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Google fa lobbying (male) per gli autobus
Scritto il 2014-01-22 da Franco Spicciariello su World

L'ultima volta che qualcuno ha provato ad utilizzare gli autobus quale soluzione ad un problema socioeconomico qualche problema ci fu, e lo stesso sta ora accadendo a San Francisco, dove la questione dei tech-bus - gli autobus delle varie società hi-tech della Silicon Valley che prelevano a varie fermate i propri impeigati per portarli sino al lavoro (in genere a qualche decina di km dalla città) - è diventata una questione politica non da  poco.

I Google bus, descritti dalla scrittrice Rebecca Solnit come sorta di "navi spaziali con alieni a bordo" sono diventati per molti un simbolo dell'ineguaglia di Frisco. Al di la della semplice questione relativa al sistema dei trasporti infatti, quello dei "Google Bus" sarebbe un ulteriore effetto non voluto del boom tecnologico della Bay Area, in aggiunta ad esempio all'esplosione del mercato immobiliare fino ad una  sorta di guerra di classe. Si sono infatti letti articoli su Google pronta ad usare uno yacht per trasportare i suoi impiegati lungo la baia, o ad assumere guardie private per proteggere i suoi pendolari.

Una delle problematiche aperte tra le società hi-tech e la città di San Francisco è relativa al fatto che i loro bus usano le fermate della ditta municipalizzata di trasporti, senza pagare un dollaro. Ma

Finora la città non riceveva nessun provento dalle navette ma ora la San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA) ha approvato una proposta pilota che prevede per i pendolari dei servizi navetta di società come Apple il pagamento di 1 dollaro per le fermate quotidiane.

Un mese addietro ci sono state proteste contro i giganti del mondo hi-tech della zona. Alcuni manifestanti residenti nella baia di San Francisco ritengono che sia colpa dei pendolari in questione l’aumento dei costi delle abitazioni nella zona. Gruppi di inquilini estromessi dai loro appartamenti dai proprietari che hanno trovato chi pagava più di loro, in particolare dipendenti di Apple, Google e Facebook, che non hanno problemi a sostenere affitti molto più alti, avevano bloccato le navette di alcuni impiegati protestando con striscioni e cartelli.

Il programma pilota della SFMTA, partirà da luglio e si stima permetterà di far guadagnare alla città 1,5 milioni di dollari nel giro di 18 mesi; per le aziende di medie dimensioni, si stima che le fermate costeranno complessivamente 80.000 dollari l’anno, realtà più grandi come Apple e Google supereranno i 100.000 dollari. In ogni caso il provvedimento non darà alcun profitto, coprendo solo i costi di manutenzione extra.

Al di la della tematica in sé, ciò che più interessa in questa sede è stata l'attività di grassroots lobbying che Google ha messo in piedi per cercare di bloccare o almeno limitare (e in questo appare esserci riuscita) la protesta. Questo è testo di un memo che il "Transportation Team" di Google (in coordinamento con la divisione Public Policy dell'azienda) ha spedito ai suoi dipendenti con base a San Francisco

[Misc-sf] Next week’s public hearing on shuttle regulations

Transportation Team [email protected] Fri, Jan 17, 2014 at 11:35 AM Bcc: [email protected]
IF YOU DON’T RIDE THE SHUTTLE TO/FROM SF, YOU CAN STOP READING NOW.

Dear Shuttle Riders,

This Tuesday (1/21), the San Francisco Municipal Transportation Agency (SFMTA) Board will meet to vote on the proposed shuttle regulations we told you about last week. The hearing will take place on January 21 at 1pm PT at San Francisco City Hall (room 400). While we recognized that many of you won’t be able to make it during the workday, we encourage any interested Googlers who live in San Francisco to speak in favor of the proposal (please RSVP here if you are planning to attend). While you are not required to state where you work, you may confirm that Google is your employer if you are so inclined.

If you do choose to speak in favor of the proposal we thought you might appreciate some guidance on what to say. Feel free to add your own style and opinion.

  • *I am so proud to live in San Francisco and be a part of this community
  • *I support local and small businesses in my neighborhood on a regular basis
  • *My shuttle empowers my colleagues and I to reduce our carbon emissions by removing cars from the road
  • *If the shuttle program didn’t exist, I would continue to live in San Francisco and drive to work on the peninsula
  • *I am a shuttle rider, SF resident, and I volunteer at…..
  • *Because of the above, I urge the Board to adopt this pilot as a reasonable step in the right direction

You can read the full press release announcing the proposal here, and we’ll keep you updated in the coming weeks as the proposal moves towards approval. Feel free to email us at [email protected] with any questions.

