NEWS
Se 26 cittadini fanno una lobby 2.0
Scritto il 2013-07-12 da lobbyingitalia su Italia

(Gianluca Sgueo) Cominciamo dall’inizio. Cos’è la lobby 2.0? Semplice: la trasformazione digitale dei rapporti tra cittadini, imprese e istituzioni.

Al che si potrebbe obiettare che sarebbe forse più giusto chiamarla democrazia digitale. Solo che così suona pretenziosa. E poi non è per niente vero. Oggi discutiamo se i nostri siano davvero sistemi democratici, con tutti i loro problemi e le loro zavorre. Figuriamoci la democrazia digitale, soprattutto in un Paese come il nostro dove una buona parte della popolazione continua a non avere accesso a internet. Oppure, quando ce l’ha e lo usa, non trova interlocutori pronto ad assecondarlo. Sono poche centinaia i comuni attrezzati ai servizi n.

Potremmo allora chiamarla lobby digitale. Ma sarebbe riduttivo. Perché la lobby, intesa come dibattito e pressione tra privati e pubblico non è soltanto digitale. Anzi, se c’è un mondo in cui la stretta di mano e il bigliettino da visita la fanno ancora da padrone quello è proprio il mondo dei lobbisti.

Vada allora per lobby 2.0. Dove il “2.0” indica l’evoluzione, il progresso tecnologico, ma anche le sue tante contraddizioni. Che, anzi, sono proprio la parte più interessante. Ci aiutano a raccontare in chiave diversa un mondo complesso, che si trasforma pur restando ancorato alle tradizioni. E le storie, per fortuna di chi scrive, non mancano mai.

Ecco, appunto, le storie. Una delle caratteristiche della lobby 2.0 è che, trovandosi il lobbista dietro uno schermo di computer, non lo inquadri mai veramente. A maggior ragione se il lobbista è un comune cittadino che difende i propri interessi. Quelli dell’1.0 almeno li trovavi in piazza a manifestare. Così era facile capire se erano tanti o pochi, pacifici o no. Al massimo ti divertivi a leggere i dati diffusi dalla questura e quelli degli organizzatori. Ci fosse stata una volta che coincidevano.

Quando però la pressione la eserciti dal web la quantificazione diventa difficile. Per dirne una: il 23 aprile il governo ha aperto una consultazione pubblica online sulla nuova disciplina dell’impatto della regolazione. La trovate spesso citata con l’acronimo AIR e serve per conoscere le conseguenze pratiche delle norme.

La consultazione si è conclusa un mese dopo, a fine maggio. Sono arrivati commenti da tutta Italia. La maggior parte dal Lazio (35%), ma anche da Toscana, Campania, Piemonte e Lombardia. 28% dei partecipanti è dipendente pubblico (il che probabilmente spiega la prevalenza dei commenti del Lazio). Il 19% è libero professionista. Più della metà dei partecipanti – il 60% per la precisione – ha giudicato “fondamentale”, o “molto utile”, la modalità di partecipazione.

Insomma, tutti contenti. Sì, ma tutti chi? Leggi il resoconto della consultazione e scopri che sono stati in 26. Non 2600 o 260, ma 26. In pratica meno di un commento al giorno. Una miseria.

Già, purtroppo questi sono i pro e i contro della lobby 2.0. Il numero non fa necessariamente la forza. E forse è un bene. La forza la fanno quelli che gli esperti della materia chiamano “gli attivi”. Persone che al potere dei numeri (che evidentemente manca) sostituiscono quello dell’iperattività. E la spuntano. Questo invece non sempre è un bene. Rassegnatevi. La prossima disciplina dell’AIR sarà costruita anche grazie al supporto dei cittadini-lobbisti. 26 opinioni, che valgono quanto i circa 59,999,974 italiani che non hanno fatto click.

