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Solferino 28 - Io, lobbista a 25 anni, vi spiego come si fa
Scritto il 2014-01-20 da lobbyingitalia su Italia

Si parte la mattina presto con la lettura dei quotidiani e la rassegna stampa. Poi si continua con il lavoro che le porta più tempo: il monitoraggio degli atti legislativi pubblicati sui siti del Parlamento e governativi. Comincia così la giornata lavorativa di Fabiana Nacci, 25 anni, barese che lavora a Roma per la società Utopia Lab, giovane società di lobbying romana. Fabiana lavora dietro le quinte, fa attività di studio, e non si definisce lobbista («sono una persona che sta acquisendo esperienza e aspira a diventarlo», afferma). «Lobbista», comunque, è una definizione che non le dispiace. La società per cui lavora si chiama infatti «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying»: ha una decina di dipendenti (il più anziano ha 32 anni; il presidente è Giampiero Zurlo, che ha esperienze di assistente parlamentare per il centrodestra) e il termine «lobbying» indicato subito, con l’obiettivo di sdoganare la parola che in Italia non gode di ottima fama.

Fabiana, dopo aver frequentato il liceo classico Socrate a Bari, si è trasferita a Roma per studiare all’università Luiss: laurea triennale in scienze politiche, poi la magistrale in relazioni internazionali. «Una settimana dopo aver preso la laurea triennale ho risposto a un annuncio per uno stage segnalato dalla Luiss. Ho cominciato così e in seguito sono entrata a far parte del gruppo», spiega. «All’inizio avevo una vaga idea su quale fosse il mondo delle relazioni pubbliche. Avevo soltanto conosciuto dei lobbisti a Bruxelles, durante una simulazione per l’università al Parlamento europeo. Ho poi imparato il mestiere sul campo».

E allora, cosa fa il lobbista? «Il nostro compito è modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti. Nel mio caso seguo l’iter legislativo. Leggo proposte e disegni di legge e capisco se possono interessare i nostri clienti, nel caso li avvisiamo e cerchiamo insieme di capire se ci sono possibilità di inserire, modificare o cancellare emendamenti, ovviamente solo se si tratta di proposte ragionevoli. Realizzo quindi una mappatura dei decision makers, ovvero le persone possono essere coinvolte nel processo decisionale, come i parlamentari o i sottosegretari. Dopo aver scritto il testo, il nostro capo contatta i decision makers». Un caso concreto? «Qualche tempo fa studiammo per conto di Smartbox (la società dei pacchetti turistici in regalo venduti anche nelle librerie, ndr) il Codice del turismo: abbiamo analizzato tutta la legislazione italiana e anche internazionale per capire quali modifiche andavano fatte per regolamentare il settore».

Insomma, il lobbista deve saper convincere i politici. E per fare questo ci vuole una certa dose di bravura: «bisogna saper spiegare in modo chiaro e abbastanza celere qual è il problema». Il modello sono gli americani. Sul sito della società, in apertura, c’è una frase di John F. Kennedy: «I lobbisti impiegano dieci minuti e tre pagine per farmi capire un problema. I miei assistenti hanno bisogno di tre giorni e di una tonnellata di cartacce». Certo, non tutti sono avvicinabili. Inutile parlare con il Movimento Cinque Stelle per esempio, che a fine dicembre denunciarono una classe politica schiava della «folla dei lobbisti che assedia il Parlamento». «Ma noi operiamo nella massima trasparenza e il nostro lavoro è basato sulla nostra preparazione. Di certo non diamo mazzette o facciamo regali che possano influenzare il decisore pubblico», spiega Fabiana.

Dicembre, tra l’altro, è il periodo peggiore per chi fa questo mestiere, perché viene discussa la Legge di stabilità, che contiene di solito migliaia di emendamenti diversi tra loro e messi alla rinfusa. «Abbiamo dovuto analizzare tremila emendamenti presentati al Senato e i tremila alla Camera, un incubo».

Tra i clienti della società ci sono organizzazioni ambientali (FareAmbiente), grosse società (Mistralair di Poste italiane) e anche Google Italia, società che nel 2013 ha speso solamente negli Stati Uniti oltre 10 milioni di dollari per attività di lobbying.

