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Frenare la revolving door tra pubblico e privato
Scritto il 2013-11-14 da lobbyingitalia su World

(The New York Times) E' stata definita "corrotta", “corrosiva” e “pericolosa per la nostra salute". Ma la revolving door di Washington continua a girare.

Numerosi procuratori, regolatori, assistenti parlamentari, continuano ad entrare attraverso la metaforica porta che fa viaggiare rappresentanti dell'amministrazione avanti e indietro col settore privato. I funzionari in questione si mettono quindi alle spalle la loro vita al servizio del settore pubblico per un salario a sei zeri in studi legali e società di lobbying, facendone uno stile di vita a Washington e a Wall Street.

Il libero mercato idealmente indica questo scambio continuo come perfettamente legale, se non come desiderabile. Perché dei relativamente sottopogati impiegati pubblici non dovrebbero cedere le proprie competenze per una paga migliore, e forse anche ua vita migliore, nel settore privato?

Mentre è comunque possibile per loro farlo, rimane il timore che questa "revolving door" spinga alla creazione di quella sorta di cultura da club in cui regolatori e procuratori possano andarci leggeri ad esempio sulle banche in vista di lavori futuri. E una volta passati nel privato - affermano i critici - c'è la possibilità che possano esercitare un'influenza non adeguata sui propri ex colleghi ancora in carica.

Il problema sta da entrambe le parti. Il pubblico è allo stesso modo scettico in relazione agli interessi degli avvocati di Wall Street che vanno a fare i regolatori per la Securities and Exchange Commission (la CONSOB americana, NdT), essendoci il pensiero che questi non taglino mai realmente i ponti con l'industria di provenienza.

Per rispondere a queste questioni, alcuni gruppi per la trasparenza, ex funzionari pubblici e persino la Casa Bianca, stanno spingendo delle policies mirate a meglio proteggere l'interesse pubblico. L'amministrazioen Obama fatto i primi passi al riguardo, aumentando le restrizioni per i funzionari di nomina presidenziale.

Ora però, gruppi quali Public Citizen e Project on Government Oversight, puntano a qualcosa in più, a restringere ancor di più la revolving door, a partire da un aumento dello stipendio per alcuni funzionari pubblici sino a $400,000. Tra le policies proposte ci sono poi la richiesta alle agenzie di rendere pubbliche via web le riunioni con i lobbisti delle industrie e aumentare il periodo d- attualmente di un anno - di cooling off, il pempo cioè prima del quale un funzionario non può assumere un incarico in un'azienda privata precedentemente sottoposta al suo controllo.

La proposta più recente è di Sheila C. Bair: un bando a vita mirato ai regolatori, i quali non potrebbero andare a lavorare per le società sottoposte al loro controllo una volta cessati dalla carica. La Bair, che è un ex regolatore nel settore bancario che ha chiuso la revolving door, afferma che un divieto del genere potrebbe togliere ogni incentivo ai regolatori di fare favori a Wall Street. "Cambierebbe la mentalità dei regolatori", ha affermato la Bair, ex capo del Federal Deposit Insurance Corporation e ora senior adviser del Pew Charitable Trusts.

Al momento gli avvocati dell'accusa già sono sottopostio ad un bando a vita sui casi su cui hanno lavorato. Ma un eccesso di regole - dicono i critici della proposta - potrebbe impedire alla pubblica amministrazione dall'attrarre i migliori talenti.

L'obiettivo di Sheila Bair non è quello di eliminare la revolving door. Ma in ogni caso la sua idea potrebbe bloccare il percorso di carriera di molti avvocati nella S.E.C. Gli ultimi sei capi della S.E.C. dopo aver lasciato l'incarico sono andati a lavorare per grandi società quali JPMorgan Chase e Bank of America. Robert S. Khuzami, ex pubblico ministero federale occupatosi spesso di casi di terrorismo ma che per la SEC ha seguito una serie di questioni durante la crisi finanziaria quale Direttore della Divisione Enforcement, recentemente è diventato un socio da Kirkland & Ellis (grande studio legale specializzato in corporate and tax, NdT).

In un'intervista, Khuzami ha sottolineato come molti funzionari della S.E.C. fossero impiegati di carriera. Secondo uno studio del Government Accountability Office, il periodo medio di servizio di un funzionario  S.E.C. prima di lasciare l'incarico è passato recentemente a una media di 13,5 anni nell'anno fiscale 2010 dagli 8,3 del 2006.

