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Caratteri e incidenza del lobbismo a Bruxelles
Scritto il 2000-07-01 da lobbyingitalia su Documenti

Già alla fine degli anni ’80, l’attenzione di alcuni studiosi, soprattutto anglosassoni, si è rivolta all’analisi della crescita esponenziale del fenomeno del lobbismo presso le istituzioni dell’Unione europea, confermando l’osservazione di Wyn Grant che, per questo aspetto, in Europa "Bruxelles è la capitale più simile a Washington" (1).

Il primo elemento che è stato sottolineato è che il sistema stesso dei meccanismi decisionali comunitari porta al moltiplicarsi delle lobbies e di fatto favorisce – nonostante le diverse dichiarazioni di intenti e le norme sulla trasparenza recepite negli anni ’90 – i poteri forti in grado di agire con tempestività, assidua presenza ed elevata competenza tecnica.

È una valutazione ormai consolidata che, nel corso degli anni ’80 e in particolare dopo l’Atto Unico Europeo, la Commissione abbia cercato di rafforzarsi rispetto al Consiglio ed agli Stati nazionali "in a corporate fashion, through coalition building with European interest association" (2) attraverso la creazione di centinaia di Euroquangos, vale a dire organismi consultivi con rappresentanti delle organizzazioni di interesse e delle istituzioni comunitarie.

Da un lato si trattava di fare fronte all’esigenza tecnica di raccogliere i dati, le informazioni e anche cercare le possibili mediazioni in un contesto particolarmente complesso quale l’armonizzazione delle situazioni normative degli Stati nazionali, dall’altro si trattava di una scelta conseguente alla necessità di un potere tecnocratico di garantirsi un consenso in assenza di un reale potere politico-parlamentare.

L’informalità ha finora regolato le procedure del lobbying nonostante alcune misure promosse in seguito alla Comunicazione del 2 dicembre 1992, con la quale la Commissione ha presentato le sue indicazioni di regolamentazione dei rapporti con i gruppi. Tale documento ha riconosciuto che "la Commissione è nota per la sua accessibilità ai gruppi di interesse, una caratteristica che, senza dubbio, deve essere conservata. È nel suo stesso interesse, infatti, comportarsi in tal modo, poiché i gruppi di interesse possono fornire ai servizi informazioni tecniche e consigli costruttivi".

Il documento contiene direttive miranti a garantire "pari opportunità" nell’informazione e propone l’adozione di codici di condotta che, basati su alcuni principi generali suggeriti dalla Commissione, dovrebbero essere formulati da parte dei diversi gruppi. Una sorta di autoregolamentazione che, tuttavia, senza la definizione di precise sanzioni, potrebbe restare a livello di dichiarazione di intenti.

I caratteri dell’interazione fra decisori e rappresentanti degli interessi sono emersi in tutta evidenza da una serie di interviste condotte a Bruxelles, nell’ambito di una ricerca finanziata dal CNR, a testimoni privilegiati, rappresentanti di grandi gruppi industriali, di ambientalisti, consumatori e funzionari della Commissione. L’analisi dei contenuti di quelle interviste, di documenti e studi sul policy-making ha portato a delineare i principali elementi descrittivi del fenomeno (3).

Sulla funzionalità del lobbying come efficiente canale di informazione su diverse realtà nazionali e normative convergono pareri concordi di lobbisti e funzionari. È stato chiaro in proposito il parere espresso da un funzionario del Segretariato Generale della Commissione: "La Commissione auspica e favorisce il dialogo con le organizzazioni di interesse perché ritiene che esse possano fornire importanti inputs al suo lavoro, soprattutto per quello che concerne i dettagli tecnici della legislazione comunitaria, necessari ai funzionari in sede di redazione per mantenere un livello realistico di legislazione. D’altra parte, secondo la Commissione, i lobbisti svolgono anche l’importante ruolo di intermediazione tra il decisore e la società perché sono in grado di segnalare gli effetti delle policies comunitarie con un certo anticipo e di renderle realistiche. In questo senso è molto importante il cosiddetto livello grass-root del lobbying, perché contribuisce a creare consenso attorno alle proposte della Commissione: di conseguenza la Commissione favorisce tutti i gruppi di interesse maggiormente rappresentativi a livello europeo e con uno spettro di interessi il più possibile diffuso" (4).

