Già alla fine degli anni ’80, l’attenzione di alcuni studiosi, soprattutto anglosassoni, si è rivolta all’analisi della crescita esponenziale del fenomeno del lobbismo presso le istituzioni dell’Unione europea, confermando l’osservazione di Wyn Grant che, per questo aspetto, in Europa "Bruxelles è la capitale più simile a Washington" (1).
Il primo elemento che è stato sottolineato è che il sistema stesso dei meccanismi decisionali comunitari porta al moltiplicarsi delle lobbies e di fatto favorisce – nonostante le diverse dichiarazioni di intenti e le norme sulla trasparenza recepite negli anni ’90 – i poteri forti in grado di agire con tempestività, assidua presenza ed elevata competenza tecnica.
È una valutazione ormai consolidata che, nel corso degli anni ’80 e in particolare dopo l’Atto Unico Europeo, la Commissione abbia cercato di rafforzarsi rispetto al Consiglio ed agli Stati nazionali "in a corporate fashion, through coalition building with European interest association" (2) attraverso la creazione di centinaia di Euroquangos, vale a dire organismi consultivi con rappresentanti delle organizzazioni di interesse e delle istituzioni comunitarie.
Da un lato si trattava di fare fronte all’esigenza tecnica di raccogliere i dati, le informazioni e anche cercare le possibili mediazioni in un contesto particolarmente complesso quale l’armonizzazione delle situazioni normative degli Stati nazionali, dall’altro si trattava di una scelta conseguente alla necessità di un potere tecnocratico di garantirsi un consenso in assenza di un reale potere politico-parlamentare.
L’informalità ha finora regolato le procedure del lobbying nonostante alcune misure promosse in seguito alla Comunicazione del 2 dicembre 1992, con la quale la Commissione ha presentato le sue indicazioni di regolamentazione dei rapporti con i gruppi. Tale documento ha riconosciuto che "la Commissione è nota per la sua accessibilità ai gruppi di interesse, una caratteristica che, senza dubbio, deve essere conservata. È nel suo stesso interesse, infatti, comportarsi in tal modo, poiché i gruppi di interesse possono fornire ai servizi informazioni tecniche e consigli costruttivi".
Il documento contiene direttive miranti a garantire "pari opportunità" nell’informazione e propone l’adozione di codici di condotta che, basati su alcuni principi generali suggeriti dalla Commissione, dovrebbero essere formulati da parte dei diversi gruppi. Una sorta di autoregolamentazione che, tuttavia, senza la definizione di precise sanzioni, potrebbe restare a livello di dichiarazione di intenti.
I caratteri dell’interazione fra decisori e rappresentanti degli interessi sono emersi in tutta evidenza da una serie di interviste condotte a Bruxelles, nell’ambito di una ricerca finanziata dal CNR, a testimoni privilegiati, rappresentanti di grandi gruppi industriali, di ambientalisti, consumatori e funzionari della Commissione. L’analisi dei contenuti di quelle interviste, di documenti e studi sul policy-making ha portato a delineare i principali elementi descrittivi del fenomeno (3).
Sulla funzionalità del lobbying come efficiente canale di informazione su diverse realtà nazionali e normative convergono pareri concordi di lobbisti e funzionari. È stato chiaro in proposito il parere espresso da un funzionario del Segretariato Generale della Commissione: "La Commissione auspica e favorisce il dialogo con le organizzazioni di interesse perché ritiene che esse possano fornire importanti inputs al suo lavoro, soprattutto per quello che concerne i dettagli tecnici della legislazione comunitaria, necessari ai funzionari in sede di redazione per mantenere un livello realistico di legislazione. D’altra parte, secondo la Commissione, i lobbisti svolgono anche l’importante ruolo di intermediazione tra il decisore e la società perché sono in grado di segnalare gli effetti delle policies comunitarie con un certo anticipo e di renderle realistiche. In questo senso è molto importante il cosiddetto livello grass-root del lobbying, perché contribuisce a creare consenso attorno alle proposte della Commissione: di conseguenza la Commissione favorisce tutti i gruppi di interesse maggiormente rappresentativi a livello europeo e con uno spettro di interessi il più possibile diffuso" (4).
