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I lobbisti: “Per distinguerci da Bisignani il traffico d’influenza non basta”
Scritto il 2012-11-15 da lobbyingitalia su Italia

Con il reato di traffico di influenze, qualcosa cambia nel mondo delle lobby. Ma non basta, dicono gli stessi lobbisti, occorre un registro nazionale che ne renda tracciabile l'attività. Lo scopo è distinguere la loro attività da quella dei faccendieri come Bisignani o Lavitola.

Lobby di dio, lobby dei grembiulini, lobby della pubblica amministrazione, lobby degli enti locali, degli avvocati, dei farmacisti, dei medici,dell’energia, del tabacco e delle multinazionali del fumo, dell’editoria, dei rifiuti. La lista è lunghissima. E poi grandi e piccoli faccendieri, tanti Bisignani, Lavitola, Tarantini e amici di amici di amici.

È un pianeta a due emisferi, uno oscuro e intricato che si oppone a ogni tentativo di regolamentazione, l’altro trasparente e professionale che invoca codici etici e registri, quello di quanti, in nome dei propri gruppi di interesse, cercano di esercitare la loro influenza sui centri nevraligici decisori del nostro paese: governo e parlamento. Ombre e luci di una galassia intricatissima e nebbiosa per la quale comunque potrebbe cominciare da oggi un’era nuova, si spera all’insegna di una maggiore trasparenza dopo l’approvazione definitiva della Legge anticorruzione.

Il bene vincerà sul male? Se lo augurano quelli che si definiscono lobbisti veri, 1.500 professionisti secondo alcune stime, che da tempo si battono per normare la loro attività e non essere confusi con i tanti maneggioni, che conoscono tutte le debolezze della casta e sanno bene come utilizzarle per trarne vantaggio.

Se lo augurano i grandi studi professionali e se lo augura la lobby del settore da sempre in prima linea nel segno della glasnost, quella che si riconosce nell’associazione il Chiostro, che, anche da un punto di vista terminologico, si propone come alternativa etica alla parola lobby (che deriva da lobia, latino medievale, che vuol dire loggia, ma anche passaggio,corridoio).

«Siamo d’accordo con l’introduzione del reato di traffico illecito di influenze – dice il presidente del Chiostro, Giuseppe Mazzei – la formulazione è stata migliorata anche grazie alle nostre critiche costruttive. Ma non ci stancheremo mai di ripetere che c’è bisogno di una legge ad hoc o almeno di un registro nazionale». E poi: «la legge sulla corruzione bastava di per sé – sostiene Carlo Buttaroni dell’Istituto di ricerca e comunicazione pubblica Tecnè – questo articolo non risolve niente. È necessaria una normativa che regolamenti tutta quanta l’azione di lobbing, rendendola tracciabile. Altro non serve. Dipende esclusivamente dal termometro morale del decisore».

Notevoli perplessità nutre il giurista Antonino Battiati. «Il reato di traffico illecito di influenze –sottolinea – così come è formulato, mi suona in contrasto con i principi costituzionali e mi pare che sacrifichi completamente la figura del lobbista, che non ha spazio di intervento. Insomma: senza una regolamentazione, una legge specifica, non mi sembra che regga».

«Questo nuovo reato rende ancor più ambigua la situazione. E più urgente che mai a questo punto – spiega un lobbista – l’introduzione di un registro che documenti le nostre attività. Regolamentarci porterebbe enormi vantaggi al nostro sistema economico. Se fossero garantite a tutti i gruppi di pressione pari opportunità il meccanismo della concorrenza ne trarrebbe vantaggio con conseguenze sul Pil che potrebbe addirittura aumentare di un punto». Chi rema contro? «Naturalmente faccendieri, ex parlamentari e amici degli amici».

Un primo registro comunque c’è già. Ed è stato istituito presso il Ministero dell’Agricoltura. Assicurano che sarà presto consultabile e che i documenti prodotti dalle lobby dovranno essere consegnati all’Unità per la Trasparenza. Più avanti in questa direzione, le Regioni, capofila la Toscana, che ha una legge sulle lobby dal 2002. Molise e Basilicata sembrano intenzionate a seguirne l’esempio.