Certmanete, c'è un'altra scuola di pensiero che afferma che la revolving door rende più efficavce l'azione dei regolatori su Wall Street. Questo perché chiunque voglia accendere i riflettori sugli angoli bui dell'industria finbanziaria deve sapere dove guardare.

Quando la S.E.C. non ha notato i segnali della crisi finanziaria, l'autorità ha riconosciuto di non aver abbastanza esperienza del settore privato per riuscire a fermarne i comportamenti sbagliati. Un argomento che ricorda una frase del presidente Franklin D. Roosevelt, che scelse il finanziere Joseph P. Kennedy quale primo chairman della S.E.C. perché Kennedy “sapeva dove fossero sepolti i corpi”.

Khuzami, già avvocato della Deutsche Bank prima di andare alla S.E.C., ha adottato una filosofia simile. Dice di comprendere le preoccupazioni sulla revolving door, ma questiona sulla possibilità che questa possa compromettere le indagini. Infatti, ogni caso gestito dalla enforcement unit dell'autorità passa sotto il controllo commissioners della S.E.C. e di altre divisioni della stessa, oltre a a quello di dozzine di investigatori. “Alla S.E.C., nessuno può mettere mano inappropriatamente", dice Khuzami.

Al riguardo gli stdui esistenti fornisco opinioni divergenti. I funzionari della S.E.C. puntano uno studio dello scorso anno realizzato da un gruppo specializzato di commercialisti che ha messo in rislato come la revolving door abbia rafforzato il risultato dei controlli. Contrariamente al credo popolare, gli avvocati della S.E.C. tendono ad usare la linea dura proprio per mostrare le loro capaciotà a possibili futuri datori di lavoro. Il report inoltre non ha mostrato evidenze che studi legali con molti ex funzionari S.E.C. “potessero esercitare alcuna influenza sugli sforzi di enforcement in corso".

Dall'altra parte però, uno studio del Project on Government Oversight afferma che ex funzionari della S.E.C. sono riusciti ad ottenere risultati favvorevoli da parte dell'autorità. A mettere in rilievo queste preoccupazioni, lo studio cita la regolamentazione sul mercato delle valute e la gestione delle istanze contro JPMorgan Chase e UBS.

Un rimedio sarebbe quello della trasparenza,. Secondo l'organizzazione la S.E.C. dovrebbe postare delle dirette web dei meeting con avvocati e lobbisti, o fornire almeno un dettagliato rapporto degli stessi. Il gruppo chiede inoltre alla S.E.C. di fornire - nei due anni successivi all'abbandono dell'incarico - l'accesso online ai registri personali degli ex funzionari che interagiscono con l'autorità. Al momento questi documenti sono disponibili, ma solo dopo una richiesta di accesso attraverso il Freedom of Information Act.

Visto che la S.E.C. fa già il lavoro di raccolta dati, perché non renderli pubblici online?" dice Michael Smallberg, un investigatore per il gruppo. “La trasparenza è la base per eliminare i conflitti di interessi". ma non l'unica. Smallberg e altri suggeriscono la restrizione delle regole che possono avere dei "buchi".

I dodici mesi di "cooling off" previsti per la S.E.C., come per altre agenzie e per il Congresso, è un naturale punto di partenza. Una legge del 1989 previene gli assistenti parlamentari dal fare lobbying per un anno sui loro ex datori. La S.E.C. e altre agenzie hanno adottato simili divieti, e alcune li hanno anche rafforzati. Ma, tipicamente, sono divieti che si applicano solo ai livelli top. o a quelli che guadagnano più di $155.000 all'anno. Ma il bando, secondo i "watchdogs" americani, dovrebbe essere esteso a tutti i funzionari pubblici, e portato a due anni.

La Casa Bianca ha imposto delle sue restrizioni. Nel primo giorno in carica, il presidente Obama ha emanato un executive order che vieta a tutti i funzionari di nomina presidenziale dal fare lobbying sull'amministrazione dopo averla lasciata, in pratica imponendo un bando di otto anni sui capi di S.E.C., F.D.I.C. e altre autorità di regolamentazione. Inoltre, i nominati debbono ricusarsi per almeno due anni da questioni legate - "direttamente o sostanzialmente legate" - ai lori ex clienti o datori di lavoro.

