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Perchè ai lobbisti interessa la prossima decisione della Corte Suprema sui finanziamenti ai partiti
Scritto il 2014-01-19 da Gianluca Sgueo su World

Tipicamente la corruzione è considerata un fenomeno legato ai titolari di cariche istituzionali. Dal funzionario che prende la tangente per favorire un’impresa in una gara d’appalto fino al politico che compra voti. Il problema, per quanto diffuso e radicato fosse, era e rimaneva del corrotto e del corruttore.

Ora potrebbe cambiare tutto. La Corte Suprema sta valutando se la definizione di “corruzione” possa applicarsi non solo ai singoli individui, ma all’intero sistema istituzionale di cui fanno parte. Una decisione che, se arrivasse, chiuderebbe un dibattito lungo 15 anni. Il primo a sollevare il problema fu  McCain nel corso della campagna elettorale di oltre un decennio fa in New Hampshire. “The enormous sums of money given to both paties by just every special interest in the country, corrupts our political ideals” – sostenne McCain, proseguendo così: “All of our ideal are sacrificed. We are all corrupted“. Alla richiesta da parte degli avversari politici di precisare chi fossero questi corrotti, McCain precisò di nuovo che la corruzione non era necessariamente di Tizio o Caio. Era dell’intero sistema, e delle pressioni lobbistiche esercitate attraverso le donazioni in sede di campagna elettorale.

Fin qui normale dialettica politica. Ora che la Suprema Corte statunitense nel caso McCurtcheon vs F.E.C. si è trovata a dover stabilire se la parola corruzione – e il concetto che implica – si possa applicare anche al sistema, oltre che ai singoli individui, le cose sono diverse. Le conseguenze, in un caso o nell’altro, sarebbero tutt’altro che teoriche. Se a essere corrotti fossero considerati solamente gli individui non avrebbe più senso la crociata di tanti attivisti contro l’aumento esponenziale dei finanziamenti privati alla politica. In caso contrario, se cioè la Corte Suprema sposasse la definizione data dal EJ Safra Center for Ethics di “corruzione istituzionale“, allora avrebbero gioco facile quelli che chiedono limiti più severi agli importi erogati e al regime di trasparenza delle donazioni.

Non c’è solo la Corte che riflette sul tema. Anche il Congresso statunitense ha per le mani la patata bollente. Il famoso Anti-Corruption Act proposto al Congresso (tra gli altri da un celeberrimo lobbista ex-corrotto, Abramoff) e caldeggiato da diverse associazioni no profit, sostiene che si debba adottare un concetto di corruzione di sistema, necessario per poter approvare maggiori controlli e vincoli ai finanziamenti privati alla politica. In pratica: con un sistema corrotto il Congresso e il governo avrebbero gioco facile a intervenire per porre fine al fiume di finanziamenti privati.

Sono problemi con cui, prima di presto, anche l’Italia avrà a che fare. Da una parte c’è la riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Riforma timida, che entrerà a regime nel corso dei prossimi anni, e che non esclude completamente il supporto pubblico. Ma di fatto apre all’intervento di privati benefattori disposti a finanziare i candidati in cui credono. Ecco perchè sarà un problema di lobbying, soprattutto in un sistema (involontariamente) de-regolato, com’è il nostro. Sarà un problema, l’ennesimo, della politica. E di chi la farà. O avrà gli sponsor giusti per farla.

