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I mejo lobbisti di Google (Formiche.net)
Scritto il 2014-04-15 da Gianluca Sgueo su World

Per chi lavorano i “mejo” lobbisti americani? Semplice: Google. Il colosso del web e dell’innovazione da qualche anno non ne sbaglia una. Merito anche di una strategia di lobbying mirata, efficace, aggressiva (quando serve) e sempre puntuale.

(1) Guardate qui. Google ha puntato anzitutto sugli investimenti in public affairs. Nel 2003 l’azienda era ben oltre la centesima posizione tra i top spenders. Appena 10 anni dopo è nella top 10, piazzandosi quarta per spesa complessiva. La professionalità si paga:

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(2) Assieme alla capacità di reclutare i migliori lobbisti e metterli in condizione di usufruire di budget faraonici, Google ha capito l’importanza della politica nazionale. Il secondo passo della strategia di lobbying è stato investire sulle donazioni elettorali:

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(3) Terzo passaggio della strategia è stata la creazione di un solido network di pensiero. Finanziando università, centri di ricerca, think tank, Google ha alimentato un dibattito vivace sui temi dell’innovazione e della tecnologia, e nel contempo si è garantita un posizionamento di immagine e reputazione niente affatto trascurabile. Se oggi il settore del “civic tech” cresce al ritmo del 23% l’anno, è merito anche degli investimenti dell’azienda:

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è il caso di dire, una volta ancora, che PR per “pranzi e ricevimenti” non basta più. Il lobbying è sempre più parte integrante di una strategia aziendale complessiva. Pensarlo, prima di metterlo in pratica, è un dovere di qualsiasi imprenditore.

Fonte: Formiche

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La normativa austriaca si concentra sui consulenti di lobbying e le imprese, fornendo meno obblighi di comunicazione a gruppi professionali e pubblici, e quasi nessun requisito per le parti socialiNel luglio 2012 l'Austria ha approvato il suo primo atto legislativo volto a disciplinare il rapporto tra gruppi di interesse e titolari di cariche pubbliche. Criticità della normativa sono proprio le definizioni di lobbista e di attività di lobbying. Per quanto riguarda la prima, abbiamo un elenco approssimativo di soggetti non facilmente determinabili (questo spalancherebbe le porte ai faccendieri della politica); invece la seconda viene indicata come “contatto organizzato e strutturato con titolari di cariche pubbliche finalizzati ad influenzare il processo decisionale nell’interesse di un committente”, senza specificare cosa si intende per “influenzare” il processo decisionale, un termine che l’opinione pubblica potrebbe facilmente ricondurre ad atti di malaffare. Positiva la presenza di un registro elettronico con i dati facilmente accessibili a tutti; elemento che però contraddistingue la normativa è la presenza di una co-responsabilità tra chi svolge attività di lobbying e il committente, dopo che siano stati accertati inadempimenti inerenti gli obblighi di registrazione e successivi aggiornamenti.La normativa è stata inoltre analizzata secondo un sistema empirico, che ha permesso di valutare ogni elemento della regolamentazione sulla base di una scala di valori. Applicando la metodologia sviluppata dal Centre of Public Integrity (CPI), i ricercatori suggeriscono che la regolamentazione possa essere caratterizzata da diversi livelli di rigorosità, che essi definiscono come robustezza. Secondo il livello di robustezza, le leggi di lobbying possono essere classificate in bassa, media e alta regolamentazione (Chari et al 2010:.Ch. 4). Su questa base è stata analizzata la normativa sul lobbying austriaca[1].La normativa austriacaSecondo le disposizioni della normativa austriaca, i lobbisti hanno esigenze diverse a seconda della natura degli interessi che essi rappresentano. In realtà, i lobbisti professionisti, i lobbisti  interni che lavorano per le imprese, le associazioni professionali, i gruppi pubblici e le parti sociali sono