Mentre gruppi quali Public Citizen hanno esultato per la decisione di Obama, il timore è che al termine del secondo mandato presidenziale - gennaio 2017 - terminerà anche la vigenza dell'executive order. E con davanti poco più di tre anni, Public Citizen sta premendo sul Congresso perché questo converta l'order in legge. “Ha avuto un effetto fenomenale sulla qualità e l'integrità dell'Amministrazione" ha dichiarato Craig Holman, lobbista di Public Citizen, il cui report “Una questione di fiducia" ha posto le basi per l'executive order di Obama.

I watchdog groups affermano inoltre che salri più alti per gli alti funzionari potrebbero scoraggiare il passaggio attraverso la revolving door. Alcuni suggeriscono che i circa $100.000 di stipendio attuali di un funzionario dovrebbero salire a mezzo milione. Sheila Bair afferma di aver supportato l'idea che molti funzionari di controllo delle banche guadagnassero $400.000. L'altra sua idea, il bando a vita sui funzionari, va persino oltre. E' un piano senza precedenti, ispirato al programma del Foreign Service dello State Department per le carriere dei diplomatici. Una misura questa, secondo la  Bair, che potrebbe eliminare l'idea che i regolatori sono al soldo delle banche, e rimuovere ogni incentivo ai regolatori stesi di "fare felice" Wall Street. "Vogliamo che entrino nelle bache con la testa libera", afferma.

Fonte: The New York Times (11 novembre, 2013)

Perché i parlamentari si nascondono dietro un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili per scaricare le proprie responsabilitàdi Pier Luigi PetrilloEcco, ci risiamo: è colpa delle lobby. Sul Foglio la senatrice Linda Lanzillotta (Pd) ha ammesso perlomeno che le cosiddette lobby avranno sì frenato il disegno di legge Concorrenza, bloccato da un anno in Parlamento, ma anche la flemma della politica ha avuto un ruolo. Effettivamente, non mi risulta che le lobby abbiano occupato il Parlamento, si siano sostituite ai deputati di maggioranza e abbiano votato emendamenti a loro favorevoli. Mi risulta, invece, che siano stati i deputati di maggioranza a presentare emendamenti a favore di certe lobby e a votarli a maggioranza (appunto).Il disegno di legge sulla Concorrenza non è il frutto di una elucubrazione accademica ma la conseguenza naturale, in un sistema democratico, della precisa scelta politica della maggioranza che sostiene il governo; una scelta indirizzata a sostenere taluni ordini, corporazioni (anche micro), settori produttivi del paese in situazione di sostanziale monopolio. Badate bene, si tratta di scelte legittime che qui non si contestano. Ciò che si contesta è che, come al solito, ci si nasconde dietro un dito e quel dito ha un nome indefinito che evoca mostri lontani e imprendibili: le lobby, appunto! E’ colpa delle lobby se non si fanno le liberalizzazioni; colpa delle lobby se il paese ristagna in paludi ottocentesche; sono le lobby a impedire riforme strutturali. Il grande merito