NEWS
E' fuorviante biasimare le lobby (che fanno il loro mestiere)
Scritto il 2012-01-20 da lobbyingitalia su Italia

Chi ha accusato le lobby di bloccare la modernizzazione del paese dovrebbe provare a cambiare punto di vista e mettere da parte quel finto moralismo che vuole l'interesse generale del tutto avulso dagli interessi particolari. Come se davvero le norme siano scritte alzando gli occhi al cielo cogliendo l'interesse generale da un albero come fossero mele.

Le lobby fanno il loro mestiere, ovvero quello di influenzare il decisore pubblico rappresentandogli interessi particolari di cui sono portatori. E cosa dovrebbe fare, in un sistema democratico, il decisore pubblico? Dovrebbe sinterizzare i vari interessi in gioco, in modo da soddisfare - quanto più possibile - l'interesse generale. Ma soprattutto dovrebbe assumersi la responsabilità della sua decisione. Ed è qui l'anomalia italiana.

Nel nostro paese, le lobby rappresentano una via di fuga per la classe politica; è sempre colpa delle lobby quando la decisione assunta dalla politica non piace ai cittadini; è colpa delle lobby se le liberalizzazioni non vengono attuate; colpa delle lobby se il prezzo della benzina sale; colpa delle lobby se le medicine costano di più; colpa delle lobby se solo qualcuno paga quanto deve e molti altri evadono. Le lobby sono divenute così un "paravento" della mancata scelta del politico di turno, nel tentativo di fare così dimenticare ai cittadini che la responsabilità di una scelta è sempre e solo del politico, e non dei soggetti esterni alla politica che hanno provato a influenzarlo.

Da cosa dipende questa anomalia? Da due motivi: da un lato dal fatto che in Italia le numerose norme volte ad assicurare la trasparenza degli interessi dei parlamentari sono disapplicate; dall'altro dal fatto che manca una regolamentazione organica del fenomeno lobbistico. Così, ad esempio, non tutti sanno che dal 1981 è in vigore una legge (la n. 659) che obbliga tutti i parlamentari, i loro coniugi e i loro figli conviventi, entro tre mesi dall'elezione, non solo a depositare la dichiarazione dei redditi ma anche a dichiarare i diritti reali su beni immobili e mobili, le azioni di società possedute, le quote di partecipazioni a società, l'esercizio di funzioni di sindaco o amministratore di società; ed una identica dichiarazione deve essere resa anche a conclusione del mandato parlamentare, entro un mese, al fine di evidenziare eventuali guadagni non coerenti con lo stipendio percepito. Di tali dichiarazioni, che dovrebbero essere rese pubbliche sul sito web della Camera e del Senato, non c'è traccia. Perché?

Per quanto riguarda le lobby, la situazione è ancora più imbarazzante. Qualcuno si chiederà come facciano le lobby ad accedere ai Palazzi del potere. In molti sistemi democratici avanzati (Stati Uniti d'America, Unione europea, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria) esiste un registro dei lobbisti in cui questi devono dichiarare chi li paga e per fare cosa; i soggetti iscritti nel registro hanno, tra l'altro, il diritto a entrare in Parlamento.

E in Italia? In Italia l'accesso a Camera e Senato dipende dall'assoluta discrezionalità del Collegio dei questori (composto da deputati o da senatori) che decide, di volta in volta, e sulla base delle richieste dei lobbisti, a chi rilasciare un tesserino di accesso permanente al Palazzo, senza dover in alcun modo motivare. L'effetto è che le grandi lobby hanno libero accesso mentre le lobby economicamente più deboli restano fuori.

Molti dei ministri in carica, avendo avuto significative esperienze europee, sanno perfettamente quanto importante sia il ruolo svolto dalle lobby in un sistema democratico. D'altronde l'attività di lobbying è, anche in Italia, un diritto costituzionale, come ha evidenziato la Corte costituzionale in diverse sentenze a partire dal 1974. E infatti solo nei sistemi illiberali, le lobby, al pari di tutti gli altri corpi intermedi, sono proibite.

Il problema, dunque, non sono le lobby ma è l'assenza di regole che permettano a questi soggetti di interagire con la politica in modo trasparente, partecipato, uguale per tutti. Oggi più che mai è il tempo delle lobby. Ed è tempo che le lobby siano regolate: perché il loro contributo è prezioso per il decisore pubblico.