Per fare il lobbista c’è anche un corso di studi. Il mese prossimo partirà proprio alla Luiss la terza edizione del master di secondo livello in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa (le iscrizioni scadono il 17 gennaio). Il condirettore e cofondatore è il manager barese Francesco Delzio.

«In Italia il termine lobbista – spiega Delzio – è vittima di una sorte cinica e bara. Viene considerata una professione oscura e condotta fuori dalla legge. Invece nel mondo anglosassone i lobbisti sono considerati professionisti a tutti gli effetti, che si muovono all’interno delle istituzioni nella massima trasparenza. In Italia, invece, la professione va ricostruita rispetto al modello Bisignani (coinvolto nell’inchiesta P4, ndr). Le materie fondamentali che insegniamo nel master – continua Delzio – sono tre: diritto, economia e comunicazione. Un lobbista può lavorare in un’agenzia, in una grande azienda, in un sindacato o in una organizzazione non governativa. Al momento c’è una grossa fetta di mercato aperta e ci sono diverse opportunità di lavoro in questo settore».

Il settore è in crescita, dunque, anche se restano i problemi. «La vera causa della concezione di lobbista come sterco del diavolo – continua Delzio – sta nella mancanza di regolamentazione. Non c’è un albo». Dal 1976 sono stati presentati oltre 40 disegni di legge per regolamentare la professione. L’Unione europea, invece, prevede un albo ufficiale (anche se non vincolante): è il Registro per la trasparenza, che contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell’Ue», si legge sul sito. Sono iscritte oltre 5800 organizzazioni, di cui 503 italiane. E non sono soltanto società di lobbying. C’è di tutto: dalla Rai al Wwf, da Confindustria alla Federazione italiana hockey all’Ordine equestre Arcadia di Lecce. Infatti, conclude Delzio: «Chiunque è portatore di gruppi di interessi è un lobbista, anche i movimenti spontanei di cittadini che chiedono di parlare con le istituzioni».

Fonte: Corriere.it

Parla l’ideatore del Master in relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa alla Luiss: «L’attività di lobby era considerata sterco del diavolo, non era inusuale trovare chi la equiparasse al malaffare. Adesso, invece, è una professione trendy» C’era una volta una professione considerata «sterco del diavolo». E che adesso è diventata trendy. Grazie anche a una scuola che sta cambiando la formazione dei lobbisti, adesso più orientata al modello anglosassone secondo cui chi fa lobby cerca di spiegare in maniera semplice il funzionamento di mercati complessi e non è visto, dall’opinione pubblica, vicino al malaffare. Ne è convinto Francesco Delzio, ideatore del Master in relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa alla Luiss e direttore relazioni esterne, affari istituzionali e marketing del gruppo Atlantia e di Autostrade per l’Italia (ma il ruolo aziendale non ha alcun legame con la «scuola dei lobbisti»). Dottor Delzio, fino a dieci anni fa era inimmaginabile una «scuola di lobbisti». Come è nata l’idea e come si è modificata la percezione di questa attività? «Ho ideato e fondato il Master 7 anni fa, insieme a un gruppo di manager riuniti nell’Associazione laureati Luiss — di cui ero presidente all’epoca — per colmare un “vuoto di mercato” nel mondo della formazione universitaria. Fin dall’inizio il progetto è stato realizzato con il professor Alberto Petrucci, che dirige con me il Master, e a partire dall’anno scorso con il professor Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School». Qual era il vuoto di mercato? «Il bisogno diretto delle aziende: erano stanche di cercare dei portaborse a cui affidare l’analisi degli effetti di una normativa sul loro business». Attività che veniva mal vista dall’opinione pubblica. «Certamente: l’attività di lobby era considerata sterco del diavolo, non era inusuale trovare chi la equiparasse al malaffare. E invece il modello americano e anglosassone dimostra che c’è un modo trasparente di fare lobby». Lobby trasparente sembra un ossimoro. «E invece nella visione americana è proprio così. L’attività di lobbying è efficace quando diventa trasparente, quando unisce l’interesse di parte del lobbista con gli interessi generali del Paese. Il problema è che l’Italia arriva con 50 anni di ritardo». Rispetto agli Stati Uniti? «Eh sì. John Fitzgerald Kennedy diceva che “i lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano 10 minuti, mentre per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano 3 giorni ”». Purché se ne abbiano le competenze, però. «È quello che proviamo a fare con il Master, anticipando la normativa che a livello nazionale ancora non c’è. Il gestore dei rapporti pubblico-privato deve conoscere il diritto e l’economia per poter misurare gli effetti di un emendamento sui conti di un’azienda o sul Pil del Paese; ma deve anche saper creare il consensus building, ovvero costruire il consenso per unire un’istanza di parte all’interesse generale del Paese». Il gestore per antonomasia dei rapporti pubblico-privato è Confindustria. La nuova presidenza Boccia, secondo lei, come si posiziona nel dibattito molto acceso in Italia sulla volontà politica di regolamentare le lobby? «A partire dagli anni ‘90, Confindustria ha interpretato per prima in Italia questa nuova visione del lobbying e del rapporto pubblico-privato. Oggi la presidenza di Boccia — che con la sua storia aziendale rappresenta l’ideal-tipo dell’impresa italiana — ha la possibilità di far fare a Confindustria un ulteriore salto di qualità: sostanzialmente finita l’era della concertazione, Confindustria ha le competenze e l’autorevolezza per giocare d’anticipo rispetto alla politica e per diventare un grande “cantiere delle policy” industriali, economiche, fiscali e del lavoro, al servizio delle imprese e al tempo stesso del Paese». Quanti lobbisti avete formato in 7 anni? «Ne abbiamo formati e portati nelle aziende circa 200. Il Master ha una selezione all’ingresso e la metà dei pretendenti, che aumenta di anno in anno, resta fuori. Adesso fare il lobbista è diventato di moda, è una professione trendy». Fonte: Michelangelo Borrillo, Corriere.it

