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Regolamentare le lobbies: serve una legge, non bastano gli interna corporis (Mondoperaio)
Scritto il 2014-05-22 da lobbyingitalia su Italia

(Giampiero Buonuomo) Secondo l’agenzia Public Policy, un disegno di legge sulle lobbies – all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri circa dieci mesi fa – è stato rinviato sine die in ragione del fatto che il cuore stesso del lobbismo, il Parlamento nazionale, non potrebbe soffrire una regolamentazione diversa da quella derivante dagli organi interni delle Camere (gli Uffici di presidenza, i quali peraltro in sessant’anni di storia repubblicana si sono guardati bene dall’esercitare questo potere). Quel che è peggio, ad analoga iniziativa del governo Renzi si opporrebbe la sopravvivenza dell’autodichia, che sarebbe stata consacrata dalla sentenza n. 120 del 2014 (relatore G. Amato) e che osterebbe ad ogni ingerenza nel “dominio riservato” delle Camere senza attivare prima un conflitto di attribuzioni.

In effetti con la sentenza n. 120 del 2014 la Corte costituzionale si è riservata la possibilità di decidere – se adeguatamente investita mediante lo strumento del conflitto di attribuzioni – quali siano le norme interne alle Camere, in “nesso funzionale” con l’attività parlamentare che possono impedire l’accesso al giudice esterno perché rientrano appieno nell’esaustiva capacità qualificatoria del regolamento parlamentare. La sentenza Amato ha definitivamente sepolto la tesi “geografica”, indicando quella del “nesso funzionale” tra guarentigia ed attività propria delle Camere: una tesi che era stata sostenuta da alcuni disegni di legge della scorsa legislatura, ripresi nella presente dal senatore Buemi ed illustrati da Testa-Gerardi, Parlamento zona franca, Rubbettino, 2013.

Eppure, se su altri ambiti il dubbio è legittimo, è semplicemente inaudito che si debba arrivare al contenzioso costituzionale per accertare se spetti o no alla legge “esterna” disciplinare la rappresentanza di interessi nelle sedi istituzionali. Ci sarebbe da chiedersi a chi giovi una tesi così autolesionista, che crede utile avvolgere Gulliver in una ragnatela: come se, adducendo immotivate resistenze pseudo-istituzionali, si volesse giustificare un passato inerziale, piuttosto che guardare alle prospettive future della modernizzazione politica nel nostro paese.

Seguendo l’accezione “geografica” dell’autodichia, finora la regolamentazione delle lobbies è stata sottratta alla legge, ma soltanto in virtù di un’interpretazione estensiva del tutto impropria: lo dimostra il fatto che gli Stati Uniti d’America disponevano di un Federal Regulation of Lobbying Act già nel 1946 (che Clinton inasprì con il Lobbying and Disclosure Act of 1995), e che Lobbying Act esistono in moltissimi ordinamenti di stampo anglosassone. Persino la “madre di tutti i Parlamenti”, la Camera dei comuni, ha proceduto a disciplinare la materia con legge nel gennaio scorso: la polemica condotta da Ed Milliband contro il testo è stata, semmai, volta a renderne più stringenti le previsioni.

Non è necessario sottolineare i vantaggi che le esigenze di certezza del diritto – prima che delle stesse garanzie dei soggetti coinvolti nel rapporto di lobbying – ricaverebbero dal sottrarre la materia al cono d’ombra nel quale attualmente esse vive, alimentando pratiche ad alto rischio di fraintendimento; ci si limita a richiamare la nozione di “scambio politico” dei nostri elitisti di inizio Novecento, nonché la critica (immortalata da Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia) alla nozione rousseauviana della volontà generale, che annega i moventi del rapporto tra ceti dirigenti e classe politica in un’indistinta notte in cui tutte le vacche sono nere.

Piuttosto va considerato quanto sia inefficace rimettere la normazione in materia all’autocrinia delle Camere (invece di coinvolgerle, come sarebbe giusto, solo nella sua applicazione): non soltanto perché si tratta di uno dei termini del rapporto (il che – di tutta evidenza – spiega anche perché sinora il Parlamento abbia scelto la tattica inerziale); soprattutto perchè l’inefficacia riposa nel fatto che ad ogni regolamentazione corrisponde una possibilità di violazione e ad ogni violazione una possibilità di sanzione.