Fonte: I-Com

Nuova inchiesta de L'Espresso, molto negativa sul mondo del lobbying comunitario. Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi della capitale. Che affossano la fiducia nell'Unione. È UN TOUR TRA GLI EDIFICI più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffci ministeriali alle carceri, dall'osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una vera Tangentopoli. Non stiamo parlando della gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell'Europa. E due volte corrotta, nell'intreccio d'affari tra poteri locali e autorità continentali. Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata dalle tensioni tra valloni e fiamminghi, ma il destino di mezzo miliardo di persone, cittadini di un'Unione che mai come in questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall'inizio del millennio la fiducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora nell'Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la corruzione si sta evolvendo. La mutazione genetica delle vecchie bustarelle in un virus capace di intaccare in profondità la reputazione delle istituzioni europee, diffuso silenziosamente da quei soggetti chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione democratica dei nostri Stati nazionali e molto diverse dai modelli statunitensi, perché qui non ci sono leggi che le regolino, né sanzioni che le spaventino: le lobby sono invisibili e allo stesso tempo appaiono onnipotenti. LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA Il simbolo è Place Poelaert, la grande piazza panoramica affacciata sul centro storico di Bruxelles. Da un lato c'è il palazzo di giustizia, con la cupola dorata che svetta sull'intera città: una muraglia di impalcature lo imprigiona da cima a fondo, soffocando le colonne dietro un gigantesco castello di assi che marcisco no tristemente. Il cantiere dei restauri è abbandonato da otto anni, da quando i titolari sono stati arrestati, assieme ad altri 33 tra imprenditori e funzionari accusati di avere depredato l'intero patrimonio immobiliare statale. Proprio di fronte al palazzo della giustizia impacchettato c'è uno splendido complesso rinascimentale, con un giardino impeccabile. È la sede del Cercle de Lorraine, "the business club", come recita la targa: l'associazione che raccoglie gli industriali più prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì, tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi. Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti censiti mentre altrettanti si muovono nell'oscurità. A Bruxelles il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto: si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti». IL CANTIERE INFINITO Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall'aeroporto al quartiere generale della Nato, dalla periferia al centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all'opera. Per non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole abbattere l'edificio dedicato a Paul-Henri Spaak, completato nel 1993 con un miliardo di spesa: il progetto prevede altri 750 uffici per i deputati del presente e del futuro, rappresentanti delle nazioni che aderiranno all'Unione negli anni a venire. Se però dal Palazzo di Giustizia si va verso il Parlamento percorrendo la chaussée d'Ixelles, la frenesia cementizia si mostra in una luce diversa. La lunga arteria è stata completamente rifatta nel 2013, solo che al momento dell'inaugurazione c'è stata una sorpresa: i marciapiedi erano troppo larghi e gli autobus finivano per incastrarsi l'un contro l'altro. Hanno ricominciato da capo, di corsa. Appena riaperta al traffico, però, la pavimentazione allargata non ha retto al peso dei pulmann e si è riempita di buche, manco fosse Roma. E giù con la terza ondata di lavori: ora la strada sembra una chilometrica sciarpa rattoppata. Ixelles è un comune autonomo, perché Bruxelles in realtà è un insieme di diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati kazaki, ottenendone l'assoluzione. In cambio ha ricevuto 800 mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola del patto segreto tra il presidente kazako Nazarbayev e l'allora collega francese Sarkozy per la vendita di elicotteri, in cui era previsto anche «di fare pressione sul senato di Bruxelles». Un'accusa formulata dagli inquirenti parigini, perché le procure locali si guardano bene dall'indagare. Gli investigatori belgi non hanno fama di efficienza né di indipendenza. La