Per quanto riguarda il Parlamento europeo si è chiuso nell’estate del 1996 il travagliato iter legislativo iniziato nell’ottobre del 1992 con una raccomandazione della Commissione per il Regolamento. Nella motivazione della relazione presentata dall’on. Glyn Ford sono state sottolineate chiaramente le linee guida: una normativa del settore è stata considerata necessaria per la "proliferazione dei gruppi di interesse che agiscono presso le istituzioni europee"; l’assenza di controlli su questa attività "attribuisce a quest’ultima un carattere di semi-clandestinità che dà luogo a voci suscettibili di discreditare il Parlamento e taluni suoi membri"; viene ribadita "l’utilità, anzi la necessità che gruppi di interesse operino presso gli organi legislativi dell’Unione europea", ma in termini di "trasparenza".

Il diritto di accesso al Parlamento deve essere controllato da un lasciapassare personale annuale, ottenuto con l’iscrizione ad un registro, rinnovabile dopo la presentazione di una dichiarazione di attività che contenga l’elenco di tutti gli interventi effettuati presso i parlamentari o i funzionari. Il comportamento non conforme, ferme restando le eventuali responsabilità penali, comporta la possibile sanzione, di competenza del Collegio dei Questori, di sospensione o revoca del diritto di accesso.

I confini di rappresentanza e le difficili mediazioni nelle "organizzazioni-ombrello"

Se ridurre in categorie definite la molteplicità del fenomeno lobbistico è compito quanto mai arduo, sulla professionalità del lobbista esiste ormai una manualistica basata soprattutto sul modello degli Stati Uniti, dove il fenomeno è riconosciuto, studiato e accettato da decenni. Alcuni suoi caratteri sono trasferibili anche all’esperienza europea che tuttavia, come suggeriscono gli analisti, necessita di uno "stile" meno aggressivo e più apparentemente rivolto all’interesse dell’attuazione del mercato unico.

Una volta individuato il tema su cui mirare l’intervento, ecco come è stato descritto in un’intervista il lavoro del lobbista: "La strategia richiede una lista delle persone coinvolte nel caso, delle persone sulle quali occorre fare pressione e di tutti i tipi di interferenza che possono intervenire da altri settori e che possono influenzare i decision makers; poi si prepara uno scadenzario per controllare i risultati ottenibili dai possibili avversari. Evidentemente ogni strategia deve essere studiata in relazione al caso specifico (5). Il lobbying comunitario è bene che si presenti sotto la veste della cooperazione europea; "in qualche modo bisogna cercare di coinvolgere nella propria strategia di rappresentanza quanti più soggetti possibile, attraverso continue mediazioni degli interessi propri con quelli di altri Paesi o altre aziende"; è quindi importante saper agire "attraverso il filtro delle organizzazioni-ombrello. È molto meglio risolvere al di fuori delle sedi istituzionali i potenziali conflitti di interesse e presentarsi alla Commissione o al Consiglio con una posizione unitaria" (6).

Il problema del riconoscimento della rappresentatività di un’organizzazione e della conflittualità fra organizzazioni è una conseguenza scontata quando i centri decisionali delle politiche pubbliche praticano una strategia di apertura al dialogo ed alla consulenza di rappresentanze esterne: nuove professioni ed interessi che si associano, richiesta di maggior peso decisionale da parte delle piccole unità produttive che hanno scoperto più tardi rispetto alle grandi imprese e associazioni la necessità di essere presenti sullo scenario europeo.

Per quanto riguarda l’Unice, capofila delle cosiddette "organizzazioni-ombrello", le difficoltà di mediazione, rendono complessa l’elaborazione di una piattaforma accettabile a settori diversi e a diverse dimensioni aziendali: "Il difetto di questo tipo di macro-organizzazioni è che spesso le posizioni comuni che ne derivano sono edulcorate e quindi a volte prive di quella portata innovativa di cui la Commissione ha bisogno nella predisposizione delle politiche industriali (7)".

Le difficoltà di coordinamento nelle confederazioni europee derivano anche da una "iperattività" dispersiva in mille rivoli di partecipazione: "L’Unice si occupa di tutto; vi sono cinque Commissioni politiche e settanta gruppi di lavoro interni sulle questioni più specifiche. Tale dispiego di forza ed energie si paga in effettività dell’azione di rappresentanza" (8).

