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Innovation Deals: l'UE propone un nuovo sistema di lobbying partecipativo
Scritto il 2016-02-08 da Redazione su Europa
Tecnologie e leggi sono in continua evoluzione. Il loro progresso detta il ritmo dell’introduzione di nuovi ambiti di ricerca e applicazione, di nuovi prodotti e servizi. Tecnologie e leggi non si sviluppano però in maniera armonica. Sarebbe un controsenso se lo facessero. Alcune regole ci proteggono dall’ignoto e da fughe in avanti nell’interesse di singoli gruppi che potrebbero danneggiare la collettività. Altre leggi rappresentano un intrico di lacci e lacciuoli che rallenta inutilmente il lavoro di scienziati e innovatori.Ci sono momenti della storia dell’umanità in cui la tecnologia accelera e crea nuove opportunità a ritmi particolarmente intensi, cambiando profondamente il nostro modo di vivere, produrre e consumare. Questi momenti si chiamano rivoluzioni industriali: il vapore e l’elettricità hanno abilitato lo sviluppo della prima e della seconda. Da qualche decennio siamo nel mezzo della  terza rivoluzione industriale, spinta dallo sviluppo dell’informatica, dalla convergenza dell’informatica con le tecnologie di comunicazione, dalla socializzazione delle tecnologie digitali.

Nel mezzo di una rivoluzione industriale il confronto tra norma e tecnologia è particolarmente serrato. Nuove regole creano nuovi mercati, definiscono nuovi standard, rallentano alcune direzioni di sviluppo. Epico lo scontro di fine Ottocento che prese il nome di War of Currents e che vide Thomas Edison tentare di impedire, o quanto meno rallentare, l’introduzione del sistema di corrente alternata in mano all’imprenditore George Westinghouse. Scriveva Edison nel novembre del 1886 al suo mentore e poi stretto collaboratore Edward Johnson: “Sono sicuro che da qui a sei mesi Westinghouse ammazzerà uno dei suoi clienti!” Edison scatenerà contro Westinghouse una delle più impressionanti campagne di comunicazione e lobbying mai intentate fino allora, con l’obiettivo di convincere il legislatore americano a stare ben lontano dai sistemi di corrente alternata. Tragicamente, proprio lo stesso Edward Johnson morirà per una forte scossa elettrica (trent’anni dopo la lettera di Edison…). A quel punto però il sistema di corrente alternata sarà ormai diventato lo standard, che ancora oggi porta energia nelle nostre case.

Da un punto di vista della gestione dell’innovazione, l’ambito normativo non è altro che uno dei tanti cambi di battaglia dove un’azienda può trovare nuove fonti di vantaggio competitivo. Primo esempio è il complesso mondo della proprietà intellettuale (Kodak Vs Polaroid, Samsung Vs Apple, Research in Motion Vs NTP etc etc). Insieme al collega di Groningen, Dries Faems, ho dedicato un intero fascicolo del California Management Review all’analisi dell’Appropriation Advantage, cioè alla capacità di alcune aziende di impostare meglio di altre la gestione della loro proprietà intellettuale e di ottenere grazie a ciò un posizionamento migliore rispetto alla concorrenza (l’angolo dell’autopromozione: ecco il video che abbiamo realizzato per spiegare questo concetto).

Dal punto di vista della politica sull’innovazione, l’ambito normativo è una leva particolarmente potente per rallentare o accelerare lo sviluppo di dinamiche industriali. Influenzare lo sviluppo delle norme e delle politiche in un senso o nell’altro si chiama lobbying. Particolarmente curioso come il concetto di lobbying nacque e si sviluppò. Si narra che il Presidente USA Ulysses Grant (1869-1877) fosse costretto ad una pesante coabitazione alla Casa Bianca, dove aveva deciso di trasferirsi tutta la famiglia della First Lady Julia Dent. Per sfuggire alle pressioni del suocero, il Presidente aveva preso l’abitudine di trascorrere le serate godendosi un buon sigaro nella lobby del Willard Hotel, a pochi metri dalla Casa Bianca. Gli avventori dell’hotel si abituarono alla presenza del Presidente e iniziarono ad avvicinarlo presentandogli problemi e idee. Da quelle origini è sorta una vera e propria industria dei lobbisti, che si è inventata forme di pressione ben più sofisticate e non sempre inclusive. Anzi.

L’iniziativa chiamata Innovation Deals, annunciata dal Commissario Carlos Moedas in un recente discorso a Bruxelles, è in qualche modo un tentativo di dare una forma più partecipativa alle dinamiche di lobbying su nuove regole per l’innovazione.

Innovation Deals ha come obiettivo quello di creare dei tavoli di negoziazione rappresentativi dei diversi interessi del mondo scientifico e industriale. Compito di questi tavoli sarà quello di evidenziare ambiti di intervento su regole che possono essere efficacemente cambiate per promuovere l’applicazione alla società di scienza e tecnologia.

Innovation Deals è un progetto pilota che potrà funzionare se (1) l’esperimento verrà preso sul serio dagli Stati Membri dell’Unione: lo stanno facendo i Paesi Bassi che hanno adottato questa come una delle iniziative bandiera della loro Presidenza. Inglesi, tedeschi e francesi sostengono da anni la rilevanza della questione.

