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Nasce il lobbista di professione
Scritto il 2007-10-03 da lobbyingitalia su Italia

Santagata punta a rendere trasparente il rapporto tra aziende e politica. Il testo al prossimo cdm.

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Chi ha l'immagine stantia del lobbista-faccendiere che avvicina circospetto prendendo sotto braccio il politico di turno nei corridoi parlamentari può anche accantonarla. È in arrivo il lobbista di professione, con tanto di registro e di trasparency sui suoi contatti con ministri, parlamentari e funzionari. Il lobbista doc, infatti, dovrà redigere una relazione dettagliata sulle attività che ha posto in essere nell'anno precedente e trasmetterle a una authority ad hoc che sarà con ogni probabilità l'alto commissario per la lotta alla corruzione. Dovrà annotare tutto, come dovrà essere chiaro che anche il ministero di turno avrà l'obbligo di rendere nota l'attività di lobbing svolta nei suoi confronti, addirittura specificandola nel preambolo dei provvedimenti che adotta.
Prende forma il disegno di legge che disciplinerà per la prima volta in Italia l'attività dei lobbisti, quei soggetti che rappresentano al potere politico alcuni interessi associativi o industriali cercando di orientare le soluzioni normative. Lo ha messo a punto una commissione tecnica istituita presso il ministero per l'attuazione del programma e coordinata proprio dal capo di gabinetto del ministro Giulio Santagata, Michele Corradino.
Il testo dovrebbe andare al prossimo consiglio dei ministri. La commissione ha indagato direttamente presso gli interessati bisogni e limiti della situazione attuale. Ha contattato Confindustria, Reti spa, l'agenzia di relazioni pubbliche messa su dall'ex spin doctor di Massimo D'Alema Claudio Velardi, ora guidata da Massimo Minucci, Banca Intesa, la Rai ma anche Greenpeace, Legambiente, la comunità di Sant'Egidio. In più si è avvalsa della consulenza di due guru delle relazioni pubbliche, Stefano Lucchini, ora capo delle relazioni istituzionali di Eni e Fabrizio Centofanti di Acquamarcia. In tanta parte del mondo i gruppi di pressione hanno obblighi e diritti sanciti per legge. Questo accade negli Stati Uniti, dove si può dire che il lobbismo sia nato, Canada, Israele. Germania, Svizzera e Austria. In Gran Bretagna e in Francia contano la consuetudine e i codici di condotta. In Italia finora questa attività ha avuto una connotazione per lo più negativa e i protagonisti sostengono che molto è dipeso da Mani Pulite.

Fatto sta che, in risposta ai questionari sottoposti dal ministero per l'attuazione del programma, i lobbisti hanno rilevato la difficoltà a raggiungere il potente (ovviamente per quelli più piccoli). Insomma, a farsi ricevere.

Per questo il progetto governativo vorrebbe introdurre un diritto di accesso per i lobbisti, anche se poi il potere politico può anche non coinvolgerli nel processo decisionale. L'idea fondante è quella di istituire un registro, tenuto dalla presidenza del consiglio dei ministri e pubblico, presso il quale i lobbisti devono obbligatoriamente iscriversi. I portatori di interessi devono anche compilare una dettagliata relazione sull'attività svolta nell'anno precedente che deve essere inviata all'alto commissario per la lotta alla corruzione che sovrintende a monitorare l'attività per garantire gli standard di correttezza e evitare deviazioni illecite. Il lobbista può presentare al potere politico che deve assumere una decisione informazioni, documento, memorie scritte e qualsiasi comunicazione necessaria a rappresentare gli interessi di cui è portatore. Dal canto suo il decisore pubblico ha il dovere di rendere nota l'attività di rappresentanza nei suoi stessi documenti.

Altro passaggio significativo è quello sul codice deontologico che dovrebbe essere adottato dalla presidenza del consiglio. Qualsiasi violazione delle norme deve essere segnalata all'alto commissario. Ovviamente il ddl prevederà un corredo di sanzioni adeguato. «È importante che, per arginare i millantatori, che in questo settore sono tanti, sia chiaro il mandato dei lobbisti, chi li manda e per fare cosa», sottolinea Centofanti.