del governo Renzi è stato quello di dimostrare che non è così; all’opposto Renzi ha dimostrato che se c’è la volontà politica è possibile superare ogni lobby e fare davvero ciò che si è promesso di fare. Il presidente del Consiglio ha ottenuto ciò che voleva in materia di lavoro, banche, assicurazioni, perfino di riforme costituzionali ed elettorali: ha vinto su lobby temibili e inarrivabili fino a qualche tempo fa, come i sindacati (o i professori di diritto costituzionale, categoria alla quale appartengo). La maggioranza in Parlamento ha dimostrato di poter approvare in poche settimane leggi molto contrastate da talune di queste lobby. Il dato, quindi, è uno solo: in questo caso e in materia di concorrenza e di liberalizzazione, la maggioranza ha deciso da che parte stare, ha espressamente deciso di assecondare talune lobby (quelle dell’immobilismo: dai soliti tassisti agli albergatori confederati) contro altre (quelle dei consumatori, per esempio). Per non ammettere questo dato di fatto, così evidente da sembrare davvero stucchevole ogni polemica sull’articolo di Giavazzi del Corriere di qualche giorno fa, ci si nasconde dietro al consueto paravento: le lobby, queste sconosciute, brutte, sporche e cattive. E per mantenere in vita il paravento, dietro cui la politica si nasconde, non viene approvata alcuna regolamentazione del lobbying: proprio in occasione del ddl Concorrenza, alcuni senatori hanno provato a proporre qualche norma ma sono stati prontamente stoppati. Non possono essere approvate, infatti, norme che rendano trasparente l’azione dei lobbisti perché altrimenti cadrebbero gli altarini e si scoprirebbe ciò che tutti sanno: ovvero che laddove la politica è fragile e mancano indicazioni chiare, i parlamentari si sentono liberi di assecondare le lobby a loro più vicine (magari perché ne finanziano la campagna elettorale) perché sanno che, nell’oscurità che circonda il mondo delle lobby, non sarà mai colpa loro, non dovranno mai rendere conto delle loro scelte a nessun elettore (gli inglesi direbbero accountability). L’assenza di una legge sulle lobby impedisce all’elettore di comprendere cosa c’è davvero dietro l’emendamento presentato dal singolo deputato, quale interesse e chi l’ha redatto; impedisce di sapere chi paga e per cosa. Ma Renzi potrebbe battere un colpo e chiedere conto di taluni voti in Senato che hanno affossato il ddl concorrenza col parere favorevole del rappresentante del Governo, per stupire tutti con uno dei suoi colpi di genio: presentare un maxi emendamento che sostituisce per intero questo feticcio di legge e, in un colpo solo, liberalizzare settori bloccati da secoli e sciogliere così corporazioni così vetuste da essere superate dai fatti (oltre che dal mercato). In ogni caso, in un sistema democratico come il nostro, non sarà mai colpa delle lobby ma della politica (debole, fragile, succube) che le asseconda. di Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss

Imprese - Lobbyingitalia

Prosegue in Scozia l’iter di approvazione di una legge sul lobbying, e non mancano le polemiche sulle norme contenute nel pacchetto legislativo approntato dal Governo. Ma l’Esecutivo procede a passi decisi verso la regolamentazione, e di ciò è testimone il dibattito che si è tenuto nei giorni scorsi in occasione dell’apertura dei lavori del parlamento scozzese per il 2016. Giovedì 7 gennaio si è svolto il dibattito a Holyrood, la sede del parlamento di Edimburgo, alla presenza del Ministro degli affari parlamentari Joe Fitzpatrick. In occasione del dibattito sono stati presentati i risultati della consultazione avviata nei mesi scorsi (come documentato da Lobbying Italia) alla luce delle prime, negative osservazioni da parte di alcuni gruppi di pressione nei confronti del governo. In particolare, secondo la Law Society of Scotland (società che raggruppa laureati in legge e avvocati professionisti scozzesi) infatti le regole del “ddl Lobby” scozzese contenevano diversi difetti di fondo, in particolare riguardo le attività oggetto dell’obbligo di registrazione pubblica. Contrariati anche i lobbisti, che per bocca della loro associazione di rappresentanza ASPA avevano espresso preoccupazione per la definizione di “attività di lobby” e “lobbista”. Un’altra associazione di lobbisti professionisti, APPC Scotland, aveva chiesto che nella definizione di lobbista fossero comprese tutte le organizzazioni (ivi comprese onlus e studi di avvocato) che svolgessero attività di lobby. Il think tank Common Weal aveva poi chiesto al parlamento di “non far finta che tutto funzioni alla perfezione, poiché 9 scozzesi su 10 hanno manifestato contrarietà alle attuali norme sul lobbying”. Queste e altre osservazioni sono state poi registrate nella consultazione pubblica avviata negli ultimi mesi del 2015 dal governo, discusse nel dibattito dei giorni scorsi. In particolare la Scottish Alliance for Lobbying Transparency - SALT ha prodotto in base al sondaggio condotto da YouGov un rapporto intitolato “Closing the loopholes in the Lobbying (Scotland) Bill”, che ha mostrato risultati interessanti sulla percezione dell’industria del lobbying in Scozia (qui un’ulteriore analisi). Il 92% degli intervistati ha dichiarato che fosse necessario che i lobbisti pubblicassero la spesa in attività di lobbying, una misura non prevista dal disegno di legge attualmente in discussione, che prevede esclusivamente la pubblicazione dell’obiettivo e del destinatario della “pressione”. Inoltre, forte sostegno è stato dato a tre aspetti promossi dalla SALT: allargare la definizione di attività comprese nel lobbying, allargare la definizione di lobbista, aumentare il tipo di informazioni che i lobbisti devono rendere pubbliche. La SALT aveva inoltre prodotto un form che ogni cittadino avrebbe potuto inviare online al proprio parlamentare di riferimento, che toccava tutti gli argomenti oggetto delle osservazioni sul Lobbying Bill. La discussione a Holyrood è stata molto serrata. La Federazione delle Piccole Imprese ha denunciato l’eccessiva onerosità delle norme, per osservare le quali la federazione avrebbe dovuto scontare un deficit logistico nei confronti delle organizzazioni più grandi. I parlamentari del Labour Mary Fee e Neil Findlay hanno posto l’attenzione sul fatto che anche le telefonate e le mail sarebbero dovute rientrare tra le attività che consistevano in lobbying, estendendo quindi la portata della regolamentazione. Una previsione che non piace allo Scottish Council for Voluntary Organisations – SCVO, che la reputa troppo onerosa. In realtà è molto onerosa anche per le casse statali: il rappresentante della Association for Scottish Public Affairs, Alastair Ross, ha espresso che l’estensione della portata della legge avrebbe portato ad un aumento delle spese statali, che con le attuali nuove norme incontrerebbero spese per circa 3 milioni di euro annui. Il ministro Fitzpatrick ha convenuto che il governo, pur tenendo in considerazione qualsiasi proposta, ha la necessità di porre attenzione su qualsiasi aspetto per evitare che previsioni di legge possano ledere il diritto alla partecipazione per alcune parti e avvantaggiarne altre. Come lui, anche altri parlamentari di maggioranza come Fiona McLeod e Cameron Buchanan hanno tenuto a precisare che non fosse possibile estendere eccessivamente la portata del registro, e che si corresse il rischio che la registrazione eccessiva avrebbe perso di significato e serietà. La discussione del Lobbying Bill si accende proprio nel momento in cui la premier Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party che detiene la maggioranza assoluta in parlamento, è oggetto di critiche per due diverse vicende legate al mondo del lobbying: negli scorsi mesi è stata accusata di aver accettato una mazzetta da parte della lobby animalista, in forma di una donazione di 10.000 £, giusto qualche settimana prima di bloccare la discussione in parlamento di un disegno di legge sulla caccia alla volpe (“Hunting Act”); qualche giorno fa invece è stata pubblicata la notizia di una cena privata (peraltro ospitata dalla società di lobbying Charlotte Street Partners) alla quale hanno partecipato, accanto alla Sturgeon, esponenti di spicco dell’economia e dell’imprenditorialità scozzese, tra i quali esponenti della Scotch Whisky Association, lobbisti del gas naturale, rappresentanti di Buccleuch Estate (tra i principali oppositori della riforma del real estate scozzese). Una notizia che rende l'approvazione del Lobbying Bill ancor più necessaria per comprendere quali reali interessi siano a cuore del partito nazionalista scozzese.