storia recente del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla, tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l'Italia sono forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta i cittadini a diffidare della giustizia. L'inchiesta sulla tangentopoli capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno un milione e 700 mila euro, se la sono cavata con condanne irrisorie. «I fatti sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto la corte. IL BAROMETRO DELL'ONESTA’ Questa giustizia lenta e spesso inefficace è anche arbitro di parecchi dei misfatti che avvengono nei palazzi della Ue. Sono le magistrature nazionali a procedere penalmente contro i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni di grado e soprattutto le lettere di richiamo. Di certo, non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari, dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende la credibilità di un organismo sempre meno rispettato. L'istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due anni fa ha lanciato l'allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee. Lo credono 27.786 persone, selezionate scientificamente per rappresentare l'intera popolazione dell'Unione. È un dato choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che nei suoi uffici: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei Conti europea ha definito nero su bianco «un'infelice e inspiegabile omissione». D'altronde la presidenza di Jean-Claude Juncker è cominciata nel peggiore dei modi. Le rivelazioni di LuxLeaks - pubblicate in Italia da "l'Espresso" - hanno messo a nudo il suo ruolo nel trasformare il Lussemburgo nel Bengodi delle aziende in cerca di tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata contro l'iniquità fiscale legalizzata. «Ma finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell'Europa l'uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c'è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall'Unione». IL GRANDE CIRCO Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell'isoletta una piazzaforte finanziaria, graditissima agli investitori italiani più spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010 Dalli è entrato nel governo dell'Unione: come commissario per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato eu ropeo a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus, il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, fnora proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie: rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro, poco meno della storica tangentona Enimont. La questione è arrivata sul tavolo dei detective dell'Olaf, l'unità antifrode eu ropea guidata dall'italiano Giovanni Kessler. Con investigatori provenienti dalla Guardia di Finanza, perquisendo di notte l'uffcio del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coin volgimento personale di Dalli. Nell'ottobre 2012 l'allora presidente Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, frmate molto controvoglia. Tant'è che quando, dopo la sostituzione del capo della polizia, l'indagine penale nell'isola è stata archiviata, Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi vittima di un'ingiustizia. E il parlamento ha criticato l'azione dell'Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati migliori del reale», sancisce l'eurodeputato verde Bart Staes, membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro ca posaldo del sistema di controllo. L'Olaf si è trovata ai ferri corti pure con la Corte dei conti, a cui ha contestato appalti oscuri. Che a sua volta ha rimandato le accuse al mittente. Insomma, un tutti contro tutti, con esiti abbastanza deprimenti per l'affidabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi l'Europa sembra avere tanti cani da guardia litigiosi. E tutti con la museruola: abbaiano, ma non mordono. Il loro compito infatti si limita a suggerire provvedimenti. Fuori dai palazzi della Commissione, non hanno poteri e devono invocare l'aiuto delle polizie nazionali. Che - tra interessi patrona li e differenze normative - non sempre collaborano. I detective europei hanno bisogno di un'autorizzazione pure per ascoltare i testimoni. All'Olaf ogni indagine è affidata a una coppia di ispettori, senza assistenti: si fanno da soli pure le fotocopie e passano più tempo a difendersi da tiro incrociato delle altre autorità che non a investi gare. Il feeling che si