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Anche twittare è lobbying? Per lo stato di New York, sì
Scritto il 2016-02-05 da Giovanni Gatto su World

La Joint Commission on Public Ethics - JCOPE dello stato di New York sta pensando di inserire le comunicazioni attraverso i social media tra le attività di comunicazione nei confronti del decisore pubblico da rendicontare come lobbying. La decisione, annunciata anche dal governatore Andrew Cuomo nel discorso annuale sullo stato dello Stato, fa parte di un quadro complessivo di nuova “eticizzazione” della politica di Albany dopo una serie di scandali. In particolare, tra le “mire” della Joint Commission coloro che svolgono attività di lobbying a tutti gli effetti, ma vengono considerati professionisti delle pubbliche relazioni e non delle relazioni istituzionali.

Negli scorsi giorni, lo stato del nordest degli USA ha inserito nella definizione di lobbista anche professionisti della comunicazione come social media strategist e PR. In un comunicato stampa della JCOPE si afferma come “i lobbisti [stiano] sempre più ricorrendo ai social media per portare avanti la loro attività di lobbying. Alla luce di questo è quindi richiesta chiarezza nei casi in cui l’uso di social media è diretto ad attività di lobbying e rendicontabile”. La Joint Commission ha aperto una consultazione pubblica valida fino al 19 febbraio, e da quel giorno saranno approntate le linee guida sull’uso dei social media per attività di lobbying. Tra le richieste anche opinioni su cosa può essere considerato grassroots lobbying, quale impatto possono avere le condivisioni di post o i retweet, quale importanza hanno le comunicazioni fatte ad un account social di un dirigente pubblico piuttosto che quelle recapitate alla mail o agli indirizzi di posta ufficiali.

Ovviamente non sono mancate le critiche da parte della community dei professionisti delle relazioni istituzionali, pubbliche ed esterne. L’accusa principale alla Commissione è quella di aver ecceduto nella propria competenza legislativa, violando il diritto ad esprimere liberamente la propria opinione. Un portavoce della Public Relations Society of America ha annunciato contributo fortemente critico da parte dell’associazione.Tra le altre associazioni contrarie, Citizens Union of the City of New York, New York Advocacy Association, New York Civil Liberties Union, la New York Press Association,  lo studio di avvocati Wilson Elser, le società di PR come Davidoff, Hutcher & Citron e West Third Group , diverse testate giornalistiche (come Crain's New York).

Ogni violazione delle decisioni del Joint Committee costa 10.000 $. Questa, ed altre norme del Lobbying Act statale, secondo i professionisti del lobbying e quelli delle PR richiedono modifiche molto più urgenti rispetto a quelle derivanti dal nuovo orientamento dello stato di New York.

Tecnologie e leggi sono in continua evoluzione. Il loro progresso detta il ritmo dell’introduzione di nuovi ambiti di ricerca e applicazione, di nuovi prodotti e servizi. Tecnologie e leggi non si sviluppano però in maniera armonica. Sarebbe un controsenso se lo facessero. Alcune regole ci proteggono dall’ignoto e da fughe in avanti nell’interesse di singoli gruppi che potrebbero danneggiare la collettività. Altre leggi rappresentano un intrico di lacci e lacciuoli che rallenta inutilmente il lavoro di scienziati e innovatori.Ci sono momenti della storia dell’umanità in cui la tecnologia accelera e crea nuove opportunità a ritmi particolarmente intensi, cambiando profondamente il nostro modo di vivere, produrre e consumare. Questi momenti si chiamano rivoluzioni industriali: il vapore e l’elettricità hanno abilitato lo sviluppo della prima e della seconda. Da qualche decennio siamo nel mezzo della  terza rivoluzione industriale, spinta dallo sviluppo dell’informatica, dalla convergenza dell’informatica con le tecnologie di comunicazione, dalla socializzazione delle tecnologie digitali. Nel mezzo di una rivoluzione industriale il confronto tra norma e tecnologia è particolarmente serrato. Nuove regole creano nuovi mercati, definiscono nuovi standard, rallentano alcune