Nella sua propensione al mito esterofilo, la nostra cultura giuridica approccia la questione delle sanzioni parlamentari verso i terzi richiamando la cella in cui, ancora a fine Ottocento, a Westminster era conservato un posto per chi fosse dichiarato in contempt of the House. Già all’epoca la trasposizione dell’istituto della “autodichia geografica” nella nostra realtà aveva avuto riflessi macchiettistici, come dimostrò il suo utilizzo, nell’estate 1943, da parte del generale Cavallero, a palazzo Madama per evitare le retate badogliane (Ferrari Zumbini, Appunti e spunti per una storia del Parlamento come amministrazione. Il Senato, in “Rivista di storia del Diritto italiano”, 1987).

Ma il mito è stato scardinato dalla moderna declinazione a tutto campo del principio del giusto processo: per restare ai precedenti stranieri, lo smantellamento del presupposto immunitario è avvenuto ad opera del Report of joint committee on parliamentary privilege di Lord Nicholls, nella sessione parlamentare inglese 1998-99; proprio il 7 maggio scorso, a Washington, s’è avuta la trasmissione all’Attorney General del fascicolo del funzionario renitente alla testimonianza dinanzi ad una commissione del Congresso statunitense, affinché la giustizia ordinaria faccia il suo corso.

Da noi il giudice Mezzanotte, da relatore nel 1996 della capostipite sentenza n. 379, quei medesimi princìpi invocò, affinché anche nel micro-ordinamento parlamentare avesse ingresso la “grande regola” dello Stato di diritto. Ancora il 19 maggio scorso, al convegno svoltosi a palazzo della Consulta sugli organi costituzionali, s’è adombrato il rischio di una delegittimazione istituzionale se, come ha detto il giudice costituzionale Marta Cartabia, “non si riconduce l’autonomia a sistema”.

E stiamo ancora a farci domande oziose su quale strumento normativo debba disciplinare il lobbying?

La legge, e solo la legge, può imporre prestazioni personali o patrimoniali coattive (articolo 23 Cost.): sottoporsi ad un controllo dei requisiti di abilitazione per entrare nei Palazzi, firmare un registro per accedere in un locale “dedicato”, dichiarare un contributo economico ad un partito o una misura di sostegno elettorale ad un candidato, sono tutte operazioni la cui imposizione comporta una coercizione e la cui violazione comporta una possibilità di sanzione. Bene sarebbe mantenere – nello spirito del diritto penale minimo, che informa la politica legislativa degli Stati moderni – queste sanzioni per lo più a livello meramente amministrativo: ma anche un ritiro di passi, una fideiussione incamerata, una pubblica reprimenda richiedono un giudice a cui far capo, per dolersi di cattive applicazioni della legge.

Sarà un giudice civile, se vogliamo far prevalere l’aspetto di diritto “civile e politico” di cui all’articolo 5 dell’allegato E della legge 20 marzo 1865, n. 2248; sarà un Tar, se vogliamo far prevalere la “giustizia nell’amministrazione” e sottoporre a scrutinio decisioni che sono imputabili ad un soggetto amministrativo investito di pubblici poteri. Ma un giudice esterno dovrà essere. O vogliamo veramente rimettere la concessione e la revoca di queste decisioni, ed altre consimili che coinvolgono soggetti rappresentativi di interessi (anche economici), al bacio della pantofola, nel chiuso degli interna corporis?