soggetti a disposizioni diverse. Gli obblighi di informativa, le regole e le sanzioni sono più severe per i primi (in ordine decrescente) e più leggere per gli ultimi. Di conseguenza, il livello di solidità è, per esempio, più elevato per i lobbisti professionisti e i lobbisti interni, e inferiore per le associazioni professionali, i gruppi pubblici e le parti sociali. La normativa austriaca del 2012 ha istituito un registro obbligatorio e un insieme formale di regole tra cui i requisiti di registrazione, alcuni requisiti informativi di spesa e le sanzioni in caso di inadempienza.La definizione di lobbistal'articolo 4 della legge introduce una serie di definizioni volta a chiarire il concetto di attività di lobbying, stabilendo i confini di applicazione della normativa. La normativa riguarda società di consulenza di lobbying (Lobbying Agenturen), gruppi aziendali (Unternehmenslobbyisten), gruppi professionali (Kammern) e gruppi pubblici (Verbände). Tutti i rappresentanti di interesse assunti da questi attori sono sottoposti alle regole stabilite quando si cerca di influenzare titolari di cariche pubbliche.L’attività di lobbyingAlla luce di queste categorie di attori, l’attività di lobbying è definita come: "qualsiasi contatto organizzato e strutturato con titolari di cariche pubbliche finalizzati ad influenzare il processo decisionale nell'interesse di un committente" (articolo 4, paragrafo 1; 2012). La normativa riguarda sia l’organo legislativo che quello esecutivo, compreso anche  il personale burocratico e titolari di cariche pubbliche di enti territoriali. Nonostante la vasta copertura delle regole, la legge presenta una vasta gamma di eccezioni. In realtà, i gruppi di interesse religioso e territoriali  e gli studi legali sono esentati. Le parti sociali sono sottoposti a una serie limitata di requisiti di registrazione, prevista inoltre l'esenzione dalle disposizioni in materia di sanzioni e di accumulo di ruolo (articolo 2, paragrafo 2-4).Procedure di iscrizione individualeIl regolamento stabilisce differenti requisiti di registrazione in base alla natura del gruppo di interesse. La sezione A (suddivisa in A1 e A2) è dedicata alla consulenza di lobbying. La sezione B ai lobbisti interni delle imprese, mentre, rispettivamente, la sezione C e D alle associazioni professionali e gruppi di interesse pubblico. Le parti sociali sono soggetti a disposizioni particolari. Nella sezione A le consulenze di lobbying e i consulenti devono registrarsi prima di stabilire i contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo le seguenti informazioni sulla società di lobbying: nome, numero di impresa, indirizzo, sito web e inizio dell'esercizio sociale. Si richiedono anche una breve descrizione delle attività e la missione della società. Inoltre, la società di lobbying deve adottare un codice di condotta interno, dichiarare il volume delle operazioni del precedente esercizio finanziario, rivelare il numero di contratti di lobbying accettati e fornire il nome e la data di nascita dei lobbisti.Nella sezione A2 i consulenti di lobbying devono rivelare i loro contratti di lobbying dichiarando il nome, il numero di impresa, l'indirizzo, il sito e l’inizio dell’anno di attività  sia del committente che del cliente. L'oggetto del contratto di lobbying deve essere dichiarato. La sezione A2 non è pubblica, il Ministro della Giustizia ha accesso esclusivo alle informazioni. Le terze parti sono autorizzate ad avere accesso a questi dati con il consenso precedente dal committente e del consulente. La sezione B richiede ai lobbisti interni delle imprese di registrarsi prima di stabilire contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo i seguenti dati: il nome della società, il numero di impresa, indirizzo, sito web e inizio dell’anno finanziario, una breve descrizione delle attività e la missione della società, il nome e la data di nascita dei lobbisti. Le imprese devono anche rivelare i costi connessi all'attività di lobbying nel corso dell'esercizio precedente, se questi superano l'importo di 100.000 €. Le imprese devono adottare un codice di