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Francoforte, la nuova capitale delle lobby bancarie dell’Unione Europea
Scritto il 2015-07-24 da Giovanni Gatto su Europa

Con l’istituzione del meccanismo di Vigilanza Bancaria Europea il mirino delle grandi istituzioni e associazioni finanziarie comunitarie si è spostato da Bruxelles alla tedesca Francoforte, dove ha sede la Banca Centrale Europea. Da pochi mesi, infatti, le decisioni più importanti sul sistema bancario verranno prese nella città dell’Assia, e le principali lobby del settore hanno scelto di posizionare le proprie sedi istituzionali in riva al Meno. Ed è stato anche possibile mapparle.

Tra queste, ad esempio, la FBE (Federazione delle Banche Europee), principale gruppo di pressione finanziaria che ha scelto il n. 12 di Weissfrauenstrasse per ospitare i propri lobbisti. O la European Banking Association, altra associazione del settore. Francoforte sta quindi diventando la Bruxelles delle banche, o la Wall Street europea. Anche attori nazionali si sono affacciate a Francoforte, ad esempio la FBF (Federazione Bancaria Francese). Insomma, il processo di “allargamento” del campo di azione delle lobby continua di pari passo con l’aumento delle competenze dell’Unione, con una differenza tra la capitale politica e quella finanziaria: a Francoforte non c’è un registro per i lobbisti che accedono alla BCE, a differenza di Bruxelles (dove, anche alla luce delle ultime dichiarazioni del commissario Timmermans, il processo di trasparenza e partecipazione al processo decisionale delle lobby sta comunque avendo un’accelerazione). Questo può essere spiegato per il semplice fatto che a Francoforte non si prendono decisioni esecutive o legislative, ma esclusivamente vigilanza bancaria, un tema che però sta molto a cuore alle imprese del settore.

L’Europa ha incaricato l’agenzia di marketing Newmark per la promozione di Francoforte come nuovo polo finanziario comunitario. Hubertus Väth, direttore della società, spiega come un lobbista deve lavorare a Francoforte: “Bisogna sottolineare il ruolo della BCE come organo che produce standard regolamentari. Questo giustifica la presenza di lobby, che possano monitorare, mappare e influenzare il processo decisionale della BCE”.

All'interno del polo finanziario europeo vi è infatti il MUS (Meccanismo Unico di Sorveglianza), regolatore unico delle banche, la sua "sorella maggiore" BCE, che ospita il Comitato di rischio dell'ESRB (European Systemic Risk Board) europeo, ma anche la EIOPA, autorità regolatrice delle assicurazioni. Aggiungendo i regolatori tedeschi già presenti (BaFin, Bundesbank e il fondo di sostegno finanziario pubblico Soffin), più di 2.500 persone lavorano per le banche tedesche ed europee, tra cui un migliaio solo per il MUS. Questa nuova geografia della vigilanza europea attira una prima ondata di player verso il suo epicentro.

L'EBF ha scelto i suoi uffici a Francoforte a pochi passi passi dalla torre del MUS. La FBE ha già quattro coinquilini: le associazioni bancarie nazionali di Francia, Irlanda, Italia e Germania. A Berlino il BDB dice che non intende fornire all'ufficio di Francoforte personale permanente, ma di utilizzare i locali per organizzare i contatti. Altre banche hanno invece scelto di aprire un ufficio di rappresentanza, come l'italiana Intesa San Paolo, guidata dall’ex ENI Stefano Lucchini, e la spagnola BBVA. Questa non sembra una priorità tra le 123 più grandi banche sotto il MUS, nei pressi del quale solo una trentina aveva già installato una propria base a Francoforte e in altre parti della Germania. In effetti, il MUS invia spesso le sue squadre di ispezione direttamente alle sedi delle banche nelle città europee. Questo è il motivo per cui non c’è ancora la necessità di istituire un ufficio di Francoforte, come afferma la Société Générale di Parigi. BNP Paribas non ha fatto nulla se non nominare, due anni fa, un responsabile public affairs in Germania.

Sembra che gli scambi tra le istituzioni europee e le istituzioni finanziarie a Francoforte beneficeranno del contributo di "think tank" locali (il "Safe" e "Firm", nel seno dell'Università Goethe): non solo le banche, quindi, vogliono far sentire la loro voce nel dibattito sulla vigilanza.

