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Lobby, nel DEF prevista riforma a giugno
Scritto il 2014-04-09 da lobbyingitalia su Italia

"Definire" a giugno 2014 "un provvedimento legislativo per regolare le lobby e le relazioni fra gruppi di interesse e istituzioni, a tutti i livelli". È quanto si legge nel Piano nazionale di riforme (una delle tre parti del Def) varato ieri dal Consiglio dei ministri. La riforma viene prevista tra quelle riportate nella sezione "Trasparenza e garanzia dei diritti". Del tema di una regolamentazione delle lobby in Parlamento, però, non il governo di Matteo Renzi a essersene occupato per primo. Infatti, già l'ex premier Enrico Letta aveva iniziato ad occuparsene con un apposito ddl governativo, più volte approdato in Cdm, ma mai uscito da Palazzo Chigi.

VITA E MORTE DEL DDL DEL GOVERNO LETTA

Il tema delle lobby è tornato alla ribalta a fine dicembre 2013, durante l'esame alla Camera della legge di Stabilità, dopo che il Movimento 5 stelle ha denunciato - con più post sul blog di Beppe Grillo - la presenza in Parlamento (e in particolare fuori dalle commissioni) di alcuni lobbisti. L'iter per regolamentare il settore parte il 24 maggio 2013 (sotto il governo Letta), quando il presidente del Consiglio presentò le linee sulle quali si doveva articolare il ddl in materia di attività delle lobbies e la rappresentanza degli interessi economici. Successivamente, il 5 giugno, a poco più di un mese dall'avvio dell'esecutivo, si è riunito a Palazzo Chigi un tavolo tra le maggiori società di lobbying italiane e il segretario generale alla presidenza del Consiglio dei ministri Roberto Garofoli, con l'obiettivo di redigere un testo che regolamentasse l'attività dei cosiddetti "portatori d'interessi"

Secondo le indiscrezioni, il provvedimento prevedeva l'iscrizione a un albo per i soggetti che intendessero "svolgere attività di rappresentanza di interessi particolari nei confronti dei decisori pubblici". L'albo doveva essere istituito presso l'Autorità garante della concorrenza, che ha avrebbe avuto anche il compito di redigere un codice deontologico. Per accedere nelle sedi delle istituzioni, comprese quelle degli enti locali, il portatore d'interesse - secondo il vecchio ddl - avrebbe dovuto munirsi di un tesserino di riconoscimento rilasciato "secondo le modalità definite da ciascuna amministrazione".

Tra gli obblighi previsti per i lobbisti anche quello di rendere le note le donazioni fatte ai partiti. Tra i punti sui quali il governo non è riuscito a trovare una sintesi c'era l'obbligo per i decisori pubblici di comunicare in una relazione annuale il nome dei lobbisti con i quali hanno intrattenuto relazioni e dai quali hanno ottenuto suggerimenti e consigli normativi, l'affidamento delle funzioni di controllo al Civit (ora trasformata in Anac) o all'Antitrust, e l'autodichia di Camera e Senato. Durante il Consiglio dei ministri del 5 luglio da cui sarebbe dovuto uscire il testo, a un mese esatto dalla riunione con i lobbisti a Palazzo Chigi, Letta annunciò che al ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi era stato affidato "il compito di fare una ricognizione sulla regolamentazione delle lobby a livello europeo". Una ricognizione, visto che del ddl se ne sono perse le tracce, evidentemente ancora in corso.

(Public Policy) @PPolicy_News

Amazon Italia ha nominato nel ruolo di Senior Public Policy Manager Franco Spicciariello, che va quindi a guidare le relazioni istituzionali centrali e locali del gigante dell’e-commerce e non solo.Amazon, dalla scorsa estate il maggior retailer al mondo, è una presenza importante nel mercato italiano, anche a seguito dei notevoli investimenti che hanno portato allo sviluppo dei propri Centri di Distribuzione a Castel San Giovanni nel novembre 2011, il proprio Customer Service a Cagliari nel 2013, oltre ad essere presente con i propri uffici anche a Milano dall’ottobre 2012, con un totale di oltre 700 persone in tutta Italia. Una presenza sempre più diffusa quindi, che ha portato l’azienda americana, fondata da Jeff Bezos nel 1995, ad ingaggiare il suo primo responsabile per i rapporti istituzionali in Italia.Spicciariello, manager classe 1972, si è laureato in Giurisprudenza e in Scienze della Comunicazione presso l’università LUMSA di Roma – dove oggi è docente di “Teorie e tecniche del lobbying istituzionale” alla facoltà di Giurisprudenza - specializzandosi poi presso Harvard e University of Massachusetts di Boston, e iniziando lì la propria carriera quale assistente parlamentare presso la State House del Massachusetts.Tornato in Italia, ha seguito le relazioni istituzionali di Confcooperative, a riporto del Segretario Generale, per poi andare ad occupare il ruolo di Head of Lobbying della società di consulenza di public affairs Reti Spa. Successivamente è stato ingaggiato da Microsoft Italia nel ruolo di Government Affairs Manager, posizione nella quale ha seguito le relazioni istituzionali locali e supportato il business verso il Public Sector.Nel 2008 fonda Open Gate Italia - di cui ora lascia il CdA - con altri due soci: l’ex capo delle strategie di Wind, Laura Rovizzi, e all’ex direttore della comunicazione di Sky, Tullio Camiglieri. Prima società italiana focalizzata sull’integrazione fra public & regulatory affairs e comunicazione strategica, la portano in pochi anni sul podio delle società di lobbying italiane, anche grazie ad alleanze internazionali con gruppi quali Grayling e Instinctif. In OGI Spicciariello ha seguito principalmente le practices ICT, sistema delle accise, food e sports business, con focus sulle attività di public affairs, PR e digital lobbying.   

Imprese - Lobbyingitalia

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

Imprese - Lobbyingitalia

(Public Policy) - Continua al Senato il lavoro dei relatori Salvatore Tomaselli (Pd) e Luigi Marino (Ap) per approntare il primo pacchetto di proprio emendamenti al ddl Concorrenza da presentare domani all'ora di pranzo in commissione Industria al Senato. Per quanto riguarda quello che dovrebbe introdurre norme sulle lobby, secondo quanto si apprende ci sarebbe un nuovo testo, molto "light", validato da Palazzo Chigi e che rimanderebbe il grosso del lavoro a un dpcm. Se l'originario e lunghissimo emendamento di Luis Orellana (ex M5s ora Autonomie) prevedeva l'istituzione di un registro nazionale pubblico a cui si dovrebbero iscrivere tutti i lobbisti, un codice etico e il divieto di svolgere attività di lobby ad esempio per giornalisti e amministratori delegati di aziende, il nuovo emendamento dei relatori dovrebbe essere molto snello e rimandare semplicemente l'istituzione del registro e la creazione di una normativa sulle lobby a un decreto del presidente del Consiglio. Il cambio di orientamento sul punto, si apprende, sarebbe dovuto a una contrarietà del ministro Maria Elena Boschi sul testo Orellana, che porterebbe quindi a un emendamento molto più snello, che riporterebbe in capo a Palazzo Chigi la scelta delle norme da attuare.

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