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Quando il lobbying "va di moda"
Scritto il 2015-11-03 da Giovanni Gatto su Europa

Business of Fashion (BOF), uno dei più autorevoli siti online dedicati alla moda, racconta i frequenti meccanismi di lobbying del mondo della moda statunitense, cioè i tentativi di influenzare il potere politico e amministrativo per difendere e promuovere i propri interessi. Com’è facile immaginare, stabilire con esattezza le pressioni delle lobby della moda è piuttosto complicato, vista la discrezione con cui le aziende affrontano l’argomento; BOF ha raccolto alcuni esempi per darne un’idea.

In questi ultimi mesi le lobby si sono concentrate attorno al Trans Pacific Partnership (TPP), un grande trattato internazionale sul commercio che coinvolge 12 paesi affacciati sull’Oceano Pacifico: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e soprattutto Stati Uniti. Il TPP prevede la cancellazione o la riduzione di alcune tasse che alcuni paesi applicano alle merci provenienti da altri: al momento l’accordo è stato solo annunciato, non è stato ancora firmato e non se ne conoscono i dettagli in termini di numeri e prodotti.

Le implicazioni del TPP interessano molto il mondo della moda per i vantaggi economici che ne potrebbero derivare. In particolare gli Stati Uniti, il più grande acquirente nel campo dell’abbigliamento, avrebbero un accesso facilitato al Vietnam, il terzo mercato emergente nella produzione di vestiti, dopo la Cina e il Bangladesh. Secondo un’analisi della Footwear Distributors and Retailers of America, la più grande associazione statunitense nel settore delle calzature, nel 2014 le aziende statunitensi hanno pagato 400 milioni di dollari in tariffe doganali per scarpe importate da paesi che partecipano al TPP: l’accordo permetterà di risparmiare parte di questo denaro.

BOF racconta anche i notevoli sforzi della multinazionale di abbigliamento sportivo Nike per far passare il trattato: dal 2006 ha intensificato la sua attività di lobbying sul tema più di qualsiasi altra azienda. L’anno scorso Nike ha speso 1,1 milioni di dollari (quasi un milione di euro) per fare pressioni a favore dell’accordo, a cui si aggiungono altri 560 mila dollari (oltre 500 mila euro) nella prima metà di quest’anno. L’interesse di Nike nel TPP è stato confermato anche dalla visita, a maggio, del presidente degli Stati Uniti Obama al quartier generale dell’azienda a Beaverton, in Oregon, dove ha parlato a favore dell’accordo. In occasione della visita Mark Parker, amministratore delegato di Nike, ha detto che il TPP permetterà all’azienda di creare 10 mila nuovi posti di lavoro nell’industria manifatturiera e nell’ingegneria: «la libera circolazione dei beni nell’economia globale – ha spiegato – sguinzaglierà la nostra capacità di investire e innovare».

Negli Stati Uniti – ma non solo, succede per esempio anche nella Commissione e nel Parlamento Europeo – quella del lobbista è una vera e propria professione, disciplinata da una legge federale, il Federal Lobbying Disclosure Act. La legge regolamenta l’attività di lobbying e prevede un’iscrizione in un apposito registro, così da garantirne la trasparente. Secondo dati della US Federal Lobbyng Disclosures, l’ufficio federale che si occupa della materia, nella prima metà del 2015 le aziende di moda hanno già speso molti soldi per difendere e promuovere i propri interessi, e in particolare il TPP: la National Retail Federation, l’associazione che difende i diritti dei grandi distributori statunitensi, ha speso 3 milioni di dollari (2,7 milioni di euro); i grandi magazzini Target 770 mila (quasi 700 mila euro); e le catene di abbigliamento JC Penney e Gap rispettivamente 410 mila dollari (370 mila euro) e 160 mila dollari (145 mila euro). Sono pochi rispetto a quelli investiti dalle lobby farmaceutiche – che nel 2015 hanno speso complessivamente 1,63 miliardi di dollari (1,47 miliardi di euro) – ma dimostrano comunque il coinvolgimento delle case di moda.