condotta interno per i lobbisti interni.Nelle sezioni C e D si richiede  alle associazioni professionali e alle associazioni di interesse pubblico la registrazione prima di stabilire i contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo i seguenti dati: il nome, l'indirizzo e il sito web dell'organizzazione, il numero di  rappresentanti di interessi che sono attivi e una stima delle spese relative alla attività di rappresentanza di interessi. Contrariamente alle consulenze di lobby e ai lobbisti interni delle imprese, le associazioni professionali e le associazioni di interesse pubblico non sono tenuti a fornire ogni tipo di informazione personale. I requisiti di registrazione si limitano alla fornitura di informazioni di carattere generale e di contatto dell'associazione. Ciò rappresenta una grande differenza in termini di trasparenza, in quanto i consulenti di  lobbying e le imprese devono rivelare una quantità superiore di dati.Rendicontazione delle spese e dei clientiIl regolamento non comporta la regolare presentazione di rapporti di spesa.  I consulenti di lobbying devono indicare il volume annuo di vendite relative alle attività di lobbying sotto sezione A1 e le imprese devono dichiarare se i costi relativi alla lobbying superano i 100.000 € di cui alla sezione B.Archiviazione elettronica e accesso pubblico al registroIl Ministero della Giustizia Austriaco, che rappresenta l'autorità competente, fornisce ai gruppi di interesse e consulenti la registrazione on line. L’accesso al registro è pubblico per le sezioni A1, B, C e D. La sezione A2 contenente informazioni sul contratto di lobbying tra committenti e consulenti è consultabile solo dal Ministero della Giustizia. L'accesso a questa sezione è esteso ad altre parti previa autorizzazione dei dichiaranti. Tale esenzione è legittimata dal legislatore attraverso la necessità di proteggere la privacy e gli interessi economici dei clienti, che possono soffrire potenziali perdite economiche dalla diffusione di informazioni.SanzioniL'Autorità competente è rappresentata dal Ministero della Giustizia, che ha il potere di imporre sanzioni. Chi svolge attività di lobbying senza essere registrato incorre in sanzioni pecuniarie di € 20.000 o € 60.000 per reiterazione. Le sanzioni per il mancato rispetto delle regole sono di € 10.000 o € 20.000 per reiterazione. Queste si applicano anche ai committenti, che sono co-responsabili per garantire la corretta manutenzione delle informazioni registrate. Il Ministro della Giustizia ha, inoltre, il potere di cancellare i dichiaranti dal registro in caso di non conformità o comportamenti scorretti. La cancellazione preclude ai lobbisti la registrazione per tre anni. Da sottolineare che disposizioni speciali  esentano le parti sociali dall'applicazione delle sanzioni. Questa particolare disposizione riduce drasticamente il campo di applicazione della normativa in termini di responsabilità quando si tratta di attività svolte dalle parti sociali.Le revolving-doorsIl legislatore ha deciso di tenere la questione revolving-door non regolamentata. Tuttavia, la legislazione tratta l’ipotesi di cumulo di ruoli. L'articolo 8 stabilisce l'incompatibilità tra lo status di titolare di carica pubblica e lobbista professionale. La scelta del legislatore è stata guidata dalla disposizione “cash-for-law” e dalla vicenda Telekom[2], che sottolineano il conflitto di interessi tra i due ruoli. Il campo di applicazione della disposizione revolving-door è comunque limitata. Date le esenzioni previste dalla legge, questo articolo riguarda solo una categoria limitata di lobbisti. Essa non si applica ai gruppi di lobbying interni, e rappresentanti di interessi di associazioni professionali, gruppi pubblici e le parti sociali. Il cumulo di ruoli di parlamentare e rappresentante di interessi di associazioni di imprese o sindacati è molto comune in Austria. Estendere tale disposizione alle parti sociali avrebbe potuto colpire molti membri del Parlamento.Conclusioni: trasparenza e partecipazione nella regolamentazione austriacaIn sintesi, Le diverse sezioni A, B, C e D hanno