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Vi spiego perché a Renzi serve un lobbista. Parola di lobbista (Formiche.net)
Scritto il 2014-06-05 da Franco Spicciariello su Italia

(Alberto Cattaneo) I numeri sono drammatici e raccontano dell’impotenza di questo governo (e di tutti quelli passati in anni recenti) a produrre una legislazione di qualità che poi vuol dire credibile, certa e, soprattutto, applicabile. Invece i numeri raccontano una realtà diversa, quella delle leggi non attuabili perché necessitano di altri leggi (i cosiddetti decreti attuativi) che assomigliano a treni dei desideri che mai arrivano. I numeri dunque: il “Salva Italia” di Monti richiedeva norme attuative per il 22% dei suoi articoli, il “Cresci Italia” per il 40%, la Finanziaria 2013 per il 20% e l’elenco può continuare ancora a lungo fino a citare la cosiddetta delega fiscale che appunto delega la burocrazia dei ministeri a legiferare un pò su tutto l’universo. Gli esperti dei ministeri, ad oggi, devono scrivere più di mille e trecento decreti. Naturalmente con calma, oltreché con difficoltà. Risultato: ne mancano più della metà con casi curiosi tipo il Destinazione Italia, che avrebbe dovuto rilanciare il nostro Paese presso investitori esteri e che richiedeva 34 decreti attuativi di cui nemmeno uno è stato ancora scritto.

UN CONSIGLIO PER RENZI

Mi permetto di dare il consiglio a Renzi di coinvolgere nel suo staff qualche lobbista. Già perché il lobbista – e non il faccendiere con cui spesso viene confuso – difende interessi privati e per farlo deve essere in grado di promuovere una legislazione per l’appunto credibile, certa e applicabile. Se no, col cavolo che gli interessi vengono difesi. Poi questa legislazione promossa dai lobbisti può piacere o meno, può promuovere la difesa di un privilegio di casta o può supportare la liberalizzazione di un settore e così via, esattamente come lo è un programma politico di una parte o dell’altra e quindi di un interesse o di un altro. Può piacere o meno ma almeno avremmo delle leggi e non dei puzzle di cui manca sempre un pezzo.

NON SOLO PROVOCAZIONE

La mia è una provocazione? Sì certo. Ma solo in parte. In fondo i “lobbisti pubblici” già esistono e sarebbero i capi di gabinetto o i capi delle segreterie tecniche che devono promuovere gli interessi dei loro ministeri, con un “capo lobbista” nella figura del ministro per i rapporti con il Parlamento che ha, infatti, il compito di difendere gli obiettivi del governo nel momento in cui devono trasformarsi in legge (non me ne voglia nessuno ma per me la parola “lobbista” è positiva e non negativa). E allora perché non chiedere a qualche lobbista di lasciare il proprio lavoro e mettersi dall’altra parte? Perché non approfittare delle competenze dei lobbisti degli interessi privati e trasformarli in lobbisti dei cosiddetti interessi pubblici? Il “cosiddetti” è naturalmente d’obbligo.

LOBBISTI ALL’OPERA

Mi sbaglierò di certo, ma sono convinto che farebbero molto bene e che la qualità della legislazione sarebbe migliore perché, come i loro colleghi “privati”, dovranno essere premiati sui loro risultati. Vedremmo quindi i “lobbisti pubblici” partecipare alla stesura iniziale delle leggi; fare pressione sui tempi; partecipare direttamente ai tavoli tecnici dove nascono i decreti attuativi… Insomma, li vedremmo prendersi “cura” della qualità di una legge e quindi della reale difesa di un interesse.

BINGO

E se poi dovesse mai passare una legge sulla lobby (manca poco perché è prevista per giugno… forse…) sarebbe perfetto perché in un solo colpo garantiremmo trasparenza (perché la legge sulla lobby ha questo come obiettivo!) sia nel lobbismo privato che in quello pubblico. Bingo.