Fonte: Mondoperaio

Sono circa 40 gli emendamenti presentati, nella Giunta del regolamento della Camera, al cosiddetto codice etico e all'ipotesi di regolamentazione delle lobby. Nel dettaglio circa 20 emendamenti sono stati presentati al codice etico e altrettanti ne sono stati presentati alla ipotesi di regolamentazione delle lobby. In quest'ultimo caso la maggior parte delle proposte di modifica sono arrivate dal Movimento 5 stelle. Tra questi, uno che prevede una serie di sanzioni: divieto di accesso alle sedi della Camera per un periodo da 30 giorni a 3 anni; cancellazione dal registro dei lobbisti per un periodo da 30 giorni a 3 anni. Sono queste infatti, secondo un emendamento del Movimento 5 stelle, le sanzioni che l'Ufficio di presidenza della Camera potrà irrogare ai lobbisti che violano le disposizioni del regolamento. L'emendamento è stato presentato all'ipotesi di regolamentazione delle lobby all'esame della Giunta del regolamento. Il testo attualmente prevede, nella parte relativa alle sanzioni, solo un rimando a decisioni dell'Ufficio di presidenza. Lo stesso emendamento prevede per il deputato che partecipi ad incontri con lobbisti non debitamente comunicati una decurtazione dal 10% dell'indennità parlamentare mensile fino a sei volte l'indennità parlamentare mensile, "e, in caso di inadempienza reiterata - si legge - la sanzione della interdizione a partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da uno a tre mesi". Al gruppo parlamentare del deputato che partecipi ad incontri con lobbisti non debitamente comunicati l'emendamento M5s prevede una decurtazione del 3% del contributo finanziario unico e onnicomprensivo a carico del bilancio della Camera per ogni incontro non comunicato o comunicato erroneamente o parzialmente. Il testo Pisicchio Più in generale, la bozza di regolamentazione delle lobby depositata nella Giunta del regolamento della Camera dal relatore Pino Pisicchio, prevede che il registro, che sarà pubblicato sul sito della Camera, contenga: i dati anagrafici e il domicilio professionali del lobbista; la descrizione dell'attività di relazione istituzionale che si intende svolgere; i soggetti istituzionali che si intendono contattare. Per poter essere iscritti al registro il rappresentante di interessi deve: essere maggiorenne, non avere subito negli ultimi dieci anni condanne definitive per reati contro la pubblica fede o il patrimonio; godere dei diritti civili e non essere stato interdetto dai pubblici uffici. La stessa disciplina - specifica la bozza - si applica anche agli ex parlamentari che intendano svolgere attività di lobbying. In merito al divieto per i deputati di ricevere doni superiori ai 200 euro (novità questa, contenuta nel codice etico), la bozza precisa che gli eventuali doni di valore inferiore, ricevuti dai deputati in qualità di rappresentanti della Camera, dovranno essere consegnati al presidente e trattati secondo modalità che verranno definite dall'Ufficio di presidenza. Fonte: Public Policy

