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Troppi casi di "porte girevoli" fra Stato e privati (Avvenire)
Scritto il 2014-09-12 da lobbyingitalia su Interviste

(Giovanni Grasso) Il fenomeno delle "porte girevoli" (sliding doors) è ben conosciuto negli Usa e anche in Francia dove lo chiamano pantouflage. In sostanza si tratta di un passaggio rapidissimo (e molte volte sospetto) tra una onorata carriera di alto livello nelle istituzioni o nella pubblica amministrazione e i vertici di aziende e società nello stesso settore nel quale si operava. I casi in Italia non mancano: capi di Stato maggiore o generali a quattro stelle appena pensionati che sono finiti a lavorare per industrie di armamenti; ex ambasciatori che svolgono compiti di relazioni istituzionali per multinazionali; persino parlamentari che, non più rieletti, si dedicano a tempo pieno all’attività di lobbying tra gli ex colleghi di Camera e Senato, sfruttando anche il libero accesso ai palazzi di cui gli ex onorevoli godono. Si tratta, in sostanza, di un conflitto di interessi che continua anche dopo aver lasciato il settore pubblico.

Gianluca Sgueo, giovane giurista, autore tra l’altro di Lobbying & lobbismi. Le regole del gioco in una democrazia reale (Egea, 2012), spiega: «Inserire delle regole per regolamentare e limitare il fenomeno delle sliding doors dovrebbe essere uno dei capisaldi di una legge che intenda occuparsi seriamente della disciplina dell’attività di lobbying». Spiega ancora Sgueo: «Il primo obiettivo è quello di impedire che eventuali conflitti di interesse distorcano la concorrenza tra imprese nel momento in cui l’ex titolare di incarico pubblico si avvale del proprio bagaglio di conoscenze e informazioni (talora riservate) per il beneficio dell’azienda per cui lavora.

Il secondo risponde alla necessità di evitare il rischio che la fuga di cervelli dal pubblico al privato possa influire sull’efficienza delle amministrazioni, che si vedrebbero private di figure chiave senza la possibilità di trovare sostituzioni adeguate in tempi brevi. Certo, introdurre dei divieti totali, previsti in alcuni ordinamenti pe i vertici statali, rischia di limitare il diritto alla mobilità del lavoro. In molti Stati, come l’America o la Francia, sono stati introdotti dei periodi cosiddetti di raffreddamento, uno stop alla possibilità di assumere incarichi privati, che possono andare da sei mesi a due anni. In altri casi si è previsto una sorta di registro in cui vengono pubblicate tutte le informazioni riguardanti i possibili e pregressi conflitti di interesse».

Fonte: Avvenire

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

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Che cosa prevede il disegno di legge Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, del quale sono autori i senatori Orellana e Battista (ex M5S, ora rispettivamente Gruppo Misto e Autonomie) Forse sarà “l’ennesimo tentativo non riuscito” di mettere le mani su un aspetto molto delicato e importante della nostra macchina legislativa. Eppure il dato inconfutabile è che questa volta esiste un testo base condiviso – si dice – tra le diverse proposte emerse nei mesi scorsi (una decina i DDL già presentati solo in questa legislatura). E c’è una data, il 23 aprile, per presentare emendamenti e oltrepassare almeno il primo scoglio, ovvero il voto in Commissione Affari costituzionali al Senato. Il Disegno di legge Disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, del quale sono autori i senatori Orellana e Battista (ex M5S, ora rispettivamente Gruppo Misto e Autonomie), sembra davvero imprimere un’accelerata all’annoso tema della regolamentazione della rappresentanza di interessi. Si tratterebbe, ove approvato, della creazione di un quadro regolatorio sui rapporti fra le Istituzioni e i gruppi di pressione, togliendoli dal cono d’ombra nel quale ora si trovano. Riconoscere innanzitutto istituzionalmente il lobbying e i lobbisti, e il loro ruolo, per fare sì che questi soggetti diventino formali interlocutori della politica sui temi che rappresentano. Una legge importante, di cui l’Italia ancora non si è dotata, a differenza di altri Paesi dove il rapporto politica-lobby è pienamente compresa e regolamentata come parte del gioco democratico. La proposta: un Registro dei lobbisti e un Comitato di controllo Innanzitutto, il disegno di legge in questione istituisce un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi presso Palazzo Chigi. Ruolo del Comitato, composto da quattro funzionari e che opportunamente prevede un ricambio dei componenti ogni quattro anni, è di gestire il Registro obbligatorio dei portatori di interesse. Ciascun portatore di interesse presenterà un proprio Codice di Condotta, posto al vaglio del Comitato (ma qui ci permettiamo di suggerire: perché non un Codice analogo per tutti?). I soggetti iscritti al Registro avranno accesso a una Banca dati con le informazioni di interesse sui vari dossier normativi, ma soprattutto vedranno finalmente riconosciuta la prerogativa di poter partecipare ufficialmente all’attività legislativa con proposte di modifica, invio di note e analisi, richieste di incontro. Spunto interessante, la possibilità di partecipare alle attività di analisi e verifica dell’impatto della regolamentazione. Le incompatibilità Il disegno di legge affronta il tema delle incompatibilità, cercando di regolamentare innanzitutto il “revolving door”, fenomeno per cui dirigenti della Pubblica Amministrazione ed esponenti politici passano a ruoli decisionali in soggetti privati, portando con sé un prezioso e sensibile bagaglio di relazioni e informazioni. Per loro, si istituirebbe un divieto di iscrizione al Registro per i due anni dalla data di cessazione dell’incarico pubblico. Troppo poco? Forse, ma il minimo accettabile è comunque garantito. Ciò che desta perplessità è invece il divieto di svolgere attività di rappresentanza di interessi imposto a giornalisti, pubblicisti o professionisti, iscritti all’Ordine. Non si coglie in questa circostanza quale elemento debba precludere a chi scrive (o magari è solo iscritto all’ordine) di tutelare interessi particolari. Una modesta critica, che scaturisce anche dalla riflessione sulla complessità del mondo dell’informazione di oggi e sugli elastici confini ormai assunti dal giornalismo ai tempi del Web 2.0. Gli articoli che riguardano le Sanzioni e l’Attività di vigilanza chiudono il Disegno di Legge che, per quanto migliorabile, ha l’indubbio merito di non approcciare la materia in termini punitivi (a differenza di alcune proposte che ad esempio attribuivano il coordinamento all’Autorità Nazionale Anticorruzione, tradendo una certa diffidenza aprioristica nei confronti del lobbying). Fonte: Giovanni Galgano, Public Affairs Advisors - Formiche.net