Pier Luigi Petrillo - Docente di Teoria e tecniche di Lobbying alla Luiss - Il Foglio

Sono giorni che Dagospia definirebbe di "Risiko" tra i lobbisti, con molti movimenti tra aziende, governo e società di consulenza. Uno di questi è arrivato oggi, "comunicato" via LinkedIn.UtopiaLab, società di lobbying nella top ten nazionale fondata da Giampiero Zurlo, ha infatti aggiunto un nuovo socio alla sua compagine societaria con Gian Luca Petrillo. Cresciuto in politica con Alleanza Nazionale, già consigliere dell'allora ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, Petrillo è un esperto  relazioni istituzionali e commerciali con una solida esperienza maturata nei settori dell'innovazione e delle telecomunicazioni, essendo anche stato membro del CdA di Infratel.Il suo ultimo incarico è stato in British American Tabacco Italia, dove ha ricoperto per circa due anni il ruolo di Head of Regulatory Affairs and Commercial Engagement. Prima del tabacco ha lavorato per IBM nell'area public sector e successivamente per 5 anni nel ruolo di Government Affairs Manager di Microsoft Italia. Il passaggio di Petrillo a UtopiaLab arriva un po' a sorpresa, dopo che la scorsa estate si era parlato di lui come destinato a passare a una società del gioco. Sposato con la giornalista parlamentare del TG2 Maria Antonietta Spadorcia, Gian Luca Petrillo è anche tesoriere e membro del board dell'Associazione La Scossa, fondata da Francesco Delzio (Atlantia) e oggi presieduta da Michelangelo Suigo (Vodafone). Gian Luca Petrillo su Twitter

Imprese - Lobbyingitalia

Tutti i disegni di legge sono fermi, a dispetto delle intenzioni più volte dichiarate, così come la legge sul conflitto di interessi. Ma ora il governo, per riscattarsi dal caso Guidi, dice di volere intervenire"Dobbiamo cercare di arrivare ad avere una legge», dice Maria Elena Boschi. Come impegno è un po’ poco, ma il messaggio che il ministro vuole mandare dalle poltrone dello studio di Porta a porta è che il governo intende accelerare sulla legge che dovrebbe regolare il rapporto tra i parlamentari e i lobbisti, i portatori di interessi che lavorano per aziende, multinazionali, categorie professionali o sociali.Legge che non c’è e la cui assenza è illuminata dalla vicenda di Federica Guidi, dalle telefonate tra l’ex ministro dello Sviluppo economico, già accusata di conflitto di interessi per via dell’azienda di famiglia, Ducati Energie, e il suo compagno, Gianluca Gemelli, accusato di «traffico di influenze illecite».L'accusa di Gemelli cita l’articolo 346 bis del codice penale, un reato voluto dal ministro Cancellieri che però da solo non regolamenta le molteplici forme con cui le lobby si interfacciano con le istituzioni, ed è insufficiente a definire i confini di quella che potremmo considerare un’attività di lobby positiva, come nota Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli di Roma: «Si è introdotto il reato di traffico, che descrive il lobbying illecito, senza tracciare prima i confini del lobbying lecito».Per ora però le intenzioni, ribadite da Boschi, non hanno prodotto molto. Sono quasi due anni che la commissione Affari costituzionali del Senato ha in mano una serie di testi sulla materia, più o meno stringenti. Ed è quasi un anno che tra le dodici diverse proposte è stato individuato un testo base, quello dell’ex Cinque Stelle Luis Orellana, su cui sono stati presentati circa 250 emendamenti.«Ma non sono neanche ancora stati raccolti in un fascicolo», dice all’Espresso Orellana, «tant’è che non ho potuto ancora leggerli, non essendo io membro della prima commissione». Dopo le dichiarazioni di Maria Elena Boschi i più scommettono che la presidente Anna Finocchiaro faccia riprendere l’iter, perché nel merito non se ne discute da giugno 2015, salvo l’impegno messo a verbale nella seduta del 25 novembre scorso, quando la commissione si riprometteva di «riprendere l’esame del disegno di legge».Cosa mai successa. Tra gli aspetti positivi del testo di Orellana c’è il cosiddetto divieto “revolving doors": il rappresentate o il dirigente dell’istituzione pubblica, se cambia lavoro, non potrà diventare lobbista, almeno per due anni.A parziale discolpa dei senatori bisogna dire che la commissione ha prima dedicato molti mesi alla riforma costituzionale e poi ora ha sotto esame, tra le altre, la legge sul conflitto di interessi già approvata alla Camera (anche questa sarebbe stata utile nel caso Guidi, anche se il testo in questione non avrebbe impedito la nomina della vicepresidente di Confidustria) e la riforma della legge sul sostegno all’editoria. Comunque, mentre si attende di capire come il governo voglia concretizzare l’impegno dichiarato e se la commissione del Senato possa accelerare, la Camera dei deputati potrebbe esser la prima a intervenire.Un testo fotocopia di quello di Orellana è stato infatti presentato anche Montecitorio dalla deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, anche se il successo per ora è lo stesso. Scarso: presentata a ottobre 2015, assegnata alla prima commissione, l'iter non è cominciato. Più fortunato potrebbe esser invece Pino Pisicchio. La giunta per il regolamento, infatti, venerdì 8 aprile chiude il termine per la presentazione degli emendamenti al testo che porta la firma del deputato centrista e che punta a istituire «un registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati». Sarebbe solo un protocollo, e durerebbe solo fino alla fine della legislatura (questo perché altrimenti dovrebbe passare al voto dell’aula) ma sarebbe un primo passo avanti: «Molto piccolo», commenta Orellana, «perché a differenza di quello che potrebbe fare una legge vera e propria riguarda solo i deputati e non tutti gli altri decisori pubblici su cui i portatori di interessi esercitano le loro legittime pressioni. Non c’è il governo, tanto per cominciare e quindi non ci sarebbe stata la Guidi, e non ci sono i dirigenti dei ministeri che spesso sono più preziosi di noi parlamentari». «Entro la fine di aprile possiamo approvarlo», dice comunque Pisicchio. E almeno sapremmo chi può entrare a Montecitorio oltre ai deputati e ai giornalisti.Con il protocollo della Camera, non si risolve certo il tema degli incontri fuori dalle istituzioni, né il tema dei finanziamenti delle aziende alla politica, che d’altronde non risolve neanche il testo Orellana che prevede sanzioni per chi non si iscrive ai registri e l’obbligo per i portatori di interessi di pubblicare un annuale report su chi si è incontrato e perché. «Si potrebbe inserire anche l’obbligo di un report per i decisori pubblici», ragiona Orellana con l’Espresso, «così da incrociare i dati e verificare le dichiarazioni, ma certo gli incontri informali, a casa o in un caffè, si potrà sempre trovare il modo di tenerli segreti». Quello di Pisicchio sarebbe comunque un passo verso un registro sul modello delle istituzioni europee, dove c’è il “Registro per la Trasparenza”, un database dove sono iscritte quasi 10mila lobby, di tutti i Paesi, Italia inclusa. Se ne iscrivono 50 ogni settimana tra uffici di consulenza, gruppi di categoria, di settore, dell'industria o studi legali, liberi professionisti, associazioni professionali, charity e ovviamente ong e gruppi religiosi.E proprio al modello europeo pensa il professor Petrillo che ancora a Annalisa Chirico de Il Foglio dice: «Non serve l’ennesimo albo professionale, io li abolirei tutti. Basterebbe introdurre un registro, sul modello europeo, fissando criteri di accesso trasparenti». Parlamentari e ministri, però, dovrebbero poi esser obbligati «a tenere un’agenda conoscibile degli incontri con i portatori di interesse». Il cittadino così potrebbe valutare la frequenza degli incontri e gli effetti sulle norme approvate. Sui finanziamenti, invece: «Le lobby non dovrebbero finanziare le campagne elettorali», dice ancora il professore. Ma qui l’orientamento è diverso. Nessuna delle leggi presentate affronta il tema, che d’altronde è stato normato con la riforma del finanziamento dei partiti, mantenendo solo il 2 per mille come forma di finanziamento pubblico e consentendo i finanziamenti privati anche da società e associazioni.Fonte: Luca Sappino, L'Espressohttp://goo.gl/EiQrGo

