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MISE, da settembre arriva il registro obbligatorio dei lobbisti
Scritto il 2016-08-03 da Redazione su Italia

Come riporta La Repubblica di oggi, il Ministero dello Sviluppo Economico da settembre avrà un proprio registro per i lobbisti, pubblicato on line al quale, da settembre, chi varcherà il portone d'ingresso di via Veneto, sede del dicastero, dovrà iscriversi. Segnale di trasparenza dal MISE anche sui compensi per i commissari straordinari chiamati a gestire le aziende in crisi.

Tra i campi d’azione del «progetto trasparenza», l'istituzione di un Registro, ispirato a quello utilizzato dalla Commissione Europea e consultabile attraverso un sito web, al quale dovranno iscriversi - dopo aver firmato un codice di condotta - le aziende, i lobbisti, gli interlocutori del ministro, dei viceministri e dei sottosegretari. Informazioni ed elenco degli incontri saranno resi pubblici (l'avvio del sito è previsto per il 6 settembre). Aziende e lobby che contatteranno il ministero dovranno accettare un codice di condotta ed iscriversi ad un Registro. Dati e incontri saranno messi online.

Ancora non chiari lo strumento di istituzione del Registro e l'ufficio che si occuperà del monitoraggio e della gestione dello stesso. La domanda che ci si pone è sempre la stessa: quanto gioverà avere più regolamentazioni sulla trasparenza dei rapporti tra lobby e istituzioni (non ultima quella di Montecitorio, per non citare le diverse leggi regionali applicate, approvate o in corso di approvazione) in assenza di una legge organica a livello nazionale.

Ecco l'articolo completo su La Repubblica di oggi:

La Repubblica_Registro lobbisti MISE_3 AGOSTO 2016

(di @FraAngelone) Chiedete a chiunque a Washington e vi risponderà la stessa cosa: il numero dei lobbisti non sta diminuendo. Eppure, secondo i dati raccolti dal Centre for Responsive Politics, il numero di lobbisti iscritti nel Registro e che hanno effettivamente svolto attività di pressione è drasticamente diminuito dal 2007 al 2016. Il Registro, infatti, conta ad oggi 10.498 iscritti a fronte dei 14.824 del 2007. Come è possibile spiegare questo gap tra la diminuzione di professionisti registrati e la presenza all’incirca costante (stando anche alla spesa totale per attività di pressione censita dallo stesso istituto) dell’industria del lobbying a Washington? La risposta è che non ci sono meno lobbisti, semplicemente ci sono sempre meno persone che si etichettano come tali. L’inchiesta è partita dalle colonne del Washington Post, che individua nella legislazione restrittiva in materia di lobbying varata dall’amministrazione Obama la causa scatenante di questo fenomeno che ha visto alcuni lobbisti cancellare la propria iscrizione dal Registro e altri rinunciarvi proprio, preferendo continuare a lavorare a Washington sotto la dicitura di policy adviser, strategic counsel or government relations adviser. Bisogna quindi ricordare ciò che prescrive la legislazione statunitense in materia di lobbying attraverso il Lobbying Disclosure Act, rivisto nel 2007. Secondo la legge può definirsi lobbista, e quindi obbligato ad iscriversi nel Registro, chi dedichi all’attività di pressione per conto di un cliente almeno il 20% del proprio tempo in un arco di tempo di tre mesi. Una legislazione porosa, quindi, che non evita la creazione di coni d’ombra nei quali si annidano spesso anche ex membri del Congresso che, passati all’altro capo del filo che lega lobbisti e decisori pubblici secondo il fenomeno delle revolving doors preferiscono evitare di attaccarsi addosso l’etichetta di lobbisti per non pregiudicare un futuro ritorno all’attività politica. Gli ex Senatori devono aspettare due anni prima di poter svolgere attività di pressione sui legislatori, per gli ex membri della Camera dei Rappresentanti basta un anno, all’ex speaker della Camera dei Rappresentanti del Congresso – e gran fumatore - John Boehner sono bastati 11 mesi per sedere nel board della Reynolds LA SITUAZIONE IN ITALIA Ci sono spunti utili per una riflessione anche su quanto avviene in Italia. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha varato questa settimana un proprio Registro Trasparenza, strumento attraverso il quale il Ministro Calenda si propone di “aprire” ai cittadini la sede di Via Veneto per renderli consapevoli e partecipi dello svolgimento del processo decisionale. A chi si rivolge, come funzionerà e quali informazioni conterrà il Registro? Possono iscriversi dal 6 settembre le persone fisiche o giuridiche che rappresentano professionalmente presso il MISE interessi leciti, anche di natura non economica e quindi, tra gli altri, i consulenti, gli studi legali, le imprese, le associazioni di categoria e le organizzazioni non governative. L’iscrizione al Registro sarà condizione necessaria per poter incontrare il Ministro, i Viceministri e i Sottosegretari. Il portale del Ministero permette, attraverso alcuni step, l’iscrizione al Registro e consente, attraverso un motore di ricerca, di consultare l’elenco dei soggetti iscritti (che al momento sono 69). Il Registro comprende anche un Codice di comportamento dei dipendenti del MISE e un Codice di condotta per gli iscritti al Registro stesso. Il Registro del MISE, che ricalca, tra l’altro, l’esperienza, poi naufragata, avviata anni fa dal MIPAAF con l’Elenco dei portatori d’interesse e potenzia e sistematizza l’iniziativa individuale del Viceministro delle Infrastrutture Nencini, potrà dare alcune indicazioni preziose circa la dimensione dell’industria del lobbying in Italia, quantomeno nei settori di competenza del Ministro Calenda. Sarà possibile comprendere quali interessi vengono perseguiti, da parte di chi e con quali dotazioni di bilancio. Tuttavia, risulta evidente la differenza con il modello americano che pure, si è visto, non è privo di falle. Differentemente da quanto avviene negli Stati Uniti il Registro Trasparenza del MISE, infatti, coprirà solo alcuni settori e non agirà nel contesto di una legislazione organica a livello nazionale. Pertanto, rimane evasa la questione di fondo circa l’ampiezza di quella zona grigia di cui resta ignota la capacità finanziaria e di influenza sui decisori pubblici. Tutto ciò, mentre il mondo del lobbying è sempre più professionalizzato, professionalizzante e integrato nella società, risultando essenziale, grazie a una strategia di public affairs trasparente, professionale e sostenibile economicamente ed eticamente, alla crescita del mondo dell’impresa.