Avrà successo se appunto (2) sarà inclusivo, innanzitutto perché escludere i riottosi non è una buona strategia per veder riuscire la fase implementativa.

Avrà successo se (3) la governance di questi tavoli sarà innovativa. Non è semplice avvicinare competenze e linguaggi della giurisprudenza e della tecnologia. Per farlo bisogna trovare dei contesti nuovi. Me ne sto accorgendo chiacchierando con i colleghi giuristi Erika Palmerini e Andrea Bertolini che lavorano insieme agli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna al progetto Robolaw, che ha come obiettivo quello di allineare lo sviluppo normativo con quello tecnologico nel campo della robotica.

Primo ambito di sperimentazione, suggerisce Moedas, sarà l’economia circolare. Si tratta di un contesto meno controverso rispetto al dibattito sulle staminali o alle lotte tra tassisti e Uber. E’ dunque un ambito in cui, se ben impostati, questi tavoli potrebbero in breve identificare risultati molto interessanti. E’ fondamentale che l’Italia si faccia coinvolgere e travolgere da questa iniziativa.

Fonte: Alberto Di Minin, Sole24Ore

Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell'UE? Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull'attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell'UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione. Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: "L'attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l'elaborazione delle politiche dell'UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell'attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un'Unione europea più trasparente e responsabile è un'Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini." La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un'ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell'attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull'ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell'attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell'UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio. Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un'evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell'entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d'insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell'anno. Contesto La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l'iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento. Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L'introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l'iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell'UE. L'impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo. Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell'UE. Nella sua agenda "Legiferare meglio", presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l'impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall'inizio dell'elaborazione di un'iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d'impatto iniziali, e in seguito all'adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio. Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web "Ridurre la burocrazia — dite la vostra!" è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell'UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l'operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell'UE più efficace ed efficiente. Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l'opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell'UE nell'ambito dei negoziati. La consultazione pubblica sarà aperta fino all'1 giugno 2016 al seguente link.

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La Joint Commission on Public Ethics - JCOPE dello stato di New York sta pensando di inserire le comunicazioni attraverso i social media tra le attività di comunicazione nei confronti del decisore pubblico da rendicontare come lobbying. La decisione, annunciata anche dal governatore Andrew Cuomo nel discorso annuale sullo stato dello Stato, fa parte di un quadro complessivo di nuova “eticizzazione” della politica di Albany dopo una serie di scandali. In particolare, tra le “mire” della Joint Commission coloro che svolgono attività di lobbying a tutti gli effetti, ma vengono considerati professionisti delle pubbliche relazioni e non delle relazioni istituzionali. Negli scorsi giorni, lo stato del nordest degli USA ha inserito nella definizione di lobbista anche professionisti della comunicazione come social media strategist e PR. In un comunicato stampa della JCOPE si afferma come “i lobbisti [stiano] sempre più ricorrendo ai social media per portare avanti la loro attività di lobbying. Alla luce di questo è quindi richiesta chiarezza nei casi in cui l’uso di social media è diretto ad attività di lobbying e rendicontabile”. La Joint Commission ha aperto una consultazione pubblica valida fino al 19 febbraio, e da quel giorno saranno approntate le linee guida sull’uso dei social media per attività di lobbying. Tra le richieste anche opinioni su cosa può essere considerato grassroots lobbying, quale impatto possono avere le condivisioni di post o i retweet, quale importanza hanno le comunicazioni fatte ad un account social di un dirigente pubblico piuttosto che quelle recapitate alla mail o agli indirizzi di posta ufficiali. Ovviamente non sono mancate le critiche da parte della community dei professionisti delle relazioni istituzionali, pubbliche ed esterne. L’accusa principale alla Commissione è quella di aver ecceduto nella propria competenza legislativa, violando il diritto ad esprimere liberamente la propria opinione. Un portavoce della Public Relations Society of America ha annunciato contributo fortemente critico da parte dell’associazione.Tra le altre associazioni contrarie, Citizens Union of the City of New York, New York Advocacy Association, New York Civil Liberties Union, la New York Press Association,  lo studio di avvocati Wilson Elser, le società di PR come Davidoff, Hutcher & Citron e West Third Group , diverse testate giornalistiche (come Crain's New York). Ogni violazione delle decisioni del Joint Committee costa 10.000 $. Questa, ed altre norme del Lobbying Act statale, secondo i professionisti del lobbying e quelli delle PR richiedono modifiche molto più urgenti rispetto a quelle derivanti dal nuovo orientamento dello stato di New York.