Ma tutti questi paletti funzioneranno? Ammette disincantato un deputato, che vuole conservare l’anonimato che «non si può credere di regolamentare le relazioni umane». «Ci sono tantissime proposte di legge sulla materia – spiega –  abbiamo anche studiato vari modelli. Nessuna va davvero al nocciolo della questione, che è la modalità dell’azione di lobbing. Qui è il punto. Non si può prescindere da amicizie, da conoscenze. Come si fa a parlare di traffico illecito di influenze? Per fare un esempio. Se un mio amico, lobbista o traffichino, incontrato a una cena o a una partita a tennis, in due minuti mi spiega come aggiustare un provvedimento sull’energia pulita o sui rifiuti o sui farmaci, che faccio non lo sto a sentire? E se finirà per influenzarmi, com’è che verrà stanato? Devo essere io a tenerlo a bada. Devo essere io a chiedergli di ufficializzare la sua proposta. Quindi il problema è a monte. La barriera la dovremmo innalzare noi parlamentari. O coloro che hanno potere di decidere».

Sì, perché troppo spesso tutto avviene in privato, one to one. Il relatore di un disegno di legge viene contattato dai singoli lobbisti. E per un deputato o un senatore è un’opportunità: non solo perché il lobbista fa risparmiare figuracce, conoscendo meglio la materia tecnicamente, ma anche e soprattutto per la relazione di do ut des informale e inevitabile che si stabilisce. E c’è dell’altro: «Ci sono certi lobbisti, più vicini in questo caso ai faccendieri, che si rivolgono non direttamente a noi, ma ad altre figure». Di solito «il grande rito si consuma nei salotti romani o nelle sale riservate dei grandi ristoranti, protagonisti emissari poco riconoscibili. È proprio questo che va impedito». Cosa fare? Intanto vediamo che frutti darà l’introduzione di questo nuovo reato.