Thanks, XXXX, on behalf of the Transportation Team

La lettera preparata da Google è però arrivata nelle mani di Heart of the City, l'associazione che ha guidato la protesta contro i busm e lo scorso 9 dicembre aveva organizzato persino un "Google bus blockade".

La gestione delle email, e dei loro contenuti, in una campagna di lobbying è però da sempre una delle questioni più sensibili. Non per niente, qualche impiegato di Google ha sottolineato come una mail del genere fosse un po' troppo aggressiva, e che non avrebbe fatto fare una bella figura a Google se fosse finita sul San Francisco Chronicle o Valleywag. Cosa regolarmente accaduta.

Oltre a ciò, il "leak" a Heart of the City ha consentito agli avversari di preparare un dossier di risposta. “Chiedono ai loro impiegati di dire  che sarebbero costretti ad usare la macchina per arrivare al lavoro se  non ci fossero gli shuttle bus, usando così l'argomento ecologia in maniera strumentale per evitare di pagare le fermate.. Ma [secondo un sondaggio della SFMTA] il 31% di loro non avrebbe proprio la possibilità di muoversi, il che vuol dire che oltre 5.200 sceglierebbero di vivere più vicino a dove lavorano". Il che avrebbe come implicazione una minor pressione sul mercato immobiliare di San Francisco.

C'è però altro fuoco che cova sotto la cenere di San Francisco, con da una parte ancora una volta se società hi-tech e il resto della città, divisi da i milioni in sgravi fiscali offerti a società tecnologiche come Twitter o dall'Ellis Act (una norma che forza gli sfratti in caso di destinazione d'uso del condominio). L'accusa principale alle società internet è che queste dovrebbero in qualche modo essere responsabili nei confronti della comunità in cui risiedono, in particolare dal punto di vista fiscale. E probabilmente anche su questo si dovrà focalizzare Google (ma anche Apple, Facebook e Twitter), con una pesante attività di lobbying che però non potrà prescindere da investimenti in termini di responsabilità sociale. Facendo magari più attenzione a cosa si scrive nelle email.