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Tutti i disegni di legge sono fermi, a dispetto delle intenzioni più volte dichiarate, così come la legge sul conflitto di interessi. Ma ora il governo, per riscattarsi dal caso Guidi, dice di volere intervenire"Dobbiamo cercare di arrivare ad avere una legge», dice Maria Elena Boschi. Come impegno è un po’ poco, ma il messaggio che il ministro vuole mandare dalle poltrone dello studio di Porta a porta è che il governo intende accelerare sulla legge che dovrebbe regolare il rapporto tra i parlamentari e i lobbisti, i portatori di interessi che lavorano per aziende, multinazionali, categorie professionali o sociali.Legge che non c’è e la cui assenza è illuminata dalla vicenda di Federica Guidi, dalle telefonate tra l’ex ministro dello Sviluppo economico, già accusata di conflitto di interessi per via dell’azienda di famiglia, Ducati Energie, e il suo compagno, Gianluca Gemelli, accusato di «traffico di influenze illecite».L'accusa di Gemelli cita l’articolo 346 bis del codice penale, un reato voluto dal ministro Cancellieri che però da solo non regolamenta le molteplici forme con cui le lobby si interfacciano con le istituzioni, ed è insufficiente a definire i confini di quella che potremmo considerare un’attività di lobby positiva, come nota Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli di Roma: «Si è introdotto il reato di traffico, che descrive il lobbying illecito, senza tracciare prima i confini del lobbying lecito».Per ora però le intenzioni, ribadite da Boschi, non hanno prodotto molto. Sono quasi due anni che la commissione Affari costituzionali del Senato ha in mano una serie di testi sulla materia, più o meno stringenti. Ed è quasi un anno che tra le dodici diverse proposte è stato individuato un testo base, quello dell’ex Cinque Stelle Luis Orellana, su cui sono stati presentati circa 250 emendamenti.«Ma non sono neanche ancora stati raccolti in un fascicolo», dice all’Espresso Orellana, «tant’è che non ho potuto ancora leggerli, non essendo io membro della prima commissione». Dopo le dichiarazioni di Maria Elena Boschi i più scommettono che la presidente Anna Finocchiaro faccia riprendere l’iter, perché nel merito non se ne discute da giugno 2015, salvo l’impegno messo a verbale nella seduta del 25 novembre scorso, quando la commissione si riprometteva di «riprendere l’esame del disegno di legge».Cosa mai successa. Tra gli aspetti positivi del testo di Orellana c’è il cosiddetto divieto “revolving doors": il rappresentate o il dirigente dell’istituzione pubblica, se cambia lavoro, non potrà diventare lobbista, almeno per due anni.A parziale discolpa dei senatori bisogna dire che la commissione ha prima dedicato molti mesi alla riforma costituzionale e poi ora ha sotto esame, tra le altre, la legge sul conflitto di interessi già approvata alla Camera (anche questa sarebbe stata utile nel caso Guidi, anche se il testo in questione non avrebbe impedito la nomina della vicepresidente di Confidustria) e la riforma della legge sul sostegno all’editoria. Comunque, mentre si attende di capire come il governo voglia concretizzare l’impegno dichiarato e se la commissione del Senato possa accelerare, la Camera dei deputati potrebbe esser la prima a intervenire.Un testo fotocopia di quello di Orellana è stato infatti presentato anche Montecitorio dalla deputata di Scelta Civica Adriana Galgano, anche se il successo per ora è lo stesso. Scarso: presentata a ottobre 2015, assegnata alla prima commissione, l'iter non è cominciato. Più fortunato potrebbe esser invece Pino Pisicchio. La giunta per il regolamento, infatti, venerdì 8 aprile chiude il termine per la presentazione degli emendamenti al testo che porta la firma del deputato centrista e che punta a istituire «un registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati». Sarebbe solo un protocollo, e durerebbe solo fino alla fine della legislatura (questo perché altrimenti dovrebbe passare al voto dell’aula) ma sarebbe un primo passo avanti: «Molto piccolo», commenta Orellana, «perché a differenza di quello che potrebbe fare una legge vera e propria riguarda solo i deputati e non tutti gli altri decisori pubblici su cui i portatori di interessi esercitano le loro legittime pressioni. Non c’è il governo, tanto per cominciare e quindi non ci sarebbe stata la Guidi, e non ci sono i dirigenti dei ministeri che spesso sono più preziosi di noi parlamentari». «Entro la fine di aprile possiamo approvarlo», dice comunque Pisicchio. E almeno sapremmo chi può entrare a Montecitorio oltre ai deputati e ai giornalisti.Con il protocollo della Camera, non si risolve certo il tema degli incontri fuori dalle istituzioni, né il tema dei finanziamenti delle aziende alla politica, che d’altronde non risolve neanche il testo Orellana che prevede sanzioni per chi non si iscrive ai registri e l’obbligo per i portatori di interessi di pubblicare un annuale report su chi si è incontrato e perché. «Si potrebbe inserire anche l’obbligo di un report per i decisori pubblici», ragiona Orellana con l’Espresso, «così da incrociare i dati e verificare le dichiarazioni, ma certo gli incontri informali, a casa o in un caffè, si potrà sempre trovare il modo di tenerli segreti». Quello di Pisicchio sarebbe comunque un passo verso un registro sul modello delle istituzioni europee, dove c’è il “Registro per la Trasparenza”, un database dove sono iscritte quasi 10mila lobby, di tutti i Paesi, Italia inclusa. Se ne iscrivono 50 ogni settimana tra uffici di consulenza, gruppi di categoria, di settore, dell'industria o studi legali, liberi professionisti, associazioni professionali, charity e ovviamente ong e gruppi religiosi.E proprio al modello europeo pensa il professor Petrillo che ancora a Annalisa Chirico de Il Foglio dice: «Non serve l’ennesimo albo professionale, io li abolirei tutti. Basterebbe introdurre un registro, sul modello europeo, fissando criteri di accesso trasparenti». Parlamentari e ministri, però, dovrebbero poi esser obbligati «a tenere un’agenda conoscibile degli incontri con i portatori di interesse». Il cittadino così potrebbe valutare la frequenza degli incontri e gli effetti sulle norme approvate. Sui finanziamenti, invece: «Le lobby non dovrebbero finanziare le campagne elettorali», dice ancora il professore. Ma qui l’orientamento è diverso. Nessuna delle leggi presentate affronta il tema, che d’altronde è stato normato con la riforma del finanziamento dei partiti, mantenendo solo il 2 per mille come forma di finanziamento pubblico e consentendo i finanziamenti privati anche da società e associazioni.Fonte: Luca Sappino, L'Espressohttp://goo.gl/EiQrGo

