Negli Usa sono legittimi e radicati nella cultura nazionale, in Italia agiscono nell'ombra e in assenza di regole. Nel racconto di un "insider", ecco come i gruppi di interesse riescono a influenzare la vita politica del Paese, e, in assenza di norme chiare, rischiano di restringere il diritto di rappresentanza democratica, confondendo il legittimo lavoro dei lobbisti con quello ambiguo dei faccendieri
L'accordo è raggiunto. Il testo è scritto. Il voto in aula è solo una formalità. Poi ecco l'emendamento dell'ultimo minuto, la modifica che non ti aspetti. E la legge passa mentre il coro pronuncia una sola parola: "Lobby". Lo abbiamo visto nell'ultimo decreto sulle liberalizzazioni: "Vincono le lobby", "perdono le lobby", "colpa delle lobby". Ne è piena la storia recente, almanaccarle tutte un'impresa: le pressioni, indebite o meno, cui sono sottoposi i decisori pubblici rappresentano un capitolo a sé della prassi politica. Aziende di stato sospettate di scrivere interi decreti - il caso Enel, smentito, sul taglio degli incentivi alle energie rinnovabili - multinazionali che finanziano in modo bipartisan, aziende che cercano di influenzare l'iter dei provvedimenti. Ordini professionali con il loro "paladini" tra i parlamentari. E poi tassisti, case farmaceutiche, operatori del gioco d'azzardo.
Una terra di nessuno, quella dei rapporti tra politica e lobby. Di nessuno perché nessuno l'ha mai regolata: in Italia non esiste una legge per questi rapporti. Una zona grigia in cui solo il 20% - i dati sono di una ricerca ancora inedita dell'Università Unitelma Sapienza - delle attività di lobbying è parzialmente in chiaro, riconducibile a determinati soggetti: dalle società di lobbying ai lobbisti in house, i rappresentanti di grandi gruppi economici, pubblici o privati. Il restante 80% è coperto dall'ombra: qui ricostruire l'identità dei lobbisti che l'hanno generata è impossibile se non per macro-categorie: dalle società di comunicazione (circa il 60% del totale dei casi), ai grandi studi legali (il 30%) o da liberi professionisti individuali (il 10%).
Ma come si svolge la giornata di un lobbista? A raccontarlo a Repubblica è Luigi Ferrata, di SEC relazioni pubbliche ed istituzionali, una delle società che opera in chiaro e che chiede al più presto una legge sui gruppi di pressione. Lo incontriamo nel suo studio, centro di Roma. Sommerso da giornali, da monitor accesi sui siti di Camera e Senato, diagrammi e grafici, telefoni che non smettono di squillare, Ferrata racconta: "Il nostro lavoro è legato all'attività del Parlamento e del governo. Durante l'approvazione della Legge di Stabilità c'è molto da fare. E nelle ultime settimane c'è stata grande attenzione sul tema delle liberalizzazioni". Si inizia raccogliendo informazioni. "Si parte con l'analisi dei provvedimenti presentati. Dopo possiamo contattare un eventuale cliente per proporre un'attività di lobbying. Ovviamente capita anche il contrario: le aziende a cui interessa sottoporre il proprio punto di vista ai parlamentari o ai membri del governo, ci chiamano e ci commissionano il lavoro".
Alla fine di questa fase è tutto pronto per l'aggancio: si individuano i soggetti che possono influire sul processo decisionale e si parte alla ricerca del contatto. "Attualmente l'approccio migliore, quello più efficace, è durante la discussione nelle Commissioni: ci sono meno persone, i provvedimenti vengono discussi sul serio e c'è maggior interesse a recepire ulteriori informazioni dai soggetti che possono essere coinvolti dall'eventuale legge". Ma quello parlamentare è solo uno dei piani. Un piano secondario. Perché il reale obiettivo è l'esecutivo. Ancora Ferrata: "Qui ci si muove su due livelli: quello dei dirigenti del ministero e quello dello staff del ministro. Il nostro compito è sollecitare l'interesse, raccontare una storia, suggerire modi possibili per affrontare determinate tematiche".
"Monitoraggio e competenze, vi spiego come lavora un lobbista"
Eppure, una legge sul lobbying è stata spesso ricercata. Cinquantotto disegni di legge presentati nella storia della Repubblica, quasi uno all'anno: tutti lasciati marcire in attesa di finire nel dimenticatoio. Nelle ultime settimane la Commissione Affari Costituzionali del Senato, guidata da Anna Finocchiaro, sta procedendo all'esame congiunto di ben sei proposte che arrivano da tutte la parti politiche. La volontà è quella di arrivare a un testo unico da portare in aula. Perché oramai la necessità è stringente: stabilire quelle regole in grado di eliminare ogni ambiguità nel rapporto tra chi decide e chi si batte per portare al tavolo delle decisioni interessi determinati e particolari.
L'obiettivo delle proposte di legge è dare un abito giuridico a chi ogni settimana compie il proprio pellegrinaggio nel Transatlantico di Montecitorio e nelle sale d'attese delle aule delle Commissioni Parlamentari. A chi incontra, giorno dopo giorno, decine di deputati, senatori, dirigenti dei ministeri, staff dei capi dei dicasteri. Distinguere, insomma: mettere dei paletti che possano aiutare a tracciare una linea di separazione tra chi offre competenza e chi traffica relazioni. Tra lobbista e faccendiere, appunto. Una legge che servirebbe a fare chiarezza, contribuendo a illuminare un contesto reso ancora più indecifrabile grazie anche all'assenza del vincolo di rendicontazione per le donazioni di privati ai partiti politici: fino a 100 mila euro e per quattro mesi, sempre che il privato acconsenta a rendere pubblico il suo nome.
In definitiva: l'assenza di questa legge è un'eccezione alla trasparenza che non ha simili nel contesto dei paesi democratici. In Europa è prevista l'esistenza di un registro dei lobbisti: gli italiani iscritti, tra persone fisiche e giuridiche, sono oltre 650. Nel nostro Paese niente di simile. L'unico caso a livello nazionale è l'elenco previsto dal ministero dell'Agricoltura: lanciato con il governo Monti con gli ultimi due esecutivi è semplicemente scomparso. E negli ultimi mesi il viceministro Nencini ha messo online l'agenda dei suoi incontri. Un primo passo. Per il resto, solo promesse. L'ultima in ordine di tempo è quella del governo Renzi: nel Def la legge sul lobbying era prevista per giugno del 2014. Otto mesi fa. Perché su questo terreno la politica professa trasparenza ma sceglie di far proliferare l'opacità?







