evidenziato la presenza di una variazione della rigidità della normativa tra i tipi di gruppi di interesse in termini di quantità di informazione che deve essere presentata. L'indice CPI è costruito applicando un punteggio su 48 domande sulle dimensioni di cui sopra[3]. L’indice è dato da una scala che va da 1 punto (robustezza minima) a 100 (robustezza massima). In altre parole, quanto più la legge di lobbying è vicina a 100, più robusta è la legislazione. Questa procedura è stata fatta per le sezioni A, B, C e D più per le disposizioni in materia di parti sociali. Come mostra la tabella 1, la legge di lobbying Austriaca è caratterizzata da una variazione di robustezza a seconda del tipo di gruppo di interesse.[4]Secondo la classificazione, la legislazione è medio-regolata nelle sezioni A e B sulla consulenza di lobbying e attori aziendali; e basso-regolata nella sezione C (associazioni di categoria) e D (gruppi pubblici), incluse le disposizioni in materia di parti sociali. In particolare, il divario di robustezza in termini di punteggio CPI tra le sezioni C e D e le disposizioni in materia di parti sociali è particolarmente grande (17 punti), il che significa che le disposizioni in materia di parti sociali garantiscono livelli sistematicamente più bassi di trasparenza e responsabilità rispetto alle altre sezioni. Esempi simili si possono trovare negli Stati Uniti e nella regolamentazione Canadese. Punteggio CPIClassificazione perChari et al.Sezione A  -Consulenti di lobbying32Medio-regolataSezione B – Lobbisti interni di azienda30Medio-regolataSezione C – Associazioni Professionali29Basso-regolataSezione D – Gruppi Pubblici29Basso-regolataParti Sociali17Basso-regolata  A cura di Francesco Rossi, studente del Laboratorio di Teorie e Tecniche del Lobbying Istituzionale, dipartimento di Giurisprudenza, LUMSA - Roma[1] Lobbyists, Governments and Public Trust, Volume 3 Implementing the OECD Principles for Transparency and Integrity in Lobbying[2] Gli scandali hanno colpito la politica austriaca nel 2011. Questi hanno coinvolto il MEP Ernst Strasser, scoperto ad accettare tangenti in cambio di promuovere una legislazione al Parlamento europeo (cash for law).  Sono stati dichiarati colpevoli politici e lobbisti per aver intascato fondi di dubbia provenienza relativamente al business della società Telekom Austria.[3] Domande relative alla disciplina della registrazione individuale,metodi di registrazione, rivelazione spese individuali, grado di trasparenza verso il pubblico.[4] Investigating lobbying laws Austria

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Il presidente Usa sembra aver perso la battaglia contro i produttori di pistole. Nonostante le sue pressioni, l'import è a livelli record. E la presa della National Rifle Association sul Congresso è più forte che mai «Se mi chiede qual è il settore in cui sento di essere stato più frustrato e più ostacolato è il fatto che gli Stati Uniti sono la sola nazione avanzata sulla Terra in cui non abbiamo leggi di buon senso per il controllo delle armi, nonostante le ripetute uccisioni di massa. Se consideriamo il numero di americani uccisi per terrorismo dall'11 settembre sono meno di cento, mentre le vittime della violenza delle armi sono nell'ordine delle decine di migliaia. Non essere in grado di risolvere questo problema è stato angosciante: ma non è un tema sul quale ho intenzione di smettere di lavorare nei restanti 18 mesi». Queste parole di Barack Obama arrivavano, consegnate al microfono di un inviato BBC, all'indomani della strage di Charleston, in cui Dylann Storm Roof, 21 anni, ha fatto fuoco con una pistola calibro 45 regalatagli per il compleanno dal padre, all'interno della Emmanuel African Methodist Episcopal Church durante una lettura della Bibbia. Il bilancio della sua azione: nove morti - tre uomini e sei donne -membri della comunità afroamericana che frequenta la chiesa tra cui anche il pastore, il reverendo Clementa Pinckney, senatore del Partito democratico. Un mix di impotenza e frustrazione del comandante in capo della Nazione più potente della Terra, che fa chiaramente