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Pisicchio, autore del testo per la Camera: «Ma ormai puntano sui palazzi del governo»Quanti siano i lobbisti che si aggirano silenziosi e occhiuti nei corridoi del Parlamento nessuno lo sa. A dicembre, quando la legge di Stabilità arrivò in Senato all’«ultimo miglio», quello dell’«assalto alla diligenza», il presidente Pietro Grasso provò a contare i lobbisti, confinandoli tra i banchi della commissione Sanità. Lontana, ma non troppo, dai senatori della Bilancio destinatari degli emendamenti dell’ultimo minuto da inserire nella Finanziaria 2016.E ora che il caso petrolio/ Basilicata torna ad accendere i riflettori sui rapporti tra governo/Parlamento e la popolazione carsica di lobbisti, la giunta del Regolamento della Camera presieduta da Laura Boldrini prova a varare entro aprile il «Codice di condotta dei deputati» e il «Regolamento dell’attività di lobbying». L’incarico di stendere un testo, prima che venissero pubblicate le intercettazioni del ministro Federica Guidi, è stato affidato a un veterano di Montecitorio, il presidente del gruppo Misto Pino Pisicchio, che entro venerdì raccoglierà gli emendamenti dei gruppi per poi proporre alla giunta l’articolato definitivo, che non dovrà passare dall’Aula.Il «Registro» delle attività alla CameraLa bozza Pisicchio prevede l’istituzione di un Registro delle attività di relazione istituzionale svolte tra le mura della Camera che riguarderà «persone, associazioni, enti e società» che avanzano «proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi comunicazione anche per via elettronica intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri della Camera».Per essere iscritto al Registro, il lobbista, che non deve avere subito nell’ultimo decennio condanne definitive per reati contro la pubblica fede e contro il patrimonio, dovrà chiarire quali sono i suoi «interessi» e chi sono i deputati che intende contattare. Inoltre dovrà consegnare relazioni semestrali sulla sua attività che poi saranno pubblicate sul sito della Camera. Le sanzioni per la violazione del Regolamento verranno stabilite di volta in volta dall’Ufficio di presidenza. Le regole valgono anche per gli ex parlamentari, spesso arruolati come lobbisti.Il «Codice» di condottaParallelamente, la giunta del Regolamento voterà entro aprile il Codice di condotta dei deputati che introduce nuove norme di trasparenza: si possono accettare doni con un valore inferiore ai 250 euro fatti salvi, però, i «rimborsi delle spese di viaggio, alloggio e soggiorno di deputati ai pagamenti diretti di dette spese da parte di terzi quando i deputati partecipano sulla base di un invito e nell’esercizio delle loro funzioni a eventi organizzati da terzi». Viene inoltre istituito il Comitato consultivo sulla condotta dei deputati che può disporre la pubblicità dei comportamenti scorretti sul sito della Camera. Pisicchio conta sull’appoggio di tutti i gruppi, già consultati: «Tuttavia — osserva — non bisogna dimenticare che da anni i lobbisti puntano, più che sul Parlamento, sui palazzi del governo».Fonte: Dino Martirano, Corriere della Serahttp://goo.gl/KEhOOH

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