In questi giorni i lobbisti più in tensione appaiono quelli degli allevatori di maiali e delle industrie alimentari collegate, che tentano disperatamente di far ribattezzare dalle istituzioni dell’Unione europea il virus che si è diffuso in Messico e negli Stati Uniti, cambiando l’attuale «febbre suina » in un «nuova influenza», certo meno dannoso per le vendite dei prodotti del loro settore. Ma sono infiniti gli esempi dell’invadenza dei gruppi di pressione al servizio di interessi privati sull’Europarlamento, sulla Commissione europea e sul Consiglio dei ministri dei 27 Paesi membri. Hanno portato molti cittadini ad avere un’immagine dell’Europa spesso condizionata da lobby potenti e non sottoposte a regole o controlli. Gli stessi eurodeputati e gli euroburocrati, principali obiettivi dei lobbisti, avevano preso atto della diffidenza dell’opinione pubblica sull’effettivo rispetto del principio europeista che considera prioritario l’interesse generale dei cittadini nelle attività comunitarie. E s’erano impegnati a varare una «Operazione trasparenza » per riguadagnare credibilità in vista delle elezioni europee del giugno prossimo. Ma la settimana scorsa a Strasburgo il gruppo di lavoro sul lobbismo, formato da tre eurodeputati dei maggiori gruppi politici (i popolari del Ppe, i socialisti del Pse e i liberaldemocratici dell’Alde) e dal vicepresidente della Commissione, l’estone Siim Kallas, ha rinviato alla prossima legislatura in gran silenzio.
Inizialmente Kallas considerava sufficiente un registro e un codice di comportamento su base volontaria, che con appena 1382 iscritti si è rivelato un fallimento, rispetto alla stima di 15 mila lobbisti e 2600 gruppi di pressione attivi a Bruxelles (indicata dal sito dell’Europarlamento). Gli eurodeputati erano intervenuti votando l’attuazione rapida di un registro obbligatorio con tutti i nomi, informazioni sulle fonti di finanziamento e relative sanzioni: sull’esempio delle regole imposte ai lobbisti nel Congresso di Washington, che pur non hanno impedito lo scandalo Abramoff. Ma a Strasburgo è saltato tutto.
«Il gruppo di lavoro tra Europarlamento e Commissione ha concordato un codice di condotta per i lobbisti e fissato le linee guida per un futuro registro comune — afferma il presidente dell’Europarlamento, Hans-Gert Poettering del Ppe —. È un esito positivo per la trasparenza a livello Ue che dovrebbe essere costruita nel prossimo mandato parlamentare».
Il leader del Pse, il tedesco Martin Schulz, ritiene che regole serie debbano essere attuate al più presto nel prossimo mandato perché «il lobbista deve agire in modo trasparente, attraverso forme e modi che mostrino sempre la distinzione tra i legislatori e chi vuole ottenere una ben definita influenza nel processo decisionale». Molti deputati criticano il rinvio. «Più di un anno fa il Parlamento ha votato a favore di un registro obbligatorio con i nomi dei singoli lobbisti e ha chiesto un approfondito monitoraggio sulle fonti di finanziamento con serie sanzioni entro quest’anno — dichiara la co-presidente dei verdi europei Monica Frassoni —. Invece l’argomento è stato di fatto sotterrato in gran silenzio prima delle elezioni. Questa mancanza di coraggio danneggia la reputazione dell’Europarlamento». Il leader degli eurodeputati italiani del Pse, Gianni Pittella, parla di «occasione persa per incoraggiare gli elettori ad andare a votare e ad avere più fiducia in un’Europa al servizio dei cittadini».