trasparire l'influsso e la capacità d'azione della lobby delle armi negli Stati Uniti. Quasi sfrontata nell'attaccarlo («Il presidente Obama - affermarono commentando gli ultimi dati del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives -non si fermerà di fronte a niente per spogliare i cittadini del loro diritto costituzionale di difendersi»). E nell'evidenziare che proprio gli annunci di leggi più restrittive sulla detenzione delle armi hanno indotto le persone a correre ad acquistarle: «Barack Obama merita il premio di "Venditore di armi del decennio"» ha commentato, non senza sarcasmo, Erich Pratt, portavoce di Gun Owners of America. «Il presidente è stato implacabile nei suoi attacchi contro il Secondo Emendamento alla Costituzione (quello del 1791 che garantisce il diritto di possedere armi, ndr) e non c'è da stupirsi che la gente abbia paura e voglia proteggersi» ha aggiunto Jennifer Baker, portavoce della National Rifle Association (NRA). In effetti, i dati sembrano incontrovertibili: durante la presidenza Obama la produzione di armi da fuoco negli Stati Uniti è passata da meno di 4,5 milioni di unità a oltre 10,8 milioni di unità con un incremento del 140%: è vero che l'export è cresciuto nell'insieme, però riguarda meno di 400mila unità; ma è aumentato soprattutto l'import che nel 2013 ha superato i 5,5 milioni di unità toccando un record trentennale. Anche sul fronte della legislazione, le notizie non sono incoraggianti. Come riporta una meticolosa inchiesta del New York Times del dicembre 2013, cioè a un anno esatto dalla strage di Newtown (alla Sandy Hook Elementary School un ventenne aprì il fuoco uccidendo 27 persone, tra cui 20 bambini sotto i 7 anni), delle 109 nuove leggi approvate nei vari Stati solo un terzo ha effettivamente rafforzato le restrizioni sulle armi, mentre la maggior parte le ha di fatto ammorbidite. Ed è proprio su questo versante che si manifesta la potenza mediatica della lobby delle armi negli Stati Uniti. Una lobby capitanata dalla National Rifle Association (NRA), una delle più influenti degli Stati Uniti: un'entità che Obama conosce bene e di cui ha ripetutamente evidenziato l'influsso su Camera e Senato: «Sfortunatamente, la presa della NRA sul Congresso è estremamente forte - ha ribadito nei giorni scorsi. E non prevedo nessuna iniziativa legislativa all'orizzonte, finché l'opinione pubblica Usa non sentirà un senso d'urgenza che porti a dire "tutto questo non è normale, possiamo cambiare qualcosa e abbiamo intenzione di cambiarla"». Eppure, una recente ricerca dell'Harvard Injury Control Research Center smentisce numerose delle tesi sostenute dalla lobby armiera. A cominciare da quella secondo cui "possedere un'arma in casa rende più sicuri" (lo pensa solo il 5% degli intevistati, il 64% sostiene l'esatto contrario). Ma, soprattutto, l'inchiesta dimostra che per il 72% degli americani leggi più severe sulle armi aiutano a ridurre gli omicidi. Eppure questo punto di vista pare non riuscire a far breccia tra le maglie dei legislatori statunitensi. Inutile domandarsi di chi è il merito. DOVE PRENDONO I SOLDI I LOBBISTI? La National Rifle Association (NRA) è un'organizzazione ben strutturata tanto da essere considerata "la lobby più influente degli Stati Uniti". Potente con l'elettorato e, ancor di più, con il ceto politico: secondo il Centro Open Secrets l'influenza della NRA si fa sentire non solo attraverso i contributi elettorali, ma anche con i milioni di dollari di spese non rese pubbliche (off-the-book ) per diffondere annunci pubblicitari. Le sole sue spese di lobbying sono nell'ordine di svariati milioni di dollari all'anno, usati per esercitare la sua influenza su agenzie governative, membri del Congresso e su vari ministeri tra cui quelli degli Interni e del Commercio. Un'imponente organizzazione, fondata nel lontano 1871, che oggi può disporre di svariati milioni all'anno (il Washington Post parla, forse esagerando, addirittura di 250 milioni) raccolti attraverso donazioni e sostegni di singoli aderenti, spesso esentabili dalle tasse, ma soprattutto col contributo delle maggiori aziende