In Italia già operano delle agenzie specializzate. Oltre quella di Reti, c'è la Fb guidata da Fabio Bistoncinci, Nomos. Poi ci sono gli uomini azienda, come Lucchini e come Franco Spicciariello, Government Affairs Manager di Microsoft Italia. «I lobbisti mi fanno comprendere un problema in tre minuti, i miei collaboratori in tre giorni», ebbe a dire John Kennedy. Chissà se i politici italici ne faranno tesoro.

Claudia Morelli - Italia Oggi

(Public Policy) Di regolamentazione dell'attività di lobbying in Italia si discute da sempre. Dal 1948, secondo una ricerca Unitelma-Sapienza, di prossima uscita sulla rivista giuridica "Percorsi istituzionali" (Cedam) sono stati presentati 59 ddl in materia, e 11 disegni di legge che riguardano le pubbliche relazioni, mai nessuno approvato. Ci sono poi 135 norme di vario tipo nell'ordinamento che regolamentano in modo frammentario questo settore. Sono in vigore norme regionali in Toscana, Sicilia, Molise, Abruzzo e Calabria. Da ultimo, dopo varie peripezie legislative - tra cui il tentativo di inserire norme sul lobbying nel ddl Concorrenza in esame al Senato - è in esame a Palazzo Madama un testo base sulla regolamentazione delle attività di lobbying, basato sul disegno di legge presentato dal senatore ex Movimento 5 stelle, Luis Alberto Orellana (oggi nel gruppo delle Autonomie). Il tema è al centro di riflessioni e confronti tra le stesse istituzioni e i portatori di interesse. Entrambi i fronti sembrano concordare, a parole, sull'esigenza di maggior trasparenza nei rapporti tra decisori pubblici e mondo privato e riconoscimento della professionalità del lobbista. Ma nei fatti si fatica a trovare una sintesi. Il 30 giugno scorso, nella sede di Confindustria, in viale dell'Astronomia, si è tenuto un seminario a porte chiuse su obiettivi e priorità di una legge di regolamentazione del lobbying, prendendo spunto dal testo base al Senato. È stata una riunione riservata, ma che è sembrata quasi una convocazione di 'stati generali' sull'argomento: per la prima volta l'associazione degli industriali ha provato a mettere intorno al tavolo decisori pubblici - erano presenti il viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini, il senatore Orellana e il relatore del regolamento sulle lobby alla Camera, Pino Pisicchio, oltre ad esponenti del settore come Patrizia Rutigliano, presidente di Ferpi, e Vito Basile, Managing Director della società di lobbying Burson Marsteller Italia - per confrontarsi su esigenze ed esperienze. A quell'evento è intervenuto anche Pier Luigi Petrillo, professore di Diritto pubblico comparato alla Unitelma-Sapienza di Roma (tra l'altro, è il curatore della ricerca Unitelma qui ricordata) e di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss. Nel 2013 ha coordinato, insieme all'attuale capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Roberto Garofoli, il gruppo di lavoro costituito alla presidenza del Consiglio per scrivere il testo che avrebbe dovuto disciplinare, una volta per tutte, i rapporti tra decisori e lobbisti in Italia. Quel testo fu inaspettatamente bocciato in Consiglio dei ministri, all'ultimo minuto. PROFESSORE, COSA HA IMPEDITO FINO AD OGGI L'APPROVAZIONE DI UNA LEGGE ORGANICA SUL LOBBYING IN ITALIA? Ci sono due motivi che impediscono al Parlamento di approvare una legge sulle lobby. Il primo: non conviene al decisore pubblico e al politico una regolamentazione che renda trasparente il percorso di una decisione e gli interessi coinvolti. Il decisore italiano preferisce non far conoscere all'esterno i motivi delle proprie scelte, perché così evita di renderne conto al cittadino. In questo modo inoltre, può sempre pubblicamente dare la colpa qualcun altro. Periodicamente sui giornali leggiamo che "è colpa delle lobby" se non passa la riforma dei farmaci di fascia C o delle licenze dei taxi. In realtà il problema non sono le lobby, che fanno il loro mestiere. È il decisore pubblico che sceglie di assecondare l'uno o l'altro portatore di interesse. Se ci fosse una legge sulle lobby tutto ciò verrebbe fuori. Finché le lobby sono sconosciute, è molto facile dire che è colpa loro se qualcosa accade. Questo consente al decisore di non assumersi mai la responsabilità delle proprie scelte, anche quelle che soddisfano interessi molto parziali a svantaggio della collettività. L'ALTRO MOTIVO? Il nostro sistema di relazioni tra rappresentanti del mondo privato si basa ancora molto su rapporti di clientela e parentela. Il privato si relaziona al decisore, non perché portatore di informazioni tecniche, indispensabili ai fini della decisione, ma perché è l'amico