Per quanto riguarda il Parlamento europeo si è chiuso nell’estate del 1996 il travagliato iter legislativo iniziato nell’ottobre del 1992 con una raccomandazione della Commissione per il Regolamento. Nella motivazione della relazione presentata dall’on. Glyn Ford sono state sottolineate chiaramente le linee guida: una normativa del settore è stata considerata necessaria per la "proliferazione dei gruppi di interesse che agiscono presso le istituzioni europee"; l’assenza di controlli su questa attività "attribuisce a quest’ultima un carattere di semi-clandestinità che dà luogo a voci suscettibili di discreditare il Parlamento e taluni suoi membri"; viene ribadita "l’utilità, anzi la necessità che gruppi di interesse operino presso gli organi legislativi dell’Unione europea", ma in termini di "trasparenza".
Il diritto di accesso al Parlamento deve essere controllato da un lasciapassare personale annuale, ottenuto con l’iscrizione ad un registro, rinnovabile dopo la presentazione di una dichiarazione di attività che contenga l’elenco di tutti gli interventi effettuati presso i parlamentari o i funzionari. Il comportamento non conforme, ferme restando le eventuali responsabilità penali, comporta la possibile sanzione, di competenza del Collegio dei Questori, di sospensione o revoca del diritto di accesso.
I confini di rappresentanza e le difficili mediazioni nelle "organizzazioni-ombrello"
Se ridurre in categorie definite la molteplicità del fenomeno lobbistico è compito quanto mai arduo, sulla professionalità del lobbista esiste ormai una manualistica basata soprattutto sul modello degli Stati Uniti, dove il fenomeno è riconosciuto, studiato e accettato da decenni. Alcuni suoi caratteri sono trasferibili anche all’esperienza europea che tuttavia, come suggeriscono gli analisti, necessita di uno "stile" meno aggressivo e più apparentemente rivolto all’interesse dell’attuazione del mercato unico.
Una volta individuato il tema su cui mirare l’intervento, ecco come è stato descritto in un’intervista il lavoro del lobbista: "La strategia richiede una lista delle persone coinvolte nel caso, delle persone sulle quali occorre fare pressione e di tutti i tipi di interferenza che possono intervenire da altri settori e che possono influenzare i decision makers; poi si prepara uno scadenzario per controllare i risultati ottenibili dai possibili avversari. Evidentemente ogni strategia deve essere studiata in relazione al caso specifico (5). Il lobbying comunitario è bene che si presenti sotto la veste della cooperazione europea; "in qualche modo bisogna cercare di coinvolgere nella propria strategia di rappresentanza quanti più soggetti possibile, attraverso continue mediazioni degli interessi propri con quelli di altri Paesi o altre aziende"; è quindi importante saper agire "attraverso il filtro delle organizzazioni-ombrello. È molto meglio risolvere al di fuori delle sedi istituzionali i potenziali conflitti di interesse e presentarsi alla Commissione o al Consiglio con una posizione unitaria" (6).
Il problema del riconoscimento della rappresentatività di un’organizzazione e della conflittualità fra organizzazioni è una conseguenza scontata quando i centri decisionali delle politiche pubbliche praticano una strategia di apertura al dialogo ed alla consulenza di rappresentanze esterne: nuove professioni ed interessi che si associano, richiesta di maggior peso decisionale da parte delle piccole unità produttive che hanno scoperto più tardi rispetto alle grandi imprese e associazioni la necessità di essere presenti sullo scenario europeo.
Per quanto riguarda l’Unice, capofila delle cosiddette "organizzazioni-ombrello", le difficoltà di mediazione, rendono complessa l’elaborazione di una piattaforma accettabile a settori diversi e a diverse dimensioni aziendali: "Il difetto di questo tipo di macro-organizzazioni è che spesso le posizioni comuni che ne derivano sono edulcorate e quindi a volte prive di quella portata innovativa di cui la Commissione ha bisogno nella predisposizione delle politiche industriali (7)".
Le difficoltà di coordinamento nelle confederazioni europee derivano anche da una "iperattività" dispersiva in mille rivoli di partecipazione: "L’Unice si occupa di tutto; vi sono cinque Commissioni politiche e settanta gruppi di lavoro interni sulle questioni più specifiche. Tale dispiego di forza ed energie si paga in effettività dell’azione di rappresentanza" (8).