Fonte: Techeconomy

Intanto è boom per i corsi di formazione della professione, e alcune università assicurano il Master Anche quest'anno il Senato ha preso le sue contromisure per difendersi da una delle specie professionali più temute: i lobbisti. Da fine ottobre i "portatori di interessi particolari", già "schedati" dal loro tesserino rosso entrato in vigore nel 2014, sono ospitati nell'aula della Commissione Sanità di Palazzo Madama, rigorosamente a trenta metri da quella della Commissione Bilancio quando è impegnata nell'esame della Legge di Stabilità. Quei 30 metri non impediscono di certo né ai politici e né ai lobbisti l'uso dei telefonini per rapide consultazioni o per sventare colpi di mano dell'ultimo minuto ma la dicono lunga sul rapporto schizofrenico, fatto di timori e al tempo stesso di poche regole, di politica e lobbismo made in Italy. A partire da un banale dato di fatto: l'accesso al parlamento italiano è relativamente facile. Risultano in media circa 1.200 i cartellini giornalieri concessi a vario titolo a ex parlamentari, funzionari, dirigenti ministeriali, giornalisti (in attività o pensionati) e rappresentanti delle categorie che possono entrare in Parlamento per chiedere informazioni, discutere con i parlamentari, informarsi dei processi legislativi. A VUOTO «Il fatto è che nonostante se ne parli da anni in Italia non esiste una legge che regoli questo settore così come accade in altri Paesi europei o in America», spiega Gianluca Sgueo, esperto del settore e autore del libro Lobbying e lobbismo, edito da Egea, forse il più completo sull'argomento. «Al di là di quello che accade a Montecitorio e Palazzo Madama - aggiunge Sgueo - oggi uomini di governo e funzionari italiani possano incontrarsi ovunque con i lobbisti italiani e stranieri senza che nessuno lo sappia. Sono rarissimi i casi di uomini politici italiani che per propria scelta tengono un diario web sui lobbisti che ricevono. Altrove invece è obbligatorio tenere un registro degli incontri, che poi oltre ad essere una "banale" norma di trasparenza è anche una tutela per tutti. Perché deve essere chiaro che un lobbista non è l'equivalente di difensore di poteri oscuri o peggio». Un esempio di come si potrebbe procedere? Almeno in parte, Bruxelles. Qui Commissione Ue conta la presenza di 8.396 lobbisti che lavorano quotidianamente nelle istituzioni europee. Sono tutti regolarmente registrati in un apposito Libro Mastro e tutti sanno tutto di loro. Questo "Registro per la trasparenza" (anche se non vincolante): contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell'Ue», come specifica il suo sito. Vi sono iscritte anche 5.800 organizzazioni e aziende, di cui 503 italiane. Anche a Bruxelles tuttavia non mancano i tira e molla su questo settore. 11 Parlamento Europeo infatti ha chiesto misure più stringenti come quella dell'obbligatorietà della registrazione degli incontri, ma finora la Commissione ha cincischiato. E' accaduto così che il Parlamento Europeo abbia lanciato un comitato speciale in materia fiscale (il Taxe), che però è stato boicottato dalle multinazionali che non si sono presentate alle audizioni. IL MASTER Il Taxe ha allora chiesto alla Commissione di vietare l'ingresso in Parlamento dei rappresentanti delle multinazionali e finalmente il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Junker, ha detto che è ora di raggiungere un accordo comune sulla registrazione obbligatoria dei lobbisti (e dei loro incontri) in tutte le istituzioni europee. In Italia, invece, nonostante la presentazione di almeno una dozzina di disegni di leggi, che con modalità differenti propongono tutti la nascita di un albo dei lob-bisti e del registro obbligatorio dei loro incontri (con tanto di sanzioni), tutto è ancora fermo a livello legislativo. Diverso il discorso invece a livello di mercato. Negli ultimi anni la figura del lobbi-sta non ha sofferto la crisi. Anzi. I corsi di formazione destinati a preparare queste particolari figure professionali si contano ormai a decine e sono organizzati anche da società prestigiose. Con alcune università che rilasciano uno specifico master. Fonte: Diodato Pirone - Il Messaggero - Download .pdf