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(Public Policy) Di regolamentazione dell'attività di lobbying in Italia si discute da sempre. Dal 1948, secondo una ricerca Unitelma-Sapienza, di prossima uscita sulla rivista giuridica "Percorsi istituzionali" (Cedam) sono stati presentati 59 ddl in materia, e 11 disegni di legge che riguardano le pubbliche relazioni, mai nessuno approvato. Ci sono poi 135 norme di vario tipo nell'ordinamento che regolamentano in modo frammentario questo settore. Sono in vigore norme regionali in Toscana, Sicilia, Molise, Abruzzo e Calabria. Da ultimo, dopo varie peripezie legislative - tra cui il tentativo di inserire norme sul lobbying nel ddl Concorrenza in esame al Senato - è in esame a Palazzo Madama un testo base sulla regolamentazione delle attività di lobbying, basato sul disegno di legge presentato dal senatore ex Movimento 5 stelle, Luis Alberto Orellana (oggi nel gruppo delle Autonomie). Il tema è al centro di riflessioni e confronti tra le stesse istituzioni e i portatori di interesse. Entrambi i fronti sembrano concordare, a parole, sull'esigenza di maggior trasparenza nei rapporti tra decisori pubblici e mondo privato e riconoscimento della professionalità del lobbista. Ma nei fatti si fatica a trovare una sintesi. Il 30 giugno scorso, nella sede di Confindustria, in viale dell'Astronomia, si è tenuto un seminario a porte chiuse su obiettivi e priorità di una legge di regolamentazione del lobbying, prendendo spunto dal testo base al Senato. È stata una riunione riservata, ma che è sembrata quasi una convocazione di 'stati generali' sull'argomento: per la prima volta l'associazione degli industriali ha provato a mettere intorno al tavolo decisori pubblici - erano presenti il viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini, il senatore Orellana e il relatore del regolamento sulle lobby alla Camera, Pino Pisicchio, oltre ad esponenti del settore come Patrizia Rutigliano, presidente di Ferpi, e Vito Basile, Managing Director della società di lobbying Burson Marsteller Italia - per confrontarsi su esigenze ed esperienze. A quell'evento è intervenuto anche Pier Luigi Petrillo, professore di Diritto pubblico comparato alla Unitelma-Sapienza di Roma (tra l'altro, è il curatore della ricerca Unitelma qui ricordata) e di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss. Nel 2013 ha coordinato, insieme all'attuale capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Roberto Garofoli, il gruppo di lavoro costituito alla presidenza del Consiglio per scrivere il testo che avrebbe dovuto disciplinare, una volta per tutte, i rapporti tra decisori e lobbisti in Italia. Quel testo fu inaspettatamente bocciato in Consiglio dei ministri, all'ultimo minuto. PROFESSORE, COSA HA IMPEDITO FINO AD OGGI L'APPROVAZIONE DI UNA LEGGE ORGANICA SUL LOBBYING IN ITALIA? Ci sono due motivi che impediscono al Parlamento di approvare una legge sulle lobby. Il primo: non conviene al decisore pubblico e al politico una regolamentazione che renda trasparente il percorso di una decisione e gli interessi coinvolti. Il decisore italiano preferisce non far conoscere all'esterno i motivi delle proprie scelte, perché così evita di renderne conto al cittadino. In questo modo inoltre, può sempre pubblicamente dare la colpa qualcun altro. Periodicamente sui giornali leggiamo che "è colpa delle lobby" se non passa la riforma dei farmaci di fascia C o delle licenze dei taxi. In realtà il problema non sono le lobby, che fanno il loro mestiere. È il decisore pubblico che sceglie di assecondare l'uno o l'altro portatore di interesse. Se ci fosse una legge sulle lobby tutto ciò verrebbe fuori. Finché le lobby sono sconosciute, è molto facile dire che è colpa loro se qualcosa accade. Questo consente al decisore di non assumersi mai la responsabilità delle proprie scelte, anche quelle che soddisfano interessi molto parziali a svantaggio della collettività. L'ALTRO MOTIVO? Il nostro sistema di relazioni tra rappresentanti del mondo privato si basa ancora molto su rapporti di clientela e parentela. Il privato si relaziona al decisore, non perché portatore di informazioni tecniche, indispensabili ai fini della decisione, ma perché è l'amico dell'amico. Una norma che dicesse quali debbano essere le regole per rappresentare gli interessi presso il decisore pubblico, farebbe venir meno tutto questo sottobosco di faccendieri, di gente