NEWS
Demonizzare le lobby è un'ipocrisia che lascia campo libero a politiche poco trasparenti
Scritto il 2014-01-21 da lobbyingitalia su Italia

In Italia l'espressione «lobby» sottende spesso un'accezione negativa. Peccato. In questo momento finalmente si impone un'evoluzione culturale e morale della gestione degli affari pubblici, ed è opportuno aiutare il sistema a uscire da una profonda e inutile ipocrisia.

E sbagliato dipingere le lobby come la parte oscura della politica, ed è paradossale che una certa politica chieda di tenere «le lobby fuori dal tempio». Nel diffondere l'idea che la politica pulita sia quella che decide in stanze asettiche e isolate, senza avere contatti con il mondo esterno, si commette una grave errore, che può solo favorire chi vuole mantenere le decisioni in ambiti poco trasparenti.

La politica nella sua essenza è confronto e dialogo, crescita ed evoluzione delle idee. Quindi, per chi è una parte interessata le porte dei centri decisionali dovrebbero sempre essere aperte. Al contrario di quanto si vuole far credere, infatti, il bravo politico dovrebbe sapere di aver svolto una parte importante del proprio lavoro quando, lui o il suo staff, hanno ascoltato tutti gli attori rilevanti in gioco, così da poter comprendere a fondo le l'impatto delle scelte che opererà.

Dobbiamo quindi dare alla politica stessa gli strumenti per far emergere la parte buona di essa. Nell'arco della mia esperienza professionale ho conosciuto tanti ottimi parlamentari ed esponenti di governo che credono in quello che fanno e si impegnano a fondo, ma ancora non esistono in Italia strumenti e percorsi definiti per il dialogo tra istituzioni e mondo economico.

E' ora di dare una risposta a questa esigenza. Siamo invece in una situazione deregolata in cui non ci sono garanzie di libero accesso a informazioni e contatti. Tuttora si vuole diffondere l'idea che il parlamentare o il ministro irreprensibile sia quello che non frequenta i rappresentanti dell'economia del Paese.

Un'ipocrisia che sta costando cara all'Italia, perché continua a essere condizione ideale per una politica guidata da pochi centri di interesse che impediscono un'evoluzione delle regole e quindi dei mercati e delle imprese. Oggi è importante resistere all'idea di scendere a patti con il populismo, che vive e viene alimentato di mostri e scandali da mettere all'indice, per lasciare spazio alla realtà.

Oggi più che mai è fondamentale il raccordo continuo tra politica e industria, che deve contribuire a migliorare la produzione normativa e degli orientamenti politici, tenendo conto delle esigenze del sistema delle imprese e della competizione internazionale.

Spesso capita di sentire indicare la collaborazione Stato-imprese di Francia e Germania come un modello da seguire e anche difficile da sconfiggere nella competizione sui mercati. Noi invece continuiamo a non voler mettere in discussione e affrontare l'eredità storica e culturale che ci vede divisi in mille campanili.

I rappresentanti di interessi portano un grande contributo: la collaborazione tra istituzioni e imprese cresce e la politica svolge meglio il suo lavoro di sintesi con il risultato che il sistema delle imprese riceve un supporto qualitativamente migliore. Al contrario, una produzione normativa di bassa qualità come quella che deriva dall'assenza del confronto, non fa altro che la felicità dei concorrenti stranieri che superano in velocità e competitività le aziende italiane, spesso sommerse di adempimenti non necessari e succubi di un sistema di regole pensato per pochi eletti, che in questa situazione ambigua hanno accesso ai decisori in modo non del tutto corretto.

Decisioni veramente condivise invece possono difendere e creare posti di lavoro di interi settori di attività. Si è sentito mille volte dire che la Germania fa sistema. Ebbene, l'attività di lobbying aiuta l'apparato proprio a «fare sistema» nel momento della decisione. Una volta fatta chiarezza sul ruolo dei centri di interesse che cercano legittimamente di avere un dialogo con la parte politico-decisionale, per rappresentare in concorrenza i propri interessi (di parte, certo), è difficile comprendere le ragioni di chi voglia tenere le lobby fuori dalla porta, se non pensando che per qualche motivo non voglia o non si senta pronto al confronto.