dell'amico. Una norma che dicesse quali debbano essere le regole per rappresentare gli interessi presso il decisore pubblico, farebbe venir meno tutto questo sottobosco di faccendieri, di gente che si muove in virtù di clientele e parentela, che sono però quelli che poi portano consenso alla politica. Questo 'sottobosco' variegato di soggetti, periodicamente agli onori delle cronache per fatti criminali, fa lobby per evitare una legge che li spazzerebbe via. A INTRODURRE OBBLIGHI DI TRASPARENZA, IN QUESTA SITUAZIONE, NON SI RISCHIA SOLO DI SPOSTARE ALTROVE LE SEDI DI RELAZIONE, E QUINDI DI PERDERE UN'OCCASIONE? Il rischio c'è. Questo è il motivo per cui rifuggo da tutte quelle proposte di legge che vogliono disciplinare 'al secondo' l'attività dei lobbisti. Oggi abbiamo una totale assenza di regole. Se domattina avessimo mille regole potremmo stare tranquilli che verrebbero completamente disapplicate. Se ad esempio introduco l'obbligo di rendicontare tutti gli incontri nella sede della Camera, è chiaro che questi 'migreranno' al di fuori, in qualche altra sede informale. Norme troppo dettagliate e privative, incompatibili col contesto attuale italiano, presentano inevitabilmente molteplici possibilità per essere aggirate. Passare dall'anno zero all'anno mille, dall'assenza di regole all'iperregolamentazione non funzionerebbe: siamo dei geni nello scrivere norme ed interpretarle poi a nostro piacimento. È accaduto a livello regionale, dove stiamo vivendo un momento epico per la regolamentazione delle lobby. Nel 2002 abbiamo avuto la legge toscana, del tutto inattuata. Poi ci sono state le leggi di Molise, Abruzzo, Calabria e Lombardia, mentre la Puglia si appresta ad approvare la sua, voluta dal presidente Emiliano. Sono leggi inutili, scritte con la consapevolezza che saranno totalmente inattuate. A che serve? A mettere a posto la coscienza? IN SINTESI, COME DOVREBBE ESSERE REGOLATO IL RAPPORTO TRA DECISORI E PORTATORI DI INTERESSE IN ITALIA? A mio avviso serve una proposta secca, semplice e sperimentale. Una norma che dica: per tre anni proviamo così. Esaurito il periodo di sperimentazione, verifichiamo l'impatto della norma e decidiamo se confermarla in modo permanente o rivederla. In questi tre anni, introduciamo regole non sui lobbisti, ma sui decisori pubblici. Questo è un punto centrale: rivoltiamo il tavolo. Tutti disegni di legge in esame in Senato e alla Camera, vanno a regolamentare l'attività di lobbying. Alcuni dei quali si spingono quasi a creare una sorta di vero e proprio albo professionale, per cui, se non sei iscritto a questo registro non puoi esercitare l'attività. Quasi nessun ddl invece impone regole di comportamento ai decisori pubblici. Piuttosto che andare a limitare e contenere un'attività del libero mercato, andrei a imporre una serie di norme di trasparenza sul decisore pubblico. NEL MERITO, CON QUALI INTERVENTI SI PUÒ RENDERE PIÙ 'ACCOUNTABLE' IL DECISORE? Si può intervenire in vari modi. Prima di tutto con norme minime, come l'obbligo di pubblicare online l'agenda degli incontri con i portatori di interesse, ovunque essi si svolgano, secondo il "modello Nencini", per capirsi (il viceministro, che ha scelto di pubblicare tutti i suoi incontri al Mit; Ndr). Un nodo cruciale è poi la trasparenza dei finanziamenti privati alla politica. Nessuno dei disegni di legge attuali tocca questo aspetto. La nuova legge sul finanziamento della politica prevede l'abolizione del finanziamento pubblico, e l'introduzione di quello privato. Ma non ci sono obblighi di trasparenza. Il privato che finanzia la politica emerge solo se vuole scaricarsi dalle tasse il contributo che ha dato al partito o al candidato. Se sono una multinazionale che vuole finanziare un partito o un candidato, e non mi interessa il vantaggio fiscale, resto nella totale oscurità. È un'assurdità. Occorre specificare in una norma che chiunque finanzia la politica anche per un solo euro, viene inserito in un elenco pubblico di finanziatori, non c'è nulla di male. E ancora: servono norme sulle 'revolving doors': in Italia siamo pieni di capi di gabinetto di ministri che cessato il loro incarico vanno a fare i lobbisti per le società con le quali interloquivano. E viceversa: lobbisti che diventano capi segreteria tecnica o capi di gabinetto di ministeri verso i quali facevano lobby. Attenzione: è lecito. Però rendiamolo trasparente. Infine si possono far rispettare norme che già ci sono, come la legge che impone di accompagnare tutti i ddl con l'Air (Analisi impatto della regolamentazione), una relazione in cui si elencano i portatori di interesse incontrati.