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In 40 anni 58 proposte di legge. Mai approvate. Norma attesa dal 1976, nonostante le polemiche e gli annunci. Per non parlare degli scandali. Come “Tempa Rossa”. Il ddl che dovrebbe regolamentare l’attività dei portatori di interessi è bloccato al Senato. Malgrado gli annunci e le promesse di illustri esponenti del governo. A cominciare dai ministri Boschi e Orlando. “Non presenteremo un nostro provvedimento”, assicura il sottosegretario alle Riforme Pizzetti. Che annuncia l'utilizzo da parte dell'esecutivo del testo degli ex M5s Orellana e BattistaTutti la vogliono. Almeno a parole. A cominciare dal ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi (“Serve arrivare ad avere un provvedimento del genere”) e dal Guardasigilli Andrea Orlando (“È uno strumento contro la corruzione”). Per non parlare del governatore della Puglia, Michele Emiliano, che ne ha ribadito la necessità un minuto dopo aver appreso della sconfitta al referendum sulle trivelle. Ma poi, nei fatti, siamo sempre fermi al punto di partenza. E così nonostante i ripetuti scandali, ultimo in ordine di tempo quello che ha coinvolto l’ormai ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e il compagno Gianluca Gemelli, in Italia la legge sulle lobby resta un vero e proprio miraggio. Nonostante la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, più di un anno fa, abbia scelto e adottato come testo base tra i 18 depositati, il disegno di legge presentato dai senatori ex Movimento 5 Stelle Lorenzo Battista e Luis Alberto Orellana. Ddl poi ripresentato a Montecitorio dalla deputata di Scelta civica Adriana Galgano. Ma senza successo. Risultati, infatti, zero. Con tanti saluti alla sbandierata trasparenza.TESTO A TESTO – Ma cosa intende fare a questo punto il governo di Matteo Renzi? Nei giorni scorsi erano trapelate indiscrezioni relative alla possibilità, da parte dello stesso esecutivo, di elaborare un nuovo testo che bypassasse quello del duo Orellana-Battista. Ipotesi adesso smentita dal sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti (Pd). “La nostra intenzione è quella di ripartire proprio dal ddl dei due senatori ex M5S – spiega contattato da ilfattoquotidiano.it –. Valuteremo se presentare degli emendamenti, ma non disporremo un nuovo testo. Il termine per la presentazione dei testi di modifica è stato posticipato a giovedì 21 aprile dopodiché, una volta terminata la discussione dei provvedimenti in calendario, primo fra tutti quello sul conflitto di interessi, verrà avviato l’esame del testo”, conclude. Staremo a vedere. La cosa certa, al momento, è che la questione si trascina ormai da troppo tempo. “Il prossimo 15 giugno festeggeremo il quarantesimo anniversario della presentazione del primo disegno di legge sulle lobby: dal 1976 ad oggi ne sono stati depositati cinquantotto, tutti rimasti lettera morta”, dice Pier Luigi Petrillo, docente di Teoria e tecniche del lobbying all’Università Luiss di Roma e uno dei massimi esperti della materia. “Il perché di questo ritardo? Alla politica conviene avere un paravento dietro il quale nascondersi per non assumersi la responsabilità delle proprie decisioni – risponde –. In termini di comunicazione è molto più efficace