Mondo - Lobbyingitalia

Le ong Transparency International, Sunlight Foundation, Open Knowledge, Access Info con il supporto del Programma dell'Unione Europea per la Prevenzione e la lotta al crimine hanno predisposto una nuova lista di 38 standard basati sulle più avanzate regolamentazioni del lobbying a livello internazionale. L’obiettivo è orientare i governi dei Paesi in cui è più diffuso il fenomeno a implementare la loro regolamentazione, e i Paesi in cui le relazioni istituzionali si svolgono sotto una cappa di opacità a rispettare tre requisiti essenziali della regolamentazione dell’attività dei gruppi di pressione: trasparenza, integrità, partecipazione. Al maggio 2015, almeno 20 Paesi in tutto il mondo hanno una regolamentazione del lobbying, la cui portata ed efficacia varia da caso a caso, a livello nazionale: Australia, Austria, Brasile, Canada, Cile, Francia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Lituania, Macedonia, Montenegro, Perù, Polonia, Slovenia, Taiwan, Regno Unito, Stati Uniti (aggiungiamo anche i progressi in Messico, Colombia, Nigeria, Ucraina).  Sebbene la maggior parte di questi Paesi siano ad alto livello di industrializzazione, ogni regolamentazione presenta aspetti che i 38 standard mirano a mitigare: tra tutti, gli scandali relativi alla corruzione che portano le ong e i centri di ricerca ad interrogarsi e interessarsi sempre più sulle normative nazionali in tal senso. È ben specificato che la regolamentazione non è che uno strumento per raggiungere l’obiettivo del maggior livello di eticità delle attività di public affairs; è infatti necessaria anche la disponibilità da parte di decisori e gruppi di pressione a rispettare nel concreto le norme, in modo tale da creare un ambiente di decisione pubblica etico e “fair”. Princìpi guida Il lobbying è un’attività legittima e una parte fondamentale del processo decisionale. la società democratica è basata su un pluralismo degli interessi tra i quali i decisori pubblici devono muoversi per prendere decisioni ragionate in favore dell’interesse generale. C’è un particolare interesse pubblico ad assicurare la trasparenza e l’integrità del lobbying, così come la diversificazione della partecipazione e il contributo alla decisione normativa. Ogni misura normativa per assicurare i primi due principi deve essere proporzionale, adeguata allo scopo e non impedire il diritto individuare di associazione, libertà di opinione e rappresentazione dell’interesse al decisore pubblico. I primi standard riguardano le definizioni di lobbying, decisore pubblico e lobbista. Ne vengono escluse le interazioni tra cittadini e pubblici ufficiali riguardo i loro interessi privati, e tra pubblici ufficiali stessi (decisori pubblici, agenti diplomatici o rappresentanti di Stati stranieri) nell’attuazione delle proprie funzioni pubbliche. Altra sezione riguarda le norme sulla trasparenza. La registrazione deve essere obbligatoria, periodica, prevedere un’attività di reporting delle attività e degli incontri; devono essere pubblicate una serie di informazioni da parte dei lobbisti, tra le quali i documenti presentati e i finanziamenti alla politica; i dati devono essere accessibili, aperti e comparabili; il carico burocratico deve essere minimo, sia per il pubblico che per il privato. È consigliato che i decisori pubblici e gli enti decisionali pubblichino le proprie informazioni, che devono essere chiare, libere ed esaustive. Ulteriori norme dovranno essere previste per raggiungere il maggior livello possibile di integrità. Ai decisori pubblici è raccomandata la sottoscrizione di un codice di condotta di cui sono definiti nello specifico i punti (tra questi, le norme di prevenzione di conflitto di interessi); di rispettare un periodo di cooling-off di almeno due anni prima di lavorare come rappresentante di interessi privati, per prevenire il fenomeno delle revolving doors; di dichiarare, nel caso inverso di provenienza dal settore privato, di non difendere interessi di parte una volta nominati/eletti come decisori pubblici. Norme sull’integrità sono previste anche per i lobbisti o rappresentanti di interesse: anche qui un codice di condotta, standard comportamentali e auto-regolazione. Partecipazione ed accesso: anche qui sono previste norme che puntano alla totale disclosure del settore e che già in alcune democrazie sono attuate, seppur non con l’efficacia richiesta da TI. Sono auspicati il diritto alla partecipazione per ogni tipo di gruppo interessato a un processo decisionale pubblico (anche non organizzato con strutture di lobby), un processo di consultazione pubblico precedente a qualsiasi iniziativa decisionale, la par condicio sia nell’accesso che nella partecipazione alla formazione della decisione, la giustificazione di eventuali rifiuti a richieste portate avanti da gruppi di interesse. Riguardo gruppi di esperti, il legislatore deve prevedere una composizione interna bilanciata includendo tutti i diversi interessi. Riguardo il sistema di controllo, sono raccomandati precisione e tempismo nelle attività di monitoraggio delle attività di relazioni istituzionali; un meccanismo di ricorsi aperto a tutti; una serie di sanzioni, efficaci proporzionate e dissuasive, per la violazione di norme sul registro. Non è però previsto che tipo di ente debba assumere il controllo sulle attività di lobbying: un ente già esistente, o un organo ad hoc? Infine, relativamente al quadro regolatorio generale, è sottolineato l’interesse per il contesto locale sia dal punto di vista territoriale (se si è in presenza di accentramento o decentramento governativo, o se c’è un alto tasso di corporativismo) che sociale (tasso di professionalità dell’attività di lobbying, gruppi sociali presenti e attivi). La revisione annuale dei risultati della regolamentazione dal punto di vista del tasso di eticità e concorrenza dell’intero mercato nazionale è l’ultimo step per garantire un quadro regolamentare completo per la disciplina del lobbying. Link allo studio di Transparency International e alle opinioni in merito della Sunlight Foundation.

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