Lo status del settore dei public affairs cresce sempre più, e i lobbisti professionisti arrivano sempre più in alto nella catena decisionale, diventando uno strumento strategico di livello superiore all’interno delle aziende.
Le conclusioni della seconda edizione della ricerca condotta da Interel Public Affairs, società specializzata nelle relazioni istituzionali a livello globale, sui CEO di società del settore in 50 Paesi, rivelano una grande crescita del lobbying, diventato ormai strumento primario delle strategie societarie ad ogni livello.
Le società di consulenza restano ottimiste sulle prospettive per il prossimo anno. Quasi tutte (95%) si aspettano che il settore cresca nei prossimi 12 mesi, anche se il 78% degli intervistati ritiene che nei prossimi 12 mesi aumenteranno anche le società che si doteranno di una divisione “in-house” dedicata ai public affairs, contro il 68% nel 2014.
Per l'83% i ricavi sono aumentati nel corso degli ultimi 12 mesi, e il 58% si aspetta che questa tendenza continui. Energia, salute, tecnologia e food&beverage sono le aree di crescita più elevate per i public affairs nel 2015.
Per il 41% degli intervistati, l’area della consulenza strategica è la chiave dell’attività, dopo le relazioni con gli stakeholder, il monitoraggio normativo e l’attività di intelligence.
La preoccupazione per l'impatto del rischio politico è la ragione principale per cui le aziende sono alla ricerca di consulenza e supporto strategico nell’ultimo anno. Più del 90% degli intervistati afferma che le imprese sono più preoccupate per il rischio politico di quanto non fosse cinque anni fa.
C'è stato anche un grande cambiamento nella percezione sui governi e il loro atteggiamento nei confronti delle imprese. Nel 2014, il 62% degli intervistati riteneva che i governi stavano rendendo più difficile fare impresa. Nel 2015, questo dato è sceso di quasi la metà a solo il 33%.
Due terzi (66%) degli intervistati dice che il settore è regolamentato o auto-regolato, rispetto al 55% nel 2014. Le dichiarazioni volontarie sul portafoglio clienti, attraverso la pubblicazione di un registro ad esempio, sono anche aumentate dall’8 al 28%, dato che indica una maggiore trasparenza nel lobbying da parte delle società del settore o, quanto meno, una tendenza in quella direzione. Ciò si riflette anche dal fatto che un numero crescente degli intervistati afferma che il loro senior è tenuto notevolmente in considerazione da parte dei team di gestione del cliente (75% nel 2015 contro il 68% nel 2014).
Lo studio internazionale, se rapportato all’ordinamento italiano, stride decisamente con l’assenza di una regolamentazione del settore, auspicata anche dalla presidente della Camera Laura Boldrini, intervenuta al convegno “Verso un codice di condotta dei parlamentari” a Montecitorio il 4 giugno. Recentemente è stato reintrodotto il Registro dei lobbisti del MIPAAF, best practice nazionale di trasparenza dell’attività di relazioni istituzionali, ed è attualmente in discussione al Senato il “ddl lobby” con il testo-base del senatore Orellana, la cui discussione però subisce da tempo rinvii, segno di una cattiva riuscita del provvedimento. Anche in questo caso, però, c’è ottimismo su un nuovo impulso da parte del Governo al provvedimento, attraverso la sostituzione del ddl Orellana con un testo “governativo” o l’appoggio a un testo presentato da senatori PD (si parla del testo presentato dal senatore Verducci). Sarà davvero #lavoltabuona?








