Prosegue in Scozia l’iter di approvazione di una legge sul lobbying, e non mancano le polemiche sulle norme contenute nel pacchetto legislativo approntato dal Governo. Ma l’Esecutivo procede a passi decisi verso la regolamentazione, e di ciò è testimone il dibattito che si è tenuto nei giorni scorsi in occasione dell’apertura dei lavori del parlamento scozzese per il 2016. Giovedì 7 gennaio si è svolto il dibattito a Holyrood, la sede del parlamento di Edimburgo, alla presenza del Ministro degli affari parlamentari Joe Fitzpatrick. In occasione del dibattito sono stati presentati i risultati della consultazione avviata nei mesi scorsi (come documentato da Lobbying Italia) alla luce delle prime, negative osservazioni da parte di alcuni gruppi di pressione nei confronti del governo. In particolare, secondo la Law Society of Scotland (società che raggruppa laureati in legge e avvocati professionisti scozzesi) infatti le regole del “ddl Lobby” scozzese contenevano diversi difetti di fondo, in particolare riguardo le attività oggetto dell’obbligo di registrazione pubblica. Contrariati anche i lobbisti, che per bocca della loro associazione di rappresentanza ASPA avevano espresso preoccupazione per la definizione di “attività di lobby” e “lobbista”. Un’altra associazione di lobbisti professionisti, APPC Scotland, aveva chiesto che nella definizione di lobbista fossero comprese tutte le organizzazioni (ivi comprese onlus e studi di avvocato) che svolgessero attività di lobby. Il think tank Common Weal aveva poi chiesto al parlamento di “non far finta che tutto funzioni alla perfezione, poiché 9 scozzesi su 10 hanno manifestato contrarietà alle attuali norme sul lobbying”. Queste e altre osservazioni sono state poi registrate nella consultazione pubblica avviata negli ultimi mesi del 2015 dal governo, discusse nel dibattito dei giorni scorsi. In particolare la Scottish Alliance for Lobbying Transparency - SALT ha prodotto in base al sondaggio condotto da YouGov un rapporto intitolato “Closing the loopholes in the Lobbying (Scotland) Bill”, che ha mostrato risultati interessanti sulla percezione dell’industria del lobbying in Scozia (qui un’ulteriore analisi). Il 92% degli intervistati ha dichiarato che fosse necessario che i lobbisti pubblicassero la spesa in attività di lobbying, una misura non prevista dal disegno di legge attualmente in discussione, che prevede esclusivamente la pubblicazione dell’obiettivo e del destinatario della “pressione”. Inoltre, forte sostegno è stato dato a tre aspetti promossi dalla SALT: allargare la definizione di attività comprese nel lobbying, allargare la definizione di lobbista, aumentare il tipo di informazioni che i lobbisti devono rendere pubbliche. La SALT aveva inoltre prodotto un form che ogni cittadino avrebbe potuto inviare online al proprio parlamentare di riferimento, che toccava tutti gli argomenti oggetto delle osservazioni sul Lobbying Bill. La discussione a Holyrood è stata molto serrata. La Federazione delle Piccole Imprese ha denunciato l’eccessiva onerosità delle norme, per osservare le quali la federazione avrebbe dovuto scontare un deficit logistico nei confronti delle organizzazioni più grandi. I parlamentari del Labour Mary Fee e Neil Findlay hanno posto l’attenzione sul fatto che anche le telefonate e le mail sarebbero dovute rientrare tra le attività che consistevano in lobbying, estendendo quindi la portata della regolamentazione. Una previsione che non piace allo Scottish Council for Voluntary Organisations – SCVO, che la reputa troppo onerosa. In realtà è molto onerosa anche per le casse statali: il rappresentante della Association for Scottish Public Affairs, Alastair Ross, ha espresso che l’estensione della portata della legge avrebbe portato ad un aumento delle spese statali, che con le attuali nuove norme incontrerebbero spese per circa 3 milioni di euro annui. Il ministro Fitzpatrick ha convenuto che il governo, pur tenendo in considerazione qualsiasi proposta, ha la necessità di porre attenzione su qualsiasi aspetto per evitare che previsioni di legge possano ledere il diritto alla partecipazione per alcune parti e avvantaggiarne altre. Come lui, anche altri parlamentari di maggioranza come Fiona McLeod e Cameron Buchanan hanno tenuto a precisare che non fosse possibile estendere eccessivamente la portata del registro, e che si corresse il rischio che la registrazione eccessiva avrebbe perso di significato e serietà. La discussione del Lobbying Bill si accende proprio nel momento in cui la premier Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party che detiene la maggioranza assoluta in parlamento, è oggetto di critiche per due diverse vicende legate al mondo del lobbying: negli scorsi mesi è stata accusata di aver accettato una mazzetta da parte della lobby animalista, in forma di una donazione di 10.000 £, giusto qualche settimana prima di bloccare la discussione in parlamento di un disegno di legge sulla caccia alla volpe (“Hunting Act”); qualche giorno fa invece è stata pubblicata la notizia di una cena privata (peraltro ospitata dalla società di lobbying Charlotte Street Partners) alla quale hanno partecipato, accanto alla Sturgeon, esponenti di spicco dell’economia e dell’imprenditorialità scozzese, tra i quali esponenti della Scotch Whisky Association, lobbisti del gas naturale, rappresentanti di Buccleuch Estate (tra i principali oppositori della riforma del real estate scozzese). Una notizia che rende l'approvazione del Lobbying Bill ancor più necessaria per comprendere quali reali interessi siano a cuore del partito nazionalista scozzese.

