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Lobbisti, i padroni di Tampa
Scritto il 2012-08-28 da lobbyingitalia su World

Usa, l'inviato di Lettera43.it alla convention repubblicana: anche gli italo-americani tra gli uomini d'affari di Romney.

Una preghiera contro l’uragano, un ricordo per Neil Armstrong e tre simbolici colpi di martello per far decollare il contatore del debito pubblico dell’amministrazione di Barack Obama. Cinque minuti in tutto, forse meno.
L’apertura della convention repubblicana di Tampa lunedì 27 agosto si è ridotta a un drappello di delegati accalcati intorno al palco ancora in via di rifinitura: gli uomini con i cappelli texani in testa e le donne con i tacchi alti in mano, sfiancate dai chilometri di sentieri recintati necessari ad attraversare la città militarizzata.
La pioggia di Isaac, arrivata infine dopo ore di spasmodica attesa a pochi minuti dall’inizio ufficiale dei lavori, non ha invogliato la partecipazione. Ma, nei giorni melliflui che precedono il grande show della nomination, tutti hanno altri impegni. A lavorare non sono solo gli elicotteri che ronzano sopra il Tampa Bay Times forum con la stessa insistenza delle libellule giganti trasportate dalla tempesta tropicale. L’attività ferve lontano dai maxischermi: lobbisti, uomini d’affari e gente di mondo sono impegnati a scambiare biglietti da visita e promesse.

CENA D'AFFARI PER 90 LOBBISTI. Al ristorante Donatello - «25 anni di cucina privata a quattro stelle», accoglie un cartello all’ingresso - non si prendono prenotazioni. La National italian american foundation (Niaf, fondazione nazionale italo-americana) ha riservato per cena una saletta appartata: 10 tavoli per 90 persone in giacca e cravatta e abito lungo per le donne.
Il menù è luculliano: bruschette, scaloppine, calamari, dolci al cucchiaio. L’ingresso, invece, è riservato agli invitati: i repubblicani nel board dell’associazione italo-americana, gli iscritti con simpatie conservatrici, personaggi in vista nel business locale e nazionale, tre membri del Congresso, Mike pompeo, John Mica e Pat Tiberi con solidi legami con l’Italia e l’ambasciatore italiano a Washington Claudio Bisogniero.
«Niente di più di un incontro di routine», precisa Mark Valente III, 57 anni, nominato da pochi mesi nel consiglio d'amministrazione dell’associazione degli italiani e dominus di Valente Associates, veterana delle agenzie di lobbying di Washington Dc.

Alla convention per pianificare il futuro con Romney alla Casa Bianca

Ma l’adunata dei repubblicani è l’occasione per fare il punto su occasioni e opportunità prossime venture. Specie se Mitt Romney, come qui pensano in molti, dovesse sbaragliare Obama il 6 novembre.
Analoghi ragionamenti, per onore del vero, saranno fatti a Charlotte i primi di settembre, quando i democratici metteranno in campo il loro armamentario di miti e sogni per cercare la riconferma.

FEDELTÀ AL LIBERO MERCATO.La Niaf è un organismo bipartisan e senza scopi di lucro, anche se dalla fondazione, nel 1975, si occupa tra le altre cose di «promuovere e sviluppare i rapporti economici e culturali tra Italia e Stati Uniti». Anche spingendo i propri uomini migliori nelle maglie dell’amministrazione di turno.
Riuscirci, di questi tempi, è particolarmente importante. «Noi crediamo al capitalismo, non al socialismo», riassume senza prenderla troppo per il sottile Valente, la cui fede nel mercato libero ne ha fatto un fedele servitore prima di Ronald Reagan e poi di Bush figlio, nonché intimo amico del vicecandidato repubblicano alla presidenza Paul Ryan.
Per questo nipote dell’Abruzzo, nato e cresciuto in Michigan, rimpiazzare Obama è cruciale. E tra una risata, un aneddoto e una stretta di mano, a tavoli di Donatello molti dimostrano di pensarla come lui.

All'interno della Niaf ci sono anche alcuni democratici

Non che i 20 milioni di italo-americani degli Stati Uniti siano tutti repubblicani, anzi. Tra i 30 membri del consiglio di amministrazione ci sono anche ferventi democratici. Ma il business è il business e «noi vogliamo che questo Paese ritorni a essere l’humusgiusto per la proliferazione delle imprese. E si sa che gli italiani sono fenomenali piccoli imprenditori».
I dati sull’export in America dall’Italia, diffusi dall’ambasciatore via Twitter prima della cena, sono confortanti: +8,1% rispetto alla media del resto del mondo. La strada su cui lavorare è tracciata.

FINMECCANICA SOCIO AL 25 DI MBDA.Anche perché delle entrature di Valente al Congresso, oggi, non sono moltissimi gli italiani a beneficiare. Il signore che conosce bene la Casa Bianca non ama sbottonarsi, ma spulciando tra gli archivi compare Finmeccanica, in qualità di socio al 25% di Mbda (gli altri sono Eads e Bae Systems, entrambi al 37,5%), «l'unico gruppo in grado di progettare e produrre missili e sistemi missilistici che coprono l'intera gamma e che corrispondono alle attuali e alle future esigenze operative delle tre forze armate (terra, mare, aria)».
Ma di certo la rosa potrebbe essere più ampia se la Niaf piazzasse un proprio uomo all’interno della futura amministrazione Romney, come auspicato da molti a Tampa.