Fonte: Linkiesta

Tanto tuonò che piovve (forse). Per ora sono solo emendamenti quelli che piovono sul ddl lobby da due anni in discussione in Commissione Affari Costituzionali al Senato, che sembra - ripetiamo, sembra - avviarsi verso un confront serio e forse anche ad un'approvazione, dopo la fuga in avanti della Camera col suo (limitato) Registro dei portatori di interessi.Traffico d'influenza: non è illecito ciò che è lecitoIl più interessante, e probabilmente fondamentale, è l'emendamento presentato dal senatore Pd Gianluca Susta, che va a specificare nel reato di traffico di influenze illecite che "non è illecita l'attività di rappresentanza degli interessi svolta in forma professionale, nei limiti e con le modalità previste dalla normativa vigente in materia, presso le istituzioni e le amministrazioni pubbliche e finalizzata alla partecipazione democratica ai processi decisionali ovvero all'elaborazione ed attuazione delle politiche pubbliche, nel perseguimento di obiettivi leciti, anche di natura non economica".Un Registro per tutte le istituzioniRegolare anche l'attività di lobbying svolta nei confronti dei decisori politici degli enti locali, come i presidenti, gli assessori e i consiglieri regionali; i presidenti e i consiglieri delle Province e delle Città metropolitane; i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali. E' quello che chiede un emendamento presentato dal senatore Pd Francesco Verducci, cui si aggiunge quello dalla senatrice Pd Laura Puppato  che vorrebbe estendere la valenza nei confronti di "collaboratori parlamentari" e "consiglieri parlamentari, componenti e vertici degli enti pubblici economici e non economici, consiglieri regionali e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano".Ma l'emendamento Verducci va a sostituire l'intero articolo 2 sulle definizioni, aggiungendo ex novo la definizione di "portatori di interessi particolari": "i datori di lavoro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente con i rappresentanti di interessi particolari avente ad oggetto lo svolgimento dell'attività di relazioni  istituzionali per la rappresentanza di interessi, nonché i committenti che conferiscono ai rappresentanti di interessi particolari uno o più incarichi professionali aventi ad oggetto" lo svolgimento dell'attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi. A differenza della definizione attuale di "attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi", definita solo come "ogni attività diretta a orientare la formazione della decisione pubblica, svolta anche attraverso la presentazione di proposte, documenti, osservazioni, suggerimenti, richieste di incontri", la proposta Verducci è molto più articolata e si rivolge a chi svolge l'attività "professionalmente" (come già accaduto per il provvedimento della Camera e come richiesto in altro emendamento dalla senatrice Pd Laura Fasiolo). La proposta esclude dalla definizione "le semplici richieste di informazioni sull'iter di un provvedimento legislativo o amministrativo, la partecipazione ad audizioni o a riunioni convocate o sollecitate" dai decisori pubblici.Articolata e più inclusiva anche la definizione di "rappresentanti di interessi". Oggi il ddl li definisce come i soggetti che svolgono attività di rappresentanza di interessi, rimandando a quella definizione. Dunque per Verducci i lobbisti sono "i soggetti che rappresentano presso i decisori pubblici, direttamente o indirettamente, su incarico dei portatori di interessi particolari, come definiti alla lettera, interessi leciti di rilevanza non generale, anche di natura non economica, al fine di incidere su processi decisionali pubblici in atto, ovvero di avviare nuovi processi decisionali pubblici, nonché i soggetti che svolgono, anche nell'ambito o per conto di organizzazioni senza scopo di lucro, ovvero di organizzazioni il cui scopo sociale prevalente non è l'attività di rappresentanza di interessi, per conto dell'organizzazione di appartenenza, l'attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi".Diversa invece la proposta dei senatori Giuseppe Marinello (AP), presidente della commissione Ambiente, e   Antonio Milo (Conservatori e riformisti), che specifica come la rappresentanza di interessi sia la "attività, non sollecitata da decisori pubblici".Palla all'ANAC?Sempre la senatrice Puppato  vorrebbe affidare all'Anac l'attività di controllo sulla trasparenza e la partecipazione dei rappresentanti di interesse ai processi decisionali pubblici. Attualmente il ddl affida questo compito ad un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi, da istituire ad hoc, che un emendamento del senatore di Forza Italia, Lucio Malan, vorrebbe eliminare, senza però specificare a chi andrebbe il controllo!Codice di condotta per lobbistiLa senatrice Puppato vorrebbe inserire tra i dati che i lobbisti dovranno riportare nella relazione annuale da consegnare al Comitato di vigilanza anche "le somme o altre utilità eventualmente elargite a titolo di