che si muove in virtù di clientele e parentela, che sono però quelli che poi portano consenso alla politica. Questo 'sottobosco' variegato di soggetti, periodicamente agli onori delle cronache per fatti criminali, fa lobby per evitare una legge che li spazzerebbe via. A INTRODURRE OBBLIGHI DI TRASPARENZA, IN QUESTA SITUAZIONE, NON SI RISCHIA SOLO DI SPOSTARE ALTROVE LE SEDI DI RELAZIONE, E QUINDI DI PERDERE UN'OCCASIONE? Il rischio c'è. Questo è il motivo per cui rifuggo da tutte quelle proposte di legge che vogliono disciplinare 'al secondo' l'attività dei lobbisti. Oggi abbiamo una totale assenza di regole. Se domattina avessimo mille regole potremmo stare tranquilli che verrebbero completamente disapplicate. Se ad esempio introduco l'obbligo di rendicontare tutti gli incontri nella sede della Camera, è chiaro che questi 'migreranno' al di fuori, in qualche altra sede informale. Norme troppo dettagliate e privative, incompatibili col contesto attuale italiano, presentano inevitabilmente molteplici possibilità per essere aggirate. Passare dall'anno zero all'anno mille, dall'assenza di regole all'iperregolamentazione non funzionerebbe: siamo dei geni nello scrivere norme ed interpretarle poi a nostro piacimento. È accaduto a livello regionale, dove stiamo vivendo un momento epico per la regolamentazione delle lobby. Nel 2002 abbiamo avuto la legge toscana, del tutto inattuata. Poi ci sono state le leggi di Molise, Abruzzo, Calabria e Lombardia, mentre la Puglia si appresta ad approvare la sua, voluta dal presidente Emiliano. Sono leggi inutili, scritte con la consapevolezza che saranno totalmente inattuate. A che serve? A mettere a posto la coscienza? IN SINTESI, COME DOVREBBE ESSERE REGOLATO IL RAPPORTO TRA DECISORI E PORTATORI DI INTERESSE IN ITALIA? A mio avviso serve una proposta secca, semplice e sperimentale. Una norma che dica: per tre anni proviamo così. Esaurito il periodo di sperimentazione, verifichiamo l'impatto della norma e decidiamo se confermarla in modo permanente o rivederla. In questi tre anni, introduciamo regole non sui lobbisti, ma sui decisori pubblici. Questo è un punto centrale: rivoltiamo il tavolo. Tutti disegni di legge in esame in Senato e alla Camera, vanno a regolamentare l'attività di lobbying. Alcuni dei quali si spingono quasi a creare una sorta di vero e proprio albo professionale, per cui, se non sei iscritto a questo registro non puoi esercitare l'attività. Quasi nessun ddl invece impone regole di comportamento ai decisori pubblici. Piuttosto che andare a limitare e contenere un'attività del libero mercato, andrei a imporre una serie di norme di trasparenza sul decisore pubblico. NEL MERITO, CON QUALI INTERVENTI SI PUÒ RENDERE PIÙ 'ACCOUNTABLE' IL DECISORE? Si può intervenire in vari modi. Prima di tutto con norme minime, come l'obbligo di pubblicare online l'agenda degli incontri con i portatori di interesse, ovunque essi si svolgano, secondo il "modello Nencini", per capirsi (il viceministro, che ha scelto di pubblicare tutti i suoi incontri al Mit; Ndr). Un nodo cruciale è poi la trasparenza dei finanziamenti privati alla politica. Nessuno dei disegni di legge attuali tocca questo aspetto. La nuova legge sul finanziamento della politica prevede l'abolizione del finanziamento pubblico, e l'introduzione di quello privato. Ma non ci sono obblighi di trasparenza. Il privato che finanzia la politica emerge solo se vuole scaricarsi dalle tasse il contributo che ha dato al partito o al candidato. Se sono una multinazionale che vuole finanziare un partito o un candidato, e non mi interessa il vantaggio fiscale, resto nella totale oscurità. È un'assurdità. Occorre specificare in una norma che chiunque finanzia la politica anche per un solo euro, viene inserito in un elenco pubblico di finanziatori, non c'è nulla di male. E ancora: servono norme sulle 'revolving doors': in Italia siamo pieni di capi di gabinetto di ministri che cessato il loro incarico vanno a fare i lobbisti per le società con le quali interloquivano. E viceversa: lobbisti che diventano capi segreteria tecnica o capi di gabinetto di ministeri verso i quali facevano lobby. Attenzione: è lecito. Però rendiamolo trasparente. Infine si possono far rispettare norme che già ci sono, come la legge che impone di accompagnare tutti i ddl con l'Air (Analisi impatto della regolamentazione), una relazione in cui si elencano i portatori di interesse incontrati.