Una lobby può limitarsi a cercare contatti e inviare comunicazioni ai politici – come presentare dati e rapporti a sostegno delle sue richieste – oppure organizzare grosse campagne per influenzare l’opinione pubblica, finanziare campagne elettorali, e addirittura promuovere scioperi e proteste. Le aziende possono assumere lobbisti o pagare un’organizzazione che lo faccia al posto loro: non c’è un tetto massimo alle spese che si possono spendere per le attività di lobby, ma c’è per le donazioni individuali ai politici, pari a 2.700 dollari (2.500 euro) per ciclo elettorale. Julia Hughes, presidente della United States Fashion Industry Association (USFIA), un gruppo di Washington DC che preme per eliminare le restrizioni sul commercio di tessuti e abbigliamento, ha spiegato che il lavoro del gruppo consiste nell’incontrare e sottoporre regolarmente le richieste degli iscritti ai responsabili delle politiche amministrative.

BOF riporta alcuni esempi in cui il lobbying ha funzionato. Il caso più famoso è del 2009 e riguarda la casa di alta moda francese Chanel, il suo direttore creativo Karl Lagerfeld, il gruppo LVMH e altre aziende che si occupano di beni di lusso. Nel 2010 sarebbe scaduta le legge europea per la concorrenza che consentiva ai marchi di scegliere su quali siti vendere la propria merce; sarebbe stata sostituita da un’altra che eliminava le restrizioni sul commercio online. LVMH, Chanel e altre società del lusso temevano che i loro prodotti sarebbero stati così venduti su mercati di massa, come per esempio Ebay, insieme a riproduzioni false dei loro articoli; iniziarono quindi un’operazione di lobbying per impedire all’UE di approvare le nuove norme. Karl Lagerfeld andò a Bruxelles per incontrare Neelie Kroes, responsabile delle politiche di concorrenza della Commissione europea, e per discutere con lei il disegno di legge. Avvocati e lobbisti cercarono di far capire ai politici che la distribuzione selettiva è fondamentale per l’industria del lusso, un settore che produce il 3,5 per cento del prodotto interno lordo dell’UE e dà lavoro a 1,5 milioni di persone. Questa strategia ebbe successo, e la legge che venne poi adottata consente alle aziende di lusso maggior controllo sulla vendita online dei loro prodotti.

Negli ultimi anni le società di moda hanno indirizzato le attività di lobby su temi come l’e-commerce, la sicurezza dei prodotti e la proprietà intellettuale. In quest’ultimo caso la lobby della moda ha però fallito. Nel 2012 il CFDA, Council of Fashion Designers of America, l’equivalente americano della nostra Camera della moda, ha chiesto una legge per garantire tre anni di diritti d’autore agli stilisti che registravano un nuovo prodotto nel giro di sei mesi dalla creazione. Il CFDA assunse due lobbisti ma non riuscì a far passare la legge, in parte perché i politici sono restii a farsi carico di cause che appaiono elitarie e lontane dai problemi della gente, in parte perché la legge sembrava semplicemente proteggere gli interessi delle case di moda e non l’interesse generale.

Negli Stati Uniti le attività di lobby della moda più recenti sono quelle dei negozi di lusso in California, che chiedono un’esenzione dal divieto di importare pelle di coccodrillo. Il governo statunitense deve invece affrontare le pressioni del sito di e-commerce cinese Alibaba per non venire inserito nella lista nera dei siti che vendono merce contraffatta. In Europa il mondo della moda si sta invece muovendo attorno al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP, in italiano Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti), un accordo commerciale di libero scambio su cui stanno negoziando l’Unione europea e gli Stati Uniti: ci sono già stati incontri tra il dipartimento della Commissione europea che si occupa di moda e aziende come Ralph Lauren, LVMH, Levi’s, InditexEbay.