erogazione liberale in favore di partiti, movimenti o gruppi politici organizzati, nei limiti della normativa vigente, nonché una dichiarazione che dette elargizioni non sono legate al conseguimento dell'interesse rappresentato". Ma il senatore Pd Francesco Russo chiede l'istituzione nel codice di condotta dei lobbisti del "divieto di offrire al decisore pubblico qualsiasi tipo di compenso o altra utilità, ovvero regali, anche d'uso, di valore superiore a 150 euro l'anno"; e il "divieto di elargire a partiti, movimenti o gruppi politici organizzati somme o altre utilità a titolo di erogazione liberale", in pratica vietando quindi il finanziamento diretto della politica da parte dei lobbisti registrati. Ossimori.L'emendamento Russo sostituirebbe per intero l'articolo 5 del ddl che attualmente lascia ai lobbisti il compiti di definire un codice di condotta e di depositarlo insieme all'iscrizione al registro, precisando cosa deve prevedere il codice di condotta che nell'emendamento viene definito come un vero e proprio "codice deontologico". Il codice dovrà essere adottato dall'Anac e, oltre ai due divieti già menzionati, dovrà prevedere tra le alter cose: il divieto di rivendicare relazioni ufficiali con l'amministrazione nei loro rapporti con terzi; l'obbligo di identificarsi preventivamente sempre con il proprio nominativo ovvero con il nominativo che risulta nel Registro, dichiarando gli interessi che si rappresentano e gli obiettivi promossi;  l'obbligo di indicare i propri riferimenti e quelli dell'eventuale committente in tutti i documenti comunque consegnati o trasmessi al decisore pubblico; l'obbligo di rispettare i doveri di riservatezza nell'esercizio dell'attività; l'obbligo di fornire ai decisori pubblici informazioni corrette e non fuorvianti; il divieto di esercitare pressioni indebite (non è chiaro cosa voglia dire) nei confronti dei decisori pubblici. Il codice deontologico dovrà indicare infine "le sanzioni in caso di inosservanza dei doveri dei rappresentanti di interessi" e "le modalità di applicazione".O studi o fai il praticantatoAlessandro Maran e Francesco Verducci hanno presentato due emendamenti simili che mirano a inserire tra i requisiti per l'iscrizione al registro dei lobbisti il "possesso di una laurea specialistica o di un titolo specialistico equipollente ovvero dimostrare di aver maturato almeno due anni di esperienza continuativa presso un soggetto iscritto al Registro". La proposta emendativa Maran, tra i requisiti, prevede anche la possibilità di aver acquisito esperienza "alle dipendenze di un gruppo parlamentare".Commissioni trasparentiTra le novità in ottica "positive", e cioè dei vantaggi che i soggetti trarrebbero dall'iscrizione ci sarebbe - secondo alcuni emendamenti presentati da Pd, Cor e Ala - la possibilita per i lobbisti di assistere alle procedure informative e istruttorie del procedimento decisorio nelle forme stabilite dalla disciplina dell'organo competente. Inoltre, secondo quanto richiesto da due emendamenti dei senatori Pd Francesco Verducci e Francesco Russo, "Il decisore pubblico non può rifiutare di conoscere le proposte, le richieste, i suggerimenti e ogni altro genere di informazione, purché pertinenti all'oggetto dei processi decisionali, presentati dal rappresentante di interessi iscritto nel Registro". Gli stessi emendamenti prevedono anche che "il decisore pubblico non può altresì rifiutare le richieste di incontro inoltrate da rappresentanti di interessi iscritti al Registro, se non attraverso risposta motivata, anche telematica".Diritti e divieti per i collaboratori parlamentariUn emendamento del Pd - a prima firma Annamaria Parente ma sottoscritto da altri 28 senatori tra cui qualche M5s - vuole inserire  la disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del parlamento e i loro collaboratori. A prevederlo è , presentato al ddl lobby in commissione Affari costituzionali Senato. L'emendamento inserisce l'incarico di collaboratore parlamentare tra quelli che fanno scattare l'incompatibilità con l'attività di lobbying (e qualche collaboratore  non sarà affatto contento...) e, contestualmente, aggiunge un capo II-bis per disciplinare il mestiere. Nello specifico l'emendamento regola anche il rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori e rinvia agli uffici di presidenza delle Camere il compito di disciplinare le modalità retributive dei collaboratori La retribuzione - secondo quanto si legge nell'emendamento - "non può essere inferiore ai minimi contrattuali o definiti dalla legge ovvero ad un equo compenso commisurato alla natura e all'orario della prestazione concordata tra le parti".Ancora audizioniSecondo quanto riporta Public Policy, la settimana prossima inizierà, in commissione Affari costituzionali al Senato, un breve ciclo di audizioni sul ddl Lobby. Al termine delle audizioni, qualora emergessero esigenze particolari, potrebbe essere riaperta una breve finestra - al massimo 48 ore - per la presentazione di ulteriori emendamenti. 