MASSIMA COPERAZIONE CON L'ITALIA. Il nome sussurrato è quello di Joseph del Raso, presidente dell’associazione italo-americana dalla solida fede repubblicana e altrettanto solide frequentazioni tra Roma e Washington, già a servizio di George W. Bush e insignito nel 2010 dal Quirinale del titolo di cavaliere del lavoro.
Sono solo supposizioni, sussurrate tra un calice di vino e l’altro, lontano dai taccuini e dai registratori. Forse poco più che desiderata, di cui comunque gli imprenditori italiani che con la Niaf hanno contatti - i cui nomi sono «riservati», dicono da Washington - non sono stati nemmeno informati: sarebbe prematuro.
«Perché comunque vada, i rapporti tra Italia e Stati uniti resteranno ottimi, sotto ogni profilo», si affretta a precisare Valente. «Tutti i governi americani sono sempre stati vicini a quelli italiani, la cooperazione è massima, a prescindere da chi è in carica».

LA PASSIONE USA PER BERLUSCONI. Che Romney vinca la Casa Bianca e il premier Mario Monti resti o meno in carica, insomma, per la diplomazia delle lobby, culturali o degli affari, il legame italo-americano è inossidabile.
Ma Valente, ecco, una simpatia particolare ce l’ha. «Certo, se lo chiede a me, e parlo a titolo personale, io mi sento più vicino a Silvio Berlusconi: lui è un vero capitalista come bisogna essere».

Fonte: Lettera43

Corruzione, opacità, scarsa efficacia del processo decisionale. Per la sezione ceca di Transparency International, sono questi i principali motivi per cui è necessaria una legge sul lobbying anche nel Paese danubiano. La Commissione del Governo per il Coordinamento della lotta alla corruzione ha stilato una bozza di provvedimento sulle lobby, come ha affermato il responsabile di TI Repubblica Ceca Radim Bures. Il modello di regolamentazione è quello comunitario, che consente un primo passaggio verso una regolamentazione trasparente, se correttamente implementato. Questi i punti-cardine del progetto di legge: Registrazione per i lobbisti; Obbligo per i lobbisti, i politici e i dirigenti pubblici di pubblicare i loro contatti reciproci; Sanzioni per eventuali contatti non autorizzati con lobbisti non registrati; Mappatura del processo decisionale per comprendere chi è intervenuto durante la gestazione di provvedimenti normativi Queste norme, secondo Bures, potrebbero servire da filtro per gli incontri tra lobbisti e decisori pubblici, che spesso sono fonti di ambiguità. Secondo l’ultimo rapporto di Transparency International “Lobbying Europe. Hidden influence, priviledged access”, la Repubblica Ceca si situa a metà tra i 19 Paesi europei oggetto dello studio in termini di trasparenza, partecipazione e efficacia del lobbying comunitario. Il risultato ceco, sicuramente molto più positivo di quello di altri ordinamenti occidentali come Italia, Spagna e Francia, è stato influenzato, secondo il politologo Petr Vymetal, dalla legge sul libero accesso all’informazione degli atti legislativi e, soprattutto, dal sistema di valutazione degli impatti legislativi (una sorta di AIR – Analisi di Impatto della Regolamentazione – che in Italia è praticamente irrilevante). Tra gli aspetti da migliorare, invece, come in quasi tutti i Paesi europei, il basso livello di trasparenza delle consulenze lobbistiche al momento della redazione di schemi legislativi o proposte emendative. Oltre a questi problemi di tipo tecnico, il diffuso fenomeno delle revolving doors alimenta il pericolo di corruzione. Il lobbying attualmente non è regolato in Repubblica Ceca. Nel febbraio scorso, il Senato ha approvato un emendamento al regolamento della Camera dei Deputati per migliorare la trasparenza del processo legislativo. L’emendamento prevedeva: Trasparenza delle informazioni su chi ha influenzato il processo decisionale, inclusi i deputati; Tempi precisi per i politici, i media e il pubblico per conoscere e approfondire la tematica del processo decisionale in corso di svolgimento; Necessità di un parere ufficiale su ogni proposta legislativa da parte delle commissioni parlamentari competenti per materia. I precedenti tentativi di rendere il processo legislativo più trasparente erano state respinte dalla Camera dei Deputati in diversi casi dal 2004. Al momento a Praga è favorevole alla regolamentazione anche l’associazione delle società di Public Affairs (Association of Public Affairs Agencies – APAA), nata nel 2012, che raggruppa 6 società: CEC Government Relations, Eurooffice Praha-Brusel, Fleishman-Hillards, Grayling Czech Republic, Merit Government Relations and PAN Solutions.