Fonte: Il Post

Proseguono gli sforzi verso una normativa europea più chiara e decisa sulle lobbyNon solo in Italia: anche in Europa il lobbying è ammantato da un velo di incertezza normativa e di sfiducia da parte di istituzioni e cittadini. Anche per questo, nelle ultime settimane l’azione delle organizzazioni e associazioni che si occupano della trasparenza del processo decisionale si è fatta più forte e omogenea, anche su impulso delle principali Istituzioni europee. L’iniziativa più importante è partita diverse settimane fa dalla Commissione Europea, che ha avviato una Consultazione pubblica sulla proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio. È inoltre in corso anche una petizione su change.org, sempre più strumento di espressione della democrazia “dal basso”, portata avanti dalla sezione europea di Transparency International per “puntare i riflettori” sulle lobby di Bruxelles.La consultazione della CommissioneLa Commissione europea intende raccogliere le opinioni di tutte le parti interessate sull'operato dell'attuale registro per la trasparenza delle organizzazioni e dei liberi professionisti impegnati nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche dell'Unione e sulla sua futura evoluzione verso un sistema obbligatorio esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell'UE e alla Commissione europea. La consultazione pubblica ha un duplice obiettivo: 1) raccogliere opinioni sul funzionamento dell'attuale registro per la trasparenza e 2) ricevere contributi utili per la concezione del futuro sistema di registrazione obbligatoria annunciato negli orientamenti politici del presidente Juncker. Lo scopo è valutare e capire che cosa ha funzionato bene finora e che cosa può essere migliorato e come, in modo da garantire che si possano sfruttare pienamente le potenzialità del registro come valido strumento per disciplinare le relazioni tra le istituzioni dell'UE e i rappresentanti di interessi. I risultati della consultazione pubblica serviranno da base per la preparazione della proposta di un registro obbligatorio da parte della Commissione.La consultazione sarà aperta a tutti fino al prossimo 1 giugno, e potrà essere compilata al seguente link. Sarà molto interessante valutare anche i contributi pervenuti, che saranno pubblicati sul sito web nelle lingue in cui sono stati compilati, entro 15 giorni lavorativi a partire dal termine della consultazione. Una relazione di sintesi sarà pubblicata entro tre mesi dal termine della consultazione. In particolare, un punto fondamentale sarà rappresentato dalle impressioni sull’attuale sistema di registrazione, da più parti definito lacunoso se non fallimentare.La petizione di Transparency InternationalLa petizione di Transparency International Europe parte da una visione molto negativa della mancanza di trasparenza del lobbying europeo, come minaccia per la democrazia e della fiducia dei governi nella politica. Transparency negli ultimi anni ha condotto, come molte altre ONG sulla trasparenza, indagini sulle attività “nascoste” di alcuni particolari gruppi di pressione. A dire il vero, il punto di partenza di Transparency è molto scettico nei confronti delle “lobby” in generale (farmaceutiche, bancarie, commerciali), ma il principale motivo degli scandali sulla corruzione degli ultimi mesi è considerato la mancanza di trasparenza.La petizione online è disponibile a questo link: https://www.change.org/p/commissione-europea-puntare-i-riflettori-sul-lobbismo-nell-ue . Queste le richieste alla Commissione Juncker:Fare in modo che tutti i lobbisti siano obbligati a iscriversi al registro europeo, di modo che gli esponenti delle istituzioni UE non potranno più incontrare lobbisti non registrati, e non potranno più invitarli a udienze o gruppi di esperti.Assicurare che le norme valgano per tutte le istituzioni europee, compreso il Consiglio, che finora non ha nemmeno aderito al registro volontario. E’ importante che i leader politici e i loro consiglieri pubblichino online tutti i loro incontri con lobbisti.Rendere più affidabili le informazioni fornite sul registro. A tal fine è neccessario un robusto sistema di controllo, che includa sanzioni per lobbisti che non rispettano le regole.Le due consultazioni permetteranno di creare una comunità di interesse attorno a un tema molte volte dibattuto in modalità e con accezioni parziali e spesso negative. Sarebbe auspicabile una partecipazione degli “addetti ai lavori”, proprio i lobbisti che, con le loro competenze tecniche e l’esperienza delle tante barriere ideologiche che li circondano, hanno l’opportunità di esprimere un pensiero originale, efficace e, si spera, incisivo anche nei confronti dei legislatori nazionali.

