti, a chi rilasciare un tesserino di accesso permanente al Palazzo, senza dover in alcun modo motivare. L'effetto è che le grandi lobby hanno libero accesso mentre le lobby economicamente più deboli restano fuori.
Molti dei ministri in carica, avendo avuto significative esperienze europee, sanno perfettamente quanto importante sia il ruolo svolto dalle lobby in un sistema de-mocratico. D'altronde l'attività di lobbying è, anche in Italia, un diritto costituzionale, come ha evidenziato la Corte costituzionale in diverse sentenze a partire dal 1974. E infatti solo nei sistemi illiberali, le lobby, al pari di tutti gli altri corpi intermedi, sono proibite.
Il problema, dunque, non sono le lobby ma è l'assenza di regole che permet-tano a questi soggetti di interagire con la politica in modo trasparente, partecipato, uguale per tutti. Oggi più che mai è il tempo delle lobby. Ed è tempo che le lobby siano regolate: perché il loro contributo è pre zioso per il decisore pubblico.
Fonte: Il Foglio



































