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Velardi: Proposta per regolare le lobby
Scritto il 2016-04-13 da lobbyingitalia su Italia

Al direttore - Che palle questa ennesima discussione sulle lobby, eterno emblema e foglia di fico dei presunti mali italiani. E che palle le iniziative per regolamentarne l’attività che poi falliscono miseramente, salvo partorire, in risposta a periodiche emergenze, abomini legislativi come il “traffico di influenze illecite”. Il problema, sia chiaro, non è dei lobbisti veri: da tempo abbiamo fatto il callo ai titoli di giornale che descrivono “le lobby” come fonte primaria dei disastri nazionali, e il lavoro pulito non manca ai bravi professionisti.

Il punto è un altro, e prima o poi dovrà venir fuori. E’ proprio sbagliato l’obiettivo di chi pensa di irreggimentare, ingabbiare, demonizzare, punire le dannate lobby, come intendono fare paleo e neocensori parlamentari. Bisogna fare il contrario: aprire il sistema a una rinnovata ed efficace rappresentanza degli interessi, una volta saltata quella vecchia, per motivi più che noti. Nel vecchio mondo la lobby era appannaggio di partiti, sindacati, associazioni datoriali e di categoria. In quel circolo chiuso si componevano i conflitti, si dettavano le priorità e si organizzavano le gerarchie degli interessi. Con i media schierati a fare da pura cassa di risonanza. E le truppe pronte a intervenire, in casi di necessità. Era semplice, il piccolo mondo antico del Novecento. Oggi le cose sono cambiate.

L’universo della rappresentanza è meravigliosamente frazionato. I partiti sono personali, i sindacati pensionati, la Confindustria ininfluente, e il tavolone verde di Palazzo Chigi, dove le corporazioni più loffie vivevano il loro quarto d’ora di notorietà, è (definitivamente?) messo in soffitta. Oggi ognuno ambisce a rappresentarsi da sé. La grande azienda, con il suo solido responsabile delle relazioni istituzionali. L’agenzia di lobbying, dove professionisti di valore si muovono unicamente nell’interesse dei clienti e non del loro datore di lavoro. Gli “abusivi”, quelli che non fanno lobby per professione: presidiano un interesse, lo intermediano e ne ricavano utili, lavorando “a percentuale”, spesso bluffando, millantando conoscenze e aderenze. E poi i media, che fanno lobby in proprio. E la rete, dove gli interessi esplodono in una miriade di ingovernabili frammenti.

Nel mondo nuovo si gioca un’altra partita, dove tutto è lobby, possibilità, libertà e potere di espressione, comunicazione, condivisione. Lobby è postare, twittare e ritwittare, intercettare (ops) gli influencer, creare reti, costruire relazioni. Tutte attività difficilmente “recintabili”, cui ognuno può tranquillamente sfuggire. E ha facoltà di farlo. Se invece entriamo nei sacri confini delle istituzioni, e decidiamo di darci delle regole, allora bisogna che la regolamentazione sia sexy, altro che multe, divieti e misure coercitive. Registrarsi come lobbisti deve essere un label, un marchio di qualità. E chi ha un’istanza da rappresentare deve trovare conveniente affidare la sua pratica a un “registrato”. Si può fare con chiari meccanismi di premialità.

Chi si registra può telefonare a un ministro e poi a un suo cliente. Tutto normale. Trasparente, certificato e garantito. Il registrato partecipa agli approfondimenti tecnici, ha a disposizione i testi dei provvedimenti, le bozze dei documenti. Dopo che li hanno avuti i politici, prima che diventino pubblici. Il registrato accede, con un tesserino personalizzato e riconoscibile, nei palazzi delle istituzioni, e ogni volta che usa il tesserino dichiara cosa è entrato a fare e perché. La registrazione contempla la dichiarazione degli interessi che si sostengono (in linea con normative sulla privacy e con le clausole di salvaguardia presenti nei contratti e nei regolamenti aziendali).

