La vera sfida dei lobbisti è culturale. Convincere chi non li conosce che la loro sia una professione vera e propria, che non ci sia nulla di oscuro in quello che fanno e che, soprattutto, non abbiano niente in comune con i «faccendieri».
La mancanza di una norma di legge che disciplini positivamente l'attività professionale, di cui fanno parte, per la loro competenza, diversi avvocati, non rende più facile questa battaglia. Non li aiutano nemmeno le ultime notizie sui parlamentari iscritti al libro paga dalle «lobby», multinazionali del gioco d'azzardo e del tabacco che avrebbero pagato alcuni senatori per ottenere in cambio l'approvazione di misure ad hoc.
I lobbisti, quelli veri e competenti, svolgono un'attività di informazione per rendere le decisioni dei policy maker più consapevoli e approfondite. Il loro compito è quello di utilizzare tutti gli strumenti leciti e trasparenti che hanno a disposizione, per esercitare la propria influenza sul corpo politico. Fino a oggi sono stati presentati 54 progetti di legge riguardanti la disciplina di questa attività professionale, un settore che a detta degli stessi operatori non vede l'ora di essere regolamentato, di vedere istituito un registro ufficiale di lobbisti e di ottenere delle norme che regolino la professione e sanzionino chi non la esercita come si deve. Perché spesso il confine tra la rappresentanza di interessi e la corruzione è davvero molto sottile. La differenza la fa lo strumento che viene utilizzato per manifestare la propria influenza e per portare avanti gli interessi che si rappresentano, se tutto però viene fatto alla luce del sole e nella massima trasparenza, non si pone nessun problema. Ma i «lobbisti» riusciranno a liberarsi dall'alone di pregiudizio che li circonda solo quando la loro professione sarà regolata con leggi che ne delimitino positivamente l'attività.
Non è il caso delle nuove norme che sanzionano il reato di traffico di influenze, introdotto nel nostro ordinamento con l'articolo 346-bis del codice penale dalla legge anticorruzione numero 190 del 2012. La nuova norma punisce con la reclusione da uno a tre anni «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter c.p., sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio».
Si tratta di una disciplina di matrice europea, trattandosi di un istituto tipicamente estraneo al nostro ordinamento. A rilevare questa lacuna normativa e a spingere l'Italia verso la previsione di norme che la colmassero sono state alcune convenzioni internazionali tra cui quella dell'Onu contro la corruzione, firmata a Merida nel 2003 e quella del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo nel 1999, dove si parla espressamente di trading in influence.
«Difficile discutere di una norma così nuova, in mancanza di applicazione giurisprudenziale», commenta Roberta Guaineri, penalista partner dello Studio Moro Visconti de Castiglione Guaineri. «Al momento dell'introduzione della norma, in realtà, il legislatore non intendeva punire la normale attività di lobbying, bensì quegli accordi illeciti tra privato e faccendiere, attraverso i quali quest'ultimo, sfruttando le proprie conoscenze con pubblici ufficiali, riesce a fare ottenere favori «indebiti» al primo. La ratio della norma è quella di colpire quei comportamenti che prima di questa modifica legislativa non trovavano un inquadramento penale. La norma sancisce penalmente l'accordo illecito tra due privati (mediatore e soggetto che beneficia dell'intervento del primo), accordo rispetto al quale il pubblico ufficiale è estraneo. Punto centrale della norma è che il mediatore sia terzo e non, quindi, un interno all'azienda. Inoltre, il vantaggio che il privato ottiene, attraverso l'intervento del mediatore, deve concretizzarsi in un atto contrario agli interessi della p.a. Questo elemento è essenziale e apre un importante terreno di discussione. Come è noto i lobbisti agiscono soprattutto in ambito legislativo ed è, a mio avviso, molto discutibile, fare rientrare l'attività legislativa nell'alveo degli atti contrari alla pubblica amministrazione. Da segnalare anche che la stessa pena prevista per il mediatore si applica anche a chi dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale».
Intorno al tema c'è molto interesse, ma poca preoccupazione. In assenza di giurisprudenza la situazione è ancora abbastanza tranquilla, le aziende virtuose e i lobbisti di professione non hanno nulla da temere, anzi, si chiedono perché vengano chiamati in causa in un provvedimento che si occupa di corruzione e non del loro mestiere. Le associazioni di categoria sono scese in campo contro questa normativa per altri motivi, principalmente, per chiedere ancora una volta di essere aiutati nella loro lotta ai pregiudizi: molti dei loro clienti hanno difficoltà ad ammettere di servirsi della loro professionalità, proprio a causa dei preconcetti sulla «misteriosa» attività di lobbying.
Non è un caso che anche gli stessi Saggi nominati dal presidente Napolitano prima che si formasse l'attuale governo Letta, si siano spesi a favore della causa dei lobbisti, suggerendo una legge sul modello del Parlamento europeo e degli Usa per rendere trasparente l'attività delle lobbies con un apposito albo. Come si legge nel documento da loro sottoscritto: «I gruppi di interesse particolare svolgono una legittima ma non sempre trasparente attività di pressione sulle decisioni politiche. Spesso si tratta di un'opera utile per portare a conoscenza dei decisori politici realtà frequentemente ignorate. Ma, come ha suggerito l'Ocse, è un'opera che ha bisogno di trasparenza per non diventare un mezzo per alterare la concorrenza o per condizionare indebitamente le decisioni». Tre le caratteristiche che, secondo i Saggi, dovrebbe avere un provvedimento sulle lobbies: a) istituzione presso la camera, il senato e presso le assemblee regionali l'albo dei portatori di interessi; b) diritto per gli iscritti all'albo di essere ascoltati nella istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che incidono su interessi da loro rappresentati; c) il decisore deve rendere esplicite nella relazione al provvedimento le ragioni della propria scelta e deve evitare ogni possibile situazione di potenziale o attuale conflitto di interessi.






































