(Massimo Micucci) Un lobbista si può scegliere i clienti e rischia di perderli continuamente. Se è serio e vuol essere credibile deve infatti affrontare una concorrenza spietata e una grande incertezza: non è tutelato da norme, non ha un albo (per fortuna), nè una legge. Così tutti possono continuare dire che lavora nell’ombra. In compenso centinaia di parlamentari ed ex parlamentari, di eletti legati a territori, albi ordini professionali, mestieri e corporazioni di giornalisti ed ex giornalisti, difendono i propri ed altrui interessi lobbistici. A questi si sommano in queste ore dirigenti pubblici, prefetti e giù giù sino a figure come i segretari comunali che combattono contro qualunque mutamento che si presume danneggi l’una o l’altra gilda. Persino chi vuole cacciare i lobbisti come il movimento 5 stelle è diretto da un lobbista come Casaleggio. Tutti lobbisti col potere degli altri.
Associati in centinaia di sigle sindacali, ordini, camere, associazioni, ciascuna entità difende un territorio sterminato e complicatissimo di interessi, spesso in lotta tra loro come nelle battaglie dei film fantasy. Sono per lo più interessi legittimi, alcuni portatori di ragioni importanti, molti sono obsoleti e ingiustificati, altri sono giustificati ma solo in una ottica egoistica. Potremmo definirli interessi selfie, perché davanti al tentativo di affermare riforme come quelle della politica, del lavoro e della pubblica amministrazione che allineino il paese alla complessità contemporanea, i signori di questi territori si fotografano alla testa di truppe, piccole bande o tifoserie (anche gli ultrà fanno negoziati politici nda) e gridano rivolti all’interesse comune: “not my fucking problem”.
I lobbisti seri lavorano per interessi più o meno forti, ma spesso non conosciuti o difficili. Il loro mestiere è quello di consulenti politici, giuridici e di comunicazione che debbono dire verità scomode sia ai clienti che ai decision makers. Ai clienti si deve spiegare che, anche se le micro-lobbies interne allo stato spadroneggiano, loro debbono farsi ugualmente in quattro per dialogare e “inserire” in qualche modo il loro interesse parziale in un quadro generale, che non c’è spazio per rendite di posizione, né santi in paradiso e così via. Un concessionario di giochi è anche una specie di agente del fisco, ma viene ormai considerato il portatore di una attività criminale. Deve spiegare come stanno le cose e non solo a chi lo autorizza. Un imprenditore o investitore qualsiasi, che produce ricchezza e rispetta le regole scritte può passare comunque per uno sfruttatore, inquinatore e approfittatore se viene in Italia, ma anche se delocalizza. Se prospera, ma anche se è in crisi. È obbligatorio dunque entrare subito in un circuito di comprensione difficilissimo, dialogare con una politica sempre più subalterna e distante, fare i conti con una comunicazione spesso dipendente da schemi e presunzioni difficili da schiodare.
Insomma un lobbista è un consulente sia degli interessi privati che della politica, che capisce i limiti di entrambi e li aiuta a dialogare tra loro e con i cittadini, senza i quali non ci sono scelte politiche o imprenditoriali che tengano. In una realtà sociale e politica come quella italiana, che in 15 anni è cambiata tantissimo, un esperto di Public Affairs deve essere stakeholder e policy maker insieme, parziale, ma costruttivo e cosciente (forse il più cosciente) dei limiti di ciascun interesse. Perciò deve mantenere una libertà, una indipendenza professionale e di giudizio che sono la sua unica forza in un mondo in continuo movimento. Deve dire più no che si, descrivere possibilità e soluzioni più che imporne e saper convincere il suo cliente conoscendone idee e i prodotti, ma anche i limiti e le parzialità. Ci saranno regole? Ne ha parlato anche la Boldrini. Con il rispetto dovuto: ogni politico che ne parla muore una piccola speranza. Il rischio è simile a quello denunciato dalle ONG più radicali in Europa, (come riportato da Giovanni Gatto su LobbyingItalia.com) “Talking the talk not but not walking the walk” . Anche no, grazie.
Fonte: Il Rottamatore




































