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Che fine ha fatto il "ddl lobbying"? Lo chiedono anche i lobbisti
Scritto il 2016-01-12 da Redazione su Italia

Un articolo di Public Policy a cura di Fabio Napoli fa il punto sulla situazione attuale della regolamentazione delle lobby in Italia, ancora in attesa di passi decisi in questa direzione da parte del Governo.

In questa legislatura se ne sono occupati sia il governo Letta che quello Renzi ma una vera regolamentazione delle lobby stenta ancora a partire.

Per ora il ddl che se ne occupa è ancora fermo in prima lettura in commissione Affari costituzionali del Senato. Dopo il quinto slittamento del termine per presentare gli emendamenti i gruppi parlamentari hanno presentato - a giugno 2015 - circa 250 emendamenti che attendono di essere votati. Il ddl, se tutto va bene, dovrebbe essere esaminato dopo la proposta di legge sul terzo settore, in via di esame in 1a commissione.

Eppure era l'aprile del 2014 quando il governo Renzi inserì la regolamentazione delle lobby nel Piano nazionale di riforme (una delle tre parti del Def). L'esecutivo avrebbe dovuto licenziare un ddl a giugno di quell'anno, termine poi slittato a settembre.

Arrivato l'autunno il governo abbandonò il progetto di un disegno di legge governativo per puntare sui progetti depositati in Parlamento. Ancora prima ci aveva provato il governo Letta, con un apposito ddl governativo, più volte approdato in Cdm e mai uscito da Palazzo Chigi. Il ddl dell'esecutivo, dopo diversi tavoli di lavoro, sembrava essere pronto per essere licenziato quando il 5 luglio 2013 l'allora premier Enrico Letta annunciò il rinvio e la decisione di affidare al ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi il compito di fare "una ricognizione sulla regolamentazione delle lobby a livello europeo" che non venne mai portata a termine.

Intanto, sui vari canali di comunicazione i professionisti del settore non perdono occasione di confrontarsi sulla necessità di una regolamentazione del settore, anche avviando interessanti discussioni su Twitter aperte alla partecipazione di lobbisti e consulenti per i public affairs, o condividendo le ultime notizie italiane e internazionali sulle best practice di regolamentazione del settore. Servirà però un deciso intervento di Palazzo Chigi per compiere i primi passi verso una normativa nazionale.

