(Francesco Galietti) Servono alle aziende e ne beneficiano anche le istituzioni. Che possono restare in contatto con il mondo reale. E l'Europa stima che con regole chiare ed efficienti in Italia la produttività potrebbe crescere fino al 14%.
E' inutile girarci attorno: nessuna istituzione è impermeabile alle influenze oppure alle pressioni esterne. E fare lobbying significa influenzare chi matura decisioni a rilevanza pubblica, confrontarsi con lui, rappresentandogli le proprie po-sizioni e le proprie argomentazioni. Fare lobbying serve tanto alle impre-se quanto alle istituzioni. E non ci sono «casi Bisignani » che possano rimuovere, se non ipocritamente, questa esigenza sociale. L'interesse del mondo economico a fare lobbying è cosa nota.
In un mondo in cui il peso dello Stato ín economia è forte e crescente, capire le istituzioni e dialogarvi è necessario. Francesco Cossiga, che di queste cose capiva parecchio, ripeteva che il maggior Paese a socialismo reale fuori dal mondo dichiaratamente comunista è l'Italia. L'esigenza di fare lobbying è particolarmente forte per chi opera in mercati regolati nella struttura di prezzo (utilities, trasporti, comunicazioni) o nella condotta e nella stabilità (mercati finanziari). Per diversi osservatori la presenza delle lobby è considerata la causa di molti mali di questo Paese. Comunque la si pensi, non è possibile rinunciare a fare lobbying. Se non lo fai tu. lo farà il tuo concorrente, con il rischio che sia lui, e non tu, a influenzare le nuove regole. Ma attenzione: non bisogna credere che il lobbying serva solamente alle (grandi) aziende.
A beneficiarne sono anche le istituzioni, e non poco. L'interazione con la società civile ha una funzione informativa e serve a evitare regole che sulla carta stanno in piedi ma nella realtà servono a poco o fanno addirittura danni. Si tratta di un principio di buon senso, che negli Stati Uniti d'America è tutelato dalla Costituzione: cittadini e gruppi organizzati hanno il diritto di far sentire la propria voce all'interno del Congresso.
Ma c'è dell'altro. Il dialogo tra la società civile e il decisore pubblico serve a legittimare quest'ultimo: figura capace di ascoltare e interpretare il mondo esterno, pur mantenendo la identità e indipendenza istituzionale. Proprio per questo motivo, anche in Italia, sono diverse le autorità indipendenti che fanno ricorso alle consultazioni pubbliche. Per la Banca d'Italia, la Consob, la commissione nazionale per le società e la Borsa, l'Isvap, l'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, e la Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, questa prassi addirittura è prevista dalla legge sul risparmio.
Ma non solo. Il dialogo tra società civile e decisore pubblico può portare al miglioramento della qualità della normativa. Questo è un elemento fondamentale della Europe 2020 Strategy, confermato da una recente analisi dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Oecd): con regole più efficaci la produttività italiana potrebbe crescere del 14% in un decennio.
In Italia il lobbying esiste, e in varia forma lo esercitano un po' tutti: lobbisti di professione, consulenti di ogni genere, think tank, partiti, sindacati, media. Sembra la taverna di Star Wars, dove mancano regole non giova a nessuno, figuriamoci a chi fa lobbying seriamente. In Italia il dato antropologico è che contano l'economia relazionale, il peso di partiti e sindacati gestori e la morsa d'acciaio del mondo corporativo. Se si vogliono fare regole certe per il lobbying è impossibile non tenerne conto.
La prima sfida è quella di evitare discipline asimmetriche, dove alcuni soggetti sono molto regolati mentre altri fanno i comodacci loro pur facendo lo stesso mestiere. Meglio cominciare dalle regole che disciplinano l'accesso fisico alle se-di istituzionali, la partecipazione dei portatori di interesse a indagini conoscitive in Parlamento, i giri di consultazione. Serve a fare lobbying seriamente e nelle sedi appropriate, a lasciare traccia dei confronti tecnici e a evitare opacità. Anche a costo di fare lavorare un po' di meno i ristoranti romani.
































