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Quando, dove e come? La storia delle lobby, dal 1876 a ieri
Scritto il 2013-10-08 da Franco Spicciariello su World

La scorsa settimana ho detto quanto sono importanti le timeline per chi, mosso da passione o per fini professionali, ha bisogno di ricostruire un periodo storico. Qui una classifica delle migliori in circolazioni sul tema lobbying.

Aggiungo alla lista un’altra timeline. è diversa dalle altre perché è “ragionata”. Ne ho parlato con gli studenti della Bocconi durante la seconda lezione del corso in lobbying e democrazia. Si parte dal 1876, si arriva al 2013. Da una parte gli Stati Uniti, dall’altra l’Europa (intesa sia come Unione che come singoli Stati). In mezzo la storia delle leggi sul lobbying, ma anche dei finanziamenti ai partiti, delle porte girevoli, dell’etica nell’amministrazione e, ovviamente, dei tanti scandali.

La trovate Qui
Fonte: Gianluca Sgueo - Formiche.net

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Intanto è boom per i corsi di formazione della professione, e alcune università assicurano il Master Anche quest'anno il Senato ha preso le sue contromisure per difendersi da una delle specie professionali più temute: i lobbisti. Da fine ottobre i "portatori di interessi particolari", già "schedati" dal loro tesserino rosso entrato in vigore nel 2014, sono ospitati nell'aula della Commissione Sanità di Palazzo Madama, rigorosamente a trenta metri da quella della Commissione Bilancio quando è impegnata nell'esame della Legge di Stabilità. Quei 30 metri non impediscono di certo né ai politici e né ai lobbisti l'uso dei telefonini per rapide consultazioni o per sventare colpi di mano dell'ultimo minuto ma la dicono lunga sul rapporto schizofrenico, fatto di timori e al tempo stesso di poche regole, di politica e lobbismo made in Italy. A partire da un banale dato di fatto: l'accesso al parlamento italiano è relativamente facile. Risultano in media circa 1.200 i cartellini giornalieri concessi a vario titolo a ex parlamentari, funzionari, dirigenti ministeriali, giornalisti (in attività o pensionati) e rappresentanti delle categorie che possono entrare in Parlamento per chiedere informazioni, discutere con i parlamentari, informarsi dei processi legislativi. A VUOTO «Il fatto è che nonostante se ne parli da anni in Italia non esiste una legge che regoli questo settore così come accade in altri Paesi europei o in America», spiega Gianluca Sgueo, esperto del settore e autore del libro Lobbying e lobbismo, edito da Egea, forse il più completo sull'argomento. «Al di là di quello che accade a Montecitorio e Palazzo Madama - aggiunge Sgueo - oggi uomini di governo e funzionari italiani possano incontrarsi ovunque con i lobbisti italiani e stranieri senza che nessuno lo sappia. Sono rarissimi i casi di uomini politici italiani che per propria scelta tengono un diario web sui lobbisti che ricevono. Altrove invece è obbligatorio tenere un registro degli incontri, che poi oltre ad essere una "banale" norma di trasparenza è anche una tutela per tutti. Perché deve essere chiaro che un lobbista non è l'equivalente di difensore di poteri oscuri o peggio». Un esempio di come si potrebbe procedere? Almeno in parte, Bruxelles. Qui Commissione Ue conta la presenza di 8.396 lobbisti che lavorano quotidianamente nelle istituzioni europee. Sono tutti regolarmente registrati in un apposito Libro Mastro e tutti sanno tutto di loro. Questo "Registro per la trasparenza" (anche se non vincolante): contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell'Ue», come specifica il suo sito. Vi sono iscritte anche 5.800 organizzazioni e aziende, di cui 503 italiane. Anche a Bruxelles tuttavia non mancano i tira e molla su questo settore. 11 Parlamento Europeo infatti ha chiesto misure più stringenti come quella dell'obbligatorietà della registrazione degli incontri, ma finora la Commissione ha cincischiato. E' accaduto così che il Parlamento Europeo abbia lanciato un comitato speciale in materia fiscale (il Taxe), che però è stato boicottato dalle multinazionali che non si sono presentate alle audizioni. IL MASTER Il Taxe ha allora chiesto alla Commissione di vietare l'ingresso in Parlamento dei rappresentanti delle multinazionali e finalmente il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Junker, ha detto che è ora di raggiungere un accordo comune sulla registrazione obbligatoria dei lobbisti (e dei loro incontri) in tutte le istituzioni europee. In Italia, invece, nonostante la presentazione di almeno una dozzina di disegni di leggi, che con modalità differenti propongono tutti la nascita di un albo dei lob-bisti e del registro obbligatorio dei loro incontri (con tanto di sanzioni), tutto è ancora fermo a livello legislativo. Diverso il discorso invece a livello di mercato. Negli ultimi anni la figura del lobbi-sta non ha sofferto la crisi. Anzi. I corsi di formazione destinati a preparare queste particolari figure professionali si contano ormai a decine e sono organizzati anche da società prestigiose. Con alcune università che rilasciano uno specifico master. Fonte: Diodato Pirone - Il Messaggero - Download .pdf

