Quante volte nei film americani sono state riportate le immagini di lobbisti impeccabili, vestiti di grigio senza una piega? Quante volte viaggiavano con valigette piene di fascicoli più o meno misteriosi, in cui si lasciava immaginare ci fossero le tracce di possibili accordi con senatori o politici a capo di commissioni governative? é questa l'immagine dei lobbisti più immediata che viene alla mente: professionisti in grado di dialogare, anche ad altissimo livello, con ministri, segretari di partito e senatori e di far sentire la voce delle industrie e del grande capitale. Ma anche di categorie più difficilmente riproducibili in una pellicola, ma altrettanto bisognose di difendere interessi di categoria.
In questa intervista Harold Burson, presidente della società americana Burson Marsteller, la prima rete mondiale di pubbliche relazioni e di lobbiying, spiega come si fa a influenzare la pubblica opinione e come si può agire sui politici. Burson in questo periodo ha festeggiato i quarant'anni di attività e superato per la prima volta i 200 milioni di dollari (circa 300 miliardi di lire) di margine lordo.
Concretamente, che esempio di modifica della pubblica opinione, e di conseguenza su leggi o provvedimenti, può fornire?
I soggetti più sensibili riguardano spesso i progetti fiscali inerenti questo o quel settore di attività: la finanza, la sanità o l'ambiente. Per esempio, tempo fa, l'industria dei fosfati negli Stati Uniti si è raggruppata e ci ha chiesto di lavorare su un fascicolo estremamente delicato: questi industriali erano accusati, da gruppi di pressione, da consumatori, ma anche da una parte dei pubblici poteri, di arrecare danni all'ambiente, in particolare alle acque. Siamo riusciti a convincere la pubblica opinione e il governo, con studi scientifici alla mano, che non li si poteva accusare di tutti i mali. Risultato: si è avuto un vero dibattito, gli industriali sono stati costretti a rafforzare le loro normative di sicurezza in materia di protezione dell'ambiente ma non sono state rimesse in causa la loro attività o la loro posta economica.
Che definizione darebbe della sua professione?
Le relazioni pubbliche e la lobbiyng fanno appello a una serie di mezzi tattici adattati a una strategia, che consiste nell'influire sulle pubbliche opinioni, e modificare o rafforzare i comportamenti in funzione dell'obiettivo perseguito. Sovente, il nostro ruolo è far sedere allo stesso tavolo clienti come società private e, di fronte, il corpo legislativo od organi decisionali in generale.
Qual è il vostro dispositivo di lobbying a Bruxelles?
Abbiamo 20 lobbisti a tempo pieno ripartiti in seno alla Burson Marsteller e a un'altra agenzia, che abbiamo riacquistato, Robinson & Linton. A Washington, l'effettivo è di 200 persone, cioè il 10% del nostro personale dipendente mondiale.
Arrivereste a lavorare per ideologie arrischiate o stati con un'immagine tutt'altro che sfavillante?
Abbiamo un'etica professionale. Non lavoreremmo mai per un candidato politico o per uno stato totalitario.
Anche il vostro settore è colpito dalla recessione?
Sì, visto che è fondato sull'attività delle aziende. Per Burson Marsteller, questo si traduce in un rallentamento della crescita: abbiamo aumentato il nostro margine lordo nel 1992 dell'1,93% a 203 milioni di dollari, cioè 1,07 miliardi di franchi. Ma i nostri concorrenti diretti, le reti Shandwick e Hill & Knowlton, accusano nello stesso tempo un calo superiore.
Che origine geografica ha questo margine lordo?
Gli Stati Uniti continuano a rappresentarne il 47%, il che è normale: le aziende e gli organismi istituzionali americani hanno, più che gli europei, l'abitudine di utilizzare le relazioni pubbliche. Ma l'Europa contribuisce oggi per il 35% del nostro fatturato. Quanto all'Asia (18%), è oggi il mercato più dinamico.
Qual è il risultato netto mondiale della Burson Marsteller?
Non lo diffondiamo mai. Diciamo che se riusciamo a raggiungere l'obiettivo del 6% del risultato escluse imposte, sarebbe già una buona prestazione. In quarant'anni, non abbiamo mai subito perdite.
Quali sono i vostri principali clienti?
Arthur Andersen, Philip Morris, Johnson & Johnson, McDonald's, l'esercito e la posta americani. Ma anche il ministero della sanità in Germania e quello del commercio estero in Francia ne fanno parte.
Molti l'accusano di essere stato troppo vicino a Reagan.
Sì, è un amico. Ed è a questo titolo che ho potuto consigliarlo. Ma non è un criterio discriminatorio. Infatti lavoriamo molto bene anche con l'amministrazione democratica.
Laurent Bailly - Italia Oggi



