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Parla Morbelli, responsabile relazioni esterne di Open Gate Italia. «Ma quali interessi oscuri. Noi portiamo le istanze dei nostri clienti al decisore, non vendiamo relazioni. Le regole a Montecitorio? Si poteva fare di più. Serve una legge, i primi a volere chiarezza siamo noi lobbisti»«Siamo lobbisti, non faccendieri. Finalmente alla Camera ci sarà più trasparenza, ma stiamo ancora aspettando una legge nazionale con regole certe». Andrea Morbelli è il responsabile del settore relazioni istituzionali di Open Gate Italia, una delle principali realtà del settore. Tra i suoi clienti, presenti e passati, figurano multinazionali come HP, Enel Open Fiber, le Acciaierie di Terni, l’associazione nazionale industrie cinematografiche, ma anche la società calcistica della Roma. A sentire lui, la regolamentazione approvata a Montecitorio sull’attività dei lobbisti è una buona notizia.Morbelli, partiamo dal suo lavoro. È corretto dire che i lobbisti rappresentano interessi particolari e costruiscono reti di relazioni con il decisore pubblico?Facciamo chiarezza. Il lobbista non crea relazioni, porta contenuti al decisore pubblico. Si discute di un provvedimento? Noi rappresentiamo le istanze dei nostri clienti, siano aziende o associazioni. E così portiamo anche il loro know how. Perché il decisore non può essere onnisciente: per regolare un settore deve prima avere gli strumenti che gli permettono di farlo. Ma non vendiamo relazioni, non siamo faccendieri. Oggi diverse multinazionali e associazioni di categoria possono già entrare alla Camera con un badge che viene rilasciato a discrezione del questore. Non c’è alcun criterio. Se la nuova regolamentazione azzera tutto e autorizza l’accesso solo a chi si registra sarà un dato positivo Da ieri alla Camera c'è una nuova regolamentazione della “attività di rappresentanza di interessi”.Ci sarà un pubblico registro dei lobbisti che entrano a Montecitorio. Come cambia il vostro lavoro?È un primo passo. Adesso spettano alla Presidenza ulteriori disposizioni per stabilire le modalità di accesso nel Palazzo. La nostra posizione è semplice: siamo a favore se esisterà un registro valido per tutti. Oggi diverse multinazionali e associazioni di categoria possono già entrare alla Camera con un badge che viene rilasciato a discrezione del questore. Non c’è alcun criterio. Se la nuova regolamentazione azzera tutto e autorizza l’accesso solo a chi si registra sarà un dato positivo. Altrimenti si rischia di reiterare il dislivello attuale. Dove qualcuno può entrare quando vuole e altri devono chiedere il permesso. La regolamentazione prevede anche che i lobbisti pubblichino un resoconto delle proprie attività nel Palazzo. Bene, noi siamo per la totale trasparenza. Meglio ancora se viene sanzionato chi non dichiara tutto, magari privandolo della possibilità di entrare alla Camera. Inizialmente si era anche ipotizzato di rendere pubbliche le spese sostenute da ciascuno nell’ambito della propria attività. Questa disposizione è stata tolta, io l’avrei lasciata. Gli ex parlamentari che diventano portatori di interessi, invece, dovranno attendere un anno prima di potersi iscrivere al registro. Anche se potranno continuare a entrare a Montecitorio in qualità di ex. Nel mondo succede così, non è uno scandalo. Chi è stato decisore pubblico può diventare un lobbista. Ma la norma così com'è scritta può essere sicuramente aggirata, questo è vero. Spesso si parla del lobbista come di un rappresentante di interessi oscuri, pronto a elargire mazzette… Ma questi sono traffichini, non lobbisti. Il nostro è un lavoro serio, proprio per questo vogliamo farlo in tutta trasparenzaInsomma, lei è soddisfatto delle nuove disposizioni?Ripeto, è un primo passo. Se ci fosse una legge nazionale con regole certe sarebbe ancora meglio. Si parla tanto di trasparenza, ma è evidente che qualche abuso esiste.Le cronache parlamentari raccontano spesso di strani personaggi che si aggirano tra le commissioni ed emendamenti infilati all’ultimo da anonime manine...Gli abusi esistono, certo. Anche per questo chiediamo norme chiare. Se la nostra attività avvenisse alla luce del sole non ci sarebbe nulla di male. Ognuno deve essere libero di portare il proprio contributo al decisore. E lui, a sua volta, deve essere libero di legiferare in autonomia. Oggi siamo noi i primi a pagarne le conseguenze. Spesso si parla del lobbista come di un rappresentante di interessi oscuri, pronto a elargire mazzette… Ma questi sono traffichini, non lobbisti. Il nostro è un lavoro serio, proprio per questo vogliamo farlo in tutta trasparenza.Fonte: Marco Sarti, Linkiesta

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