produttrici di armi e delle ditte specializzate nella rivendita. Come riporta una delle rare indagini in questo oscuro ambito, promossa dal Violence Policy Center (VPC), la NRA ha messo a punto uno specifico "Corporate Partners Program " (Programma per le aziende) per incrementare i contributi da parte delle ditte produttrici e rivenditrici di armi. Tra i donatori primeggia Midway USA, un colosso nella vendita online (non ha negozi fisici) di armi e munizioni di tutti i tipi che non solo ha donato più di cinque milioni di dollari alla NRA di cui è lo sponsor ufficiale del meeting annuale, ma soprattutto ha contribuito a creare il "NRA Roundup Programme " per promuovere la raccolta fondi della lobby armiera. Seguono una serie di aziende produttrici di armi e munizioni: Smith & Wesson, Sturm, Ruger & Co., Blaser USA, Glock, Noser, Barret, Remimgton, Browning. C'era anche la Colt che nelle scorse settimane ha dichiarato bancarotta. Ma soprattutto spicca il gruppo Beretta USA che nel 2008 ha donato un milione di dollari all'"Istituto NRA per l'azione legislativa e le attività per la difesa dei diritti civili". Obiettivo: difendere e ampliare la portata del Secondo Emendamento. E in quei soldi c'è tanta Italia: la Beretta USA fa parte infatti della Beretta Holding, interamente controllata dalla famiglia Gussalli Beretta di Gardone Val Trompia in provincia di Brescia. BERETTA, DAL MARYLAND AL TENNESSEE PER PUNIRE IL GOVERNATORE "OSTILE" Il governatore di uno Stato decide di promuovere leggi più restrittive sulle armi? E io chiudo la fabbrica. È quello che la Beretta ha deciso nel febbraio 2014, chiudendo lo storico stabilimento di Accokeek nel Maryland per aprirne uno nuovo a Gallatin, nel Tennessee. In un comunicato, il presidente Ugo Gussalli Beretta, dimessosi poche settimane fa, giustificava la decisione attaccando frontalmente la decisione dell'allora governatore Martin O'Malley (un liberal del partito democratico) per la sua scelta di limitare la diffusione delle pistole. "Pattern of harassment" (una "prassi di molestie") contro i legali possessori di armi, fu definita la scelta del governatore. Una presa di posizione inusuale per l'azienda italiana che è stata duramente criticata dalle associazioni statunitensi per il controllo delle armi: «Contesta una legge che è molto meno restrittiva di quelle che in Italia proteggono la sua famiglia», ha commentato Jonathan Lowy, del Brady Center to Prevent Gun Violence. Gussalli Beretta ha ovviamente taciuto nella sua lettera i milioni di dollari di finanziamenti pubblici dello Stato del Tennessee ricevuti per aprire la sua azienda. Ma anche così funziona la lobby delle armi. Che nella cinquecentenaria azienda italiana fornitrice di armi alle polizie e all'esercito Usa trova uno dei suoi più attivi azionisti. Di Giorgio Beretta (Analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia) ed Emanuele Isonio

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Il lobbismo nella politica svizzera ha cambiato volto negli ultimi anni. È diventato più complesso e opaco, aprendo così anche la porta influssi esteri. Una mancanza di leggibilità che potrebbe incitare il parlamento a imporre misure di trasparenza, dopo anni di recalcitranza. Co-direttore di una ricerca comparativa sulle strategie dei gruppi d’interesse in Svizzera e in California, di cui prossimamente verranno pubblicati i primi risultati, André Mach, è ormai certo: il lobbying nel parlamento elvetico negli ultimi vent’anni è diventato più ampio e più professionale. Ciò è emerso chiaramente dall’analisi dettagliata delle liste di accredito degli "ospiti" dei parlamentari e dei registri in cui tutti i deputati devono iscrivere i loro legami d’interesse. Tra l’altro lo studio ha evidenziato una crescita continua dei legami d’interesse dei parlamentari, sotto forma di posti dirigenziali in organizzazioni e società. E "questi legami sono ben mirati nelle commissioni legislative", puntualizza l’insegnante dell’università di Losanna. Vale a dire che i gruppi d’interesse e le grandi aziende affidano mandati in consigli d’amministrazione e posti