Mondo - Lobbyingitalia

Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International. Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest'ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l'esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group. «Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l'Enel e l'Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico. Il clima e l'energia, il lavoro e la crescita, l'economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l'8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell'economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l'analisi di Transparency International ancora poco seguite: l'80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un'impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni». Tra i problemi principali riscontrati dall'organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l'obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l'organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l'accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l'introduzione di “un'impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell'influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.   Fonte: Irene Giuntella - Il Sole 24 Ore

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"Ero coinvolto profondamente in un sistema di corruzione. Corruzione quasi sempre legale". Quando alla fine del 2010 - dopo aver scontato quattro anni di carcere e aver lavorato per sei mesi a 7,5 dollari l'ora in una pizzeria - Jack Abramoff chiuse i suoi conti con la giustizia, affidò a quelle poche parole il riassunto di cosa fosse il lobbyism negli Stati Uniti. Il pentimento (con relativo libro di denuncia) del più famoso lobbista americano degli ultimi venti anni - al centro di un altrettanto famoso scandalo che avrebbe coinvolto 21 potenti uomini della Washington politica (compresi un paio di funzionari della Casa Bianca di George W. Bush) - diede il via a feroci polemiche, accuse e contraccuse, editoriali indignati e (spesso) ipocriti, su una delle attività che più condizionano (nel bene e nel male) la vita politica e finanziaria del più potente paese del pianeta. Attività del tutto legittima e legale ma che ha offerto spazio, nei dettagli di regole complicate, anche ad azioni che hanno sfiorato la soglia della criminalità. Negli Stati Uniti il lobbismo nasce insieme alla Costituzione e al free speech (protetto dal Primo Emendamento che tutela in generale la libertà di espressione e che vieta al Congresso di approvare leggi che limitino "il diritto che hanno i cittadini di inoltrare petizioni al governo") ed è un lavoro (ben remunerato) a tempo pieno grazie al quale i cosiddetti 'gruppi d'interesse' (politici, religiosi, morali e soprattutto commerciali) fanno pressione sul Congresso per approvare questa o quella legge, per difendere posizioni acquisite, per condizionare una scelta piuttosto che un'altra. Dagli anni Settanta è un fenomeno in costante crescita e oggi a Washington ci sono oltre 13mila lobbisti registrati come tali, più diverse altre migliaia che lavorano sotto-traccia e fanno spesso il lavoro 'sporco' e più rischioso. Con un volume di affari che, nel corso degli ultimi decenni, è cresciuto in modo esponenziale e che nel 2010 ha raggiunto la cifra record di 3,5 miliardi di dollari. Un'attività, quella di lobbying, che è talmente connaturata al sistema politico-costituzionale degli Stati Uniti da essere scherzosamente definita  (con una tipica espressione slang) as American as apple pie, americana come la torta di mele. Ma chi sono i lobbisti? In gran parte avvocati (o comunque persone uscite dalle Law School e dalle Business School dei migliori college degli Usa), assoldati da famose corporation (JP Morgan ha un team che costa oltre tre milioni di dollari all'anno), da grandi studi legali, sindacati e organizzazioni varie, ma soprattutto da società che nascono ed operano con l'unico scopo di fare lobbismo. La loro attività è riconosciuta da una legge bipartisan del 1995 (Lobbying Disclosure Act) - varata dopo una serie di scandali e azioni che vennero definite "poco chiare" - e i lobbisti (sulla carta tutti) devono registrarsi presso la Rules Committee, la commissione delle regole del Congresso, hanno un badge permanente che gli permette di girare tranquillamente negli uffici di deputati e senatori a Capitol Hill (può essere revocato in caso di violazioni di legge) e sono identificati come "gruppi portatori di interesse da tutelare", un giro di parole che rende bene l'idea. Un lavoro che ha come interlocutori membri del governo, parlamentari ed amministratori pubblici (a livello federale, statale e locale) e che è, o meglio dovrebbe essere, ben distinto da chi lavora in una campo contiguo come quello delle public relations. Ed è qui, quando questi due mondi si intersecano, che si trovano i confini tra il lobbismo 'buono' (e assolutamente legale) e il mondo 'grigio' del sottobosco politico-affaristico che, ogni tanto, sfocia in un grande scandalo come quello di Abramoff. Un sottobosco che (stando ad alcuni studi recenti) arriva ad impiegare una manodopera di quasi centomila persone e dove il cosiddetto metodo delle 'tre B' (booze, broads, bribes, ovvero alcol, donne e bustarelle) non è stato mai del tutto abbandonato. Un mondo che è stato combattuto in epiche battaglie da uomini come Ralph Nader, lo scrittore-avvocato-attivista (e cinque volte candidato senza speranza alla Casa Bianca) diventato un simbolo della difesa dei consumatori e una decennale spina nel fianco delle lobby anche più potenti. Un mondo (e i critici non mancano mai di ricordarlo) che deve il suo nome all'atrio degli alberghi: un posto visibile a tutti ma che nasconde qualche inconfessabile segreto. Fonte: Alberto Flores D'Arcais - Repubblica.it

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