respira è negativo, come se la lotta alla corruzione interna non fosse una priorità, anzi, dei primi eletti del movimento anti-europeo inglese: nei comizi urlava contro il malaffare di Bruxelles, poi falsificava le note spese. Janice Atkinson, sempre dell'Ukip, a marzo si è fatta triplicare la ricevuta dopo il cocktail con la moglie del leader Nigel Farage - 4350 euro invece di 1350 - mentre la sua assistente si vantava: «È un modo di riportare a casa i nostri soldi». E quando nel 2011 un reporter del "Sunday Times" si è finto lobbista, offrendo denaro in cambio di emendamenti a sostegno della sua società, tre deputati hanno abbocca to subito. Due - un austriaco e uno sloveno - si sono dimessi e sono stati condannati in patria. Il terzo, l'ex ministro degli Esteri romeno Severin, è ancora al suo posto mentre l'istruttoria a Bucarest langue. Distinguere tra lobbisti veri e falsi non è facile. A Bruxelles è stato istituito un registro per queste figure, senza vincoli né sanzioni: chi vuole si accredita. L'attivissima sezione europea di Transparency International un mese fa ha dimostrato che metà delle 7821 dichiarazioni ufficiali delle lobby era no «incomplete o addirittura insensate». E in tanti si sottraggono al censimento, a partire dagli studi legali: un'armata che esercita un'influenza nascosta. La soluzione? «Rendere obbligatoria l'iscrizione al registro», spiega Carl Dolan di Transparency. «E bisogna vietare ogni contatto con chi non è iscritto», aggiunge Staes: «Devo ammettere però che in Parlamento non esiste una maggioranza favorevole al registro obbligatorio. Noi verdi, come i 5 stelle italiani e alcuni esponenti socialdemocratici, ci stiamo battendo, molti invece sono contrari». PORTE GIREVOLI Tra i palazzi delle istituzioni e quelli dei potentati economici ci sono tante porte girevoli. Si passa dagli uffici della Commissione a quelli delle corporation e viceversa. Figure come Lord Jonathan Hill, con trascorsi in società di lobby della City, imposto dal governo Cameron al vertice della strut tura Ue che si occupa di mercati finanziari. O il caso sensazionale di Michele Petite, il direttore europeo degli affari legali che si tramuta in consigliere della Philip Morris e poi rientra come presidente del comitato etico che dirime i confitti d'interesse nella Ue. Ma queste sono le pedine sullo scacchiere di una partita più complessa. Le manovre dei lobbisti intrecciano network che possono seguire la geopolitica dei governi, dei Partiti o semplici reti di conoscenze trasversali adeguatamente retribuite. Il terreno di caccia favorito è la zona grigia in cui i grandi propositi dei legislatori europei si trasformano in regolamenti, spesso modesti. Uno dei passaggi più opachi avviene nei "gruppi di esperti" che studiano i dossier caldi. Una ong ha appena svelato che il 70 per cento degli esperti incaricati di valutare la questione del fracking, la discussa tecnica di estrazione petrolifera, hanno relazioni con le compagnie del settore. Non si tratta di un'eccezione, ma di un andazzo molto diffuso. L'Ombudsman europeo, l'autorità etica più piccola e dinamica, apre un'istruttoria dietro l'altra. Senza spezzare la cortina di ferro che protegge gli intrallazzi. «Bisogna incrementare al massimo la trasparenza, deve esserci sempre una traccia scritta di chi interviene nelle discussioni interne», sintetizza Carl Dolan. I confitti di interessi pullulano: nel 2012 sono stati segnalati 1078 dipendenti europei con incarichi extra. Quelli sanzionati sono una ventina, quasi sempre con reprimende scritte o verbali. L'impunità è pressoché certa. Per anni il funzionario Karel Brus ha fatto sapere in anticipo agli emissari di due colossi dei cereali, l'olandese Glencore e la francese Univivo, i prezzi stabiliti dall'Europa per gli aiuti agricoli: notizie d'oro, che permettevano di investire a colpo sicuro. In cambio si ipotizza che abbia incassato almeno 700 mila euro. Prima della condanna penale però sono passati dieci anni e il travet è sparito in Sudamerica. E per le due società c'è stata solo una multa: mezzo milione, inezie rispetto ai profitti. LA NUOVA CORRUZIONE La Commissione ha in mano un'arma micidiale: può bandire le aziende corruttrici da tutti i contratti europei. Misura applicata solo due volte negli ultimi anni. Perché la volontà di fare pulizia sembra labile. Prendiamo il dieselgate di Volskwagen: gli uffici tecnici dell'Unione avevano segnalato i trucchi della casa tedesca da parecchi mesi, ma la denuncia è rimasta lettera morta fino all'intervento delle autorità statunitensi. «Questa è la nuova corruzione. Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsifcano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l'inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore. La Germania, il Paese della legge e dell'ordine, ha ingannato tutti; la loro azienda simbolo ha mentito per anni. Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni». In quello choccante 70 per cento di cittadini che percepisce un'Europa corrotta si proietta una sfiducia più vasta. «È un dato che nasce dallo sconcerto per la debolezza della reazione davanti ai problemi: la crisi economica, il tracollo greco e adesso l'esodo dei migranti», commenta Bart Staes: «La gente sente i racconti sulle pressioni delle lobby, si diffonde il sospetto che l'Unione serva più per tutelare gli interessi economici che i cittadini. C'è la necessità di riforme profonde, che non sono nell'agenda di Juncker. Ma soprattutto bisogna dare risposte concrete: fatti, non storytelling. Partiamo dalla Volskwagen: quasi tutti i produttori di auto sfruttano i buchi nella legislazione per alterare i test, noi verdi abbiamo proposto di cambiare le regole e punire chi mente. Se agisci e la gente vede che i guasti vengono risolti, allora avrà di nuovo fiducia». CORSI E RICORSI STORICI Un professore dal cognome altisonante, David Engels, in un saggio ha paragonato il declino dell'Unione al crollo della repubblica nella Roma antica. Oggi come allora, l'allargamento troppo rapido dei confini, il confronto con un'economia globalizzata, la crisi dei modelli religiosi - all'epoca i nuovi culti importati nell'Urbe, adesso l'Europa cristiana alle prese con l'Islam - e il contrasto tra i privilegi dei patrizi e l'impoverimento dei ceti popolari, logorano le istituzioni democratiche. Un'analisi che riecheggia le parole scritte da Altiero Spinelli nel 1941, in quel manifesto di Ventotene che ha partorito l'idea di Europa unita. «La formazione di giganteschi complessi industriali e bancari... che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo Stato stesso. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamen te lo stato totalitario, potesse in qualche modo risolvere i confitti di interessi». Era la situazione che ha fatto trionfare le dittature e spinto il continente nel baratro della guerra. L'Europa unita è nata da questa lezione, che ora sta dimenticando. Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni fa, l'alba del nuovo millennio vedeva l'Italia piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi e molto più dei francesi. Da allora la fiducia nella Ue si è sgretolata. E i dati Demopolis dimostrano che non è colpa della moneta unica. La picchiata del consenso è cominciata con la recessione economica internazionale e si è intensificata con la crisi greca, toccando il minimo a giugno: soltanto il 27 per cento degli italiani dava ancora credito al sogno europeo. Adesso il sondaggio, condotto dall'istituto diretto da Pietro Vento su un campione di mille persone, mostra una minuscola ripresa del consenso, ma solo di un punto. Nota informativa L'indagine è stata condotta nel settembre 2015 dall'Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione stratifcato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell'universo della popolazione italiana maggiorenne. Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it Gianluca Di Feo, L'Espresso

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La proposta del governo scozzese di un disegno di legge sulla trasparenza del lobbying è stata duramente criticata a causa di un sistema di registrazione controverso che regola solo gli incontri faccia a faccia con i politici di Holyrood. Secondo le bozze, il lobbying via e-mail, telefono, posta e la videoconferenza non ha l’obbligo di essere dichiarato, una scappatoia che secondo la Law Society of Scotland "rischia di portare discredito al sistema". Nel mese di maggio, il governo ha pubblicato una consultazione su un registro dei lobbisti. Se le proposte diventeranno legge, i lobbisti professionisti dovranno dichiarare il loro contatto con membri del parlamento scozzese e ministri. Al momento della registrazione, il nome del lobbista e suo datore di lavoro saranno resi pubblici. L’elenco di incontri con parlamentari e ministri, nonché le questioni discusse, dovrebbe essere aggiornato ogni sei mesi. In