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Marco Simeon, un anfibio in Rai
Scritto il 2009-11-23 da lobbyingitalia su Italia

L'improvvisa nomina di Marco Simeon a Responsabile delle Relazioni Istituzionali di Viale Mazzini ha lasciato di sasso il Consiglio di Amministrazione e soprattutto i rappresentanti del PD.
Cosa ci fa nella televisione pubblica l'ambasciatore di Mediobanca in vaticano, uomo di fiducia del cardinal Bertone?

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Chi è (a cura di LI.Info): Marco Simeon ha 32 anni. Carriera fulminante, la sua: una laurea in diritto canonico, con una tesi sul ruolo della segreteria di Stato nella Citta del Vaticano; segretario generale della Fondazione beni e attività artistiche della Chiesa; l’organizzazione, nella Genova di Bagnasco, dei “Cardinal dinners”; referente della National Italian American Foundation per conto della Santa Sede; priore della Fondazione Magistrato di Misericordia, un ente religioso presieduto dall’arcivescovo che amministra lasciti milionari; curatore dei rapporti tra Mediobanca, per cui lavorava, e il Vaticano. Da fine 2009 è il Direttore delle Relazioni Istituzionali della RAI.

18/01/2012 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo messaggio di Pippo Corigliano, a lungo responsabile dell'Ufficio Informazioni della Prelatura dell’Opus Dei, in relazione all'articolo di "Prima Comunicazione" qui riportato.

Gentili Signori,

sono stato per 40 anni il direttore dell'Ufficio Informazioni dell'Opus Dei e conosco Marco Simeon, che non è mai stato membro della Prelatura dell'Opus Dei, come da lui più volte dichiarato pubblicamente.
Essere fedele della Prelatura è come frequentare sistematicamente una parrocchia: non è un segreto ma non lo scrivo sul biglietto da visita. Tutto qui.

Con i più cordiali auguri di buon lavoro.

Pippo Corigliano

Vittorio Bruno - Prima Comunicazione

Lo scandalo ha messo in risalto l’immobilismo del Parlamento sulla regolamentazione delle lobby e del conflitto d’interessiScoppia il caso Guidi e la mancata regolamentazione dell’attività di lobby torna alla ribalta del dibattito politico e con essa anche la riforma delle norme in materia di conflitto di interessi.Il testo base sulle lobby (S. 1522 e conn.) giace da mesi in commissione Affari Costituzionali al Senato dove è stato continuamente posticipato il termine per la presentazione degli emendamenti senza poi fare alcun passo avanti. Circa un mese fa era stata avanzata l’ipotesi di trasferirlo direttamente all’interno del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza (S. 2085), per consentirne un’accelerazione dell’iter, ma l’ipotesi è tramontata pare definitivamente.Alla fine di febbraio, invece, la Camera ha approvato in prima lettura una proposta di legge volta a superare l’attuale e contestatissima legge in materia di conflitto di interessi, emanata sotto il governo Berlusconi (C.275 e abb.). Il provvedimento, inoltrato all’altro ramo del Parlamento, non è ancora ancora calendarizzato.Ci si interroga adesso, di fronte alle vicende che hanno portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, cosa sarebbe successo se questi due provvedimenti fossero già diventati legge.Se fosse stato operativo il registro di chi svolge attività di lobbying, il compagno della ex ministro Federica Guidi avrebbe dovuto e potuto esservi regolarmente iscritto ed avrebbe dovuto dichiarare in maniera trasparente i suoi scopi professionali e i suoi clienti. In questo caso il conflitto d’interessi sarebbe stato immediatamente evidente e, di conseguenza, sarebbe stato molto difficile coprire i motivi che hanno portato l’emendamento sotto i riflettori dei media.Il riconoscimento ed una buona regolamentazione delle lobby e norme chiare ed inequivocabili in materia di conflitto di interessi, potrebbero per il futuro impedire che clientelismo e nepotismo si instaurino in un sottobosco di opacità in cui è lecito far passare leggi in virtù di un’amicizia e non di un interesse pubblico.Fonte: Polit'xhttp://goo.gl/922bUZ