direzioni di sviluppo. Epico lo scontro di fine Ottocento che prese il nome di War of Currents e che vide Thomas Edison tentare di impedire, o quanto meno rallentare, l’introduzione del sistema di corrente alternata in mano all’imprenditore George Westinghouse. Scriveva Edison nel novembre del 1886 al suo mentore e poi stretto collaboratore Edward Johnson: “Sono sicuro che da qui a sei mesi Westinghouse ammazzerà uno dei suoi clienti!” Edison scatenerà contro Westinghouse una delle più impressionanti campagne di comunicazione e lobbying mai intentate fino allora, con l’obiettivo di convincere il legislatore americano a stare ben lontano dai sistemi di corrente alternata. Tragicamente, proprio lo stesso Edward Johnson morirà per una forte scossa elettrica (trent’anni dopo la lettera di Edison…). A quel punto però il sistema di corrente alternata sarà ormai diventato lo standard, che ancora oggi porta energia nelle nostre case. Da un punto di vista della gestione dell’innovazione, l’ambito normativo non è altro che uno dei tanti cambi di battaglia dove un’azienda può trovare nuove fonti di vantaggio competitivo. Primo esempio è il complesso mondo della proprietà intellettuale (Kodak Vs Polaroid, Samsung Vs Apple, Research in Motion Vs NTP etc etc). Insieme al collega di Groningen, Dries Faems, ho dedicato un intero fascicolo del California Management Review all’analisi dell’Appropriation Advantage, cioè alla capacità di alcune aziende di impostare meglio di altre la gestione della loro proprietà intellettuale e di ottenere grazie a ciò un posizionamento migliore rispetto alla concorrenza (l’angolo dell’autopromozione: ecco il video che abbiamo realizzato per spiegare questo concetto). Dal punto di vista della politica sull’innovazione, l’ambito normativo è una leva particolarmente potente per rallentare o accelerare lo sviluppo di dinamiche industriali. Influenzare lo sviluppo delle norme e delle politiche in un senso o nell’altro si chiama lobbying. Particolarmente curioso come il concetto di lobbying nacque e si sviluppò. Si narra che il Presidente USA Ulysses Grant (1869-1877) fosse costretto ad una pesante coabitazione alla Casa Bianca, dove aveva deciso di trasferirsi tutta la famiglia della First Lady Julia Dent. Per sfuggire alle pressioni del suocero, il Presidente aveva preso l’abitudine di trascorrere le serate godendosi un buon sigaro nella lobby del Willard Hotel, a pochi metri dalla Casa Bianca. Gli avventori dell’hotel si abituarono alla presenza del Presidente e iniziarono ad avvicinarlo presentandogli problemi e idee. Da quelle origini è sorta una vera e propria industria dei lobbisti, che si è inventata forme di pressione ben più sofisticate e non sempre inclusive. Anzi. L’iniziativa chiamata Innovation Deals, annunciata dal Commissario Carlos Moedas in un recente discorso a Bruxelles, è in qualche modo un tentativo di dare una forma più partecipativa alle dinamiche di lobbying su nuove regole per l’innovazione. Innovation Deals ha come obiettivo quello di creare dei tavoli di negoziazione rappresentativi dei diversi interessi del mondo scientifico e industriale. Compito di questi tavoli sarà quello di evidenziare ambiti di intervento su regole che possono essere efficacemente cambiate per promuovere l’applicazione alla società di scienza e tecnologia. Innovation Deals è un progetto pilota che potrà funzionare se (1) l’esperimento verrà preso sul serio dagli Stati Membri dell’Unione: lo stanno facendo i Paesi Bassi che hanno adottato questa come una delle iniziative bandiera della loro Presidenza. Inglesi, tedeschi e francesi sostengono da anni la rilevanza della questione. Avrà successo se appunto (2) sarà inclusivo, innanzitutto perché escludere i riottosi non è una buona strategia per veder riuscire la fase implementativa. Avrà successo se (3) la governance di questi tavoli sarà innovativa. Non è semplice avvicinare competenze e linguaggi della giurisprudenza e della tecnologia. Per farlo bisogna trovare dei contesti nuovi. Me ne sto accorgendo chiacchierando con i colleghi giuristi Erika Palmerini e Andrea Bertolini che lavorano insieme agli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna al progetto Robolaw, che ha come obiettivo quello di allineare lo sviluppo normativo con quello tecnologico nel campo della robotica. Primo ambito di sperimentazione, suggerisce Moedas, sarà l’economia circolare. Si tratta di un contesto meno controverso rispetto al dibattito sulle staminali o alle lotte tra tassisti e Uber. E’ dunque un ambito in cui, se ben impostati, questi tavoli potrebbero in breve identificare risultati molto interessanti. E’ fondamentale che l’Italia si faccia coinvolgere e travolgere da questa iniziativa. Fonte: Alberto Di Minin, Sole24Ore