dirigenziali "preferibilmente a parlamentari membri delle commissioni legislative che si occupano in modo specifico dei loro campi di attività, quali per esempio la sanità, i trasporti e le comunicazioni, l’energia o l’economia". Secondo André Mach, "c’è un po’ un paradosso", poiché questa evoluzione è avvenuta parallelamente a "una certa professionalizzazione del parlamento svizzero". L’incremento delle rimunerazioni e la creazione delle commissioni legislative specializzate dovrebbero invece permettere i parlamentari di essere più indipendenti sia sul piano finanziario, sia su quello delle conoscenze della materia. Non più una "Camera di registrazione" Ma il potenziamento del lobbismo nel parlamento si spiega con degli spostamenti di pesi attestati da un altro studio: il calo d’influsso dei gruppi d’interesse – vale a dire le associazioni di categoria – a vantaggio dei partiti e la perdita d’importanza della fase pre-parlamentare nel processo decisionale a beneficio della fase parlamentare. "Negli anni ’70 il parlamento svizzero era una sorta di ‘Camera di registrazione’ che si accontentava di approvare le soluzioni concordate nella fase pre-parlamentare tra amministrazione, governo e gruppi d’interesse", ricorda il professore dell’università di Ginevra Pascal Sciarini, co-autore dello studio. Oggi invece è soprattutto in parlamento che si cercano delle maggioranze per prendere delle decisioni. "Dunque il lavoro d’influenza delle lobby si è spostato verso la fase parlamentare", osserva il politologo ginevrino. I giochi si complicano, le carte si mescolano "Ma se fino a una ventina di anni fa era molto chiaro chi esercitava pressione e che interessi difendeva, oggi siamo di fronte a un cambiamento fondamentale: il lobbying è diventato un mestiere vero e proprio e i lobbisti rappresentano diversi mandanti, senza che si sappia esattamente chi e quanti. E questo riguarda tutto il sistema politico elvetico, non solo il parlamento", dice il direttore dell’istituto di ricerche gfs.bern, Claude Longchamp, aggiungendo che "così si apre anche la porta all’influsso dell’estero in Svizzera". Un fattore messo in luce di recente dai tentativi d’ingerenza kazaka nella politica elvetica. Questi impiegati di agenzie di pubbliche relazioni e di comunicazione o consulenti in proprio, che "sono visti un po’ come dei mercenari, costituiscono il fenomeno più recente del lobbying", rileva André Mach. E questo lobbismo che agisce nell’ombra si è bene impiantato. "Tutte le grandi agenzie di pubbliche relazioni hanno dei rappresentanti tra gli ‘ospiti’ dei parlamentari", afferma il docente dell’università di Losanna. Si riparte alla carica per una svolta Se finora la maggioranza del parlamento ha sempre rifiutato di imporre regole chiare per rendere trasparenti queste attività, la situazione potrebbe cambiare in seguito alla vicenda kazaka di cui è stata protagonista la deputata liberale radicale Christa Markwalder, che ha rivelato la portata di questo lobbying e le insidie che comporta per gli stessi deputati. Le discussioni rilanciate dal caso, hanno incoraggiato a riprovarci alcuni parlamentari, di partiti diversi, che in passato hanno presentato senza successo proposte di regole di trasparenza per i lobbisti. Il democentrista Lukas Reimann ha depositato una mozione in cui chiede l’introduzione di un registro specifico obbligatorio per l’accesso dei lobbisti al Palazzo federale, in cui deve figurare per conto di chi operano, da chi sono pagati, che metodi e mezzi utilizzano e su chi esercitano lobbying. Un po’ sul modello di quanto avviene per i giornalisti, gli accrediti non sarebbero più accordati dai deputati, bensì dai Servizi del parlamento. "Quando nel 2009 lo avevo domandato, mi era stato risposto che non era affatto vero che in parlamento ci fosse un lobbismo scorretto e che i lobbisti non erano un problema. Dopo la vicenda Markwalder, l’atmosfera è cambiata: molti politici ora vedono il problema. Adesso ho l’impressione che si potrebbe raggiungere una maggioranza per introdurre dei veri miglioramenti per avere più trasparenza e meno corruzione", argomenta