Mondo - Lobbyingitalia

Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International. Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest'ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l'esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group. «Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l'Enel e l'Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico. Il clima e l'energia, il lavoro e la crescita, l'economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l'8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell'economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l'analisi di Transparency International ancora poco seguite: l'80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un'impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni». Tra i problemi principali riscontrati dall'organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l'obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l'organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l'accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l'introduzione di “un'impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell'influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.   Fonte: Irene Giuntella - Il Sole 24 Ore

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(Giovanni Gatto) La Spagna finisce “dietro la lavagna” per non aver condotto sforzi coerenti e decisi per la regolamentazione del fenomeno lobbistico. È oscuro il quadro del sistema di regolamentazione delle lobby dipinto dalla ONG Transparency International – Spagna, in occasione della presentazione del rapporto “Una valutazione delle lobby in Spagna – analisi e proposte”, presso la sede di Madrid della Fondazione Ortega-Marañón. In particolare la regolamentazione del lobbying si è rivelata “praticamente inesistente” per tre aspetti cruciali: la trasparenza, l’integrità e la parità nell’accesso. Il rapporto ha assegnato un punteggio su una scala di 100 ai tre elementi fondamentali del fenomeno: i risultati sono stati molto deludenti e hanno configurato una situazione che potrebbe essere risolta, secondo i 15 suggerimenti portati avanti della ONG, solo attraverso la pronta ripresa delle discussioni sul una regolamentazione unitaria e organica sulle lobby, uno strumento strategico per la crescita del Paese, che possa dare un vantaggio competitivo nel continuo tentativo di uscire dalla crisi, se attuato in maniera etica e trasparente. Il problema più preoccupante per il sistema lobbistico spagnolo è risultato essere l’assenza di trasparenza, sia da parte dei gruppi di pressione privati che da parte dei decisori e degli operatori pubblici: solo 10 i punti percentuali garantiti dalle attuali norme in materia. In particolare, ai decisori pubblici o politici è richiesto di mettere in luce i propri rapporti con i rappresentanti degli interessi e di riferire le loro agende; ai lobbisti è invece richiesto di registrare la propria presenza all’interno delle istituzioni (nazionali e regionali) e il prodotto delle loro attività di studio e documentazione. Al Governo è richiesta un’analisi dei rischi associati al fenomeno della corruzione e dell’opacità delle lobby, fenomeno che porta a un notevole dispendio di risorse sia in investimenti errati, che in mancati guadagni. Non va meglio per quanto riguarda l’integrità: il fenomeno frequente delle “revolving doors”, ossia del passaggio dal ruolo in amministrazioni pubbliche a quello nel management di un’azienda, porta il punteggio totale della valutazione di TI al 35%. In questo caso è suggerita l’applicazione di codici di condotta all’interno delle istituzioni, in particolare le assemblee elettive nazionali e locali. Queste norme, in realtà, sono previste dall’ordinamento spagnolo ma, come accade spesso in altri Paesi di cultura latina (caso lampante: l’Italia, ma anche Messico e Cile), non sono rispettate nei modi e nei tempi adeguati. Un punteggio ancora inferiore viene dato alla parità d’accesso: la Spagna raggiunge solo il 17% in quanto a possibilità di partecipazione al processo decisionale da parte degli attori economici e politici. A capo del team che ha condotto lo studio sulle lobby in Spagna, che comprendeva il direttore dello studio, Manuel Villoria, il coordinatore Ana Revuelta, i ricercatori Esteban Arribas e Elena Herrero-Beaumont e il vice presidente della fondazione Ortega-Marañón, Jesús Sánchez-Lambas, il presidente di Transparency International Spagna, Jesús Lizcano, in conclusione dei