Imprese - Lobbyingitalia

Anche la Puglia si dota di una regolamentazione sul lobbying. O almeno, ci prova. Sarebbe la quinta Regione a prevedere una normativa sulla rappresentanza di interessi, dopo Toscana, Abruzzo, Molise, Calabria, l'ibrido siciliano. In attesa di approvazione la proposta lombarda, mentre nel Lazio non è stato avviato, come previsto dalla Legge per la Trasparenza, l'iter per una normativa nazionale, e in altre Regioni (tra cui la Campania) sono presenti in modo sparso norme che regolano particolari aspetti dell'attività."Come è noto, l'attività di pressione delle lobby, quando viene esercitata in maniera indebita sui decisori politici o sui decisori amministrativi provoca danni, reati, sprechi, in generale poca trasparenza e poca imparzialità della Pubblica amministrazione. La Regione Puglia si era impegnata, adottando il programma, a contrastare l'attività non corretta delle lobby. Noi quindi abbiamo normato il potere di informazione o di pressione che ha un privato sulla pubblica amministrazione e sui decisori pubblici", ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha commentano l'approvazione da parte della Giunta regionale del disegno di legge che disciplina l'attività di lobbying presso i decisori pubblici. "Questa attività sarà conoscibile da tutti i cittadini tramite l'Agenda pubblica dei decisori che, evidentemente, dovranno ricevere queste persone sapendo che chiunque potrà controllare la loro attività e soprattutto collegando a queste attività di lobbying dei codici di condotta. Codici che vanno rispettati almeno dal punto di vista della pubblica amministrazione e che potrebbero trasformarsi per i pubblici ufficiali in sanzioni disciplinari. Ovviamente si tratta di un esperimento, siamo tra le prime regioni italiane ad adottare una legge come questa, la prima che prevede l'Agenda pubblica conoscibile da parte di tutti. Questi elementi aumenteranno la possibilità di tutta la comunità di conoscere quello che accade in palazzi nei quali la trasparenza non è stata sempre assicurata e non era esigibile, non poteva essere richiesta da parte di chiunque sulla base di una legge. Se questa legge verrà approvata dal Consiglio regionale, qualunque cittadino italiano potrà chiedere conto di tutto quello che un pubblico ufficiale che deve prendere una decisione importante fa, non solo pubblicamente ma anche nel privato del suo ufficio". "Il lobbying - ha aggiunto Emiliano nel corso della conferenza stampa - è quell'attività legale di informazione e sollecitazione alla Pubblica amministrazione da parte di privati in ragione dei propri interessi. Tale attività è lecita nel nostro Paese, però, in mancanza di regolamentazione, sovente dà luogo a distorsioni che rovinano l'immagine sia della Pubblica amministrazione che dei privati, nel momento in cui viene esercitata senza cautele. Una Regione può legiferare dettando delle regole, che non hanno tecnicamente sanzioni di natura amministrativa o penale per ragioni di competenza costituzionale, ma che determinano la legittimità dell'agire e quindi possono essere rilevanti ai fini dell'individuazione di sanzioni da parte di altri organi, compresa la determinazione delle attività sottoposte a tutela penale. Quando un'attività viene regolamentata, dev'essere effettuata in quelle forme, altrimenti possono esserci situazioni di illegittimità