(foto tratta da Les Echos)

Uno dei maggiori (e più eclatanti) scandali legati al lobbying a livello comunitario è il cosiddetto “Dalligate”. Si tratta di un caso di corruzione da parte di una società svedese leader mondiale del mercato del tabacco da masticare, Swedish Match, nei confronti del commissario europeo alla Salute della Commissione Barroso John Dalli. John Dalli era maltese, e la corruzione purtroppo è un grave problema anche nella sua terra di origine. Il ruolo sempre maggiore dell’attività di lobbying in politica ha infatti portato anche Malta a chiedersi se la regolamentazione dell’attività di lobbying possa essere un tassello fondamentale per la crescita economica. Una crescita, finora, frenata da diversi casi di corruzione che hanno fatto perdere credibilità alla politica isolana. In una società dove “dialogo e consultazione sono diventati sinonimi”, le relazioni istituzionali sono dominate dal rapporto di concertazione tra governo, da un lato, e organismi corporativi come associazioni di categoria, sindacati, camere di commercio e confederazioni industriali dall’altra. La creazione del Consiglio per lo sviluppo economico e sociale ha poi istituzionalizzato questo tipo di relazione tra decisore e portatore di interesse, con il risultato che un gruppo di persone molto ristretto decide sulle linee politico-economiche generali. C’è poco spazio per ONG e per soggetti meno strutturati. In una recente intervista il deputato Carmel Cacopardo, vice-presidente di Alternattiva Demokratika (i Verdi maltesi) di professione architetto e ingegnere civile, da’ un proprio punto di vista sulla regolamentazione del lobbying maltese. “Il lobbying rischia di causare corruzione. Stabilire norme chiare di comportamento nella vita pubblica dovrebbe includere la regolamentazione del lobbying, ma lo Standards in Public Life Bill attualmente all'ordine del giorno del Parlamento ignora completamente questa importante questione. Potenzialmente, il lobbying non è un’attività illecita, anzi: è perfettamente legittimo per qualsiasi cittadino, gruppo di cittadini, aziende o anche le ONG cercare di influenzare il processo decisionale. È fatto continuamente e comporta la comunicazione di opinioni e informazioni ai legislatori e agli amministratori da parte di coloro che hanno interesse a informarli degli impatti delle decisioni in esame. È perfettamente legittimo che gli individui, agendo per conto proprio o conto terzi, devono cercare di garantire che i responsabili delle decisioni siano ben informati prima di prendere le decisioni necessarie. Ovviamente, il lobbying non dovrebbe essere il processo attraverso il quale decisori permettono ai rappresentanti delle aziende di prendere il loro posto. Non si è a conoscenza del motivo per cui il comitato ristretto parlamentare, guidato dall'On. Angļu Farrugia, non ha identificato il lobbying quale materia che richiede una regolamentazione nel quadro delle norme dello Standards in Public Life Bill. Dalla lettura della relazione finale del 24 marzo 2014, così come i verbali del comitato, non rivelano alcuna indicazione che la questione sia stata mai nemmeno menzionata nelle deliberazioni del Comitato. Infatti, dai lavori parlamentari si deduce indirettamente che il lobbying sia una delle questioni che dovevano essere esaminate. Il lobbying richiede una dose notevole di trasparenza. Ha bisogno di essere sciolto dalle catene della segretezza. Il lobbying può essere regolato in due modi: regolando le attività lobbistiche e regolando il potenziale destinatario del lobbying. Le attività del lobbista possono essere regolate sia attraverso una registrazione obbligatoria oppure con una rivelazione regolare dei nomi di coloro che svolgono attività di lobbying. Malta richiede anche norme che regolino l'attività di lobbying che si realizza attraverso le revolving-doors. A volte, questo è il modo più semplice per i gruppi di interesse che reclutano ex ministri, così come gli ex funzionari di alto livello in materia, immediatamente alla conclusione del loro mandato per sfruttare il loro accreditamento diretto presso le istituzioni. In questo modo, cercano di sfruttare i contatti e un accesso quasi diretto a informazioni di estrema sensibilità. Succede anche in senso inverso, quando il settore pubblico assume lobbisti direttamente nella pubblica amministrazione, senza prima aver lasciato tempo sufficiente per il cooling off, in modo che gli ex lobbisti così reclutati siano come cavalli di Troia nelle aree del settore pubblico che in precedenza li regolavano. Se siamo davvero seri sulla lotta alla corruzione alla radice, sarebbe meglio che la regolamentazione dell’attività di lobbying sia considerata urgentemente. Insieme alla legislazione in materia di finanziamento dei partiti politici appena approvate dal Parlamento, la regolamentazione delle attività di lobbying creerebbe una migliore atmosfera per la lotta alla corruzione”. D'altronde, non tutti sono John Dalli. Per fortuna..