scaricare sulle lobby colpe che invece sono tutte ascrivibili alla classe politica, che da sempre agisce assecondando interessi di parte spesso sgraditi al proprio elettorato”.LOBBISTI AL TRAGUARDO – Con un ulteriore paradosso. Rappresentato dal fatto che sono le stesse società che fanno lobbying ‘alla luce del sole’ (da Open Gate a Utopia Lab, da Comin&Partners a Reti e Il Chiostro) a chiedere l’intervento del governo per regolamentare il settore. Addirittura con decretazione d’urgenza. Senza dimenticare la campagna #occhiaperti lanciata dalla comunità digitale Riparte il futuro, uno dei principali soggetti animatori di Foia4Italy. “La verità – aggiunge Petrillo – è che già domani mattina lo stesso Renzi potrebbe dare il buon esempio: basterebbe un decreto a sua firma per obbligare tutti i ministri a rendere pubblici gli incontri con i portatori di interessi. In questo modo, come in tutte le moderne democrazie, i cittadini potrebbero monitorare l’attività dei propri governanti”. Finora l’unico esponente del governo che mette online i suoi appuntamenti è il viceministro dei Trasporti Riccardo Nencini, che ha proposto l’adozione di un codice di autoregolamentazione valido per tutti i decisori pubblici (leggere l’articolo di Peter Gomez). “Ma quello del segretario del Psi è un caso isolato – ricorda il docente –. E gli altri? Mi auguro che il Parlamento abbia tempo e modo di chiudere al più presto la partita. È positiva la decisione del governo di non ripartire daccapo, però bisogna fare in modo che questa volta si arrivi al traguardo. Altrimenti si tratterà solo dell’ennesima occasione sprecata”.INTERESSI ALLE STELLE – Altro problema aperto. E di quelli scandalosi. Che in parte spiega le resistenze di Camera e Senato a discutere e approvare una legge sulle lobby. “Molti ex parlamentari svolgono attività di lobbying in modo irregolare – rivela Petrillo –. Anche in questo caso, il legislatore dovrebbe intervenire per vietare ogni attività di intermediazione fra gli ex deputati e senatori e gli attuali eletti. Un aspetto che però nessuno dei diciotto disegni di legge depositati nell’attuale legislatura a Palazzo Madama ha tenuto in considerazione”, conclude il docente della Luiss. Nel frattempo, in attesa di una norma che regoli definitivamente l’attività dei portatori di interesse, bisognerà accontentarsi del nuovo codice etico previsto per i deputati e curato dal presidente del Gruppo Misto, Pino Pisicchio. Una prima parte (riguardante fra le altre cose il conflitto di interessi) è già stata approvata. La seconda, dal titolo emblematico – “Ipotesi di regolamentazione dell’attività di lobbying da parte della Camera dei deputati” – dovrebbe essere ratificata entro il prossimo 26 aprile. L’attuale impostazione non piace però al Movimento 5 Stelle. “Abbiamo presentato degli emendamenti affinché gli incontri fra lobbisti e deputati vengano certificati anche fuori dal Palazzo – dice il deputato Danilo Toninelli –. Prevedendo sanzioni sia nei confronti dei lobbisti, che arrivano fino alla cancellazione dall’apposito registro, sia degli eletti, con pene pecuniarie e sospensione dai lavori dell’Aula”. Il tutto nell’attesa di una proposta di legge organica sulle lobby targata M5S.Giorgio Velardi, Il Fatto Quotidiano