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Prosegue in Scozia l’iter di approvazione di una legge sul lobbying, e non mancano le polemiche sulle norme contenute nel pacchetto legislativo approntato dal Governo. Ma l’Esecutivo procede a passi decisi verso la regolamentazione, e di ciò è testimone il dibattito che si è tenuto nei giorni scorsi in occasione dell’apertura dei lavori del parlamento scozzese per il 2016. Giovedì 7 gennaio si è svolto il dibattito a Holyrood, la sede del parlamento di Edimburgo, alla presenza del Ministro degli affari parlamentari Joe Fitzpatrick. In occasione del dibattito sono stati presentati i risultati della consultazione avviata nei mesi scorsi (come documentato da Lobbying Italia) alla luce delle prime, negative osservazioni da parte di alcuni gruppi di pressione nei confronti del governo. In particolare, secondo la Law Society of Scotland (società che raggruppa laureati in legge e avvocati professionisti scozzesi) infatti le regole del “ddl Lobby” scozzese contenevano diversi difetti di fondo, in particolare riguardo le attività oggetto dell’obbligo di registrazione pubblica. Contrariati anche i lobbisti, che per bocca della loro associazione di rappresentanza ASPA avevano espresso preoccupazione per la definizione di “attività di lobby” e “lobbista”. Un’altra associazione di lobbisti professionisti, APPC Scotland, aveva chiesto che nella definizione di lobbista fossero comprese tutte le organizzazioni (ivi comprese onlus e studi di avvocato) che svolgessero attività di lobby. Il think tank Common Weal aveva poi chiesto al parlamento di “non far finta che tutto funzioni alla perfezione, poiché 9 scozzesi su 10 hanno manifestato contrarietà alle attuali norme sul lobbying”. Queste e altre osservazioni sono state poi registrate nella consultazione pubblica avviata negli ultimi mesi del 2015 dal governo, discusse nel dibattito dei giorni scorsi. In particolare la Scottish Alliance for Lobbying Transparency - SALT ha prodotto in base al sondaggio condotto da YouGov un rapporto intitolato “Closing the loopholes in the Lobbying (Scotland) Bill”, che ha mostrato risultati interessanti sulla percezione dell’industria del lobbying in Scozia (qui un’ulteriore analisi). Il 92% degli intervistati ha dichiarato che fosse necessario che i lobbisti pubblicassero la spesa in attività di lobbying, una misura non prevista dal disegno di legge attualmente in discussione, che prevede esclusivamente la pubblicazione dell’obiettivo e del destinatario della “pressione”. Inoltre, forte sostegno è stato dato a tre aspetti promossi dalla SALT: allargare la definizione di attività comprese nel lobbying, allargare la definizione di lobbista, aumentare il tipo di informazioni che i lobbisti devono rendere pubbliche. La SALT aveva inoltre prodotto un form che ogni cittadino avrebbe potuto inviare online al proprio parlamentare di riferimento, che toccava tutti gli argomenti oggetto delle osservazioni sul Lobbying Bill. La discussione a Holyrood è stata molto serrata. La Federazione delle Piccole Imprese ha denunciato l’eccessiva onerosità delle norme, per osservare le quali la federazione avrebbe dovuto scontare un deficit logistico nei confronti delle organizzazioni più grandi. I parlamentari del Labour Mary Fee e Neil Findlay hanno posto l’attenzione sul fatto che anche le telefonate e le mail sarebbero dovute rientrare tra le attività che consistevano in lobbying, estendendo quindi la portata della regolamentazione. Una previsione che non piace allo Scottish Council for