Mondo - Lobbyingitalia

Che relazione c'è tra i detentori del potere economico e la politica? Quanto i cosiddetti gruppi di pressione riescono ad influenzare le Istituzioni a scapito degli interessi dei cittadini? A queste domani si cercherà di dare risposta giovedì 25 settembre 2014 nel corso di un incontro-confronto intitolato "Le Lobby, sentinelle del potere, sostituiscono il parlamento?". L'appuntamento, organizzato dal deputato portavoce del Movimento 5 Stelle, Carlo Sibilia, si terrà a partire dalle ore 17, presso la Nuova Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari in Via di Campo Marzio 74 a Roma. Durante l'evento, cui prenderanno parte Matthieu Lietaert (regista e comunicatore), Olivier Hoedeman (ricercatore presso il Corporate Europe Observatory di Bruxelles) e Gianluca Sgueo (giornalista e docente universitario), sarà proiettato il film "The Brussels Business... Who Runs the European Union?" e verranno illustrate le linee guida del M5S per arginare il potere lobbistico in Italia e in Europa. "Esiste un sistema che si sta consolidando nel mondo - dichiara Sibilia - ed è quello di fare pressione per influenzare la scrittura delle leggi o peggio ancora per condizionare bandi di gara destinati a distribuire soldi pubblici. E' un fenomeno che riguarda anche i finanziamenti europei. Questo sistema viene portato avanti abilmente dalle lobby e dai lobbisti. Organizzazioni e professionisti che agiscono per l'affermazione di un interesse. La domanda è: l'interesse di chi? Chi c'è dietro e foraggia queste organizzazioni? Come influenzano la formazione delle leggi? A danno di chi? A vantaggio di chi? A volte si parla pure di sottobraccisti. Personaggi ambigui che spesso abbiamo incontrato anche noi in parlamento mentre si aggiravano per le Commissioni. Molti Paesi hanno adottato tutta una serie di norme per regolamentare e gestire questo fenomeno. L'Italia no. Perché? Abbiamo più pudore? Non vogliamo? O, peggio ancora, non possiamo disciplinare il lobbying? Il 25 settembre proveremo ad informare e discutere di questo fenomeno. Tirando fuori anche le proposte del Movimento 5 Stelle". Per partecipare occorre iscriversi compilando il seguente form: http://goo.gl/Jp288z Fonte: BeppeGrillo.it