Mondo - Lobbyingitalia

Le ong Transparency International, Sunlight Foundation, Open Knowledge, Access Info con il supporto del Programma dell'Unione Europea per la Prevenzione e la lotta al crimine hanno predisposto una nuova lista di 38 standard basati sulle più avanzate regolamentazioni del lobbying a livello internazionale. L’obiettivo è orientare i governi dei Paesi in cui è più diffuso il fenomeno a implementare la loro regolamentazione, e i Paesi in cui le relazioni istituzionali si svolgono sotto una cappa di opacità a rispettare tre requisiti essenziali della regolamentazione dell’attività dei gruppi di pressione: trasparenza, integrità, partecipazione. Al maggio 2015, almeno 20 Paesi in tutto il mondo hanno una regolamentazione del lobbying, la cui portata ed efficacia varia da caso a caso, a livello nazionale: Australia, Austria, Brasile, Canada, Cile, Francia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Lituania, Macedonia, Montenegro, Perù, Polonia, Slovenia, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti (aggiungiamo anche i progressi in Messico, Colombia, Nigeria, Ucraina).  Sebbene la maggior parte di questi Paesi siano ad alto livello di industrializzazione, ogni regolamentazione presenta aspetti che i 38 standard mirano a mitigare: tra tutti, gli scandali relativi alla corruzione che portano le ong e i centri di ricerca ad interrogarsi e interessarsi sempre più sulle normative nazionali in tal senso. È ben specificato che la regolamentazione non è che uno strumento per raggiungere l’obiettivo del maggior livello di eticità delle attività di public affairs; è infatti necessaria anche la disponibilità da parte di decisori e gruppi di pressione a rispettare nel concreto le norme, in modo tale da creare un ambiente di decisione pubblica etico e “fair”. Princìpi guida Il lobbying è un’attività legittima e una parte fondamentale del processo decisionale. la società democratica è basata su un pluralismo degli interessi tra i quali i decisori pubblici devono muoversi per prendere decisioni ragionate in favore dell’interesse generale. C’è un particolare interesse pubblico ad assicurare la trasparenza e l’integrità del lobbying, così come la diversificazione della partecipazione e il contributo alla decisione normativa. Ogni misura normativa per assicurare i primi due principi deve essere proporzionale, adeguata allo scopo e non impedire il diritto individuare di associazione, libertà di opinione e rappresentazione dell’interesse al decisore pubblico. I primi standard riguardano le definizioni di lobbying, decisore pubblico e lobbista. Ne vengono escluse le interazioni tra cittadini e pubblici ufficiali riguardo i loro interessi privati, e tra pubblici ufficiali stessi (decisori pubblici, agenti diplomatici o rappresentanti di Stati stranieri) nell’attuazione delle proprie funzioni pubbliche. Altra sezione riguarda le norme sulla trasparenza. La registrazione deve essere obbligatoria, periodica, prevedere un’attività di reporting delle attività e degli incontri; devono essere pubblicate una serie di informazioni da parte dei lobbisti, tra le quali i documenti presentati e i finanziamenti alla politica; i dati devono essere accessibili, aperti e comparabili; il carico burocratico deve essere minimo, sia per il pubblico che per il privato. È consigliato che i decisori pubblici e gli enti decisionali pubblichino le proprie informazioni, che devono essere chiare, libere ed esaustive. Ulteriori norme dovranno essere previste per raggiungere il maggior livello possibile di integrità. Ai decisori pubblici è raccomandata la sottoscrizione di un codice di condotta di cui sono definiti nello specifico i punti (tra questi, le norme di prevenzione di conflitto di interessi); di rispettare un periodo di cooling-off di almeno due anni prima di lavorare come rappresentante di interessi privati, per prevenire il fenomeno delle revolving doors; di dichiarare, nel caso inverso di provenienza dal settore privato, di non difendere interessi di parte una volta nominati/eletti come decisori pubblici. Norme sull’integrità sono previste anche per i lobbisti o rappresentanti di interesse: anche qui un codice di condotta, standard comportamentali e auto-regolazione. Partecipazione ed accesso: anche qui sono previste norme che puntano alla totale disclosure del settore e che già in alcune democrazie sono attuate, seppur non con l’efficacia richiesta da TI. Sono auspicati il diritto alla partecipazione per ogni tipo di gruppo interessato a un processo decisionale pubblico (anche non organizzato con strutture di lobby), un processo di consultazione pubblico precedente a qualsiasi iniziativa decisionale, la par condicio sia nell’accesso che nella partecipazione alla formazione della decisione, la giustificazione di eventuali rifiuti a richieste portate avanti da gruppi di interesse. Riguardo gruppi di esperti, il legislatore deve prevedere una composizione interna bilanciata includendo tutti i diversi interessi. Riguardo il sistema di controllo, sono raccomandati precisione e tempismo nelle attività di monitoraggio delle attività di relazioni istituzionali; un meccanismo di ricorsi aperto a tutti; una serie di sanzioni, efficaci proporzionate e dissuasive, per la violazione di norme sul registro. Non è però previsto che tipo di ente debba assumere il controllo sulle attività di lobbying: un ente già esistente, o un organo ad hoc? Infine, relativamente al quadro regolatorio generale, è sottolineato l’interesse per il contesto locale sia dal punto di vista territoriale (se si è in presenza di accentramento o decentramento governativo, o se c’è un alto tasso di corporativismo) che sociale (tasso di professionalità dell’attività di lobbying, gruppi sociali presenti e attivi). La revisione annuale dei risultati della regolamentazione dal punto di vista del tasso di eticità e concorrenza dell’intero mercato nazionale è l’ultimo step per garantire un quadro regolamentare completo per la disciplina del lobbying. Link allo studio di Transparency International e alle opinioni in merito della Sunlight Foundation.

