Potere economico e politica, un legame non sempre trasparente e spesso oggetto di discussione. Lobbying Italia ha intervistato l'on. Gianni Cuperlo, deputato del Partito Democratico, sul caso Consip e sulla necessità di maggiore trasparenza di lobby e istituzioni.
Cosa pensa del presunto affaire Consip e dell'altro volto di questa vicenda, l'apertura da parte della Procura di Roma di un fascicolo per rivelazione del segreto di ufficio a carico del dott. Woodcock?
Su vicende giudiziarie per formazione tendo ad astenermi da giudizi e valutazioni. Ripeto concetti assolutamente scontati, che la magistratura deve godere della massima autonomia e deve poter svolgere le sue indagini senza condizionamenti da parte della politica. Nel caso specifico appare molto preoccupante la sola ipotesi che singole figure o apparati dello Stato abbiano potuto fabbricare prove false a carico del capo del governo, dei suoi collaboratori e familiari. Su questa ipotesi è necessario fare totale chiarezza nell'interesse della magistratura, della polizia giudiziaria e delle istituzioni democratiche. Sull'altro versante è necessario che l'inchiesta prosegua e giunga a conclusione in merito alla fuga di notizie che nel pieno delle indagini avrebbe condizionato il loro corretto svolgimento. Per mesi l'amministratore delegato della Consip, tra gli accusatori di un ministro della Repubblica, è rimasto regolamento al suo posto come lo stesso ministro e altre figure apicali. Qualcuno deve comunque avere fornito agli inquirenti una versione falsa degli eventi e dunque un chiarimento di ordine giudiziario, ma anche di ordine politico, rimane necessario. Mi auguro che arrivi in tempi rapidi anche a tutela di reputazione e onorabilità delle persone coinvolte.
Probabilmente l'inchiesta Consip, indipendentemente da come terminerà l'iter giudiziario, mette in luce la necessità di una regolamentazione del lobbying nel nostro paese: secondo lei verso quale direzione si dovrebbe andare?
È banale dirlo ma la direzione da scegliere è quella della massima trasparenza. Esistono normative e discipline che altri Paesi applicano da tempo e che garantiscono un'azione di controllo e prevenzione di quelle forme dirette e indirette di corruzione che alimentano il giudizio negativo sulla classe dirigente e in particolare sul ceto politico. Le norme approvate in questa legislatura per contrastare il traffico illecito di influenze e l'aumento delle pene per i reati di corruzione possono andare nella direzione giusta ma evidentemente tutto questo ancora non basta. Si stima il costo della corruzione nell'ordine di 50-60 miliardi di euro all'anno e ciò rappresenta una delle ragioni della crisi complessiva del nostro sistema economico, politico e democratico. Fingere che non sia così o sottovalutare la portata del fenomeno e le sue implicazioni è una delle più gravi responsabilità in capo alle élites del Paese.
In un paese in cui la figura del lobbista viene ancora vista come un faccendiere l'Italia è culturalmente pronta ad accettare e quindi normare il settore del lobbying?
Ho accennato alla corruzione diffusa perché ho l'impressione che i due aspetti si legano. Il Paese avrà un atteggiamento più responsabile e maturo verso l'azione del lobbying se l'opinione pubblica si convincerà della volontà di colpire con durezza ogni forma e strumento della corruzione. Se vogliamo essere sinceri dobbiamo riconoscere che così oggi non è e questo determina una serie di conseguenze anche nel giudizio su quanti potrebbero e vorrebbero agire nell'ambito della più rigorosa legalità.
Possono le lobby aiutare i partiti politici a superare la terribile crisi di rappresentanza dei partiti che tutt'ora perdura fin da Mani Pulite, o sono due canali di rappresentanza che nel nostro paese viaggeranno sempre su binari separati?
Ho l'impressione che la crisi di rappresentanza dei partiti abbia radici e motivazioni profonde che affondano in un deficit della loro cultura e identità. Partiti che hanno smarrito progressivamente una vocazione e che si sono ridotti a macchine oliate di organizzazione del consenso sul territorio. È un fenomeno che viene da lontano, non riguarda solamente l'ultima stagione e non credo lo si possa affrontare e tanto meno risolvere attraverso interventi o regolazioni che non aggrediscano il cuore del problema. Quindi benissimo una legge che dia piena applicazione all'articolo 49 della Costituzione, ma insisto nel dire che senza una vera e propria rigenerazione della missione storica di quelle culture e tradizioni noi resteremo ostaggio della cronaca e dell'improvvisazione. Temo anche sul terreno indicato dalla domanda.
Intervista a cura di Giorgio Galioto, Eleonora Patella, Mario Verrotti, Andrea Zappacosta e Camilla Zavaroni, Master in Relazioni Istituzionali, Lobby e Comunicazione d'Impresa - Luiss Business School.
Fonte foto: Polisblog.it


