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Saranno ormai quarant'anni che si parla di regolamentare le lobby. Allora, era la metà degli anni 70, bisognava spiegare cosa significasse quella parola; nel frattempo "lobby" ha fatto a tempo a dilatarsi e insieme a rattrappirsi, comunque moltiplicando i suoi valori d'uso oltre ogni ragionevole significato. In questi casi, anche se il termine suona un po' ricercato, si dice che la lobby, anzi le lobby sono divenute polisemiche. I politici e i giornalisti, categorie per loro natura e vocazione abbastanza orecchianti, adorano le polisemie, specie quando gli lasciano le mani libere - un po' meno la testa, ma è un altro discorso. Può esistere dunque una lobby rosa, nel senso di un gruppo che favorisce gli interessi e il potere delle donne nelle istituzioni e nell'economia: "Emily", il "branco rosa" e così via. Ma anche esiste una agguerrita lobby delle armi, cioè gente che cerca di piazzare mine, cannoni e micidiali sistemi di puntamento in giro per il mondo, soprattutto ai paesi africani, cosa non proprio simpatica. Le aziende dispongono di professionisti ad hoc che battono anche il Parlamento. In una raccolta di vignette su Montecitorio, già alla metà degli anni 80 il disegnatore Vincino raffigurò "il lobbista dell'Aeritalia" che svolazzava per il Transatlantico con delle eliche che gli uscivano dal retro della giacca, come un drone ante litteram. Insomma tante cose diverse. Nell'economia la faccenda è più pacifica che in politica o nella cronaca giudiziaria. Si tratta di tutelare degli interessi, come spiegano benissimo i protagonisti dell'inchiesta di Carmine Saviano. Le Camere sono la palestra, il giacimento, l'arena, la serra, la taverna e il giardino zoologico dei lobbisti. Qualche mese fa i cinquestelle hanno beccato un ex funzionario di Montecitorio che scriveva, al volo e brevi manu, un emendamento per modificare un provvedimento in commissione, e l'hanno fatto cacciare. Hanno poi esposto il suo volto in aula con dei cartelli. Quello, poveretto, ha cercato di sminuire il suo ruolo, pure definendosi "un giuggiolone". Ma ai tempi in cui Marcello Pera presiedeva il Senato, 2005, nel depliant della sua fondazione "Magna Carta" era esplicitamente contemplata l'attività di lobbying; e l'ex presidente della Camera Irene Pivetti, adesso, cosa fa? Semplice, fa lobbying.  Dal che si intuiscono gli effetti non tanto forse della mancata regolamentazione, ma della implicita e magari anche connaturata confusione che reca in sé l'ambiguo tragitto della parola "lobby", nella sua variante "all'italiana". Così alla caduta del governo Berlusconi l'ex ministro Mastella, l'ineffabile, evocò la "lobby ebraica"; ma qualche mese prima, quando alla presidenza della Rai era arrivata Letizia Moratti, venne lanciato un allarme contro la "lobby di San Patrignano", che sarebbe una nota comunità di recupero per tossicodipendenti, ma si disse così per intendere che direttori di rete o dei tg si diventava solo previo assenso della Moratti, appunto, che dell'iniziativa di Vincenzo Muccioli (poi con il figlio e la moglie hanno ferocemente litigato) era e seguita a restare la grande patrona e finanziatrice.  Altre lobby entrate più o meno di straforo nella cronaca: la "lobby di Lotta continua" (ai tempi dei processi Sofri); la "lobby gay" (in Vaticano); la "lobby dei tesorieri di partito" (che continua a bussare a quattrini aggirando leggi e referendum). Si tratta di esempi per lo più negativi. Ma per anni il progetto educativo del cardinal Ruini è stato presentato anche dai suoi fautori come strutturalmente connesso a un'opera di lobbying a favore dei principi irrinunciabili. Bizzarro perciò è il destino dei grimaldelli semantici, sempre sul punto di trasformarsi in piè di porco. Questo, per dire, è un Lele Mora d'annata, già proteso a togliersi dagli impicci: "Io - diceva - non piazzo le starlette nei letti, faccio solo incontrare gente, lobbying, altro che festini!". Era la fine del 2006, poi è finita con qualche anno di galera. Nel frattempo le lobby crescono e si moltiplicano a loro indeterminato piacimento. E ciascuno le consideri un po' come meglio ritiene: se e quando verranno regolamentare, sarà probabilmente troppo tardi. Fonte: Filippo Ceccarelli - Repubblica.it

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