lavori ha affermato: “la figura della lobby, intesa come gruppo di pressione a favore di determinati interessi è positiva per il funzionamento della democrazia, se sviluppata con la trasparenza e l'integrità e un quadro per garantire l'inclusione di tutti i segmenti della società. La mancanza di regolamentazione delle lobby aumenta il rischio di cadere in pratiche inappropriate, come traffico d'influenza o corruzione”. Il punteggio totalizzato dalla Spagna in merito alla trasparenza del lobbying è pari solo al 21%. Altri, impietosi, numeri raccontano, da un lato, la percezione che i cittadini spagnoli hanno delle lobby; dall’altro, il reale grado di incidenza della corruzione sull’economia del Paese iberico. Secondo l'Eurobarometro 2013, il 77% degli spagnoli ritiene che la corruzione è parte della cultura d'impresa del paese, mentre il 67% ritiene che l'unico modo per avere successo siano le connessioni politiche intessute tra decisori e gruppi di pressione. L'84% degli spagnoli crede che la corruzione e le connessioni siano il modo più semplice per ottenere servizi pubblici. Questa percezione è condivisa anche dalle imprese spagnole: il 91% vede collegamenti eccessivi tra denaro e politica, e il 93% crede che la corruzione e i favoritismi danneggino le contrattazioni. Anche in Europa la percezione del fenomeno è negativa. Oltre il 50% dei cittadini crede che il loro governo sia in gran parte o del tutto guidato da alcuni potenti interessi, mentre l’81% dei cittadini europei ritiene che eccessivi contatti commerciali tra affari e politica generino corruzione nel proprio Paese. Si potrebbe però dire che “non tutte le lobby vengono per nuocere”: una ricerca condotta da Burson-Marsteller e Cariotipo M5H tra vari membri di organi politici spagnoli ha riportato che, per il 56% di questi ultimi, incontrare i rappresentanti di interesse sia “auspicabile e perfino obbligatorio” per il loro lavoro, e l’86% ritiene la lobby “un contributo allo sviluppo della politica”. Tra i suggerimenti di Transparency International Spagna, raggruppati in 15 punti, vi sono la creazione di un registro dei lobbisti, che deve obbligatoriamente registrare tutte le persone che esercitano attività di lobby a livello nazionale e regionale, nonché la creazione di un organismo vigilante e indipendente dal potere sanzionatorio. In realtà in Spagna il procedimento di regolamentazione delle lobby ha fatto passi decisi negli ultimi mesi. A inizio anno, il premier Rajoy ha dato l’impulso per una regolamentazione unitaria, sintetica e onnicomprensiva del fenomeno lobbistico, con l’obiettivo di migliorare gli standard di trasparenza e partecipazione dei gruppi di interesse in politica. Nei mesi successivi, però, il governo ha rallentato la corsa per l’istituzione di un registro obbligatorio per i lobbisti e l’attuazione di regole di trasparenza per i decisori, inserendo le proposte legislative nel quadro del Piano governativo di Rigenerazione Democratica, che avrebbe portato a modifiche del Regolamento della Camera bassa, frutto di un compromesso tra Partito Popolare e Convergencia i Unió. Lo scorso maggio, dopo un’impasse di qualche mese dovuta alle elezioni europee, il tema è tornato in auge grazie all’iniziativa dell’APRI, l’associazione dei professionisti delle relazioni istituzionali spagnola a cui aderiscono 55 partner i quali, forti degli studi portati avanti dall’OCSE e dall’Unione Europea, hanno messo in campo il loro “potenziale di fuoco” nei confronti delle istituzioni. “Quanto maggiore è la trasparenza e la regolamentazione sulla lobby, tanto più è avanzata la democrazia in un Paese”, le parole della lobbista di Cariotipo MH5 Carmen Mateo. “Abbiamo proposto che la registrazione sia obbligatoria, con un emendamento alla legge sulla trasparenza e contrario ad ogni gruppo parlamentare”, ha ricordato Jordi Jané, deputato del partito Convergencia i Unió. “Dei 6500 lobbisti iscritti al Registro per la trasparenza europeo, oltre 300 sono spagnoli”, ha affermato Carolina Carbonell, Direttrice Generale dell’Istituto Internazionale di Diplomazia Corporativa e del Corporate Diplomacy & Public Affairs Executive Program dell’americana Schiller International University. E proprio la regolamentazione comunitaria rimane il modello prediletto per il legislatore spagnolo, nel tentativo di evitare scandali legati alla corruzione e ricostruire con precisione il processo che sta alla base della formazione delle leggi.

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