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Analizzare l'articolo 346 bis del codice penale per capire che il reato attribuito a Federica Guidi si basa sul nullaIl reato di traffico di influenze illecite è come la corazzata Potemkin del film di Fantozzi, una boiata pazzesca: la si può girare come si vuole, ma alla fine i conti non tornano, perché è costruito sul nulla”. Non gira attorno alla questione Tullio Padovani, professore di Diritto penale all’Università Sant’Anna di Pisa, avvocato protagonista di accese battaglie legali in difesa di manager come Marco Tronchetti Provera e banchieri come Giuseppe Mussari (processo Monte dei Paschi). Per capire a pieno perché il reato che ha scatenato le dimissioni del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, sia in realtà basato sul “nulla”, occorre chiarire la fattispecie di cui si sta tanto parlando, disciplinata dall’articolo 346 bis del codice penale: è colpevole di traffico di influenze illecite colui (spesso definito “faccendiere”) che sfruttando la relazione con un pubblico ufficiale si fa dare o promettere “indebitamente” denaro da un privato per spingere il funzionario amministrativo a compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio, in favore del privato stesso. Un reato molto prossimo a quello previsto dall’articolo 346, compiuto dal millantatore che però, a differenza del “faccendiere”, è un semplice “venditore di fumo”, dal momento che non può disporre realmente di una relazione con il pubblico ufficiale. Dall’art. 346 bis possono dunque emergere due ipotesi di reato, due “gambe” come le definisce Padovani, entrambe incardinate su un terreno giuridico piuttosto farraginoso. La prima ipotesi è che il “faccendiere” si faccia pagare da un privato per influire sull’attività di un pubblico ufficiale, senza però l’intenzione di corromperlo. Una semplice attività di mediazione, ossia di lobbying, fino a prova contraria non illegale, in cui si tenta di convincere per esempio un parlamentare della bontà pubblica di una determinata decisione. Quand’è che quindi questa attività costituisce reato? Quando – recita l’art. 346 bis – l’attività viene svolta in maniera “indebita”, e qui, spiega Padovani, casca il primo asino: “E’ un requisito che i penalisti chiamano di illiceità speciale: la condotta per diventare penalmente illecita deve già esserlo di per sé, ma per poter definire un illecito ci vuole una legge che chiarisca cos’è una mediazione, legge da noi inesistente”. Con la conseguenza che spetta al magistrato colmare, con ampi margini di discrezionalità, il vuoto normativo. Non solo: il mediatore, una volta ottenuti i soldi dal privato, potrebbe in realtà anche decidere di non influire sul pubblico ufficiale. Si potrebbe insomma avere alla fine un soggetto condannato per traffico di influenze illecite, ma che in verità non ha mai cercato di condizionare l’amministratore pubblico.La seconda ipotesi di reato prefigurata dall’art. 346 bis è quella in cui il mediatore riceve del denaro anche per corrompere il pubblico ufficiale. Attenzione, però: per rimanere nell’ambito del traffico di influenze illecite, e non sfociare invece nel reato di corruzione, il denaro fornito al mediatore per corrompere il funzionario pubblico non deve essere effettivamente consegnato o promesso a quest’ultimo. “Si costituisce – spiega Padovani – un’attività meramente preparatoria del delitto di corruzione, che quindi non si completa. L’inghippo sta che l’incriminazione poggia tutta sulla finalità, ma la finalità sta nella testa della gente, e come fai a stabilirla?”. Da qualunque parte la si guardi, insomma, la norma palesa ambiguità preoccupanti in relazione alla certezza del diritto: “Si è di fronte a una fattispecie di reato che sembra esistere ma non esiste”, commenta il professore, perché “non ha uno spazio applicativo definito”, né sul primo fronte, quello della mediazione (dove manca una legge che fissi le categorie di lecito e illecito), né sul secondo fronte, quello della “corruzione abortita”, da dimostrare rintracciando oscure “finalità” corruttive. L’articolo 346 bis ha insomma “un grado di consistenza paragonabile agli zombie del film ‘La notte dei morti viventi’”, ribadisce Padovani. “Una boiata pazzesca”, sorride. Arriviamo così alla vicenda specifica del ministro Guidi, al quale – pur non essendo al momento indagato – viene rimproverato di aver inserito nella legge di Stabilità del 2015, su pressione del suo compagno e imprenditore Gianluca Gemelli, l’emendamento che sbloccava il progetto d’estrazione petrolifera Tempa Rossa, favorevole alla Total, che avrebbe poi “ripagato” l’intermediazione di Gemelli affidando un subappalto a una delle sue aziende. Una vicenda che, posta in questi termini, secondo Padovani lascia “disorientati”, perché è difficile capire a cosa si riferiscono i pm: “Il giudice penale non può stabilire se quell’atto andava bene o no, non può sindacare il merito di una decisione politica. E poi di cosa parliamo? E’ stato Renzi a dichiarare pubblicamente di aver inserito l’emendamento nella legge, e non la Guidi”. “Non riesco a credere che tutta la vicenda sia stata costruita solo su questo – aggiunge il professore – quindi credo, anzi voglio sperare, che la procura di Potenza si sia concentrata pure su altre ipotesi di reato, anche perché se hanno chiesto misure cautelari, il 346 bis c’entra come un cavolo a merenda”. Purtroppo, però, “i giornalisti vengono attratti da questo nome che circola, ‘influenze illecite’, e perdono di vista la luna che sta dietro il dito”. Dove la luna, in questo caso, è costituita dall’insieme dei reati su cui indagano i pm e che evidentemente ancora non sono finiti sui giornali, e dove il dito, invece, è rappresentato dal traffico di influenze illecite, un reato con “consistenza criminosa inafferrabile”, peraltro di modesta entità (prevede una pena da 1 a 3 anni). E allora perché è stato inserito nel codice penale? “Perché faceva tanto fine, tutti parlavano del traffico di influenze e allora mettiamocela anche noi una normettina nel codice, così rinfreschiamo la stanza, mettiamo un mobile nuovo. Ma poi ci rendiamo conto che un mobile senza cassetti non serve a niente”.   