caso contrario, potrebbero esserci sanzioni penali o un'indagine da parte del Commissario per gli Affari Etici nella pubblica amministrazione. La proposta mira a mettere in luce un settore nel produttivo mondo del lobbying, settore che cerca di influenzare la politica del governo e i legislatori. Tuttavia, mentre gli attivisti accolgono il principio di un registro, il piano "light" è stato accolto con scetticismo. "Il governo ritiene che l'introduzione di un regime di registrazione che riguardi la comunicazione diretta, faccia a faccia dei lobbisti sia con deputati che con ministri sarebbe un prolungamento proporzionale dei registri ministeriali esistenti, con associato un aumento sostanziale della trasparenza", secondo un documento ministeriale. In pratica, un proprietario di una multinazionale dovrà registrare gli incontri one-to-one con i ministri del governo scozzese. Tuttavia, se lo stesso individuo fa pressioni con altri mezzi, ad esempio via telefono, email o lettera, tale pubblicazione non è richiesta. È emerso la settimana scorsa che Algy Cluff, presidente e amministratore delegato di Cluff Natural Resources, ha scritto al governo di recente circa la moratoria sul fracking. Voleva sapere se il divieto riguardasse la gassificazione del carbone sotterraneo nel Firth of Forth, di cui si occupa la sua azienda, in modo da poter informare gli azionisti. Alex Neil, il ministro per la Pianificazione, ha informato Cluff in pochi giorni che il processo di gassificazione non fosse oggetto dalla moratoria. In base alla bozza del disegno di legge sul lobbying, Cluff sfuggirebbe al sistema di registrazione in quanto il suo contatto con Neil non era face-to-face. I rapporti con funzionari pubblici e consiglieri speciali - che sono preziosi contatti per i lobbisti - non dovranno essere registrati. La Law Society, che rappresenta tutti gli avvocati che esercitano a nord del confine, ha messo in guardia le scappatoie nel proprio documento presentato alla consultazione: "Non capiamo perché le comunicazioni del lobbying face-to-face debbano essere inserite nel registro, ma gli accordi per telefono no. Noi crediamo che l'imposizione di un tale rigoroso limite sui canali di comunicazione rischi di portare al sistema discredito e potenziale critica. Limitando la registrazione agli incontri personali, vorremmo suggerire che le conferenze audio/video potrebbe fornire un metodo potenziale di elusione per coloro che possono, per un motivo o un altro, non desiderare di essere iscritti nel registro". Tamasin Cave, figura di spicco nell’associazione Alliance for Lobbying Transparency, dichiara: "È un errore fondamentale del governo concentrarsi solo sul contatto face-to-face con i lobbisti. I lobbisti sono proprio come il resto di noi - possono altrettanto facilmente alzare il telefono, o mandare una mail a un politico per provare a influenzarlo. Se vogliono avere una chiacchierata tranquilla, probabilmente eviteranno un incontro faccia a faccia, che debba essere comunicato al pubblico". Neil Findlay, un parlamentare laburista il cui disegno di legge sul registro dei lobbisti ha spinto il governo a presentare il proprio piano, è stato anche critico: "Tutto ciò che vorrebbe dire è che i lobbisti semplicemente continueranno a svolgere la propria attività tramite FaceTime, videoconferenza, social media, e-mail e altri incontri non-faccia a faccia. Vorrei consigliare il governo scozzese: tornasse al mio progetto di legge". Il Ministro per gli Affari parlamentari Joe FitzPatrick ha dichiarato: "Il Parlamento scozzese ha regole severe sul lobbying, e il governo scozzese ritiene che sia il caso di aumentare ulteriormente la trasparenza. Crediamo che registrare il lobbying diretto nei confronti di membri del parlamento scozzese e ministri sarebbe una misura proporzionata e ragionevole". Fonte: Herald Scotland