Ovviamente il confronto di cui parlo deve avvenire nel rispetto dei ruoli e della normativa che definisce i comportamenti illeciti. Dentro questi confini, un dialogo continuo tra decisore e portatore di interessi è vitale per la nostra democrazia.

Gabriele Cirieco
*fondatore e managing director, Strategic Advice ***

Fonte: Milano Finanza

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

Imprese - Lobbyingitalia

Milano Finanza pubblica un'analisi di base sui bilanci delle principali società di lobbying in Italia, presentando fatturati, risultati e una classifica ipotetica (in quanto ognuna delle società in lista porta avanti anche attività diverse). L'autore, Andrea Montanari, mette anche in corretto risalto come il settore soffra in termini di dimensioni a causa dell'assenza di una normativa che regoli in maniera accurata l'attività di lobbying, a differenza ad esempio di paesi come gli USA o il Regno Unito, Nel resto del mondo è un'attività fiorente e regolamentata. In Italia, invece, è ancora considerata come un lavoro da guardare con sospetto. Perché, nonostante tutto, la parola lobby difficilmente viene accettata. Si pensa che dietro si celino chissà quali retroscena. Ma forse è la mancanza di una legge, invocata da anni e al momento ferma sul tavolo del presidente della com-missione Affari Istituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, a non favorire lo sviluppo a pieno regime del business. Che, infatti, bilanci delle principali società del settore alla mano, vale complessivamente solo 13,5 milioni (tabella qui sopra). Nulla, rispetto al reale valore del lavoro svolto e dei risultati spesso raggiunti. Anche perché il più delle volte i grandi budget sono gestiti direttamente dalle associazioni di categoria o dal-le strutture interne alle grandi aziende. E quindi, alle società di consulenza, di public affairs e di lobbying resta ben poco. Il podio: Cattaneo&Zanetto rimane leader di mercato, seguita da FB&Associati e da Telos, che supera Open Gate Italia Lo dimostra il fatto che il leader di mercato, la società Cattaneo&Zanetto, di Alberto Cattaneo e Paolo Zanetto, lo scorso anno fatturava 3,93 milioni (con un utile di 626 mila euro), ossia un terzo dell'intero giro d'affari complessivo. Alle loro spalle si piazza, confermando il ruolo di secondo operatore del mercato, la società di Fabio Bistoncini, specializzata in advocacy e lobbying. La Fb & Associati lo scorso anno aveva chiuso il bilancio con ricavi per 2,53 milioni e profitti per 141 mila. E se le prime due posizioni sono consolidate, la vera novità è rappresentata dal terzo piazzato, che ora non è più Tullio Camiglieri (ex giornalista Mediaset, poi a capo della comunicazione di Stream prima e Sky Italia poi), che dal 2008 è attivo con Open Gate Italia, bensì la prima donna