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«Prendo atto della richiesta di una maggiore trasparenza nei rapporti tra politica e interessi privati, e la condivido pienamente. Reputo per esempio che una seria regolamentazione dell’attività lobbystica sia ben più che auspicabile, infatti è stata più volte tentata, senza esito. Ma attenzione: i nostri problemi non possiamo immaginare di risolverli solo con le leggi. Il vero cambiamento, prima che con le norme, avviene con l’affermazione di una autentica e diffusa cultura della reputazione, da parte di chi ricopra incarichi nella gestione dello Stato». Per Giovanni Maria Flick, classe 1940, il diritto è pane quotidiano da mezzo secolo. Magistrato, poi avvocato penalista, professore ordinario di diritto penale, quindi il passaggio nel cuore delle istituzioni come Guardasigilli nel primo governo Prodi e successivamente la nomina nella Corte Costituzionale che ha poi presieduto tra il 2008 e il 2009. Flick non entra nel merito della vicenda Guidi, che è al vaglio della magistratura, ma fornisce le sue riflessioni su alcuni aspetti che la questione solleva.Presidente Flick, le dimissioni del ministro Guidi pongono certamente il tema del conflitto tra interessi privati e decisione politica.«Un tema ahimé ricorrente nella nostra storia, se già Giolitti sosteneva che “le leggi per gli amici si interpretano, per tutti gli altri si applicano”. Tuttavia dobbiamo considerare le ultime, giuste modifiche che sulla corruzione sono state introdotte, anche con riferimento alla nuova fattispecie di reato del “traffico di influenze” che dovrebbe consentire di bonificare quella zona grigia dove informazione e pressione rischiano di produrre illecite sovrapposizioni. Parliamo però di norme che in principio possono funzionare, ma in concreto, essendo molto recenti, devono ancora offrire una dimostrazione di come funzionino».Si parla di necessità di regolamentare le lobby. Che ne pensa?«Il nostro Paese ha una struttura assai corporativa, dove sono cresciuti numerosi corpi intermedi. Che compiono una attività giusta e doverosa, se lecita, di informare e comunicare i problemi e i bisogni della propria categoria. È evidente che invece la pressione contra legem va sanzionata, per quanto sia però sempre molto difficile da dimostrare; inoltre il giudice penale non può sindacare sulle decisioni assunte dal Parlamento, che è sovrano. Se l’influenza diventa condizionamento, e l’opera di rappresentanza scivola nella corruzione o nel millantato credito o nel traffico di influenze, siamo davanti a un problema da risolvere. Ma è bene fare molta attenzione».Si spieghi.«La richiesta di trasparenza è bene non si risolva in una operazione puramente burocratica in cui dall’opacità si passa al suo polo opposto del sovraccarico di informazioni. Gilbert Keith Chesterton, che molti ricorderanno per l’invenzione di Padre Brown, diceva che il modo migliore per nascondere un cadavere sia un campo di battaglia, per un sasso una spiaggia, per una foglia una foresta. Ecco, evitiamo che si possa nascondere un’informazione utile in una foresta di