Su queste basi si può costruire un vero patto di reciprocità: i lobbisti (e i loro clienti) consentono che si acceda al loro lavoro; le istituzioni consentono agli interessi e ai lobbisti di accedere al proprio. Con modalità certe e in tempo reale, con obbligo di consultazione, di esame e di risposta sui singoli dossier. I professionisti della lobby sono pronti per questa sfida: lo dico perché ne conosco tanti bravi e capaci. Le istituzioni non ancora. Per questo continuano a diffondere il timor panico delle “lobby”.


Claudio Velardi

Fonte: Il Foglio

velradi lettera

(Public Policy) Di regolamentazione dell'attività di lobbying in Italia si discute da sempre. Dal 1948, secondo una ricerca Unitelma-Sapienza, di prossima uscita sulla rivista giuridica "Percorsi istituzionali" (Cedam) sono stati presentati 59 ddl in materia, e 11 disegni di legge che riguardano le pubbliche relazioni, mai nessuno approvato. Ci sono poi 135 norme di vario tipo nell'ordinamento che regolamentano in modo frammentario questo settore. Sono in vigore norme regionali in Toscana, Sicilia, Molise, Abruzzo e Calabria. Da ultimo, dopo varie peripezie legislative - tra cui il tentativo di inserire norme sul lobbying nel ddl Concorrenza in esame al Senato - è in esame a Palazzo Madama un testo base sulla regolamentazione delle attività di lobbying, basato sul disegno di legge presentato dal senatore ex Movimento 5 stelle, Luis Alberto Orellana (oggi nel gruppo delle Autonomie). Il tema è al centro di riflessioni e confronti tra le stesse istituzioni e i portatori di interesse. Entrambi i fronti sembrano concordare, a parole, sull'esigenza di maggior trasparenza nei rapporti tra decisori pubblici e mondo privato e riconoscimento della professionalità del lobbista. Ma nei fatti si fatica a trovare una sintesi. Il 30 giugno scorso, nella sede di Confindustria, in viale dell'Astronomia, si è tenuto un seminario a porte chiuse su obiettivi e priorità di una legge di regolamentazione del lobbying, prendendo spunto dal testo base al Senato. È stata una riunione riservata, ma che è sembrata quasi una convocazione di 'stati generali' sull'argomento: per la prima volta l'associazione degli industriali ha provato a mettere intorno al tavolo decisori pubblici - erano presenti il viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini, il senatore Orellana e il relatore del regolamento sulle lobby alla Camera, Pino Pisicchio, oltre ad esponenti del settore come Patrizia Rutigliano, presidente di Ferpi, e Vito Basile, Managing Director della società di lobbying Burson Marsteller Italia - per confrontarsi su esigenze ed esperienze. A quell'evento è intervenuto anche Pier Luigi Petrillo, professore di Diritto pubblico comparato alla Unitelma-Sapienza di Roma (tra l'altro, è il curatore della ricerca Unitelma qui ricordata) e di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss. Nel 2013 ha coordinato, insieme all'attuale capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Roberto Garofoli, il gruppo di lavoro costituito alla presidenza del Consiglio per scrivere il testo che avrebbe dovuto disciplinare, una volta per tutte, i rapporti tra decisori e lobbisti in Italia. Quel testo fu inaspettatamente bocciato in Consiglio dei ministri, all'ultimo minuto. PROFESSORE, COSA HA IMPEDITO FINO AD OGGI L'APPROVAZIONE DI UNA LEGGE ORGANICA SUL LOBBYING IN ITALIA? Ci sono due motivi che impediscono al Parlamento di approvare una legge sulle lobby. Il primo: non conviene al decisore pubblico e al politico una regolamentazione che renda trasparente il percorso di una decisione e gli interessi coinvolti. Il decisore italiano preferisce non far conoscere all'esterno i motivi delle proprie scelte, perché così evita di renderne conto al cittadino. In questo modo inoltre, può sempre pubblicamente dare la colpa qualcun altro. Periodicamente sui giornali leggiamo che "è colpa delle lobby" se non passa la riforma dei farmaci di fascia C o delle licenze dei taxi. In realtà il problema non sono le lobby, che fanno il loro mestiere. È il decisore pubblico che sceglie di assecondare l'uno o l'altro portatore di interesse. Se ci fosse una legge sulle lobby tutto ciò verrebbe fuori. Finché le lobby sono sconosciute, è molto facile dire che è colpa loro se qualcosa accade. Questo consente al decisore di non assumersi mai la responsabilità delle proprie scelte, anche quelle che soddisfano interessi molto parziali a svantaggio della collettività. L'ALTRO MOTIVO? Il nostro sistema di relazioni tra rappresentanti del mondo privato si basa ancora molto su rapporti di clientela e parentela. Il privato si relaziona al decisore, non perché portatore di informazioni