Imprese - Lobbyingitalia

Lo scandalo ha messo in risalto l’immobilismo del Parlamento sulla regolamentazione delle lobby e del conflitto d’interessiScoppia il caso Guidi e la mancata regolamentazione dell’attività di lobby torna alla ribalta del dibattito politico e con essa anche la riforma delle norme in materia di conflitto di interessi.Il testo base sulle lobby (S. 1522 e conn.) giace da mesi in commissione Affari Costituzionali al Senato dove è stato continuamente posticipato il termine per la presentazione degli emendamenti senza poi fare alcun passo avanti. Circa un mese fa era stata avanzata l’ipotesi di trasferirlo direttamente all’interno del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza (S. 2085), per consentirne un’accelerazione dell’iter, ma l’ipotesi è tramontata pare definitivamente.Alla fine di febbraio, invece, la Camera ha approvato in prima lettura una proposta di legge volta a superare l’attuale e contestatissima legge in materia di conflitto di interessi, emanata sotto il governo Berlusconi (C.275 e abb.). Il provvedimento, inoltrato all’altro ramo del Parlamento, non è ancora ancora calendarizzato.Ci si interroga adesso, di fronte alle vicende che hanno portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, cosa sarebbe successo se questi due provvedimenti fossero già diventati legge.Se fosse stato operativo il registro di chi svolge attività di lobbying, il compagno della ex ministro Federica Guidi avrebbe dovuto e potuto esservi regolarmente iscritto ed avrebbe dovuto dichiarare in maniera trasparente i suoi scopi professionali e i suoi clienti. In questo caso il conflitto d’interessi sarebbe stato immediatamente evidente e, di conseguenza, sarebbe stato molto difficile coprire i motivi che hanno portato l’emendamento sotto i riflettori dei media.Il riconoscimento ed una buona regolamentazione delle lobby e norme chiare ed inequivocabili in materia di conflitto di interessi, potrebbero per il futuro impedire che clientelismo e nepotismo si instaurino in un sottobosco di opacità in cui è lecito far passare leggi in virtù di un’amicizia e non di un interesse pubblico.Fonte: Polit'xhttp://goo.gl/922bUZ

Imprese - Lobbyingitalia

LOBBYINGITALIA
NEWS