informazioni inutili».Occorrerebbe o no allora secondo lei una legge? «Ben vengano le leggi, a patto però di ricordarci di quelle che già abbiamo. Il punto non è tanto intervenire sui reati, ma come non arrivare ai reati. Si dovrebbe riuscire a instaurare una “cultura della reputazione” rifacendoci alle regole auree della nostra Costituzione sui pubblici funzionari, stabilite nell’articolo 54, in cui si parla del “dovere di essere fedeli alla Repubblica” e dovere di adempiere alle funzioni pubbliche con “con disciplina ed onore”, nel 97 dove si stabilisce l’obbligo del “buon andamento, della legalità e l’imparzialità dell’amministrazione”, nel 98, dove il servizio alla Nazione è il primo principio esclusivo per chi abbia incarichi pubblici».Come si può intraprendere un controllo e una tutela di questi principi? «Il controllo avviene attraverso un’azione triplice: un’azione personale, in cui il metodo è dettato dalla propria coscienza, e di coscienza purtroppo o per fortuna ognuno ha la sua; istituzionale, e sappiamo che la nostra pubblica amministrazione e la nostra giustizia non funzionano sempre esattamente come dovrebbero; e, soprattutto direi, sociale, cioè attraverso la pubblica opinione. A patto che abbia i giusti strumenti per conoscere e quindi per decidere».A che si riferisce?«Ad esempio, uno delle conseguenze preoccupanti della vicenda giudiziaria sul petrolio lucano che ha portato alle dimissioni del ministro Guidi è la sovrapposizione polemica che si cerca di fare con il referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare. Cercare e stabilire un legame tra queste due questioni in sé diverse mi sembra sbagliato. Devo confessare che nemmeno io sento di avere una esatta cognizione del quesito proposto nella consultazione. Immagino che valga per molti milioni di italiani, cui intanto andrebbe spiegato per bene che se volessero dire sì dovrebbero scegliere il no, e viceversa naturalmente».In autunno ci aspetta un altro referendum.«Che è ancora un’altra partita, totalmente diversa e più importante».Qual è la sua opinione al riguardo?«Trattandosi di una riforma costituzionale, ci sarebbe da fare un più lungo discorso. Sento però di dire che mi ha destato perplessità questo ridisegno della struttura costituzionale. Intanto perché credo che il primo passo di una vera riforma della Carta sia rileggerla, perché spesso vi si trovano già le risposte che si cercavano nel modificarla. Inoltre non ho condiviso come il dibattito sia stato più politico che giuridico: ci sono i voti oppure no, che maggioranza c’è… Un referendum costituzionale non può trasformarsi in una valutazione sull’operato di un governo: per quello ci sono le elezioni. Inoltre il modo in cui si è superato il bicameralismo perfetto rischia di produrre conflitti tra la Camera e questo nuovo Senato a investitura mista, il tutto poi aggrovigliato a questa nuova legge elettorale chiamata Italicum. Senza contare il mancato chiarimento dei rapporti Stato-Regioni. Ripeto: ho qualche perplessità». Fonte: Il Mattino - http://goo.gl/rdiYHE  

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