Una fiducia che si è attenuata dopo aver visto lobbisti invocare il benessere degli animali per ridurre i lunghi trasporti internazionali e invece favorire il più redditizio commercio della carne macellata rispetto a quello delle bestie vive. Sollecitano l’estensione del diritto d’autore a 70 anni per aiutare i musicisti poveri, mentre in realtà incasserebbero principalmente le case discografiche. Sono arrivati a chiedere incentivi anti-inquinamento per i costruttori di inceneritori inquinanti o a demonizzare i termometri a mercurio per imporre i più costosi (e non sempre precisi) misuratori elettronici della febbre. Di sicuro la crescente influenza dei lobbisti nella Ue è coincisa con l’aumento della disillusione verso l’Europa unita e la riduzione costante dei votanti alle elezioni europee, passati dal 61,99% del 1979 al 45,47% dell’ultima consultazione del 2004. Perfino in un Paese europeista come l’Italia si è scesi in 25 anni dall’85,65% al 71,72%.
In linea di principio un eurodeputato, che può contare in genere su un paio di assistenti, può avere bisogno di informazioni da lobbisti specializzati quando si trova a esaminare un voluminoso rapporto con paragrafi ed emendamenti tecnici in grado di provocare conseguenze decisive per un’industria o per un intero settore. «Ho tenuto un corso all’università La Sapienza per illustrare l’importanza del lobbismo nelle attività parlamentari — dice Antonio Tajani, ex capogruppo degli eurodeputati di Forza Italia e ora vicepresidente della Commissione —. Ma ho precisato che deve essere svolto nella massima trasparenza per allontanare il rischio di degenerazioni, spesso favorite da comportamenti sotterranei ». Luigi Gambardella, lobbista a Bruxelles di Telecom Italia, afferma che «una grande azienda preferisce che ci siano regole chiare affinché il lobbying svolto in modo professionale e corretto si differenzi da quello poco trasparente». Altri lobbisti ammettono che il registro pubblico deve includere tutti i nomi perché «finché ci saranno operatori occulti anche le lobby più trasparenti possono essere sospettate di aver subappaltando nella zona grigia le pratiche scorrette e i comportamenti corruttivi».
La zona d’ombra del lobbying comunitario oggi è vastissima. Si nasconde spesso dietro società di consulenza e di pubbliche relazioni, studi legali, intermediari dell’accesso ai fondi Ue o think-tank. L’ex eurodeputato radicale e ora direttore dell’ufficio Confindustria di Bruxelles, Gianfranco Dell’Alba, invita a distinguere con attenzione «tra i lobbisti che sostengono i loro interessi di parte con le informazioni e quelli scorretti che elargiscono beni e servizi». Si inizia con le cene in ristoranti esclusivi come Chez Moi di Bruxelles o il Crocodile di Strasburgo. Si passa poi a doni costosi, fondi per la campagna elettorale, assunzioni di parenti e amici, fino alle bustarelle. Si vocifera perfino di festini con prostitute e gigolò.
I gruppi di pressione più ricchi e potenti operano al servizio di imprese, banche e società finanziarie, rappresentandole singolarmente o attraverso le associazioni di categoria nazionali ed europee. Ma fanno lobbying anche Regioni, Comuni, sindacati, associazioni professionali, organismi religiosi. Potentissima nell’Europarlamento viene considerata la lobby trasversale dei gay, che riuscì a far revocare la nomina a commissario Ue di Rocco Buttiglione dopo che aveva espresso giudizi critici sugli omosessuali.
Nell’inchiesta europarlamentare sui voli illegali della Cia sarebbero scesi in campo addirittura lobbisti legati ai servizi segreti degli Stati Uniti e di altri Paesi filo-Usa, interessati a non essere coinvolti. Tra le poche lobby al servizio di interessi generali, gli ambientalisti appaiono l’unica con un certo peso. Per il resto l’influenza a Bruxelles e a Strasburgo dei comuni cittadini o dei consumatori resta minima rispetto ai gruppi di pressione al servizio di interessi privati.
Parte 2: Geografia del potere, la Germania al comando
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Ivo Caizzi - Corriere della Sera



