di tipo amministrativo, contabile o penale che potrebbero avere un determinato rilievo. La legge si pone dunque come un parametro che mira alla certezza di agire in modo trasparente.La legge sul lobbying è una pietra miliare del nostro programma di governo. L'avevamo detto e lo abbiamo fatto. Questa norma serve a distinguere l'attività politica - che deve essere esercitata secondo l'art. 97 della Costituzione sull'imparzialità della pubblica amministrazione - dall'attività volutamente orientata al perseguimento di interessi privati; queste ultime devono essere effettuate da persone specificamente individuate, iscritte in un Albo conoscibile attraverso l'Agenda della Pubblica amministrazione. Pertanto, chiunque potrà sapere dell'incontro tra dirigenti e pubblici funzionari con privati e questo consentirà a ciascuno dei cittadini, e in particolare ai media, di capire quali sono le modalità con le quali queste interlocuzioni si svolgono".Cosa prevede la propostaIl disegno di legge prevede un Registro pubblico (art. 4), con requisiti di iscrizione per le persone che intendono rapportarsi alla PA. Esiste un codice di condotta e precisi obblighi dei decisori pubblici. In parole semplici, un politico non deve andare per corridoi perorando interessi privati, ma deve rapportarsi ai privati nell'esclusivo interesse pubblico. Questa legge consente peraltro la "sanzione politica", perché sarà possibile dare un giudizio da parte ad esempio del Consiglio e della Giunta su condotte che dovessero essere non conformi a questo disegno di legge. "Quello che sino ad oggi era semplicemente un monito politico è diventato oggi un disegno di legge al quale, in caso di approvazione in Consiglio regionale, tutti gli uffici regionali dovranno attenersi. La Puglia sta portando avanti un testo di legge molto innovativo anche rispetto alle norme analoghe approvate da altre regioni - ha dichiarato da parte sua Titti De Simone, consigliera del presidente per l'attuazione del programma - Per la prima volta viene introdotta l'Agenda pubblica che riguarda i decisori politici, intesi come corpo politico e come livello amministrativo regionale (art. 3). La legge sul lobbying include anche agenzie regionali, ASL e società controllate della Regione Puglia, e individua anche le incompatibilità (art.10)". Il dibattitoNel corso del dibattito precedente al cosiddetto “Referendum sulle trivelle”, il governatore pugliese Emiliano aveva dichiarato che si trattava di un “referendum contro le lobby, quando queste si impadroniscono delle istituzioni pubbliche come nel caso Tempa Rossa”, annunciando in tempi brevi la proposta di un ddl, avvenuta poi oggi. Sempre sul tema energetico, da segnalare anche l'episodio (raccontato qui) lo scontro tra lo stesso governatore del PD e il lobbista di TAP, il gasdotto che avrebbe portato in Italia il gas azero. Uno scontro che si è poi spostato su Twitter (per i più curiosi, qui il thread) con il primo germoglio di promessa di regolamentazione da parte di Emiliano. Bene quindi la volontà pugliese di una regolamentazione. Rimane solo una perplessità, per la comunità di lobbisti: se non verrà proposta una regolamentazione quadro nazionale, e su iniziativa o proposta del Governo, si rischia di avere 19 normative regionali + 2 provinciali e innumerevoli normative nelle diverse società o autorità pubbliche.