tecniche, indispensabili ai fini della decisione, ma perché è l'amico dell'amico. Una norma che dicesse quali debbano essere le regole per rappresentare gli interessi presso il decisore pubblico, farebbe venir meno tutto questo sottobosco di faccendieri, di gente che si muove in virtù di clientele e parentela, che sono però quelli che poi portano consenso alla politica. Questo 'sottobosco' variegato di soggetti, periodicamente agli onori delle cronache per fatti criminali, fa lobby per evitare una legge che li spazzerebbe via. A INTRODURRE OBBLIGHI DI TRASPARENZA, IN QUESTA SITUAZIONE, NON SI RISCHIA SOLO DI SPOSTARE ALTROVE LE SEDI DI RELAZIONE, E QUINDI DI PERDERE UN'OCCASIONE? Il rischio c'è. Questo è il motivo per cui rifuggo da tutte quelle proposte di legge che vogliono disciplinare 'al secondo' l'attività dei lobbisti. Oggi abbiamo una totale assenza di regole. Se domattina avessimo mille regole potremmo stare tranquilli che verrebbero completamente disapplicate. Se ad esempio introduco l'obbligo di rendicontare tutti gli incontri nella sede della Camera, è chiaro che questi 'migreranno' al di fuori, in qualche altra sede informale. Norme troppo dettagliate e privative, incompatibili col contesto attuale italiano, presentano inevitabilmente molteplici possibilità per essere aggirate. Passare dall'anno zero all'anno mille, dall'assenza di regole all'iperregolamentazione non funzionerebbe: siamo dei geni nello scrivere norme ed interpretarle poi a nostro piacimento. È accaduto a livello regionale, dove stiamo vivendo un momento epico per la regolamentazione delle lobby. Nel 2002 abbiamo avuto la legge toscana, del tutto inattuata. Poi ci sono state le leggi di Molise, Abruzzo, Calabria e Lombardia, mentre la Puglia si appresta ad approvare la sua, voluta dal presidente Emiliano. Sono leggi inutili, scritte con la consapevolezza che saranno totalmente inattuate. A che serve? A mettere a posto la coscienza? IN SINTESI, COME DOVREBBE ESSERE REGOLATO IL RAPPORTO TRA DECISORI E PORTATORI DI INTERESSE IN ITALIA? A mio avviso serve una proposta secca, semplice e sperimentale. Una norma che dica: per tre anni proviamo così. Esaurito il periodo di sperimentazione, verifichiamo l'impatto della norma e decidiamo se confermarla in modo permanente o rivederla. In questi tre anni, introduciamo regole non sui lobbisti, ma sui decisori pubblici. Questo è un punto centrale: rivoltiamo il tavolo. Tutti disegni di legge in esame in Senato e alla Camera, vanno a regolamentare l'attività di lobbying. Alcuni dei quali si spingono quasi a creare una sorta di vero e proprio albo professionale, per cui, se non sei iscritto a questo registro non puoi esercitare l'attività. Quasi nessun ddl invece impone regole di comportamento ai decisori pubblici. Piuttosto che andare a limitare e contenere un'attività del libero mercato, andrei a imporre una serie di norme di trasparenza sul decisore pubblico. NEL MERITO, CON QUALI INTERVENTI SI PUÒ RENDERE PIÙ 'ACCOUNTABLE' IL DECISORE? Si può intervenire in vari modi. Prima di tutto con norme minime, come l'obbligo di pubblicare online l'agenda degli incontri con i portatori di interesse, ovunque essi si svolgano, secondo il "modello Nencini", per capirsi (il viceministro, che ha scelto di pubblicare tutti i suoi incontri al Mit; Ndr). Un nodo cruciale è poi la trasparenza dei finanziamenti privati alla politica. Nessuno dei disegni di legge attuali tocca questo aspetto. La nuova legge sul finanziamento della politica prevede l'abolizione del finanziamento pubblico, e l'introduzione di quello privato. Ma non ci sono obblighi di trasparenza. Il privato che finanzia la politica emerge solo se vuole scaricarsi dalle tasse il contributo che ha dato al partito o al candidato. Se sono una multinazionale che vuole finanziare un partito o un candidato, e non mi interessa il vantaggio fiscale, resto nella totale oscurità. È un'assurdità. Occorre specificare in una norma che chiunque finanzia la politica anche per un solo euro, viene inserito in un elenco pubblico di finanziatori, non c'è nulla di male. E ancora: servono norme sulle 'revolving doors': in Italia siamo pieni di capi di gabinetto di ministri che cessato il loro incarico vanno a fare i lobbisti per le società con le quali interloquivano. E viceversa: lobbisti che diventano capi segreteria tecnica o capi di gabinetto di ministeri verso i quali facevano lobby. Attenzione: è lecito. Però rendiamolo trasparente. Infine si possono far rispettare norme che già ci sono, come la legge che impone di accompagnare tutti i ddl con l'Air (Analisi impatto della regolamentazione), una relazione in cui si elencano i portatori di interesse incontrati.