Voluntary Organisations – SCVO, che la reputa troppo onerosa. In realtà è molto onerosa anche per le casse statali: il rappresentante della Association for Scottish Public Affairs, Alastair Ross, ha espresso che l’estensione della portata della legge avrebbe portato ad un aumento delle spese statali, che con le attuali nuove norme incontrerebbero spese per circa 3 milioni di euro annui. Il ministro Fitzpatrick ha convenuto che il governo, pur tenendo in considerazione qualsiasi proposta, ha la necessità di porre attenzione su qualsiasi aspetto per evitare che previsioni di legge possano ledere il diritto alla partecipazione per alcune parti e avvantaggiarne altre. Come lui, anche altri parlamentari di maggioranza come Fiona McLeod e Cameron Buchanan hanno tenuto a precisare che non fosse possibile estendere eccessivamente la portata del registro, e che si corresse il rischio che la registrazione eccessiva avrebbe perso di significato e serietà. La discussione del Lobbying Bill si accende proprio nel momento in cui la premier Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party che detiene la maggioranza assoluta in parlamento, è oggetto di critiche per due diverse vicende legate al mondo del lobbying: negli scorsi mesi è stata accusata di aver accettato una mazzetta da parte della lobby animalista, in forma di una donazione di 10.000 £, giusto qualche settimana prima di bloccare la discussione in parlamento di un disegno di legge sulla caccia alla volpe (“Hunting Act”); qualche giorno fa invece è stata pubblicata la notizia di una cena privata (peraltro ospitata dalla società di lobbying Charlotte Street Partners) alla quale hanno partecipato, accanto alla Sturgeon, esponenti di spicco dell’economia e dell’imprenditorialità scozzese, tra i quali esponenti della Scotch Whisky Association, lobbisti del gas naturale, rappresentanti di Buccleuch Estate (tra i principali oppositori della riforma del real estate scozzese). Una notizia che rende l'approvazione del Lobbying Bill ancor più necessaria per comprendere quali reali interessi siano a cuore del partito nazionalista scozzese.

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Le ong Transparency International, Sunlight Foundation, Open Knowledge, Access Info con il supporto del Programma dell'Unione Europea per la Prevenzione e la lotta al crimine hanno predisposto una nuova lista di 38 standard basati sulle più avanzate regolamentazioni del lobbying a livello internazionale. L’obiettivo è orientare i governi dei Paesi in cui è più diffuso il fenomeno a implementare la loro regolamentazione, e i Paesi in cui le relazioni istituzionali si svolgono sotto una cappa di opacità a rispettare tre requisiti essenziali della regolamentazione dell’attività dei gruppi di pressione: trasparenza, integrità, partecipazione. Al maggio 2015, almeno 20 Paesi in tutto il mondo hanno una regolamentazione del lobbying, la cui portata ed efficacia varia da caso a caso, a livello nazionale: Australia, Austria, Brasile, Canada, Cile, Francia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Lituania, Macedonia, Montenegro, Perù, Polonia, Slovenia, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti (aggiungiamo anche i progressi in Messico, Colombia, Nigeria, Ucraina).  Sebbene la maggior parte di questi Paesi siano ad alto livello di industrializzazione, ogni regolamentazione presenta aspetti che i 38 standard mirano a mitigare: tra tutti, gli scandali relativi alla corruzione che portano le ong e i centri di ricerca ad interrogarsi e interessarsi sempre più sulle normative nazionali in tal senso. È ben specificato che la regolamentazione non è che uno strumento per raggiungere l’obiettivo del maggior livello di eticità delle attività di public affairs; è infatti necessaria anche la disponibilità da parte di decisori e gruppi di pressione a rispettare nel concreto le norme, in modo tale da creare un ambiente di decisione pubblica etico e “fair”. Princìpi guida Il lobbying è un’attività legittima e una parte fondamentale del processo decisionale. la società democratica è basata su un pluralismo degli interessi tra i quali i decisori pubblici