Le azioni sono spesso dispersive, mentre le caratteristiche del lobbying efficace a Bruxelles, come è stato più volte rilevato, sono di proporsi con precisione, sintesi, tempestività, competenza tecnica, presenza assidua e rapidità di risposta, giocando d’anticipo sui tempi. Questa alta professionalità è tuttavia strettamente collegata alle risorse finanziarie occorrenti per gestire un lobbying efficace ad una distinzione spesso sottolineata tra interessi forti e interessi deboli.
Tra gli interessi forti, oltre naturalmente agli interessi lobbisticamente ben sostenuti dei forti produttori agricoli, industriali e finanziari, si devono annoverare anche i rappresentanti di aree e Regioni particolarmente sviluppate: ad esempio, da tempo, l’Unioncamere della Lombardia ha creato un’"antenna" a Bruxelles in via di potenziamento ed inoltre mantiene "rapporti privilegiati" con altre Regioni del gruppo dei quattro motori d’Europa: la Catalogna, il Baden-Württemberg e il Rhône-Alpes. Molte aree regionali hanno istituito rappresentanze presso la Comunità e si può anche ricordare che già nel giugno del 1990 era stato firmato un accordo da parte di otto Regioni – due spagnole (Valencia e Catalogna), tre francesi (Languedoc-Roussillon, Provence, Côte d’Azur) e tre italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia) – per un disegno di high tecnology route, un network tecnologico di collegamento tra Valencia, Barcellona, Toulouse, Montpellier, Marseille, Genova, Torino, Milano. Si tratta a volte di operazioni di immagine ma anche di segnali precisi di un regionalismo forte, la decisa riaffermazione di una propria specificità rispetto all’ambito nazionale.
In conclusione, il quadro che è emerso dalla ricerca e che si è cercato di sintetizzare è in realtà diverso dalla seducente definizione del lobbying data in una delle interviste: "La partecipazione al processo di governo è una forma di controllo delle promesse che i rappresentanti – o nel caso comunitario – i governi fanno ai cittadini", vale a dire un controllo delle procedure di governo da parte degli interessi della società civile, perché in realtà, nell’assetto dei meccanismi istituzionali dell’Unione europea, la distinzione fra decisore e controllore si affievolisce, mancando un reale countervailing power della politica. Tra le indicazioni emerse dalla ricerca è apparso chiaro che l’azione di lobbying condotta dai gruppi di interesse si modella sull’interrelazione con i centri decisionali, assumendo i caratteri che in "quel dato sistema" sono ritenuti i più efficaci. Ma queste considerazioni ci porterebbero ad un’analisi che non rientra nell’economia di questo breve intervento; l’argomentazione finirebbe per sfociare sul tema, sintetizzato nel titolo di un libro dell’"impossibile status quo" dell’Unione europea (9).
Note
1. W. Grant, Organized interests and the European Community in "Organized interests and democracy perspectives on West and East" IV colloquio internazionale Fondazione Feltrinelli, 29-31 maggio Cortona 1990.
2. S.S. Andersen, K.A. Eliassen, European Community Lobbying in "European Journal of Political Research", 20, 2, 1991, p. 185.
3. Cfr. Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi. Rappresentanza e lobbying nell’Unione europea, Euroma 1997.
4. Intervista A, funzionario Commissione, Segretariato Generale, Direzione C1, domanda 1 in Gloria Pirzio Ammassari L’Europa degli interessi, op. cit.
5. Intervista F, lobbista di Public Policy Europe, domanda 14 in Gloria Pirzio Ammassari, L’Europa degli interessi, op. cit.
6. Intervista L, Direttore ufficio Eridania-Beghin Say di Bruxelles in op. cit.
7. Intervista C, responsabile delegazione Confindustria a Bruxelles, domanda 2, op. cit.
8. Ibidem, domanda 9.
9. Aa.Vv., Europa: l’impossibile status quo, Il Mulino, Bologna 1996.
Fonte: Gloria Pirzio Ammassari - Rivista IMPRESA & STATO






