Imprese - Lobbyingitalia

Riceviamo e pubblichiamo con piacere l'iniziativa di RunningDa Bruxelles a Washington l'attività dei lobbisti è normata e trasparente mentre in Italia la parola lobby continua ad avere un'accezione negativa. Ecco perché Reti apre agli studenti e ai giornalisti le sue stanze, sarà possibile comprendere come lavorano i professionisti del settoreSi scrive #OpenLobby, si legge trasparenza. Per la prima volta una società di lobbying apre le sue porte per dimostrare che il lobbista non è un mestiere oscuro.“Venite a conoscerci” afferma Giusi Gallotto, 36 anni, amministratore unico di Reti, “C’è una generazione nuova di lobbisti e comunicatori pubblici che aspira ad avere più trasparenza e riconoscimento. Far emergere gli interessi alla luce del sole serve a rendere i cittadini informati e la politica più consapevole delle sua responsabilità”.Per questo motivo giovedì 26 maggio il personale di Reti e Running Academy (una media di 35 anni, ed il 50% di donne) accoglierà studenti universitari e giornalisti nella sede in via degli Scialoja 18 a Roma.I partecipanti avranno l’opportunità di “vivere” la giornata tipo del lobbista all’interno delle “stanze” di una delle maggiori aziende di public affairs in Italia, di scoprire quali sono le tecniche per costruire un network di relazioni, di comprendere come si fa monitoraggio delle istituzioni e come si interviene, in piena trasparenza, sui processi decisionali.#OpenLobby è un appuntamento formativo ed informativo per apprendere dai consulenti di Reti come si rappresentano gli interessi delle aziende italiane e internazionali che operano in Italia e nell'Unione Europea.

Imprese - Lobbyingitalia

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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