Reimann. Anche il senatore socialista Didier Berberat pensa che ora il vento sia girato e che la sua nuova iniziativa parlamentare abbia buone probabilità di essere accettata. Tanto più che quattro anni fa era inciampata per soli due voti di scarto. "Forse non tutte le proposte che ho formulato, ma penso che una o due saranno accolte. L’essenziale è che l’idea della trasparenza faccia strada", osserva. Alla carica riparte pure il liberale radicale Andrea Caroni, che tuttavia ripresenta soltanto una delle richieste contenute nella sua iniziativa parlamentare bocciata nel 2014: l’obbligo per i lobbisti di indicare non solo l’agenzia di pubbliche relazioni per cui lavorano, ma anche tutti i mandati che esercitano nel Palazzo federale. Il sistema di accredito però non cambierebbe: i lobbisti continuerebbero ad essere "ospiti" di parlamentari. Caroni pensa infatti che i tempi non siano ancora maturi per ottenere una maggioranza per cambiare completamente il sistema. Il popolo come ultima spiaggia Ancora più pessimista sulla volontà di cambiamenti del parlamento è Thomas Minder, che quattro anni fa aveva proposto il bando vero e proprio dei lobbisti dal Palazzo federale. "Credo che la soluzione di questo problema possa venire solo dall’esterno, vale a dire dal popolo. Ho già avviato delle consultazioni per lanciare un’iniziativa popolare. Ci vorrà ancora tempo, ma resta tra le mie priorità", afferma il senatore indipendente, precisando: "Non voglio proibire in assoluto il lobbismo, voglio che i lobbisti non facciano affari all’interno del Palazzo federale". Minder intende andare ancora oltre: vietare ai deputati della Camera dei Cantoni di avere mandati di gruppi d’interesse e grandi società. "La trasparenza non basta, perché parlamento di milizia significa certo avere un lavoro accanto al mandato parlamentare, non significa però essere qui per collezionare mandati. Sono convinto che il popolo sarebbe d’accordo". FOCUS: L'ACCREDITAMENTO DEI LOBBISTI Ogni membro delle Camere federali può designare due persone che hanno il diritto di accedere alla sede del parlamento come suoi ospiti e che devono essere iscritte sugli elenchi pubblicamente consultabili. Questi possono anche essere rappresentanti di gruppi d’interesse che hanno così l’opportunità svolgere l’attività di lobbying all’interno del Palazzo federale, sede del parlamento elvetico. Le persone accreditate non hanno però l’obbligo di dichiarare i loro mandati. Così, vi sono lobbisti che nelle "liste delle accreditazioni" del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati figurano semplicemente come "ospiti" o "collaboratori personali". D’altra parte vi sono sempre più lobbisti professionisti che indicano la società di pubbliche relazioni per cui lavorano, ma non si sa chi sono i loro mandanti. I parlamentari possono inoltre far rilasciare tessere per l’accesso al Palazzo federale della durata di una giornata, che non figurano su liste pubbliche. FOCUS: IL CODICE ETICO Più avanzata del parlamento in materia di trasparenza nel lobbying è la Società Svizzera di Public Affairs (SSPA). Il nuovo Codice di deontologia introdotto il 1° luglio 2014 dall’associazione dei consulenti di relazioni pubbliche e di comunicazione oltre a fissare regole di comportamento chiare, impone ai membri di iscrivere nel registro professionale – che è pubblico – tutti i loro mandanti e i legami d’interesse. Chi non si attiene alle regole non può essere membro della SSPA. Né la lobbista coinvolta nella vicenda Markwalder-Kazakistan, né l’agenzia per cui lavora fanno parte della SSPA."Noi ci basiamo sul Codice di Lisbona (Codice europeo di comportamento professionale nelle relazioni pubbliche, Ndr.): seguiamo l’idea di trasparenza di questo strumento di autoregolamentazione", puntualizza il presidente della SSPA, Stefan Kilchenmann. La SSPA è pure dotata di una Commissione di deontologia indipendente che giudica le violazioni alle regole professionali. "La Commissione formula anche proposte su come e cosa migliorare", precisa Kilchenmann. Fonte: SwissInfo.ch

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