Le azioni sono spesso dispersive, mentre le caratteristiche del lobbying efficace a Bruxelles, come è stato più volte rilevato, sono di proporsi con precisione, sintesi, tempestività, competenza tecnica, presenza assidua e rapidità di risposta, giocando d’anticipo sui tempi. Questa alta professionalità è tuttavia strettamente collegata alle risorse finanziarie occorrenti per gestire un lobbying efficace ad una distinzione spesso sottolineata tra interessi forti e interessi deboli.

Tra gli interessi forti, oltre naturalmente agli interessi lobbisticamente ben sostenuti dei forti produttori agricoli, industriali e finanziari, si devono annoverare anche i rappresentanti di aree e Regioni particolarmente sviluppate: ad esempio, da tempo, l’Unioncamere della Lombardia ha creato un’"antenna" a Bruxelles in via di potenziamento ed inoltre mantiene "rapporti privilegiati" con altre Regioni del gruppo dei quattro motori d’Europa: la Catalogna, il Baden-Württemberg e il Rhône-Alpes. Molte aree regionali hanno istituito rappresentanze presso la Comunità e si può anche ricordare che già nel giugno del 1990 era stato firmato un accordo da parte di otto Regioni – due spagnole (Valencia e Catalogna), tre francesi (Languedoc-Roussillon, Provence, Côte d’Azur) e tre italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia) – per un disegno di high tecnology route, un network tecnologico di collegamento tra Valencia, Barcellona, Toulouse, Montpellier, Marseille, Genova, Torino, Milano. Si tratta a volte di operazioni di immagine ma anche di segnali precisi di un regionalismo forte, la decisa riaffermazione di una propria specificità rispetto all’ambito nazionale.

In conclusione, il quadro che è emerso dalla ricerca e che si è cercato di sintetizzare è in realtà diverso dalla seducente definizione del lobbying data in una delle interviste: "La partecipazione al processo di governo è una forma di controllo delle promesse che i rappresentanti – o nel caso comunitario – i governi fanno ai cittadini", vale a dire un controllo delle procedure di governo da parte degli interessi della società civile, perché in realtà, nell’assetto dei meccanismi istituzionali dell’Unione europea, la distinzione fra decisore e controllore si affievolisce, mancando un reale countervailing power della politica. Tra le indicazioni emerse dalla ricerca è apparso chiaro che l’azione di lobbying condotta dai gruppi di interesse si modella sull’interrelazione con i centri decisionali, assumendo i caratteri che in "quel dato sistema" sono ritenuti i più efficaci. Ma queste considerazioni ci porterebbero ad un’analisi che non rientra nell’economia di questo breve intervento; l’argomentazione finirebbe per sfociare sul tema, sintetizzato nel titolo di un libro dell’"impossibile status quo" dell’Unione europea (9).

Note

1. W. Grant, Organized interests and the European Community in "Organized interests and democracy perspectives on West and East" IV colloquio internazionale Fondazione Feltrinelli, 29-31 maggio Cortona 1990.

2. S.S. Andersen, K.A. Eliassen, European Community Lobbying in "European Journal of Political Research", 20, 2, 1991, p. 185.

3. Cfr. Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi. Rappresentanza e lobbying nell’Unione europea, Euroma 1997.

4. Intervista A, funzionario Commissione, Segretariato Generale, Direzione C1, domanda 1 in Gloria Pirzio Ammassari L’Europa degli interessi, op. cit.

5. Intervista F, lobbista di Public Policy Europe, domanda 14 in Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi, op. cit.