Tutti i disegni di legge sono fermi, a dispetto delle intenzioni più volte dichiarate, così come la legge sul conflitto di interessi. Ma ora il governo, per riscattarsi dal caso Guidi, dice di volere intervenire"Dobbiamo cercare di arrivare ad avere una legge», dice Maria Elena Boschi. Come impegno è un po’ poco, ma il messaggio che il ministro vuole mandare dalle poltrone dello studio di Porta a porta è che il governo intende accelerare sulla legge che dovrebbe regolare il rapporto tra i parlamentari e i lobbisti, i portatori di interessi che lavorano per aziende, multinazionali, categorie professionali o sociali.Legge che non c’è e la cui assenza è illuminata dalla vicenda di Federica Guidi, dalle telefonate tra l’ex ministro dello Sviluppo economico, già accusata di conflitto di interessi per via dell’azienda di famiglia, Ducati Energie, e il suo compagno, Gianluca Gemelli, accusato di «traffico di influenze illecite».L'accusa di Gemelli cita l’articolo 346 bis del codice penale, un reato voluto dal ministro Cancellieri che però da solo non regolamenta le molteplici forme con cui le lobby si interfacciano con le istituzioni, ed è insufficiente a definire i confini di quella che potremmo considerare un’attività di lobby positiva, come nota Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli di Roma: «Si è introdotto il reato di traffico, che descrive il lobbying illecito, senza tracciare prima i confini del lobbying lecito».Per ora però le intenzioni, ribadite da Boschi, non hanno prodotto molto. Sono quasi due anni che la commissione Affari costituzionali del Senato ha in mano una serie di testi sulla materia, più o meno stringenti. Ed è quasi un anno che tra le dodici diverse proposte è stato individuato un testo base, quello dell’ex Cinque Stelle Luis Orellana, su cui sono stati presentati circa 250 emendamenti.«Ma non sono neanche ancora stati raccolti in un fascicolo», dice all’Espresso Orellana, «tant’è che non ho potuto ancora leggerli, non essendo io membro della prima commissione». Dopo le dichiarazioni di Maria Elena Boschi i più scommettono che la presidente Anna Finocchiaro faccia riprendere l’iter, perché nel merito non se ne discute da giugno 2015, salvo l’impegno messo a verbale nella seduta del 25 novembre scorso, quando la commissione si riprometteva di «riprendere l’esame del disegno di legge».Cosa mai successa. Tra gli aspetti positivi del testo di Orellana c’è il cosiddetto divieto “revolving doors": il rappresentate o il dirigente dell’istituzione pubblica, se cambia lavoro, non potrà diventare lobbista, almeno per due anni.A parziale discolpa dei senatori bisogna dire che la commissione ha prima dedicato molti mesi alla riforma costituzionale e poi ora ha sotto esame, tra le altre, la legge sul conflitto di interessi già approvata alla Camera (anche questa sarebbe stata utile nel caso Guidi, anche se il testo in questione non avrebbe impedito la nomina della vicepresidente di Confidustria) e la riforma della legge sul sostegno all’editoria. Comunque, mentre si attende di capire come il governo voglia concretizzare l’impegno dichiarato e se la commissione del Senato possa accelerare, la Camera dei deputati potrebbe esser la prima a intervenire.Un testo fotocopia di quello di Orellana è stato infatti presentato anche Montecitorio dalla deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, anche se il successo per ora è lo stesso. Scarso: presentata a ottobre 2015, assegnata alla prima commissione, l'iter non è cominciato. Più fortunato potrebbe esser invece Pino Pisicchio. La giunta per il regolamento, infatti, venerdì 8 aprile chiude il termine per la presentazione degli emendamenti al testo che porta la firma del deputato centrista e che punta a istituire «un registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati». Sarebbe solo un protocollo, e durerebbe solo fino alla fine della legislatura (questo perché altrimenti dovrebbe passare al voto dell’aula) ma sarebbe un primo passo avanti: «Molto piccolo», commenta Orellana, «perché a differenza di quello che potrebbe fare una legge vera e propria riguarda solo i deputati e non tutti gli altri decisori pubblici su cui i portatori di interessi esercitano le loro legittime pressioni. Non c’è il governo, tanto per cominciare e quindi non ci sarebbe stata la Guidi, e non ci sono i dirigenti dei ministeri che spesso sono più preziosi di noi parlamentari». «Entro la fine di aprile possiamo approvarlo», dice comunque Pisicchio. E almeno sapremmo chi può entrare a Montecitorio oltre ai deputati e ai giornalisti.Con il protocollo della Camera, non si risolve certo il tema degli incontri fuori dalle istituzioni, né il tema dei finanziamenti delle aziende alla politica, che d’altronde non risolve neanche il testo Orellana che prevede sanzioni per chi non si iscrive ai registri e l’obbligo per i portatori di interessi di pubblicare un annuale report su chi si è incontrato e perché. «Si potrebbe inserire anche l’obbligo di un report per i decisori pubblici», ragiona Orellana con l’Espresso, «così da incrociare i dati e verificare le dichiarazioni, ma certo gli incontri informali, a casa o in un caffè, si potrà sempre trovare il modo di tenerli segreti». Quello di Pisicchio sarebbe comunque un passo verso un registro sul modello delle istituzioni europee, dove c’è il “Registro per la Trasparenza”, un database dove sono iscritte quasi 10mila lobby, di tutti i Paesi, Italia inclusa. Se ne iscrivono 50 ogni settimana tra uffici di consulenza, gruppi di categoria, di settore, dell'industria o studi legali, liberi professionisti, associazioni professionali, charity e ovviamente ong e gruppi religiosi.E proprio al modello europeo pensa il professor Petrillo che ancora a Annalisa Chirico de Il Foglio dice: «Non serve l’ennesimo albo professionale, io li abolirei tutti. Basterebbe introdurre un registro, sul modello europeo, fissando criteri di accesso trasparenti». Parlamentari e ministri, però, dovrebbero poi esser obbligati «a tenere un’agenda conoscibile degli incontri con i portatori di interesse». Il cittadino così potrebbe valutare la frequenza degli incontri e gli effetti sulle norme approvate. Sui finanziamenti, invece: «Le lobby non dovrebbero finanziare le campagne elettorali», dice ancora il professore. Ma qui l’orientamento è diverso. Nessuna delle leggi presentate affronta il tema, che d’altronde è stato normato con la riforma del finanziamento dei partiti, mantenendo solo il 2 per mille come forma di finanziamento pubblico e consentendo i finanziamenti privati anche da società e associazioni.Fonte: Luca Sappino, L'Espressohttp://goo.gl/EiQrGo