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Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International. Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest'ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l'esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group. «Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l'Enel e l'Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico. Il clima e l'energia, il lavoro e la crescita, l'economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l'8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell'economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l'analisi di Transparency International ancora poco seguite: l'80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un'impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni». Tra i problemi principali riscontrati dall'organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l'obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l'organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l'accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l'introduzione di “un'impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell'influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.   Fonte: Irene Giuntella - Il Sole 24 Ore

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(Giovanni Gatto) La Spagna finisce “dietro la lavagna” per non aver condotto sforzi coerenti e decisi per la regolamentazione del fenomeno lobbistico. È oscuro il quadro del sistema di regolamentazione delle lobby dipinto dalla ONG Transparency International – Spagna, in occasione della presentazione del rapporto “Una valutazione delle lobby in Spagna – analisi e proposte”, presso la sede di Madrid della Fondazione Ortega-Marañón. In particolare la regolamentazione del lobbying si è rivelata “praticamente inesistente” per tre aspetti cruciali: la trasparenza, l’integrità e la parità nell’accesso. Il rapporto ha assegnato un punteggio su una scala di 100 ai tre elementi fondamentali del fenomeno: i risultati sono stati molto deludenti e hanno configurato una situazione che potrebbe essere risolta, secondo i 15 suggerimenti portati avanti della ONG, solo attraverso la pronta ripresa delle discussioni sul una regolamentazione unitaria e organica sulle lobby, uno strumento strategico per la crescita del Paese, che possa dare un vantaggio competitivo nel continuo tentativo di uscire dalla crisi, se attuato in maniera etica e trasparente. Il problema più preoccupante per il sistema lobbistico spagnolo è risultato essere l’assenza di trasparenza, sia da parte dei gruppi di pressione privati che da parte dei decisori e degli operatori pubblici: solo 10 i punti percentuali garantiti dalle attuali norme in materia. In particolare, ai decisori pubblici o politici è richiesto di mettere in luce i propri rapporti con i rappresentanti degli interessi e di riferire le loro agende; ai lobbisti è invece richiesto di registrare la propria presenza all’interno delle istituzioni (nazionali e regionali) e il prodotto delle loro attività di studio e documentazione. Al Governo è richiesta un’analisi dei rischi associati al fenomeno della corruzione e dell’opacità delle lobby, fenomeno che porta a un notevole dispendio di risorse sia in investimenti errati, che in mancati guadagni. Non va meglio per quanto riguarda l’integrità: il fenomeno frequente delle “revolving doors”, ossia del passaggio dal ruolo in amministrazioni pubbliche a quello nel management di un’azienda, porta il punteggio totale della valutazione di TI al 35%. In questo caso è suggerita l’applicazione di codici di condotta all’interno delle istituzioni, in particolare le assemblee elettive nazionali e locali. Queste norme, in realtà, sono previste dall’ordinamento spagnolo ma, come accade spesso in altri Paesi di cultura latina (caso lampante: l’Italia, ma anche Messico e Cile), non sono rispettate nei modi e nei tempi adeguati. Un punteggio ancora inferiore viene dato alla parità d’accesso: la Spagna raggiunge solo il 17% in quanto a possibilità di partecipazione al processo decisionale da parte degli attori economici e politici. A capo del team che ha condotto lo studio sulle lobby in Spagna, che comprendeva il direttore dello studio, Manuel Villoria, il coordinatore Ana Revuelta, i ricercatori Esteban Arribas e Elena Herrero-Beaumont e il vice presidente della fondazione Ortega-Marañón, Jesús Sánchez-Lambas, il presidente di Transparency International Spagna, Jesús Lizcano, in