del mercato, Mariella Palazzolo. La sua Telos Analisi & Strategie, con un fatturato 2014 di 1,34 milioni e un utile di 274 mila euro, ha conquistato la medaglia di bronzo dei bilanci. Quando invece nel 2013 Telos era sesta per giro d'affari. Open Gate Italia "pulisce" i bilanci e cambia l'azionariato a seguito della nomina di Tommaso Pompei ad Amministratore Delegato della newco di Enel per la posa della fibra ottica. Questo cambio di guarda è coinciso con una flessione dell'attività di Open Gate Italia, che tra l'altro è stata l'unica delle 11 società di riferimento a registrare una chiusura d'anno in perdita (-245 mila euro), costringendo i soci, in sede di approvazione del bilancio, ad abbattere e poi ricostituire il capitale con la contestuale uscita di scena dall'azionariato del manager Tommaso Pompei (ex Wind, oggi in Boscolo Group). In rilievo l'arrivo sul mercato di nuovi soggetti, a partire da Comin & Partners, che a quanto risulta a LobbyingItalia ha preso il via con clienti quali Ilva, Hitachi e Novartis. Ma la vera novità del mercato del lobbying & public affairs, a detta di tutti gli operatori, è stata l'ingresso in scena di Gianluca Comin (ex Telecom, Montedison ed Enel) con la sua Comin&Partners che ha debuttato lo scorso anno (388 mila di euro di ricavi) e che quest'anno si è consolidata con la firma di parecchi incarichi di peso sul panorama industriale italiano. Cambia l'ambito territoriale: dalle Regioni a Bruxelles Tutti questi attori ora devono confrontarsi con alcuni trend che paiono emergere sul mercato, almeno in Italia. Il primo è quello dell'ambito territoriale d'azione. Perché se fino a qualche anno fa tutto si concentrava su Roma, con la devoluzione di alcuni poteri alle Regioni italiane, lobbisti e consulenti di public affairs devono essere più a contatto con governatori e manager pubblici locali. Senza trascurare la presenza in quel di Bruxelles, vera capitale della political intelligence. Non solo politici: think tank, professori, opinion makers, ecc. L'altro fattore da tenere in forte considerazione per il futuro è quel cambio dei referenti: non più solo i politici di turno in Parlamento, ma ora i riferimenti sono gli opinion maker, professori universitari ed esponenti dei vari think tank (65 quelli censiti dall'associazione Openpolis). Soggetti che con le loro valutazioni o esternazioni possono far cambiare direzione a un decreto o a una proposta di legge. Ma nell'era digitale i lobbisti non possono più trascurare i social network. E se non è affatto vero che Twitter in Italia fa davvero opinione in ambito politico-istituzionale, come invece accade negli Stati Uniti, è altrettanto vero che gli opinion maker ormai li usano per tastare il polso del mercato. Fonte: Andrea Montanari - Milano Finanza Scarica l'articolo in .pdf  

