Diceva John Fitzgerald Kennedy, che nel ramo vantava una certa esperienza: «Il lobbista mi fa capire in tre minuti quello che un mio collaboratore mi spiega in tre giorni». Niente da fare, però. Non basta il complimento d'epoca per far tornare il buon umore ai ragazzi e alle ragazze che resistono qui al terzo piano del Senato. Prima allontanati dalle segrete stanze dove si sta riscrivendo il decreto liberalizzazioni, poi chiusi direttamente dentro un'altra commissione. E adesso incavolati come uno smaliziato brasseurs d'affaires non dovrebbe mai far vedere: «Mi dovete spiegare perché se viene qui Trefiletti, quello dei consumatori, va tutto bene, mentre se arriviamo noi diventa un attentato alla democrazia» dice il rappresentante dei cantieri navali che è riuscito ad aggirare i commessi per avvicinarsi alla zona rossa. «Sottobraccisti, giovani sulle orme del mitico Wilmo Ferrari detto «la clava», che nella sua carriera avrebbe suggerito quasi 7 mila emendamenti? «Fesserie — dice ancora il lobbista - noi siamo qui per spiegare ai parlamentari gli effetti delle cose che votano. E una specie di consulenza tecnica e ti dirò, così come c'è la sala stampa al Senato ci vorrebbe anche la sala lobby».
Ti danno subito del «tu», fa parte del mestiere. E poi qui sono quasi tutti all'inizio della carriera, il lavoro vero si fa lontano dai riflettori. Un tempo avevano sempre un pezzetto di stoffa in tasca per asciugarsi il palmo fra una stretta di mano e l'altra, racconta Gianluca Sgueo nel suo libro Lobbying e lobbismi. E se la bella presenza non guasta, l'argomento è off limits. «Ho capito cosa intendi ma guarda che le "gnocche" sono altrove» dice una ragazza, effettivamente carina, che è qui per Confindustria e arriva subito al nocciolo della questione: «E problema non è metterci fuori dal Senato ma come metterci dentro». Regolare le lobby, insomma, portarle alla luce del sole.
Dal 1948 ad oggi le proposte di legge sono state 27, tutte evaporate dopo un paio di titoli sui giornali. Non abbiamo numeri certi ma si stima che in Italia siano in 1.500 a lavorare nel ramo. L'Unione Europea ha un registro di lobbisti con 1.793 persone accreditate. E per una volta siamo primi in Europa perché gli italiani sono il 43%. Negli ultimi anni il fenomeno è esploso. Come mai? «Nella Prima Repubblica — racconta Giuseppe Mazzei, presidente dell'associazione Il Chiostro che raggruppa 140 professionisti del settore — il lobbismo era una cosa per pochi. Le piccole imprese nemmeno ci provavano, erano gli amministratori delegati delle grandi aziende che prendevano l'aereo da Milano a Roma, parlavano con Craxi e De Mita e pensavano di aver risolto tutto». Oppure erano direttamente le associazioni di categoria a piazzare i loro uomini in Parlamento, come i 22 dirigenti della Coldiretti eletti alla Camera era negli anni 8o e per questo chiamati gli agroparlamentari. Adesso invece il lobbismo lo fanno tutti, «è più democratico» dice Mazzei. Un esempio? Franco Spicciariello lavora per Open Gate Italia, società di public affairs: «Tra gli ultimi clienti che abbiamo preso ci sono i produttori di sacchetti di plastica. Abbiamo organizzato un'audizione in Parlamento sul decreto ambiente che li danneggerebbe. Tutto trasparente, ma di solito non avviene. Sono imprenditori, hanno la fabbrichetta, cosa ne sanno di quello che avviene a Roma?». E di fabbrichetta in fabbrichetta il mercato cresce come pochi altri.
La Lumsa è un'università romana molto vicina alla Chiesa, un tempo era aperta solo alle religiose. Adesso offre una Master in «Public affairs, lobbying e diritto parlamentare», il 98% dei ragazzi che prendono il titolo trova lavoro entro sei mesi, qualcuno è anche qui al terzo piano del Senato a farsi le ossa. Studiano diritto ed economia, ma la materia più importante si chiama «mappatura degli influenti». E cioè individuare le persone che stanno dietro le decisioni per agganciarle e sostenere le ragioni del committente.
Ma attenzione: «Il bravo lobbista — spiega Giancarlo Di Nunzio, nel ramo da tanti anni — prospetta sempre una soluzione vantaggiosa per tutti. Se batti solo sul tuo tasto rimani isolato, se invece crei una coalizione di interessi hai più possibilità. E spesso una chiacchierata a cena vale più di un giorno di posta al Senato». Come dicono gli addetti ai lavori «pr» non sta per public relations. Ma per pranzi e ricevimenti.
Lorenzo Salvia - Corriere della Sera
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Di seguito la lettera inviata da Franco Spicciariello al Corriere della Sera a seguito della pubblicazione dell'articolo in questione.
Caro Direttore.
Dispiace dover leggere ancora una volta sul Corriere il "solito" articolo su lobby e lobbisti, pieno di argomenti triti e ritriti, con un tono sprezzante e in parte sbeffeggiante. Lobbisti in buona parte fatti passare per maneggioni e intrallazzoni, come semplici fabbricanti di emendamenti o gnocche che fanno cose e vedono gente. La chiusura su PR pranzi e ricevimenti poi è la fotocopia sbiadita del vecchio bribes, boozes and babes riferito alle lobbies americane. Come il detto (con citazione errata) di JFK.
Quello delle lobbies sembra un argomento di moda in questi mesi, ma purtroppo sembra che nessuno abbia voglia di comprendere che di cosa si parli. Nessuno che voglia andare a vedere l'enorme lavoro, l'analisi, l'approfondimento, il coinvolgimento delle università, per aiutare la politica a prendere decisioni quantomeno informate. Niente, o quasi, di tutto questo.
Peccato, perché si scoprirebbe che la maggior parte dei lobbisti sono fior di professionisti, persone che sanno tutto sul settore che rappresentano, in grado di spiegarsi sia in maniera semplice e concreta che di intervenire davanti ad un uditorio di professori universitari. Che il lavoro "vero" non è (solo) quello di pascolare davanti alle Commissioni, ma tutto quello di preparazione che c'è alle spalle. E perché poi non si spiega mai come sia chi fa lobbying per salvare a volte intere filiere di PMI che potrebbero essere cancellate proprio da un'azione di lobby posta in essere da qualche grande industria non troppo competitiva sul mercato, o che sia pieno di lobbisti che cercano di supportare la liberalizzazione e l'apertura dei vari settori.
Chiudo con un paradosso. Friedrich August von Hayek scriveva nel suo "La via della schiavitù" di come in Unione Sovietica si fabbricasse poca carta igienica o troppa, in quanto lo Stato aveva la presunzione di sapere tutto, e quindi anche quanti rotoli servissero alla popolazione.Ma l'URSS però non era una democrazia, e quindi i lobbisti non trovavano spazio. L'attività di lobbying infatti, è un elemento fondamentale del processo democratico, e in Italia è garantita dalla Costituzione (art. 50 su Diritto di petizione, art. 21 Libertà di manifestazione del pensiero, Art. 18 Libertà di associazione, ecc.). Se poi non è trasparente non è certo colpa dei lobbisti, che le regole le chiedono da anni.



