6. Intervista L, Direttore ufficio Eridania-Beghin Say di Bruxelles in op. cit.

7. Intervista C, responsabile delegazione Confindustria a Bruxelles, domanda 2, op. cit.

8. Ibidem, domanda 9.

9. Aa.Vv., Europa: l’impossibile status quo, Il Mulino, Bologna 1996.

Fonte: Gloria Pirzio Ammassari - Rivista IMPRESA & STATO

La normativa austriaca si concentra sui consulenti di lobbying e le imprese, fornendo meno obblighi di comunicazione a gruppi professionali e pubblici, e quasi nessun requisito per le parti socialiNel luglio 2012 l'Austria ha approvato il suo primo atto legislativo volto a disciplinare il rapporto tra gruppi di interesse e titolari di cariche pubbliche. Criticità della normativa sono proprio le definizioni di lobbista e di attività di lobbying. Per quanto riguarda la prima, abbiamo un elenco approssimativo di soggetti non facilmente determinabili (questo spalancherebbe le porte ai faccendieri della politica); invece la seconda viene indicata come “contatto organizzato e strutturato con titolari di cariche pubbliche finalizzati ad influenzare il processo decisionale nell’interesse di un committente”, senza specificare cosa si intende per “influenzare” il processo decisionale, un termine che l’opinione pubblica potrebbe facilmente ricondurre ad atti di malaffare. Positiva la presenza di un registro elettronico con i dati facilmente accessibili a tutti; elemento che però contraddistingue la normativa è la presenza di una co-responsabilità tra chi svolge attività di lobbying e il committente, dopo che siano stati accertati inadempimenti inerenti gli obblighi di registrazione e successivi aggiornamenti.La normativa è stata inoltre analizzata secondo un sistema empirico, che ha permesso di valutare ogni elemento della regolamentazione sulla base di una scala di valori. Applicando la metodologia sviluppata dal Centre of Public Integrity (CPI), i ricercatori suggeriscono che la regolamentazione possa essere caratterizzata da diversi livelli di rigorosità, che essi definiscono come robustezza. Secondo il livello di robustezza, le leggi di lobbying possono essere classificate in bassa, media e alta regolamentazione (Chari et al 2010:.Ch. 4). Su questa base è stata analizzata la normativa sul lobbying austriaca[1].La normativa austriacaSecondo le disposizioni della normativa austriaca, i lobbisti hanno esigenze diverse a seconda della natura degli interessi che essi rappresentano. In realtà, i lobbisti professionisti, i lobbisti  interni che lavorano per le imprese, le associazioni professionali, i gruppi pubblici e le parti sociali sono soggetti a disposizioni diverse. Gli obblighi di informativa, le regole e le sanzioni sono più severe per i primi (in ordine decrescente) e più leggere per gli ultimi. Di conseguenza, il livello di solidità è, per esempio, più elevato per i lobbisti professionisti e i lobbisti interni, e inferiore per le associazioni professionali, i gruppi pubblici e le parti sociali. La normativa austriaca del 2012 ha istituito un registro obbligatorio e un insieme formale di regole tra cui i requisiti di registrazione, alcuni requisiti informativi di spesa e le sanzioni in caso di inadempienza.La definizione di lobbistal'articolo 4 della legge introduce una serie di definizioni volta a chiarire il concetto di attività di lobbying, stabilendo i confini di applicazione della normativa. La normativa riguarda società di consulenza di lobbying (Lobbying Agenturen), gruppi aziendali (Unternehmenslobbyisten), gruppi professionali (Kammern) e gruppi pubblici (Verbände). Tutti i rappresentanti di interesse assunti da questi attori sono sottoposti alle regole stabilite quando si cerca di influenzare titolari di cariche pubbliche.L’attività di lobbyingAlla luce di queste categorie di attori, l’attività di lobbying è definita come: "qualsiasi contatto organizzato e strutturato con titolari di cariche pubbliche finalizzati ad influenzare il processo decisionale nell'interesse di un committente" (articolo 4, paragrafo 1; 2012). La normativa riguarda sia l’organo legislativo che quello esecutivo, compreso anche  il personale burocratico e titolari di cariche pubbliche di enti territoriali. Nonostante la vasta copertura delle regole, la legge presenta una vasta gamma di eccezioni. In realtà, i gruppi di interesse religioso e territoriali  e gli studi legali sono esentati. Le parti sociali sono sottoposti a una serie limitata di requisiti di registrazione, prevista