Imprese - Lobbyingitalia

Il primo di una serie di approfondimenti su lobby e regolamentazione a cura di Pier Luigi Petrillo, professore associato di Diritto pubblico e docente di Teorie e tecniche di Lobbying Ogni giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, accusa le lobby di fermare lo sviluppo del paese. Prima di lui, l’accusa era stata mossa dai suoi predecessori: Enrico Letta, Mario Monti, Silvio Berlusconi, per limitarci agli ultimi. E con loro anche i Presidenti di Camera e Senato, periodicamente, “urlano” contro le lobby che invadono i palazzi. Eppure non si hanno notizie né di interventi governativi né di interventi parlamentari finalizzati a regolamentare i gruppi di pressione. Ogni giorno si scopre, così, che dietro ai “gufi” che vogliono lasciare immobile il Paese ed impediscono le riforme necessarie, ci sono le lobby, ogni sorta di lobby, con l’effetto che tutto è lobby, perfino i funzionari pubblici: si pensi alle “lobby” dei magistrati (“no alla riduzione delle ferie”), a quella dei dirigenti pubblici (“no alla riduzione degli stipendi”) o perfino a quella dei senatori (“no alla riduzione del Senato”). In questo quadro le lobby continuano ad essere il paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità. E appare ovvio che se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse pubblica, ecco che i cittadini scoprirebbero il gioco dello scarica barile: il paravento d’incanto cadrebbe e si scoprirebbe che la colpa di certo immobilismo non sono le lobby ma la politica. LE ULTIME TAPPE DI UN TIMIDO TENTATIVO DI FARE SUL SERIO Rispetto a vent’anni fa, tuttavia, qualche barlume di speranza comincia a vedersi. Nel 2007, durante il secondo governo Prodi, l’allora Ministro per l’attuazione del programma di governo, Giulio Santagata, spronato dal suo capo di gabinetto, il Consigliere di Stato Michele Corradino (ora componente dell’ANAC), fece approvare dal Consiglio dei Ministri il primo e unico disegno di legge in materia d’iniziativa governativa. Qualche mese dopo il governo fu sfiduciato e il testo dimenticato. Nel 2012, sotto il governo Monti, ci riprovò Mario Catania, allora Ministro dell’Agricoltura, istituendo l’obbligo per i lobbisti “agricoli” di iscriversi in un elenco pubblico. La netta contrarietà delle principali organizzazioni di categoria (Coldiretti, Cia, Confagricoltura) fece naufragare l’esperimento. Nel 2013 è il premier Enrico Letta, in prima persona, a farsi promotore di una coerente regolamentazione del lobbying, chiedendo al segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Garofoli, e al sottoscritto, di predisporre una bozza di disegno di legge. Ma il Consiglio dei Ministri, dopo avere approvato i principi della regolamentazione nel maggio 2013, decise di bocciare il testo predisposto, considerandolo troppo stringente. E siamo arrivati al governo Renzi: entro giugno 2014, aveva dichiarato il Premier nel Documento di Economia e Finanza 2014 (DEF), avremo una regolamentazione dei gruppi di pressione. Sono passati 3 mesi da quella scadenza ma non c’è traccia nemmeno di una qualche bozza. Eppur si muove: nel silenzio generale, il Vice Ministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini (forse l’unico a credere davvero all’importanza di questa questione), è riuscito ad inserire nel disegno di legge delega di riforma del codice degli appalti, un principio legato alla trasparenza dei gruppi di pressione; anni luce lontani dalla regolamentazione delle lobby ma almeno è un segnale. E’ ripartito da qui Giovanni Grasso, il giornalista dell‘Avvenire che, venerdì e sabato scorso, ha dedicato sul suo giornale un’inchiesta al rapporto tra politica e gruppi di pressione, invitando il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a prendere la palla in mano, trattandosi, anzitutto, di una questione di trasparenza della Pubblica Amministrazione (centrale e periferica). MA PER FARE (DAVVERO) SUL SERIO, DA DOVE RIPARTIRE? Ripartiamo dall’inchiesta di Grasso; rileggiamo gli stimoli recenti pervenuti da lobbisti d’eccezione come Gianluca Comin, per anni direttore delle relazioni istituzionali in Enel, o Stefano Lucchini, per anni a capo dell’Eni e ora in Intesa, o le proposte avanzate da Claudio Velardi, Massimo Micucci e l’ottimo gruppo del “Rottamatore”, da Fabio Bistoncini (“vent’anni da sporco lobbista”), da Franco Spicciariello e il suo sito lobbyingitalia.com, da Gianluca Sgueo su Formiche.net, da esperti come Giovanni Galgano e Giuseppe Mazzei de “Il Chiostro”, da studiosi come Maria Cristina Antonucci e Marco Mazzoni, dal collega Alberto Alemanno della New York University, dal gruppo #lobby (purtroppo non più attivo) degli ultimi 7 anni di #VeDrò, da riviste come Percorsi Costituzionali e AGE-Analisi Giuridica dell’Economia e proviamo ad offrire al Legislatore qualche idea su come e per cosa fare sul serio. Fonte: Formiche.net

Imprese - Lobbyingitalia

LOBBYINGITALIA
NEWS