conclusione dei lavori ha affermato: “la figura della lobby, intesa come gruppo di pressione a favore di determinati interessi è positiva per il funzionamento della democrazia, se sviluppata con la trasparenza e l'integrità e un quadro per garantire l'inclusione di tutti i segmenti della società. La mancanza di regolamentazione delle lobby aumenta il rischio di cadere in pratiche inappropriate, come traffico d'influenza o corruzione”. Il punteggio totalizzato dalla Spagna in merito alla trasparenza del lobbying è pari solo al 21%. Altri, impietosi, numeri raccontano, da un lato, la percezione che i cittadini spagnoli hanno delle lobby; dall’altro, il reale grado di incidenza della corruzione sull’economia del Paese iberico. Secondo l'Eurobarometro 2013, il 77% degli spagnoli ritiene che la corruzione è parte della cultura d'impresa del paese, mentre il 67% ritiene che l'unico modo per avere successo siano le connessioni politiche intessute tra decisori e gruppi di pressione. L'84% degli spagnoli crede che la corruzione e le connessioni siano il modo più semplice per ottenere servizi pubblici. Questa percezione è condivisa anche dalle imprese spagnole: il 91% vede collegamenti eccessivi tra denaro e politica, e il 93% crede che la corruzione e i favoritismi danneggino le contrattazioni. Anche in Europa la percezione del fenomeno è negativa. Oltre il 50% dei cittadini crede che il loro governo sia in gran parte o del tutto guidato da alcuni potenti interessi, mentre l’81% dei cittadini europei ritiene che eccessivi contatti commerciali tra affari e politica generino corruzione nel proprio Paese. Si potrebbe però dire che “non tutte le lobby vengono per nuocere”: una ricerca condotta da Burson-Marsteller e Cariotipo M5H tra vari membri di organi politici spagnoli ha riportato che, per il 56% di questi ultimi, incontrare i rappresentanti di interesse sia “auspicabile e perfino obbligatorio” per il loro lavoro, e l’86% ritiene la lobby “un contributo allo sviluppo della politica”. Tra i suggerimenti di Transparency International Spagna, raggruppati in 15 punti, vi sono la creazione di un registro dei lobbisti, che deve obbligatoriamente registrare tutte le persone che esercitano attività di lobby a livello nazionale e regionale, nonché la creazione di un organismo vigilante e indipendente dal potere sanzionatorio. In realtà in Spagna il procedimento di regolamentazione delle lobby ha fatto passi decisi negli ultimi mesi. A inizio anno, il premier Rajoy ha dato l’impulso per una regolamentazione unitaria, sintetica e onnicomprensiva del fenomeno lobbistico, con l’obiettivo di migliorare gli standard di trasparenza e partecipazione dei gruppi di interesse in politica. Nei mesi successivi, però, il governo ha rallentato la corsa per l’istituzione di un registro obbligatorio per i lobbisti e l’attuazione di regole di trasparenza per i decisori, inserendo le proposte legislative nel quadro del Piano governativo di Rigenerazione Democratica, che avrebbe portato a modifiche del Regolamento della Camera bassa, frutto di un compromesso tra Partito Popolare e Convergencia i Unió. Lo scorso maggio, dopo un’impasse di qualche mese dovuta alle elezioni europee, il tema è tornato in auge grazie all’iniziativa dell’APRI, l’associazione dei professionisti delle relazioni istituzionali spagnola a cui aderiscono 55 partner i quali, forti degli studi portati avanti dall’OCSE e dall’Unione Europea, hanno messo in campo il loro “potenziale di fuoco” nei confronti delle istituzioni. “Quanto maggiore è la trasparenza e la regolamentazione sulla lobby, tanto più è avanzata la democrazia in un Paese”, le parole della lobbista di Cariotipo MH5 Carmen Mateo. “Abbiamo proposto che la registrazione sia obbligatoria, con un emendamento alla legge sulla trasparenza e contrario ad ogni gruppo parlamentare”, ha ricordato Jordi Jané, deputato del partito Convergencia i Unió. “Dei 6500 lobbisti iscritti al Registro per la trasparenza europeo, oltre 300 sono spagnoli”, ha affermato Carolina Carbonell, Direttrice Generale dell’Istituto Internazionale di Diplomazia Corporativa e del Corporate Diplomacy & Public Affairs Executive Program dell’americana Schiller International University. E proprio la regolamentazione comunitaria rimane il modello prediletto per il legislatore spagnolo, nel tentativo di evitare scandali legati alla corruzione e ricostruire con precisione il processo che sta alla base della formazione delle leggi.

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