devono muoversi per prendere decisioni ragionate in favore dell’interesse generale. C’è un particolare interesse pubblico ad assicurare la trasparenza e l’integrità del lobbying, così come la diversificazione della partecipazione e il contributo alla decisione normativa. Ogni misura normativa per assicurare i primi due principi deve essere proporzionale, adeguata allo scopo e non impedire il diritto individuare di associazione, libertà di opinione e rappresentazione dell’interesse al decisore pubblico. I primi standard riguardano le definizioni di lobbying, decisore pubblico e lobbista. Ne vengono escluse le interazioni tra cittadini e pubblici ufficiali riguardo i loro interessi privati, e tra pubblici ufficiali stessi (decisori pubblici, agenti diplomatici o rappresentanti di Stati stranieri) nell’attuazione delle proprie funzioni pubbliche. Altra sezione riguarda le norme sulla trasparenza. La registrazione deve essere obbligatoria, periodica, prevedere un’attività di reporting delle attività e degli incontri; devono essere pubblicate una serie di informazioni da parte dei lobbisti, tra le quali i documenti presentati e i finanziamenti alla politica; i dati devono essere accessibili, aperti e comparabili; il carico burocratico deve essere minimo, sia per il pubblico che per il privato. È consigliato che i decisori pubblici e gli enti decisionali pubblichino le proprie informazioni, che devono essere chiare, libere ed esaustive. Ulteriori norme dovranno essere previste per raggiungere il maggior livello possibile di integrità. Ai decisori pubblici è raccomandata la sottoscrizione di un codice di condotta di cui sono definiti nello specifico i punti (tra questi, le norme di prevenzione di conflitto di interessi); di rispettare un periodo di cooling-off di almeno due anni prima di lavorare come rappresentante di interessi privati, per prevenire il fenomeno delle revolving doors; di dichiarare, nel caso inverso di provenienza dal settore privato, di non difendere interessi di parte una volta nominati/eletti come decisori pubblici. Norme sull’integrità sono previste anche per i lobbisti o rappresentanti di interesse: anche qui un codice di condotta, standard comportamentali e auto-regolazione. Partecipazione ed accesso: anche qui sono previste norme che puntano alla totale disclosure del settore e che già in alcune democrazie sono attuate, seppur non con l’efficacia richiesta da TI. Sono auspicati il diritto alla partecipazione per ogni tipo di gruppo interessato a un processo decisionale pubblico (anche non organizzato con strutture di lobby), un processo di consultazione pubblico precedente a qualsiasi iniziativa decisionale, la par condicio sia nell’accesso che nella partecipazione alla formazione della decisione, la giustificazione di eventuali rifiuti a richieste portate avanti da gruppi di interesse. Riguardo gruppi di esperti, il legislatore deve prevedere una composizione interna bilanciata includendo tutti i diversi interessi. Riguardo il sistema di controllo, sono raccomandati precisione e tempismo nelle attività di monitoraggio delle attività di relazioni istituzionali; un meccanismo di ricorsi aperto a tutti; una serie di sanzioni, efficaci proporzionate e dissuasive, per la violazione di norme sul registro. Non è però previsto che tipo di ente debba assumere il controllo sulle attività di lobbying: un ente già esistente, o un organo ad hoc? Infine, relativamente al quadro regolatorio generale, è sottolineato l’interesse per il contesto locale sia dal punto di vista territoriale (se si è in presenza di accentramento o decentramento governativo, o se c’è un alto tasso di corporativismo) che sociale (tasso di professionalità dell’attività di lobbying, gruppi sociali presenti e attivi). La revisione annuale dei risultati della regolamentazione dal punto di vista del tasso di eticità e concorrenza dell’intero mercato nazionale è l’ultimo step per garantire un quadro regolamentare completo per la disciplina del lobbying. Link allo studio di Transparency International e alle opinioni in merito della Sunlight Foundation.

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