Mondo - Lobbyingitalia

Uno dei maggiori (e più eclatanti) scandali legati al lobbying a livello comunitario è il cosiddetto “Dalligate”. Si tratta di un caso di corruzione da parte di una società svedese leader mondiale del mercato del tabacco da masticare, Swedish Match, nei confronti del commissario europeo alla Salute della Commissione Barroso John Dalli. John Dalli era maltese, e la corruzione purtroppo è un grave problema anche nella sua terra di origine. Il ruolo sempre maggiore dell’attività di lobbying in politica ha infatti portato anche Malta a chiedersi se la regolamentazione dell’attività di lobbying possa essere un tassello fondamentale per la crescita economica. Una crescita, finora, frenata da diversi casi di corruzione che hanno fatto perdere credibilità alla politica isolana. In una società dove “dialogo e consultazione sono diventati sinonimi”, le relazioni istituzionali sono dominate dal rapporto di concertazione tra governo, da un lato, e organismi corporativi come associazioni di categoria, sindacati, camere di commercio e confederazioni industriali dall’altra. La creazione del Consiglio per lo sviluppo economico e sociale ha poi istituzionalizzato questo tipo di relazione tra decisore e portatore di interesse, con il risultato che un gruppo di persone molto ristretto decide sulle linee politico-economiche generali. C’è poco spazio per ONG e per soggetti meno strutturati. In una recente intervista il deputato Carmel Cacopardo, vice-presidente di Alternattiva Demokratika (i Verdi maltesi) di professione architetto e ingegnere civile, da’ un proprio punto di vista sulla regolamentazione del lobbying maltese. “Il lobbying rischia di causare corruzione. Stabilire norme chiare di comportamento nella vita pubblica dovrebbe includere la regolamentazione del lobbying, ma lo Standards in Public Life Bill attualmente all'ordine del giorno del Parlamento ignora completamente questa importante questione. Potenzialmente, il lobbying non è un’attività illecita, anzi: è perfettamente legittimo per qualsiasi cittadino, gruppo di cittadini, aziende o anche le ONG cercare di influenzare il processo decisionale. È fatto continuamente e comporta la comunicazione di opinioni e informazioni ai legislatori e agli amministratori da parte di coloro che hanno interesse a informarli degli impatti delle decisioni in esame. È perfettamente legittimo che gli individui, agendo per conto proprio o conto terzi, devono cercare di garantire che i responsabili delle decisioni siano ben informati prima di prendere le decisioni necessarie. Ovviamente, il lobbying non dovrebbe essere il processo attraverso il quale decisori permettono ai rappresentanti delle aziende di prendere il loro posto. Non si è a conoscenza del motivo per cui il comitato ristretto parlamentare, guidato dall'On. Angļu Farrugia, non ha identificato il lobbying quale materia che richiede una regolamentazione nel quadro delle norme dello Standards in Public Life Bill. Dalla lettura della relazione finale del 24 marzo 2014, così come i verbali del comitato, non rivelano alcuna indicazione che la questione sia stata mai nemmeno menzionata nelle deliberazioni del Comitato. Infatti, dai lavori parlamentari si deduce indirettamente che il lobbying sia una delle questioni che dovevano essere esaminate. Il lobbying richiede una dose notevole di trasparenza. Ha bisogno di essere sciolto dalle catene della segretezza. Il lobbying può essere regolato in due modi: regolando le attività lobbistiche e regolando il potenziale destinatario del lobbying. Le attività del lobbista possono essere regolate sia attraverso una registrazione obbligatoria oppure con una rivelazione regolare dei nomi di coloro che svolgono attività di lobbying. Malta richiede anche norme che regolino l'attività di lobbying che si realizza attraverso le revolving-doors. A volte, questo è il modo più semplice per i gruppi di interesse che reclutano ex ministri, così come gli ex funzionari di alto livello in materia, immediatamente alla conclusione del loro mandato per sfruttare il loro accreditamento diretto presso le istituzioni. In questo modo, cercano di sfruttare i contatti e un accesso quasi diretto a informazioni di estrema sensibilità. Succede anche in senso inverso, quando il settore pubblico assume lobbisti direttamente nella pubblica amministrazione, senza prima aver lasciato tempo sufficiente per il cooling off, in modo che gli ex lobbisti così reclutati siano come cavalli di Troia nelle aree del settore pubblico che in precedenza li regolavano. Se siamo davvero seri sulla lotta alla corruzione alla radice, sarebbe meglio che la regolamentazione dell’attività di lobbying sia considerata urgentemente. Insieme alla legislazione in materia di finanziamento dei partiti politici appena approvate dal Parlamento, la regolamentazione delle attività di lobbying creerebbe una migliore atmosfera per la lotta alla corruzione”. D'altronde, non tutti sono John Dalli. Per fortuna..

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