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Uno dei maggiori (e più eclatanti) scandali legati al lobbying a livello comunitario è il cosiddetto “Dalligate”. Si tratta di un caso di corruzione da parte di una società svedese leader mondiale del mercato del tabacco da masticare, Swedish Match, nei confronti del commissario europeo alla Salute della Commissione Barroso John Dalli. John Dalli era maltese, e la corruzione purtroppo è un grave problema anche nella sua terra di origine. Il ruolo sempre maggiore dell’attività di lobbying in politica ha infatti portato anche Malta a chiedersi se la regolamentazione dell’attività di lobbying possa essere un tassello fondamentale per la crescita economica. Una crescita, finora, frenata da diversi casi di corruzione che hanno fatto perdere credibilità alla politica isolana. In una società dove “dialogo e consultazione sono diventati sinonimi”, le relazioni istituzionali sono dominate dal rapporto di concertazione tra governo, da un lato, e organismi corporativi come associazioni di categoria, sindacati, camere di commercio e confederazioni industriali dall’altra. La creazione del Consiglio per lo sviluppo economico e sociale ha poi istituzionalizzato questo tipo di relazione tra decisore e portatore di interesse, con il risultato che un gruppo di persone molto ristretto decide sulle linee politico-economiche generali. C’è poco spazio per ONG e per soggetti meno strutturati. In una recente intervista il deputato Carmel Cacopardo, vice-presidente di Alternattiva Demokratika (i Verdi maltesi) di professione architetto e ingegnere civile, da’ un proprio punto di vista sulla regolamentazione del lobbying maltese. “Il lobbying rischia di causare corruzione. Stabilire norme chiare di comportamento nella vita pubblica dovrebbe includere la regolamentazione del lobbying, ma lo Standards in Public Life Bill attualmente all'ordine del giorno del Parlamento ignora completamente questa importante questione. Potenzialmente, il lobbying non è un’attività illecita, anzi: è perfettamente legittimo per qualsiasi cittadino, gruppo di cittadini, aziende o anche le ONG cercare di influenzare il processo decisionale. È fatto continuamente e comporta la comunicazione di opinioni e informazioni ai legislatori e agli amministratori da parte di coloro che hanno interesse a informarli degli impatti delle decisioni in esame. È perfettamente legittimo che gli individui, agendo per conto proprio o conto terzi, devono cercare di garantire che i responsabili delle decisioni siano ben informati prima di prendere le decisioni necessarie. Ovviamente, il lobbying non dovrebbe essere il processo attraverso il quale decisori permettono ai rappresentanti delle aziende di prendere il loro posto. Non si è a conoscenza del motivo per cui il comitato ristretto parlamentare, guidato dall'On. Angļu Farrugia, non ha identificato il lobbying quale materia che richiede una regolamentazione nel quadro delle norme dello Standards in Public Life Bill. Dalla lettura della relazione finale del 24 marzo 2014, così come i verbali del comitato, non rivelano alcuna indicazione che la questione sia stata mai nemmeno menzionata nelle deliberazioni del Comitato. Infatti, dai lavori parlamentari si deduce indirettamente che il lobbying sia una delle questioni che dovevano essere esaminate. Il lobbying richiede una dose notevole di trasparenza. Ha bisogno di essere sciolto dalle catene della segretezza. Il lobbying può essere regolato in due modi: regolando le attività lobbistiche e regolando il potenziale destinatario del lobbying. Le attività del lobbista possono essere regolate sia attraverso una registrazione obbligatoria oppure con una rivelazione regolare dei nomi di coloro che svolgono attività di lobbying. Malta richiede anche norme che regolino l'attività di lobbying che si realizza attraverso le revolving-doors. A volte, questo è il modo più semplice per i gruppi di interesse che reclutano ex ministri, così come gli ex funzionari di alto livello in materia, immediatamente alla conclusione del loro mandato per sfruttare il loro accreditamento diretto presso le istituzioni. In questo modo, cercano di sfruttare i contatti e un accesso quasi diretto a informazioni di estrema sensibilità. Succede anche in senso inverso, quando il settore pubblico assume lobbisti direttamente nella pubblica amministrazione, senza prima aver lasciato tempo sufficiente per il cooling off, in modo che gli ex lobbisti così reclutati siano come cavalli di Troia nelle aree del settore pubblico che in precedenza li regolavano. Se siamo davvero seri sulla lotta alla corruzione alla radice, sarebbe meglio che la regolamentazione dell’attività di lobbying sia considerata urgentemente. Insieme alla legislazione in materia di finanziamento dei partiti politici appena approvate dal Parlamento, la regolamentazione delle attività di lobbying creerebbe una migliore atmosfera per la lotta alla corruzione”. D'altronde, non tutti sono John Dalli. Per fortuna..

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