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Il caso Guidi fa riesplodere la polemica sui faccendieri in Parlamento. È dal 1948 che la politica prova a regolarne l'attività. InutilmenteLobbisti senza legge. Il tentativo di cavalcare il «caso Guidi» per rafforzare la partecipazione referendaria è fallito. Il problema della regolamentazione delle lobby resta, però, di scottante attualità. L'ultimo «invito» a fare presto arriva in queste ore da «Riparte il futuro», uno dei principali soggetti animatori della piattaforma che punta a un Freedom of information act italiano e ad applicare il massimo della trasparenza anche al grande mercato delle influenze. «Visto il recente scandalo che ha toccato il ministro dello Sviluppo economico» evidenzia Federico Anghelè «il tema della rappresentanza degli interessi dovrebbe balzare in cima all'agenda politica. E invece il testo base sulla regolamentazione dell'attività di lobbying proposto dal senatore Orellana è ancora fermo in Commissione Affari Costituzionali e il termine per gli emendamenti viene continuamente posticipato». La richiesta di avere una legge sui lobbisti viene sollevata dall'inizio della Prima Repubblica. L'obiettivo è sempre lo stesso: individuare chiaramente chi sono, a chi si rivolgono, con quali mezzi cercano di influenzare la politica e quali sono i loro obiettivi. «L'opacità minaccia la qualità delle nostre leggi e favorisce fenomeni di corruzione e conflitti d'interessi». Per questo, spiegano, bisogna scuotere il governo e puntare a un intervento organico.Qualcosa di recente si è mosso a Montecitorio. La Giunta per il regolamento ha approvato la proposta di Pino Pisicchio, un codice etico meritorio che però si applica ovviamente solo alla Camera e non a tutte le istituzioni sulle quali la pressione dei lobbisti può essere esercitata (Senato, governo, ministeri, autorità indipendenti, regioni). La novità principale è il «registro dei soggetti che svolgono attività di relazione istituzionale nei confronti dei deputati», pubblicato sul sito Internet della Camera.L'aspetto particolare e paradossale è che sono gli stessi lobbisti a spingere per una seria regolamentazione del loro lavoro. «Veniamo periodicamente convocati in audizione in Parlamento» spiega Andrea Morbelli di Open Gate Italia. «Spieghiamo sempre la stessa cosa, ovvero che è fondamentale registrare tutti i portatori di interessi, dalle associazioni di categoria ai sindacati fino alle Onlus. Tutti devono essere censiti. Sono queste le regole che vengono adottate nel resto del mondo. Basta con l'amico del giaguaro e con le figure borderline. Bisogna distinguere tra il faccendiere, quello che vanta o millanta amicizia all'insegna dell'«a Fra' che te serve» e il lobbista che presenta studi e analisi per dialogare con le istituzioni essendo credibile come consulente strategico. Il paradosso è che ci siamo potuti registrare al Parlamento europeo, ma non in Italia».Sul tema, nell'attuale legislatura, sono stati presentati 18 progetti di legge. Dal 1948 al 2012, dalla I alla XVI legislatura, i disegni di legge in materia sono stati ben 51. Nessuno di questi è stato mai approvato e solo 6 sono stati esaminati dalle Commissioni competenti ma mai discussi in Assemblea. Molti movimenti si battono per la costituzione di un registro pubblico dei lobbisti e c'è anche chi chiede una agenda pubblica degli incontri tra politici e lobbisti dove ognuna delle parti sia vincolata a comunicare i dati relativi agli incontri svolti e i temi in discussione. Al Senato si riflette anche su come rendere pubblici gli emendamenti presentati in Commissione.I lobbisti - le società principali oltre Open Gate, sono Cattaneo & Zanetto, Reti, FB & Associati, Comin & Partners e Utopialab - non nascondono il sospetto che l'apparente impossibilità del legislatore di uscire da questa zona grigia serva a tutelare interessi consolidati. L'idea di fondo è che si voglia considerare legittimo e riconosciuto solo chi viene dal passato, sindacati in primis. Rifiutando di accettare che il piccolo mondo antico del Novecento è finito e il mondo della rappresentanza è definitivamente cambiato.Fabrizio De Feo, Il Giornale

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