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Nuova consultazione della Commissione sul Registro per la Trasparenza delle lobby. La domanda principale è: sarebbe opportuno renderlo obbligatorio per tutte le istituzioni dell'UE? Il 1º marzo la Commissione avvierà una consultazione pubblica di 12 settimane per raccogliere contributi sull'attuale regime di registrazione per i rappresentanti di interessi che cercano di influenzare il lavoro delle istituzioni dell'UE e sulla sua evoluzione verso un registro obbligatorio dei lobbisti esteso al Parlamento europeo, al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione. Il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato: "L'attuale Commissione sta modificando il nostro modo di lavorare, che evolve verso un maggior coinvolgimento dei soggetti interessati e una maggiore trasparenza a proposito di chi incontriamo e perché. Dobbiamo andare ancora oltre e stabilire un registro obbligatorio, valido per tutte e tre le istituzioni, che garantisca la piena trasparenza sui lobbisti che cercano di influenzare l'elaborazione delle politiche dell'UE. Per riuscire a mettere in pratica correttamente questa proposta ci auguriamo di ricevere il maggior numero di contributi possibile da cittadini e soggetti interessati di tutta Europa sul funzionamento dell'attuale sistema e sulla sua evoluzione. Un'Unione europea più trasparente e responsabile è un'Unione in grado di fornire risultati migliori ai cittadini." La Commissione ha elaborato una consultazione in due parti che consentirà di raccogliere le opinioni di un'ampia gamma di soggetti interessati, della società civile e dei cittadini. La prima fase della consultazione, che non richiede una conoscenza approfondita dell'attuale registro per la trasparenza, consente ai non esperti di rispondere a domande sui principi e sull'ambito di applicazione; la seconda sezione intende invece raccogliere pareri sul funzionamento pratico dell'attuale sistema da parte di coloro che lo utilizzano. I documenti della consultazione sono disponibili in tutte le lingue dell'UE per consentire un ampio feedback. La consultazione terminerà martedì 24 maggio. Il nuovo sistema, che la Commissione intende presentare come proposta di accordo interistituzionale, costituirebbe un'evoluzione rispetto al registro attuale, gestito congiuntamente dal Parlamento europeo e dalla Commissione ma non obbligatorio e non esteso al Consiglio. Le riforme interne alla Commissione hanno già determinato un netto aumento delle iscrizioni al registro per la trasparenza: al 1º marzo nel registro figurano 9.286 iscritti rispetto ai 7.020 del 31 ottobre 2014, prima cioè dell'entrata in funzione della Commissione e delle sue riforme. La Commissione ritiene che lavorare insieme ai colegislatori del Parlamento europeo e del Consiglio sia determinante per consentire ai cittadini di avere una visione d'insieme su quali rappresentanti di interessi cercano di influenzare il processo legislativo. La consultazione pubblica servirà da base per la proposta che la Commissione presenterà nel corso dell'anno. Contesto La Commissione ha già intrapreso importanti riforme della propria organizzazione interna per promuovere una maggiore trasparenza. In base ai metodi di lavoro della Commissione Juncker, i commissari non possono più riunirsi con organizzazioni che non figurano nel registro per la trasparenza. In linea con l'iniziativa per la trasparenza, introdotta nel novembre 2014, tutte le riunioni tra rappresentanti di interessi e commissari, membri dei gabinetti e direttori generali della Commissione devono essere rese pubbliche entro due settimane dal loro svolgimento. Nel suo primo anno di attività la Commissione ha pubblicato informazioni su oltre 6.000 riunioni (delle quali circa 5.500 con commissari e membri dei gabinetti e 600 con direttori generali). L'introduzione di questo nuovo sistema ha di fatto reso l'iscrizione nel registro per la trasparenza un requisito obbligatorio per qualsiasi soggetto intenzionato a incontrare i più alti responsabili politici e funzionari dell'UE. L'impegno della Commissione di presentare la proposta di un registro per la trasparenza obbligatorio esteso a tutte le istituzioni europee figura anche negli orientamenti politici del presidente Juncker e nel programma di lavoro 2016 della Commissione. La Commissione ritiene che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi cerca di influenzare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione nel processo legislativo. Le modifiche previste per il registro per la trasparenza sono parte di un più ampio progetto di riforma del modo di elaborare le politiche nell'UE. Nella sua agenda "Legiferare meglio", presentata nel maggio 2015, la Commissione si è assunta l'impegno di aprire ulteriormente il processo di elaborazione delle politiche al controllo e al contributo dei cittadini. Sono già stati istituiti nuovi meccanismi di feedback che consentono ai soggetti interessati di manifestare alla Commissione il loro punto di vista fin dall'inizio dell'elaborazione di un'iniziativa, sulla base di tabelle di marcia e valutazioni d'impatto iniziali, e in seguito all'adozione di una proposta da parte della Commissione, in modo da contribuire al processo legislativo in seno al Parlamento e al Consiglio. Altri strumenti che consentono ai soggetti interessati di presentare osservazioni sulla legislazione esistente sono previsti nel quadro del programma REFIT. Il sito web "Ridurre la burocrazia — dite la vostra!" è già operativo e consente ai cittadini di fornire un feedback su norme dell'UE esistenti. I contributi ricevuti vanno ad alimentare l'operato della piattaforma REFIT, che offre consulenza alla Commissione sugli ambiti legislativi che andrebbero riesaminati per rendere la legislazione dell'UE più efficace ed efficiente. Nel novembre 2014 la Commissione ha infine adottato una comunicazione che delinea una maggiore trasparenza nei negoziati per il partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). La Commissione ritiene fondamentale garantire che l'opinione pubblica abbia accesso a informazioni accurate ed esaurienti sulle intenzioni dell'UE nell'ambito dei negoziati. La consultazione pubblica sarà aperta fino all'1 giugno 2016 al seguente link.