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Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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Più trasparenza anche per i decisori pubblici e esatta definizione degli oneri statali derivanti dall'istituzione di un Registro dei lobbisti: sono queste le principali modifiche all'emendamento 47.0.9 al ddl Concorrenza, attualmente in discussione presso la 10a Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato. L'emendamento, presentato dai senatori Orellana e Battista (Gruppo per le Autonomie), introduce un nuovo articolo 47-bis dal titolo "Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici". La riformulazione è arrivata dopo la pronuncia della Commissione Bilancio del Senato che nei giorni scorsi ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione - quello relativo all'equilibrio di bilancio - la prima formulazione (di cui potete trovare qui il testo: Emendamento lobby ddl Concorrenza_testo1_inammissibile). Il nuovo testo presenta poche modifiche, una delle quali molto importante che va a colmare una lacuna del testo iniziale. Si tratta del nuovo comma 11, relativo agli obblighi di rendicontazione mensile degli incontri avvenuti con i lobbisti o portatori di interessi per i decisori pubblici . Inoltre, è introdotto l'obbligo di dichiarare la situazione patrimoniale e l'appartenenza a associazioni o movimenti: 11. Il decisore pubblico è tenuto a trasmettere al Comitato ogni informazione relativa alla propria situazione patrimoniale, l'appartenenza ad associazioni o movimenti, nonché, con cadenza mensile, l'elenco dei rappresentanti di interessi incontrati nell'ambito della propria attività istituzionale. Il Comitato rende pubblici tali dati, entro 30 giorni dalla ricezione, nell'apposita sezione del sito internet dedicato. E' stato poi introdotto il comma 19, relativo alla definizione degli oneri derivanti dalle disposizioni relative all'istituzione del Registro dei portatori di interesse, di cui al comma 4. In particolare, gli oneri per lo Stato sono definiti in 500.000 euro a decorrere dal 2016, detratti dal Fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per l'anno 2016: 19. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 4, valutati in 500.000 euro, a decorrere dal 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del Fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.» Qui potete trovare il testo completo dell'emendamento riformulato, su cui la Commissione Bilancio deve ancora esprimersi: Emendamento lobby ddl Concorrenza_testo2. Al momento la Commissione ha sospeso il proprio giudizio su tutte le riformulazioni. Impressioni: che il testo sia un buon passo in avanti verso una normativa nazionale sul lobbying è un dato di fatto. Segnale ancora più incoraggiante di una reale volontà politica di legiferare sul tema è la riformulazione e reiterazione dell'emendamento dopo la bocciatura del primo testo da parte della commissione Bilancio. Di certo sarebbe stato molto più ambizioso inserire previsioni già presenti in altri sistemi (in particolare quelli anglosassoni) come la specifica inclusione nei rappresentanti di interessi di ONG e associazioni di enti, l’inclusione della dicitura “portatori di interessi”, per evitare che ci si riferisca unicamente ai consulenti, il divieto di success fee tratto dalla normativa canadese, l'obbligo di consultazione telematica, l'introduzione di disposizioni provvisorie per far entrare subito in vigore le norme, l'eliminazione dell’esclusione dei giornalisti professionisti e pubblicisti.. Non è comunque da escludere che possano intervenire modifiche integrative al testo da parte del Relatore. Ma il principio del "passo dopo passo" potrebbe fare al caso dei lobbisti, con l'approvazione di una legge che consentirebbe alla democrazia di svolgersi in modo più trasparente e partecipativo.  

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