Mondo - Lobbyingitalia

Prosegue in Scozia l’iter di approvazione di una legge sul lobbying, e non mancano le polemiche sulle norme contenute nel pacchetto legislativo approntato dal Governo. Ma l’Esecutivo procede a passi decisi verso la regolamentazione, e di ciò è testimone il dibattito che si è tenuto nei giorni scorsi in occasione dell’apertura dei lavori del parlamento scozzese per il 2016. Giovedì 7 gennaio si è svolto il dibattito a Holyrood, la sede del parlamento di Edimburgo, alla presenza del Ministro degli affari parlamentari Joe Fitzpatrick. In occasione del dibattito sono stati presentati i risultati della consultazione avviata nei mesi scorsi (come documentato da Lobbying Italia) alla luce delle prime, negative osservazioni da parte di alcuni gruppi di pressione nei confronti del governo. In particolare, secondo la Law Society of Scotland (società che raggruppa laureati in legge e avvocati professionisti scozzesi) infatti le regole del “ddl Lobby” scozzese contenevano diversi difetti di fondo, in particolare riguardo le attività oggetto dell’obbligo di registrazione pubblica. Contrariati anche i lobbisti, che per bocca della loro associazione di rappresentanza ASPA avevano espresso preoccupazione per la definizione di “attività di lobby” e “lobbista”. Un’altra associazione di lobbisti professionisti, APPC Scotland, aveva chiesto che nella definizione di lobbista fossero comprese tutte le organizzazioni (ivi comprese onlus e studi di avvocato) che svolgessero attività di lobby. Il think tank Common Weal aveva poi chiesto al parlamento di “non far finta che tutto funzioni alla perfezione, poiché 9 scozzesi su 10 hanno manifestato contrarietà alle attuali norme sul lobbying”. Queste e altre osservazioni sono state poi registrate nella consultazione pubblica avviata negli ultimi mesi del 2015 dal governo, discusse nel dibattito dei giorni scorsi. In particolare la Scottish Alliance for Lobbying Transparency - SALT ha prodotto in base al sondaggio condotto da YouGov un rapporto intitolato “Closing the loopholes in the Lobbying (Scotland) Bill”, che ha mostrato risultati interessanti sulla percezione dell’industria del lobbying in Scozia (qui un’ulteriore analisi). Il 92% degli intervistati ha dichiarato che fosse necessario che i lobbisti pubblicassero la spesa in attività di lobbying, una misura non prevista dal disegno di legge attualmente in discussione, che prevede esclusivamente la pubblicazione dell’obiettivo e del destinatario della “pressione”. Inoltre, forte sostegno è stato dato a tre aspetti promossi dalla SALT: allargare la definizione di attività comprese nel lobbying, allargare la definizione di lobbista, aumentare il tipo di informazioni che i lobbisti devono rendere pubbliche. La SALT aveva inoltre prodotto un form che ogni cittadino avrebbe potuto inviare online al proprio parlamentare di riferimento, che toccava tutti gli argomenti oggetto delle osservazioni sul Lobbying Bill. La discussione a Holyrood è stata molto serrata. La Federazione delle Piccole Imprese ha denunciato l’eccessiva onerosità delle norme, per osservare le quali la federazione avrebbe dovuto scontare un deficit logistico nei confronti delle organizzazioni più grandi. I parlamentari del Labour Mary Fee e Neil Findlay hanno posto l’attenzione sul fatto che anche le telefonate e le mail sarebbero dovute rientrare tra le attività che consistevano in lobbying, estendendo quindi la portata della regolamentazione. Una previsione che non piace allo Scottish Council for Voluntary Organisations – SCVO, che la reputa troppo onerosa. In realtà è molto onerosa anche per le casse statali: il rappresentante della Association for Scottish Public Affairs, Alastair Ross, ha espresso che l’estensione della portata della legge avrebbe portato ad un aumento delle spese statali, che con le attuali nuove norme incontrerebbero spese per circa 3 milioni di euro annui. Il ministro Fitzpatrick ha convenuto che il governo, pur tenendo in considerazione qualsiasi proposta, ha la necessità di porre attenzione su qualsiasi aspetto per evitare che previsioni di legge possano ledere il diritto alla partecipazione per alcune parti e avvantaggiarne altre. Come lui, anche altri parlamentari di maggioranza come Fiona McLeod e Cameron Buchanan hanno tenuto a precisare che non fosse possibile estendere eccessivamente la portata del registro, e che si corresse il rischio che la registrazione eccessiva avrebbe perso di significato e serietà. La discussione del Lobbying Bill si accende proprio nel momento in cui la premier Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party che detiene la maggioranza assoluta in parlamento, è oggetto di critiche per due diverse vicende legate al mondo del lobbying: negli scorsi mesi è stata accusata di aver accettato una mazzetta da parte della lobby animalista, in forma di una donazione di 10.000 £, giusto qualche settimana prima di bloccare la discussione in parlamento di un disegno di legge sulla caccia alla volpe (“Hunting Act”); qualche giorno fa invece è stata pubblicata la notizia di una cena privata (peraltro ospitata dalla società di lobbying Charlotte Street Partners) alla quale hanno partecipato, accanto alla Sturgeon, esponenti di spicco dell’economia e dell’imprenditorialità scozzese, tra i quali esponenti della Scotch Whisky Association, lobbisti del gas naturale, rappresentanti di Buccleuch Estate (tra i principali oppositori della riforma del real estate scozzese). Una notizia che rende l'approvazione del Lobbying Bill ancor più necessaria per comprendere quali reali interessi siano a cuore del partito nazionalista scozzese.

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