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Il nuovo rapporto di Transparency International, pubblicato a inizio dicembre, ha fatto il punto sulle attività di lobbying presso la Commissione Europea nell’ultimo anno. È stato preso in analisi il periodo trascorso da quando la Commissione ha attuato le nuove regole sulla trasparenza e cominciato a pubblicare gli incontri con i lobbisti. L’ONG ha rilevato che, nonostante i progressi compiuti dalle Istituzioni comunitarie, resta ancora sommersa gran parte delle attività dei lobbisti europei, che rappresentano aziende dal valore di 1,5 miliardi di euro. I numeri. Nell’ultimo anno ci sono stati 7.000 incontri tra alti dirigenti della Commissione e lobbisti, il 75% dei quali rappresentavano le grandi multinazionali della finanza, delle telecomunicazioni, dell’informatica e dell’energia. I dati sono però ulteriormente “camuffati” dalla contemporanea presenza dei negoziati per il TTIP, l’accordo transatlantico tra l’Unione Europea e gli USA, che rimangono segreti, e dal fatto che gli incontri tra lobbisti e decisori di Parlamento Europeo e Consiglio non sono ancora coperti dalle stesse regole di trasparenza a cui è sottoposta la Commissione. Ciò quindi non permette di delineare l’esatto quadro della mappa delle influenze di Bruxelles. È però possibile definire quali siano le società o associazioni maggiormente incontrate dai vari commissari, e analizzare “ex post” quale sia stato il livello di influenza in base alle azioni adottate. In particolare ha fatto scalpore la “lista degli incontri” del commissario digitale Oettinger, che è stato oggetto delle attenzioni dei giganti del tech come Google, Microsoft o Apple per il 93% dei casi, in un momento in cui sono in corso di decisione molti provvedimenti-chiave per il Mercato Digitale Unico Europeo. Miguel Arias Cañete, commissario per il Clima e l’Energia, ha invece avuto più contatti con lobbisti (212) rispetto a Oettinger (180). I gruppi di interesse però non incontrano sempre il vertice decisionale comunitario, anzi: solo nel 19% dei casi il lobbying ha avuto come oggetto un commissario, mentre nel 70 % dei casi sono stati svolti incontri con i membri dei gabinetti. Per quanto riguarda il budget impiegato per attività di lobbying, al vertice rimangono le multinazionali dell’energia ExxonMobil e Shell (rispettivamente 4,75 e 4,5 milioni di € impiegati), del tech (Microsoft 4,5 e Google 3,5 milioni) e della finanza (Deutsche Bank 4 e Dow 3,75 milioni). Enel prima italiana in questa speciale classifica, con una spesa di 2 milioni di euro in lobbying. Incuriosisce come tra le società che hanno avuto più incontri e hanno un maggior numero di lobbisti registrati a Bruxelles ci sia Airbus, che impiega 1/10 del budget rispetto alle sopracitate multinazionali della Silicon Valley. Le ONG hanno avuto maggior accesso ai decisori della Commissione in materie come Salute e Ambiente (circa gli stessi incontri rispetto alle aziende).

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