Imprese - Lobbyingitalia

Tanto tuonò che piovve (forse). Per ora sono solo emendamenti quelli che piovono sul ddl lobby da due anni in discussione in Commissione Affari Costituzionali al Senato, che sembra - ripetiamo, sembra - avviarsi verso un confront serio e forse anche ad un'approvazione, dopo la fuga in avanti della Camera col suo (limitato) Registro dei portatori di interessi.Traffico d'influenza: non è illecito ciò che è lecitoIl più interessante, e probabilmente fondamentale, è l'emendamento presentato dal senatore Pd Gianluca Susta, che va a specificare nel reato di traffico di influenze illecite che "non è illecita l'attività di rappresentanza degli interessi svolta in forma professionale, nei limiti e con le modalità previste dalla normativa vigente in materia, presso le istituzioni e le amministrazioni pubbliche e finalizzata alla partecipazione democratica ai processi decisionali ovvero all'elaborazione ed attuazione delle politiche pubbliche, nel perseguimento di obiettivi leciti, anche di natura non economica".Un Registro per tutte le istituzioniRegolare anche l'attività di lobbying svolta nei confronti dei decisori politici degli enti locali, come i presidenti, gli assessori e i consiglieri regionali; i presidenti e i consiglieri delle Province e delle Città metropolitane; i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali. E' quello che chiede un emendamento presentato dal senatore Pd Francesco Verducci, cui si aggiunge quello dalla senatrice Pd Laura Puppato  che vorrebbe estendere la valenza nei confronti di "collaboratori parlamentari" e "consiglieri parlamentari, componenti e vertici degli enti pubblici economici e non economici, consiglieri regionali e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano".Ma l'emendamento Verducci va a sostituire l'intero articolo 2 sulle definizioni, aggiungendo ex novo la definizione di "portatori di interessi particolari": "i datori di lavoro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente con i rappresentanti di interessi particolari avente ad oggetto lo svolgimento dell'attività di relazioni  istituzionali per la rappresentanza di interessi, nonché i committenti che conferiscono ai rappresentanti di interessi particolari uno o più incarichi professionali aventi ad oggetto" lo svolgimento dell'attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi. A differenza della definizione attuale di "attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi", definita solo come "ogni attività diretta a orientare la formazione della decisione pubblica, svolta anche attraverso la presentazione di proposte, documenti, osservazioni, suggerimenti, richieste di incontri", la proposta Verducci è molto più articolata e si rivolge a chi svolge l'attività "professionalmente" (come già accaduto per il provvedimento della Camera e come richiesto in altro emendamento dalla senatrice Pd Laura Fasiolo). La proposta esclude dalla definizione "le semplici richieste di informazioni sull'iter di un provvedimento legislativo o amministrativo, la partecipazione ad audizioni o a riunioni convocate o sollecitate" dai decisori pubblici.Articolata e più inclusiva anche la definizione di "rappresentanti di interessi". Oggi il ddl li definisce come i soggetti che svolgono attività di rappresentanza di interessi, rimandando a quella definizione. Dunque per Verducci i lobbisti sono "i soggetti che rappresentano presso i decisori pubblici, direttamente o indirettamente, su incarico dei portatori di interessi particolari, come definiti alla lettera, interessi leciti di rilevanza non generale, anche di natura non economica, al fine di incidere su processi decisionali pubblici in atto, ovvero di avviare nuovi processi decisionali pubblici, nonché i soggetti che svolgono, anche nell'ambito o per conto di organizzazioni senza scopo di lucro, ovvero di organizzazioni il cui scopo sociale prevalente non è l'attività di rappresentanza di interessi, per conto dell'organizzazione di appartenenza, l'attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi".Diversa invece la proposta dei senatori Giuseppe Marinello (AP), presidente della commissione Ambiente, e   Antonio Milo (Conservatori e riformisti), che specifica come la rappresentanza di interessi sia la "attività, non sollecitata da decisori pubblici".Palla all'ANAC?Sempre la senatrice Puppato  vorrebbe affidare all'Anac l'attività di controllo sulla trasparenza e la partecipazione dei rappresentanti di interesse ai processi decisionali pubblici. Attualmente il ddl affida questo compito ad un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi, da istituire ad hoc, che un emendamento del senatore di Forza Italia, Lucio Malan, vorrebbe eliminare, senza però specificare a chi andrebbe il controllo!Codice di condotta per lobbistiLa senatrice Puppato vorrebbe inserire tra i dati che i lobbisti dovranno riportare nella relazione annuale da consegnare al Comitato di vigilanza anche "le somme o altre utilità eventualmente elargite a titolo di erogazione liberale in