inoltre l'esenzione dalle disposizioni in materia di sanzioni e di accumulo di ruolo (articolo 2, paragrafo 2-4).Procedure di iscrizione individualeIl regolamento stabilisce differenti requisiti di registrazione in base alla natura del gruppo di interesse. La sezione A (suddivisa in A1 e A2) è dedicata alla consulenza di lobbying. La sezione B ai lobbisti interni delle imprese, mentre, rispettivamente, la sezione C e D alle associazioni professionali e gruppi di interesse pubblico. Le parti sociali sono soggetti a disposizioni particolari. Nella sezione A le consulenze di lobbying e i consulenti devono registrarsi prima di stabilire i contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo le seguenti informazioni sulla società di lobbying: nome, numero di impresa, indirizzo, sito web e inizio dell'esercizio sociale. Si richiedono anche una breve descrizione delle attività e la missione della società. Inoltre, la società di lobbying deve adottare un codice di condotta interno, dichiarare il volume delle operazioni del precedente esercizio finanziario, rivelare il numero di contratti di lobbying accettati e fornire il nome e la data di nascita dei lobbisti.Nella sezione A2 i consulenti di lobbying devono rivelare i loro contratti di lobbying dichiarando il nome, il numero di impresa, l'indirizzo, il sito e l’inizio dell’anno di attività  sia del committente che del cliente. L'oggetto del contratto di lobbying deve essere dichiarato. La sezione A2 non è pubblica, il Ministro della Giustizia ha accesso esclusivo alle informazioni. Le terze parti sono autorizzate ad avere accesso a questi dati con il consenso precedente dal committente e del consulente. La sezione B richiede ai lobbisti interni delle imprese di registrarsi prima di stabilire contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo i seguenti dati: il nome della società, il numero di impresa, indirizzo, sito web e inizio dell’anno finanziario, una breve descrizione delle attività e la missione della società, il nome e la data di nascita dei lobbisti. Le imprese devono anche rivelare i costi connessi all'attività di lobbying nel corso dell'esercizio precedente, se questi superano l'importo di 100.000 €. Le imprese devono adottare un codice di condotta interno per i lobbisti interni.Nelle sezioni C e D si richiede  alle associazioni professionali e alle associazioni di interesse pubblico la registrazione prima di stabilire i contatti con titolari di cariche pubbliche, fornendo i seguenti dati: il nome, l'indirizzo e il sito web dell'organizzazione, il numero di  rappresentanti di interessi che sono attivi e una stima delle spese relative alla attività di rappresentanza di interessi. Contrariamente alle consulenze di lobby e ai lobbisti interni delle imprese, le associazioni professionali e le associazioni di interesse pubblico non sono tenuti a fornire ogni tipo di informazione personale. I requisiti di registrazione si limitano alla fornitura di informazioni di carattere generale e di contatto dell'associazione. Ciò rappresenta una grande differenza in termini di trasparenza, in quanto i consulenti di  lobbying e le imprese devono rivelare una quantità superiore di dati.Rendicontazione delle spese e dei clientiIl regolamento non comporta la regolare presentazione di rapporti di spesa.  I consulenti di lobbying devono indicare il volume annuo di vendite relative alle attività di lobbying sotto sezione A1 e le imprese devono dichiarare se i costi relativi alla lobbying superano i 100.000 € di cui alla sezione B.Archiviazione elettronica e accesso pubblico al registroIl Ministero della Giustizia Austriaco, che rappresenta l'autorità competente, fornisce ai gruppi di interesse e consulenti la registrazione on line. L’accesso al registro è pubblico per le sezioni A1, B, C e D. La sezione A2 contenente informazioni sul contratto di lobbying tra committenti e consulenti è consultabile solo dal Ministero della Giustizia. L'accesso a questa sezione è esteso ad altre parti previa autorizzazione dei dichiaranti. Tale esenzione è legittimata dal legislatore attraverso la necessità di proteggere la privacy e gli interessi economici dei clienti, che possono soffrire potenziali perdite economiche dalla diffusione di informazioni.SanzioniL'Autorità competente è rappresentata dal Ministero della Giustizia, che ha il potere di imporre sanzioni. Chi svolge attività di lobbying senza essere registrato incorre in sanzioni