Imprese - Lobbyingitalia

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

Imprese - Lobbyingitalia

(Alberto Cattaneo) Fare lobby significa spesso lavorare in difesa di interessi specifici che si incastrano in situazioni complicate e dalle verità multiple. Ha ragione chi difende la sperimentazione animale in nome della ricerca e della salute degli uomini o hanno ragione gli animalisti a sostenere il diritto alla vita degli animali? Ha ragione l’ambientalista o l’azienda inquinante? Ha ragione chi difende il gioco legale o il movimento di opinione che lo vorrebbe abolire? Non è facile dare delle risposte a questo genere di domande e sarebbe troppo facile dire che la verità o la soluzione a questi “dilemmi sociali” risiede in un giusto mezzo, nel ritrovare un punto di equilibrio che possa soddisfare le parti interessate. Il lobbista, nella sua essenza, è proprio colui che ricerca questo punto di equilibrio, ma ciò che ci interessa oggi è quanto possa essere difficile farlo quando qualcuno o qualcosa “impone” una verità precostituita. In un contesto dove la comunicazione viaggia veloce e raggiunge in modo multiforme la cosiddetta opinione pubblica, è facile che si costruisca una qualche forma di verità che cristallizza posizioni identificando i “buoni” e i “cattivi”, i “giusti” e gli “sbagliati”. Spesso a farlo è la magistratura inquirente, altre volte la politica, altre ancora i media. Sono numerosi le fonti, infatti, capaci di creare una “verità” e farla passare per l’unica possibile. Come dovrebbe lavorare un lobbista in questo genere di situazioni?* Proviamo a fare un passo indietro. Che cosa è la verità? Nietzsche direbbe che la verità è “un mobile esercizio di metafore, metonimie, antroporformismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite e che, dopo un lungo uso, sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti”. In estrema sintesi la verità è frutto di un esercizio linguistico e di un codice il cui carattere è sempre più “sociale e in definitiva anche politico” (cioè relazionale). La verità, intesa in questo modo, è solo un termine – come ci dice Vattimo – che “allude alla possibilità per singoli, gruppi e per la stessa specie, di riconosere e organizzare il mondo esterno in modo favorevole alla propria esistenza”. In un certo senso, dunque, l’uomo non vuole tanto la verità ma desidera che le conseguenze di questa verità siano piacevoli ed è “indifferente rispetto alla conoscenza pura priva di conseguenze, mentre è disposto addirittura ostilmente verso le verità forse dannose e distruttive” (Nietzsche). Se si accetta questa impostazione il lobbista si trova a competere in uno strano mercato: quello della costruzione della verità. Un costruttore della verità si trova, dunque, a creare un “framing” grazie a un utilizzo efficace di metafore e combinazioni di fatti che dettano il codice con cui si valuta una determinata situazione. E un costruttore basa la sua efficacia nel potere (power) che ha di affermare tale verità: ad esempio un magistrato, un primo ministro, la prima firma di un giornale hanno certamente più potere istituzionale rispetto a un singolo cittadino di affermare un framing di lettura e quindi una qualche verità. Si può costruire una matrice i cui assi sono proprio costituiti da framing e power e da quattro possibili posizioni. Il lobbista si può ritrovare a lavorare in difesa di un interesse che può essere collocato: 1. in un framing positivo ma con debole potere di affermarlo; 2. in un framing negativo e con potere debole; 3. in un framing positivo con alto potere di mantenerlo tale; 4. in un framing negativo con alto potere di modificarlo. Queste posizioni per un lobbista esprimonono quattro condizioni di lavoro: 1. Weak Winner 2. Heavy Looser 3. Winner but Target; 4. Potential Looser. Vediamoli nel dettaglio. 