favore di partiti, movimenti o gruppi politici organizzati, nei limiti della normativa vigente, nonché una dichiarazione che dette elargizioni non sono legate al conseguimento dell'interesse rappresentato". Ma il senatore Pd Francesco Russo chiede l'istituzione nel codice di condotta dei lobbisti del "divieto di offrire al decisore pubblico qualsiasi tipo di compenso o altra utilità, ovvero regali, anche d'uso, di valore superiore a 150 euro l'anno"; e il "divieto di elargire a partiti, movimenti o gruppi politici organizzati somme o altre utilità a titolo di erogazione liberale", in pratica vietando quindi il finanziamento diretto della politica da parte dei lobbisti registrati. Ossimori.L'emendamento Russo sostituirebbe per intero l'articolo 5 del ddl che attualmente lascia ai lobbisti il compiti di definire un codice di condotta e di depositarlo insieme all'iscrizione al registro, precisando cosa deve prevedere il codice di condotta che nell'emendamento viene definito come un vero e proprio "codice deontologico". Il codice dovrà essere adottato dall'Anac e, oltre ai due divieti già menzionati, dovrà prevedere tra le alter cose: il divieto di rivendicare relazioni ufficiali con l'amministrazione nei loro rapporti con terzi; l'obbligo di identificarsi preventivamente sempre con il proprio nominativo ovvero con il nominativo che risulta nel Registro, dichiarando gli interessi che si rappresentano e gli obiettivi promossi;  l'obbligo di indicare i propri riferimenti e quelli dell'eventuale committente in tutti i documenti comunque consegnati o trasmessi al decisore pubblico; l'obbligo di rispettare i doveri di riservatezza nell'esercizio dell'attività; l'obbligo di fornire ai decisori pubblici informazioni corrette e non fuorvianti; il divieto di esercitare pressioni indebite (non è chiaro cosa voglia dire) nei confronti dei decisori pubblici. Il codice deontologico dovrà indicare infine "le sanzioni in caso di inosservanza dei doveri dei rappresentanti di interessi" e "le modalità di applicazione".O studi o fai il praticantatoAlessandro Maran e Francesco Verducci hanno presentato due emendamenti simili che mirano a inserire tra i requisiti per l'iscrizione al registro dei lobbisti il "possesso di una laurea specialistica o di un titolo specialistico equipollente ovvero dimostrare di aver maturato almeno due anni di esperienza continuativa presso un soggetto iscritto al Registro". La proposta emendativa Maran, tra i requisiti, prevede anche la possibilità di aver acquisito esperienza "alle dipendenze di un gruppo parlamentare".Commissioni trasparentiTra le novità in ottica "positive", e cioè dei vantaggi che i soggetti trarrebbero dall'iscrizione ci sarebbe - secondo alcuni emendamenti presentati da Pd, Cor e Ala - la possibilita per i lobbisti di assistere alle procedure informative e istruttorie del procedimento decisorio nelle forme stabilite dalla disciplina dell'organo competente. Inoltre, secondo quanto richiesto da due emendamenti dei senatori Pd Francesco Verducci e Francesco Russo, "Il decisore pubblico non può rifiutare di conoscere le proposte, le richieste, i suggerimenti e ogni altro genere di informazione, purché pertinenti all'oggetto dei processi decisionali, presentati dal rappresentante di interessi iscritto nel Registro". Gli stessi emendamenti prevedono anche che "il decisore pubblico non può altresì rifiutare le richieste di incontro inoltrate da rappresentanti di interessi iscritti al Registro, se non attraverso risposta motivata, anche telematica".Diritti e divieti per i collaboratori parlamentariUn emendamento del Pd - a prima firma Annamaria Parente ma sottoscritto da altri 28 senatori tra cui qualche M5s - vuole inserire  la disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del parlamento e i loro collaboratori. A prevederlo è , presentato al ddl lobby in commissione Affari costituzionali Senato. L'emendamento inserisce l'incarico di collaboratore parlamentare tra quelli che fanno scattare l'incompatibilità con l'attività di lobbying (e qualche collaboratore  non sarà affatto contento...) e, contestualmente, aggiunge un capo II-bis per disciplinare il mestiere. Nello specifico l'emendamento regola anche il rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori e rinvia agli uffici di presidenza delle Camere il compito di disciplinare le modalità retributive dei collaboratori La retribuzione - secondo quanto si legge nell'emendamento - "non può essere inferiore ai minimi contrattuali o definiti dalla legge ovvero ad un equo compenso commisurato alla natura e all'orario della prestazione concordata tra le parti".Ancora audizioniSecondo quanto riporta Public Policy, la settimana prossima inizierà, in commissione Affari costituzionali al Senato, un breve ciclo di audizioni sul ddl Lobby. Al termine delle audizioni, qualora emergessero esigenze particolari, potrebbe essere riaperta una breve finestra - al massimo 48 ore - per la presentazione di ulteriori emendamenti. 

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