pecuniarie di € 20.000 o € 60.000 per reiterazione. Le sanzioni per il mancato rispetto delle regole sono di € 10.000 o € 20.000 per reiterazione. Queste si applicano anche ai committenti, che sono co-responsabili per garantire la corretta manutenzione delle informazioni registrate. Il Ministro della Giustizia ha, inoltre, il potere di cancellare i dichiaranti dal registro in caso di non conformità o comportamenti scorretti. La cancellazione preclude ai lobbisti la registrazione per tre anni. Da sottolineare che disposizioni speciali  esentano le parti sociali dall'applicazione delle sanzioni. Questa particolare disposizione riduce drasticamente il campo di applicazione della normativa in termini di responsabilità quando si tratta di attività svolte dalle parti sociali.Le revolving-doorsIl legislatore ha deciso di tenere la questione revolving-door non regolamentata. Tuttavia, la legislazione tratta l’ipotesi di cumulo di ruoli. L'articolo 8 stabilisce l'incompatibilità tra lo status di titolare di carica pubblica e lobbista professionale. La scelta del legislatore è stata guidata dalla disposizione “cash-for-law” e dalla vicenda Telekom[2], che sottolineano il conflitto di interessi tra i due ruoli. Il campo di applicazione della disposizione revolving-door è comunque limitata. Date le esenzioni previste dalla legge, questo articolo riguarda solo una categoria limitata di lobbisti. Essa non si applica ai gruppi di lobbying interni, e rappresentanti di interessi di associazioni professionali, gruppi pubblici e le parti sociali. Il cumulo di ruoli di parlamentare e rappresentante di interessi di associazioni di imprese o sindacati è molto comune in Austria. Estendere tale disposizione alle parti sociali avrebbe potuto colpire molti membri del Parlamento.Conclusioni: trasparenza e partecipazione nella regolamentazione austriacaIn sintesi, Le diverse sezioni A, B, C e D hanno evidenziato la presenza di una variazione della rigidità della normativa tra i tipi di gruppi di interesse in termini di quantità di informazione che deve essere presentata. L'indice CPI è costruito applicando un punteggio su 48 domande sulle dimensioni di cui sopra[3]. L’indice è dato da una scala che va da 1 punto (robustezza minima) a 100 (robustezza massima). In altre parole, quanto più la legge di lobbying è vicina a 100, più robusta è la legislazione. Questa procedura è stata fatta per le sezioni A, B, C e D più per le disposizioni in materia di parti sociali. Come mostra la tabella 1, la legge di lobbying Austriaca è caratterizzata da una variazione di robustezza a seconda del tipo di gruppo di interesse.[4]Secondo la classificazione, la legislazione è medio-regolata nelle sezioni A e B sulla consulenza di lobbying e attori aziendali; e basso-regolata nella sezione C (associazioni di categoria) e D (gruppi pubblici), incluse le disposizioni in materia di parti sociali. In particolare, il divario di robustezza in termini di punteggio CPI tra le sezioni C e D e le disposizioni in materia di parti sociali è particolarmente grande (17 punti), il che significa che le disposizioni in materia di parti sociali garantiscono livelli sistematicamente più bassi di trasparenza e responsabilità rispetto alle altre sezioni. Esempi simili si possono trovare negli Stati Uniti e nella regolamentazione Canadese. Punteggio CPIClassificazione perChari et al.Sezione A  -Consulenti di lobbying32Medio-regolataSezione B – Lobbisti interni di azienda30Medio-regolataSezione C – Associazioni Professionali29Basso-regolataSezione D – Gruppi Pubblici29Basso-regolataParti Sociali17Basso-regolata  A cura di Francesco Rossi, studente del Laboratorio di Teorie e Tecniche del Lobbying Istituzionale, dipartimento di Giurisprudenza, LUMSA - Roma[1] Lobbyists, Governments and Public Trust, Volume 3 Implementing the OECD Principles for Transparency and Integrity in Lobbying[2] Gli scandali hanno colpito la politica austriaca nel 2011. Questi hanno coinvolto il MEP Ernst Strasser, scoperto ad accettare tangenti in cambio di promuovere una legislazione al Parlamento europeo (cash for law).  Sono stati dichiarati colpevoli politici e lobbisti per aver intascato fondi di dubbia provenienza relativamente al business della società Telekom Austria.[3] Domande relative alla disciplina della registrazione individuale,metodi di registrazione, rivelazione spese individuali, grado di trasparenza verso il pubblico.[4] Investigating lobbying laws Austria