Imprese - Lobbyingitalia

In un momento in cui le parole "lobby", "lobbisti", "lobbying" sono ingiustamente utilizzate come elementi di malaffare, dopo le dichiarazioni del pentastellato Fantinati al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, riportiamo un'intervista sempre attuale de L'Indro a Giuseppe Mazzei, lobbista e presidente de Il Chiostro (associazione che vuol promuovere la cultura, la pratica e la regolamentazione della trasparenza nella rappresentanza degli interessi) in merito al processo di regolamentazione dell'attività di lobbying in Italia. «L’Italia e l’Europa hanno urgentemente bisogno di una riforma del sistema del lobbying. E’ quanto emerge dal report “Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access”, pubblicato oggi (15 aprile), prima ricerca comparata europea sulla trasparenza del fenomeno del lobbying. L’analisi mostra che su 16 Paesi europei, solo 7 possiedono delle forme di regolamentazione del lobbying, e l’Italia non è tra questi». Questo è l’incipit di Transparency International Italia. Giusta visione, perché la trasparenza, soprattutto quando si parla di decisioni collettive è necessaria e indispensabile. Eppure in Italia un registro per i lobbisti esisteva. Dove? Presso il Ministero dell’Agricoltura. L’unico in Italia. Voluto dall’ex ministro Catania. Ma improvvisamente, quasi per magia, questo registro è sparito. E’ una voce che circolava, ma da bravi giornalisti non ci siamo fermati ai “rumors”, siamo andati in fondo alla questione, decisamente grave. Ci siamo rivolti a Giuseppe Mazzei, lobbista e presidente dell’associazione Il Chiostro , non solo per chiedere della sparizione del registro, ma per avere delucidazioni sulla situazione (lavorativa/legislativa) in cui vivono i lobbisti trasparenti. Giudicate voi perché tardiamo tanto per regolamentare un mestiere che da sempre è considerato “in ombra”. Ma è vero che è “sparito” il registro dei Lobbisti al Ministero dell’Agricoltura (l’unico in Italia)? E’ Possibile? Si. E’ sconcertante. Il registro, purtroppo, non ha mai funzionato. E’ stato istituito dal ministro Catania. Quando arrivò la De Girolamo coloro che erano presenti nell’unità per la trasparenza – l’ ufficio che doveva presiedere alle attività di questo registro – furono dislocati in altre funzioni. Bisogna sottolineare che ci eravamo iscritti circa in un centinaio: era un primo passo. Ma non si erano iscritti i principali grandi gruppi di interesse. Smantellata di fatto  l’Unità per la Trasparenza  con il ministro Martina ci siamo accorti che il registro fisicamente è stato cancellato! Cosa avete fatto? Ho scritto una lettera al ministro Martina (in data 9 febbraio) chiedendo delle spiegazioni, e naturalmente non ho avuto una risposta. Tramite fonti personali ho ricostruito  la faccenda in questa maniera: sembra che il Ministro si sia meravigliato, leggendo la mia lettera, in cui facevo presente che un registro istituito con un Decreto Ministeriale non potesse essere  cancellato dalla sera alla mattina senza un atto normativo. Qualcuno ha spiegato al Ministro che il registro dei lobbisti in realtà era stato cancellato con un Decreto Ministeriale in cui era contenuta, stranamente, anche l’eliminazione di quest’ultimo. Il registro è stato cancellato all’insaputa del Ministro. Sembra, però, che il ministro Martina lo voglia ripristinare. Ma come è potuta avvenire questa cancellazione? Si sono sbagliati? Sempre secondo fonti interne al Ministero, un collaboratore del Ministro, incaricato di predisporre un Decreto Ministeriale per l’implementazione delle misure anticorruzione, ha previsto, bontà sua, anche la cancellazione del registro. A questo punto ho scritto una seconda lettera, alla quale il Ministro non ha ancora risposto. Aspettiamo ancora da parte del Ministero due azioni: il ripristino del  registro e una severa punizione per chi, per combattere la corruzione, ha introdotto la norma che ha cancellato l’unico  registro dei lobbisti della storia italiana. All’insaputa del Ministro. Al posto dell’Unità per la trasparenza è stata istituita una nuova struttura che avrebbe dovuto ereditare, sempre in nome della trasparenza, le competenze della precedente, tra cui il registro. Ma non si vede niente. Non si trattano in questa maniera dei professionisti che si iscrivono ad un registro, e questo viene cancellato così. Chi sono