Fonte: Formiche

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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Secondo Dagospia, l'AD di poste avrebbe sbattuto il telefono in faccia a Filippo Sensi, portavoce di Renzi, che si opponeva alla nomina di Giuseppe Fortunato, dalemiano di ferro, alle relazioni istituzionali della società. Renzi, a forza di imposizioni, starebbe perdendo il rispetto della classe dirigente da lui stesso nominata. Fortunato ha lavorato per D'Alema e per i dalemiani Moretti e Padoan, e ora è stato chiamato da Caio in Poste nell'anno delicatissimo della privatizzazione. Questa nomina fatta senza consultare Palazzo Chigi ha indispettito il duo Sensi-Renzi, ma Caio avrebbe detto: ''Se volete, me ne vado io''... Caio come Spartacus? Il tecnofilo preferito di Enrico Letta, ma nominato al vertice di Poste Italiane da Matteo Renzi, si è ribellato all'ennesimo intervento governativo nelle nomine delle partecipate. Caio ha infatti scelto Giuseppe Antonio Fortunato come nuovo responsabile degli Affari Istituzionali. Chi è costui? Capo della Segreteria di D'Alema quando era ministro degli Esteri nel 2006-2008, è poi stato in Finmeccanica per 7 anni, tra Roma, Mosca e Bruxelles, finché il dalemiano Mauro Moretti non lo ha silurato ed è diventato consulente del Ministero dell'Economia, nel febbraio 2015. Lì è stato delegato da Padoan (pure lui dalemiano) a occuparsi delle partecipate pubbliche, tra cui Poste, e ora Caio lo ha chiamato, e il suo contratto dovrebbe iniziare a giugno, per un ruolo molto delicato nell'anno della privatizzazione del gruppo. Pare che quando la notizia sia arrivata nei corridoi di Palazzo Chigi, Filippo Sensi abbia telefonato a Caio "suggerendogli" di riconsiderare l'assunzione. A quel punto Caio avrebbe risposto: ''Se volete, me ne vado io'', attaccando il telefono in faccia al portavoce del premier. E non sarebbe l'unico: molti manager pubblici lamentano l'atteggiamento del governo, che non si limita a nominare i capi (prerogativa che è nei suoi poteri), ma interferisce nella gestione quotidiana delle partecipate, nelle nomine dei dirigenti di seconda fascia e nelle strategie industriali. Il problema è che l'atteggiamento è sempre di autorità e non di autorevolezza. E il bullo fiorentino, dopo i diplomatici e i funzionari europei, rischia di essere ostacolato anche dalla classe dirigente italiana... Fonte: Dagospia

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Un articolo di Public Policy a cura di Fabio Napoli fa il punto sulla situazione attuale della regolamentazione delle lobby in Italia, ancora in attesa di passi decisi in questa direzione da parte del Governo. In questa legislatura se ne sono occupati sia il governo Letta che quello Renzi ma una vera regolamentazione delle lobby stenta ancora a partire. Per ora il ddl che se ne occupa è ancora fermo in prima lettura in commissione Affari costituzionali del Senato. Dopo il quinto slittamento del termine per presentare gli emendamenti i gruppi parlamentari hanno presentato - a giugno 2015 - circa 250 emendamenti che attendono di essere votati. Il ddl, se tutto va bene, dovrebbe essere esaminato dopo la proposta di legge sul terzo settore, in via di esame in 1a commissione. Eppure era l'aprile del 2014 quando il governo Renzi inserì la regolamentazione delle lobby nel Piano nazionale di riforme (una delle tre parti del Def). L'esecutivo avrebbe dovuto licenziare un ddl a giugno di quell'anno, termine poi slittato a settembre. Arrivato l'autunno il governo abbandonò il progetto di un disegno di legge governativo per puntare sui progetti depositati in Parlamento. Ancora prima ci aveva provato il governo Letta, con un apposito ddl governativo, più volte approdato in Cdm e mai uscito da Palazzo Chigi. Il ddl dell'esecutivo, dopo diversi tavoli di lavoro, sembrava essere pronto per essere licenziato quando il 5 luglio 2013 l'allora premier Enrico Letta annunciò il rinvio e la decisione di affidare al ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi il compito di fare "una ricognizione sulla regolamentazione delle lobby a livello europeo" che non venne mai portata a termine. Intanto, sui vari canali di comunicazione i professionisti del settore non perdono occasione di confrontarsi sulla necessità di una regolamentazione del settore, anche avviando interessanti discussioni su Twitter aperte alla partecipazione di lobbisti e consulenti per i public affairs, o condividendo le ultime notizie italiane e internazionali sulle best practice di regolamentazione del settore. Servirà però un deciso intervento di Palazzo Chigi per compiere i primi passi verso una normativa nazionale.

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