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Parla Morbelli, responsabile relazioni esterne di Open Gate Italia. «Ma quali interessi oscuri. Noi portiamo le istanze dei nostri clienti al decisore, non vendiamo relazioni. Le regole a Montecitorio? Si poteva fare di più. Serve una legge, i primi a volere chiarezza siamo noi lobbisti»«Siamo lobbisti, non faccendieri. Finalmente alla Camera ci sarà più trasparenza, ma stiamo ancora aspettando una legge nazionale con regole certe». Andrea Morbelli è il responsabile del settore relazioni istituzionali di Open Gate Italia, una delle principali realtà del settore. Tra i suoi clienti, presenti e passati, figurano multinazionali come HP, Enel Open Fiber, le Acciaierie di Terni, l’associazione nazionale industrie cinematografiche, ma anche la società calcistica della Roma. A sentire lui, la regolamentazione approvata a Montecitorio sull’attività dei lobbisti è una buona notizia.Morbelli, partiamo dal suo lavoro. È corretto dire che i lobbisti rappresentano interessi particolari e costruiscono reti di relazioni con il decisore pubblico?Facciamo chiarezza. Il lobbista non crea relazioni, porta contenuti al decisore pubblico. Si discute di un provvedimento? Noi rappresentiamo le istanze dei nostri clienti, siano aziende o associazioni. E così portiamo anche il loro know how. Perché il decisore non può essere onnisciente: per regolare un settore deve prima avere gli strumenti che gli permettono di farlo. Ma non vendiamo relazioni, non siamo faccendieri. Oggi diverse multinazionali e associazioni di categoria possono già entrare alla Camera con un badge che viene rilasciato a discrezione del questore. Non c’è alcun criterio. Se la nuova regolamentazione azzera tutto e autorizza l’accesso solo a chi si registra sarà un dato positivo Da ieri alla Camera c'è una nuova regolamentazione della “attività di rappresentanza di interessi”.Ci sarà un pubblico registro dei lobbisti che entrano a Montecitorio. Come cambia il vostro lavoro?È un primo passo. Adesso spettano alla Presidenza ulteriori disposizioni per stabilire le modalità di accesso nel Palazzo. La nostra posizione è semplice: siamo a favore se esisterà un registro valido per tutti. Oggi diverse multinazionali e associazioni di categoria possono già entrare alla Camera con un badge che viene rilasciato a discrezione del questore. Non c’è alcun criterio. Se la nuova regolamentazione azzera tutto e autorizza l’accesso solo a chi si registra sarà un dato positivo. Altrimenti si rischia di reiterare il dislivello attuale. Dove qualcuno può entrare quando vuole e altri devono chiedere il permesso. La regolamentazione prevede anche che i lobbisti pubblichino un resoconto delle proprie attività nel Palazzo. Bene, noi siamo per la totale trasparenza. Meglio ancora se viene sanzionato chi non dichiara tutto, magari privandolo della possibilità di entrare alla Camera. Inizialmente si era anche ipotizzato di rendere pubbliche le spese sostenute da ciascuno nell’ambito della propria attività. Questa disposizione è stata tolta, io l’avrei lasciata. Gli ex parlamentari che diventano portatori di interessi, invece, dovranno attendere un anno prima di potersi iscrivere al registro. Anche se potranno continuare a entrare a Montecitorio in qualità di ex. Nel mondo succede così, non è uno scandalo. Chi è stato decisore pubblico può diventare un lobbista. Ma la norma così com'è scritta può essere sicuramente aggirata, questo è vero. Spesso si parla del lobbista come di un rappresentante di interessi oscuri, pronto a elargire mazzette… Ma questi sono traffichini, non lobbisti. Il nostro è un lavoro serio, proprio per questo vogliamo farlo in tutta trasparenzaInsomma, lei è soddisfatto delle nuove disposizioni?Ripeto, è un primo passo. Se ci fosse una legge nazionale con regole certe sarebbe ancora meglio. Si parla tanto di trasparenza, ma è evidente che qualche abuso esiste.Le cronache parlamentari raccontano spesso di strani personaggi che si aggirano tra le commissioni ed emendamenti infilati all’ultimo da anonime manine...Gli abusi esistono, certo. Anche per questo chiediamo norme chiare. Se la nostra attività avvenisse alla luce del sole non ci sarebbe nulla di male. Ognuno deve essere libero di portare il proprio contributo al decisore. E lui, a sua volta, deve essere libero di legiferare in autonomia. Oggi siamo noi i primi a pagarne le conseguenze. Spesso si parla del lobbista come di un rappresentante di interessi oscuri, pronto a elargire mazzette… Ma questi sono traffichini, non lobbisti. Il nostro è un lavoro serio, proprio per questo vogliamo farlo in tutta trasparenza.Fonte: Marco Sarti, Linkiesta

Imprese - Lobbyingitalia

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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