i nemici della legge sulla regolamentazione dell’attività lobbistica? Alcuni lobbisti non la vogliono, e sono divisi in varie categorie. Quelli vecchio stile, che non vedono il motivo per cambiare la situazione, mantengono un atteggiamento conservatore. Abbiamo i lobbisti in malafede, che vogliono mantenere lo status quo per continuare a lavorare “sotto banco”, al limite della legalità. Gli abusivi, coloro che non dovrebbero, nemmeno lontanamente, potersi avvicinare a questa professione. Poi ci sono quelli in “mala fede”e illegali : coloro che utilizzano modi scorretti, illegittimi ed illegali, un crescendo di azioni contra legem. Infine ci sono quelli che sono in conflitto di interessi, hanno un doppio cappello pubblico e privato , senza commettere reato svolgono l’attività da lobbista. Per esempio coloro che sono consulenti di un Ministro e al tempo stesso rappresentanti di una categoria: assistenti parlamentari, giornalisti parlamentari, membri della pubblica amministrazione e così via. Ci sono molti disegni di legge al chiodo… I Disegni di legge sull’argomento non sono mai mancati. Nel corso degli anni c’è stata un’evoluzione, nel senso che sono migliorati. L’intensa attività dell’associazione “Il Chiostro”, ha puntato allo sdoganamento del dibattito. Noi abbiamo spiegato a varie personalità (alti magistrati, docenti unviersitari, grand commis d’état, parlamentari, ministri,direttori di giornali etc.) che cos’è il Lobbismo. Tutto questo ha portato dei risultati: oggi si dibatte del lobbismo in termini più sereni rispetto al passato, anche se non mancano ogni tanto su certi giornali inutili generalizzazioni che incolpano le lobby di tutto e del contrario di tutto, senza mai indicare quali lobby e in che modo si siano rese responsabili di pressioni indebite sui decisori pubblici. La trasparenza su questo argomento farebbe elevare maggiormente il livello di democrazia nel Paese. Finalmente però è stato adottato un testo base, questo è un buon punto di partenza, dopo tanto… Si, finalmente un momento positivo. Il Governo Renzi nel DEF del 2014 aveva preso l’impegno formale di presentare entro giugno (del 2014), contestualmente alla Riforma della Giustizia, un disegno di legge organico sulla regolamentazione dell’attività di lobbying a tutti i livelli. Abbiamo insistito perchè il Governo rispettasse questo impegno; ma il Governo tarda. Ma l’impegno è agli atti, non è stato sconfessato, diciamo che è stata un’inadempienza. Nel frattempo ci sono stati molti parlamentari che hanno presentato proposte di legge. Al Senato circa una decina, che hanno presentato disegni di legge che  la commissione affari costituzionali sta esaminando dopo aver nominato un relatore, il Senatore Campanella (ex M5S), che ha scelto tra i tanti disegni di Legge quello del Senatore Alberto Orellana, come testo base. Questo significa che si è avviata la procedura. Entro il 23 aprile bisogna presentare gli emendamenti. Si spera che nel giro di un mese e mezzo la Commissione riesca a licenziare il testo. Noi prenderemo delle iniziative presso la presidenza del Senato e della Commissione perché si evitino ritardi e si arrivi, entro fine luglio all’approvazione ,della legge in Senato. Alla Camera l’iter potrebbe essere leggermente più spedito, quindi potremmo avere il voto definitivo sulla legge entro dicembre, massimo febbraio (2016). Perché Nunzia di Girolamo (nel 2013) si oppose con tanta tenacia ad una regolamentazione dell’attività lobbistica, definendola addirittura «proposta sovietica»? Per quanto riguarda il disegno di legge del governo Letta, avevamo chiesto norme generali e non di dettaglio. Poi ci fu qualcuno che, ad arte, volle inserire norme più specifiche  sui regali ai politici, I pranzi offerti dai lobbisti, le rendicontazioni ultra dettagliate degli incontri tra rappresentanti di interessi e pubblici decisori. La De Girolamo eccepì, insieme ad altri, che la legge voleva sindacare sul fatto che il parlamentare dovesse rendere conto di quel che faceva. Cosa ci sia di sovietico in tutto questo non riesco a capire. “Sovietico” è il contrario di trasparenza. Nessuno si deve vergognare di incontrare il lobbista, siamo persone che fanno un lavoro trasparente. La realtà è che non volevano procedere. Purtroppo Letta, che  avrebbe potuto e dovuto impuntarsi e costringere il Consiglio dei ministri ad approvare il