È un lobbista, Paolo Zanetto, 34 anni, comasco. Avvocato bocconiano, nel 2005 ha aperto uno studio con Alberto Cattaneo e oggi, con 21 addetti fra Milano, Roma e Bruxelles, sono la società di lobbying leader in Italia, con 3,4 milioni di fatturato nel 2012. «In crescita per il 2013», dice soddisfatto.
Da anni rappresenta i legittimi interessi di aziende in diversi settori, dall'energia ai trasporti, dalla salute alla tecnologia. Con trasparenza, essendosi persino dotato di un auditing (controllo) esterno, codice etico, e modello organizzativo in base alla legge 231/2001, quella sulla responsabilità amministrativa delle società. Essendo lobbying e finanziamento della politica, di cui si torna a parlare, parenti stretti, gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Domanda. Del finanziamento alla politica si parla, perlopiù dell'abolizione di quello pubblico.
Risposta. Si dovrebbe invece parlare di più di trasparenza, che è la parola chiave, perché ce n'è un dannato bisogno. Da tutti i lati. Infatti è stato importante che il governo abbia annunciato due riforme in parallelo: quella del finanziamento e quella per regolare le lobbies.
D. Perché?
R. Perché si tratta di due pilastri dello stesso edifico. Se si vuole recuperare un rapporto, laico e sereno col tema del costo della democrazia, riconoscendo appunto che un costo c'è, bisogna chiudere col sistema opaco che ha governato sin qui.
D. Regolare, in Italia, si traduce sempre con un'espressione: «Mettere lacci e lacciuoli»...
R. No, si tratta appunto di introdurre regole, non di avere l'ansia di correre a porre tetti a destra e a manca. Laddove c'è la tangente che passa di mano in mano, o c'è una busta di contante, il tetto non c'è e siamo, appunto, nell'illegalità.
D. Trasparenza, in questo caso cosa significa?
R. Significa dare a chiunque, cittadino, giornalista, osservatore civile, agli watch dog, come dicono negli States, gli elementi per capire quanto il politico di turno sia influenzato da soldi del privato. Devono essere chiare le interazioni fra donatori e politici. Ci sono organizzazioni, negli Stati Uniti che hanno creato piattaforme, come MapLight.org, in grado di incrociare i finanziamenti ai singoli membri del Congresso e la loro attività legislativa. E poi, naturalmente, ci vuole la trasparenza del lavoro lobbying.
D. In Italia si parla molto del finanziamento, complice quel tweet di Letta che annunciava l'accordo per la sua abolizione, anche se la strada, come vediamo, è un po' più lunga. Della legge sulle lobbies, invece, si sa poco_
R. È stata esaminata in Consiglio dei ministri, ma non ancora approvata. Si parla di un registro pubblico su modello di quanto avviene a Bruxelles e della necessità di dichiarare per conto di chi si opera, con quale tipo di finanziamento, su quali temi, e nei confronti di quali decisori. Modello che funziona bene all'estero e non si vede perché non possa farlo anche da noi. Questo modello consentirebbe di mettere a disposizione in formato grezzo, secondo il principio degli «open data», (dati aperti, ndr), cioè la rivoluzione che i governi e la politica stanno affrontando e che sta permettendo, altrove, le mille idee intelligenti, come quella già citata.
D. In un suo recente paper pubblicato per l'Istituto Bruno Leoni, di cui lei fa parte, lei osserva che sin qui il finanziamento privato alla politica sia stato poco praticato dalle aziende e che sia un fatto più di singoli privati...
R. Sì. I dati ufficiali sulle dichiarazione dei redditi 2012 dimostrano che dei 43,6 milioni di donazioni private alla politica solo 6,3 milioni provenivano dalle imprese e cioè il 14% del totale. La gran parte, cioè 37,3 milioni venivano da 14mila singoli cittadini che hanno versato mediamente 2.700 euro a testa.
D. Perché le aziende donano così poco?
R. Come negli Stati Uniti, le imprese sanno che il finanziamento per «comprare» influenza serve a poco. Pensi che nel 2000, quando negli Usa fini al fotofinish fra George W. Bush e Al Gore, furono raccolti 3 miliardi di dollari quando, appena lo 0,1% di quello che il governo federale spese quell'anno: 2,6 trilioni di dollari. E una ricerca dell'Mit, del 2003, mostra come le donazioni siano notevolmente limitate rispetto al valore dei settori dove le aziende operavano.
D. Per esempio?
R. Le aziende del settore difesa versarono in quegli anni 13,2 milioni ai politici e gli investimenti del Pentagono furono 134 miliardi, un rapporto uno a 10mila. Semplicemente le aziende donano pochissimo e usano quei danari per ottenere un po' della visibilità di cui i singoli politici godono, essendo diventati autentiche celebrità televisive..
D. Che significa?
R. Che negli Stati Uniti si preferisce investire molto più nel lobbying perché tra l'altro, sempre in base ai medesimi studi, si è visto che, per la pressione e il controllo della pubblica opinione, grazie alla trasparenza, può accadere che i politici finanziati finiscano anche per votare diversamente dai desiderata dei loro finanziatori, come è accaduto nel Tobacco Control Act: il senatore texano John Cornyn, pur avendo ricevuto 785mila dollari dalle aziende del settore, ha votato a favore. Capita di continuo, in tutti i settori industriali.
D. Quindi, lei dice, le aziende anche in Italia non donano per lo stesso motivo?
R. Esatto. Non si «compra» influenza. Viceversa la si può costruire in maniera competente e trasparente con le società di lobbying.
D. E chi donerà, allora, se passeremo al nuovo sistema?
R. La politica dovrà puntare sulle persone che si mobilitano, come i tre milioni che hanno partecipato alle primarie del centrosinistra, molti senza essere iscritti al Pd o agli altri partiti di quella coalizione, o ai tanti che partecipano alla vita del M5s. È un problema culturale: finché resta il finanziamento pubblico, questo potenziale di donazioni non si libera.
D. Anche se proprio alle primarie del centrosinistra, la campagna di Renzi, con tantissimi micro donazioni, ha mostrato che cosa potrebbe derivare.
R. Ma sì bisogna immaginare dei cittadini appassionati che, in un momento di grande partecipazione, donano i 30-40-50 euro.
D. E le imprese e i loro legittimi interessi?
R. Fatti valere verso la politica, in maniera regolata e trasparente, attraverso soggetti, le lobby, a loro volta pubblici e trasparenti.








