1. Weak Winner. E’ una condizione certamente favorevole perché il tipo di verità che emerge asseconda gli interessi che il lobbista si trova a difendere. Ma è una posizione scomoda in quanto il potere di difendere questa tipo di framing non è consolidato e quindi può essere messo in discussione da un qualcuno che questo potere di fatto ce l’ha. In questa situazione il lobbista deve stare necessariamente fermo e svolgere per lo più un lavoro di rafforzamento del proprio “potere di framing” recuperando soggetti più credibili e autorevoli, Il dilemma esiste, però: cercando di costruire nuovo potere si può “svegliare il can che dorme” e quindi l’analisi del posizionamento delle “fonti” che si vanno a toccare riveste un ruolo cruciale. Il mapping stakeholder e l’intelligence sugli interessi che lo compongono diventano allora l’attività core in questo quadrante. Si è dei vincitori, ma deboli. Si deve essere umili, cercare alleati e mantenere la pace. Non si è dei conquistatori. 2. Heavy Looser. E’ la condizione disperata. Il framing precostituito non è positivo (non da ragione all’interesse da difendere) e non si ha il potere per modificare la situazione. Si è perdenti. E lo si è pesantamente. Ma non si è disperati. Bisogna solo rendersi conto che l’azione che si ha davanti richiede pazienza e tempo (e spesso i portatori di interessi non hanno né l’uno né l’altro). Il lavoro è primariamente quello di lavorare sul linguaggio su cui il framing si basa e se la verità è “la somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente” si tratta di costruire un piano di stakeholder engagement che miri non tanto ad ottenere un obiettivo specifico quando a fare comprendere all’altro che la verità può essere intesa in modo diverso. Il target è chi lavora sui linguaggi (i media ad esempio, i “politici da talk show” altro esempio). Difficile. Estremamente difficile. Perché bisogna cambiare la poetica e la retorica con cui si presenta il problema. E questo non solo non è sempre possibile ma, appunto, richiede pazienza, accantonare gli obiettivi di breve (che non sarebbero comunque raggiunti! … inutile illudersi), fare nuovi esercizi linguistici. Il portatore di interessi diventa così, pazientemente, un nuovo poeta, un nuovo creatore di retorica. Se genuina, seria e vera questa retorica si trasforma in power. 3. Winner but Target. Ottimo. Siamo i predatori. La verità è dalla nostra parte e abbiamo il potere di difenderla. Diventiamo però il target per tutti quelli che vogliono cambiare questa verità. Siamo il bersaglio. Il segreto qui è allo stesso semplice e drammatico. Il predatore non può smettere di predare, di fare paura. Al primo segno di debolezza si diventa prede. Non ci sono compromessi. Non ci sono mediazioni con i più deboli. Fare un passo indietro significa velocemente modificare il proprio status, rinunciare al proprio power, diventare potential looser. 4. Potential Looser. Siamo potenti. Facciamo paura. Ma il framing è negativo. La verità non ci da ragione e prima o poi… Dalla nostra abbiamo il potere di lavorare sui codici linguistici perché abbiamo la possibilità di affermare una nuova retorica nelle relazioni. In questa situazione non possiamo stare fermi. Dobbiamo essere agili e veloci perché è un corsa contro il tempo. Prima o poi il nostro potere sarà eroso se non modifichiamo il modo con cui il framing guarda al nostro interesse. La due situazioni del looser hanno a che fare con “l’innovare il modo con cui si fa relazione”. E per noi innovazione significa modificare il codice linguistico. Diventare poeti significa diventare portatori di qualcosa di sensazionale, di nuovo stupore, di uno schock che ridesti le attenzioni e che faccia capire agli altri (al singolo, al gruppo o alla specie) che vale la pena di investire energie per accettare una nuova verità. Da dove nasce quanta capacità poetica? Dall’analisi delle conseguenze (l’uomo non vuole la verità, desidera conseguenze piacevoli). Ecco allora che l’analisi delle conseguenze, che non sempre il lobbista si ricorda di fare, diventa l’elemento critico. Il fattore di successo. Per capire le conseguenze bisogna diventare conoscitori delle dinamiche sociali, diventare esperti di un settore. Bisogna immergersi in profondità per riemergere con nuove intuizioni. Riemergere come nuovi poeti. *Riconosco che esiste un problema anche etico nel lavoro del “costruttore” di verità che ha mio avviso esiste per qualsiasi costruttore, sia esso istituzionale o meno. Riconosco anche che per il lobbista il pregiudizio negativo che lo contrassegna implica una maggiore attenzione al tipo di comportamenti che adotta nei suoi tentativi di costruzione della verità. Fonte: Infiniti Gesti  

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