testo, non lo fece. Come mai non parla nessuno della “sparizione” del registro? Non è uscito sui giornali… Io ne avevo parlato con qualche altra grande testata, ma non ho avuto grandi riscontri. Sono gli stessi giornali che tuonano contro le lobby a tacere quando c’è da scriverne in modo serio. Quando i lobbisti trasparenti segnalano un abuso  ti dicono che non è notiziabile. Ma che fine hanno fatto i Disegni di legge di Quagliariello e D’Alia, incaricati proprio da Letta? Non sono andati avanti. Se vogliamo essere più precisi, i disegni di legge che sono più organici, che a nostro parere individuano meglio l’impostazione del problema, sono quelli presentati alla Camera dall’On. Antonio Misiani e quello presentato al Senato da Francesco Verducci. Partono da un’impostazione, fondamentale: il primo articolo definisce l’attività di lobbiyng come attività concorrente alla formazione delle decisioni pubbliche ispirata ai principi di trasparenza e correttezza. Se si tratta di  un’attività concorrente alle decisioni pubbliche, allora c’è  l’ esigenza di fare una legge severissima nei confronti dei lobbisti e dei decisori pubblici. Noi chiediamo, come associazione Il Chiostro, che la vigilanza sul registro futuro e sull’intera attività dei lobbisti sia affidata all’Autorità Nazionale anti-corruzione. Non perché il lobbismo abbia a che fare con la corruzione, ma perchè I lobbisti seri non hanno nulla da temere e perchè controlli più severi servono, spesso, non tanto sui lobbisti quanto su alcuni loto interlocutori pubblici. E quindi è bene che sia l’Anac a vigilare. Sembra quasi che sia lo Stato a non ascoltare le vostre richieste di trasparenza… Nella mancanza di trasparenza prospera di tutto. Ci sono tanti che ne traggono vantaggio: c’è chi non vuole far sapere cosa fa, non per nascondere atti illegali, ma perché in questo modo si possono fare giochi di potere (non parlo di tangenti o simili). Con la trasparenza tutto questo deve venir fuori. Noi abbiamo chiesto di essere interpellati, abbiamo avuto un’audizione al Senato, ed è stato molto utile. Ora dobbiamo stringere i tempi. Non chiediamo una legge perfetta: ci sarà modo di migliorarla. Intanto però che si voti una buona legge. Per esempio gli Usa hanno iniziato a legiferare nel 1936, poi nel 1946, poi nel 1995, infine sotto Obama, e aggiornano continuamente. E’ una materia complicatissima, perché andiamo a toccare il cuore della vita democratica, dove gli interessi si legano al tema dell’interesse generale, e dobbiamo affrontare anche il  problema del finanziamento  alla politica. Adesso che il finanziamento pubblico è stato abolito, saranno i privati che finanzieranno i partiti… Si. La legge è questa, bisogna prenderne atto e regolarsi di conseguenza. In realtà dalla fondazione della nostra associazione, circa otto anni fa, tutti coloro che si iscrivono al Chiostro firmano l’impegno di rispettare un codice etico. In questo codice c’è una norma (art.10) che dichiara che i lobbisti si astengono da qualsiasi attività di finanziamento della politica. Noi vorremmo che questo divieto fosse previsto per legge,. Personalmente sono contrario a questa formula di finanziamento privato alla politica, ero per il finanziamento pubblico attraverso regole molte severe e con dei tetti molto rigidi. Ritengo che rappresentare interessi particolari sia un atto indispensabile, non solo per l’azienda ma anche per la democrazia. Se non si conoscono gli interessi particolari, come si fa a decidere in nome dell’interesse generale? Anche alla luce dell’esperienza americana, un’eccessiva presenza di finanziamento privato può pesare. Gli Usa sono nati così e vanno avanti così. Però hanno un sistema rigoroso di vigilanza. In Italia, siccome sappiamo che la certezza della pena non c’è, abbiamo chiesto sanzioni pecuniarie elevatissime. Secondo il disegno di legge di Misiani e Verducci, il  lobbista che pratica l’attività senza essere iscritto al registro obbligatorio dovrebbe pagare una multa da 50mila a 250mila euro. Non solo sanzioni pecuniarie, se non nascono fattispecie di reato, ma anche procedimenti disciplinari che possono arrivare alla radiazione dal registro. In quel caso abbiamo chiesto che la notizia della radiazione venga pubblicata su due quotidiani nazionali a spese di colui che viene radiato. Fonte: L'Indro

Imprese - Lobbyingitalia

LOBBYINGITALIA
NEWS