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Spagna, il Partido Popular vuole regolare il lobbying
Scritto il 2012-08-06 da lobbyingitalia su World

La nuova “Ley de Transparencia” inizierà l’iter parlamentare il prossimo mese di settembre su iniziativa del Partido Popular, che vuole regolamentare lobbisti e gruppi di interesse costringendoli a registrarsi presso il Congreso de los Diputados e a seguire un codice di condotta . La Spagna è uno dei pochi paesi dell'Unione europea che non ha norme che regolano e diventare più trasparente per lobbies.

Passeggiando per i corridoi della Commissione o del Parlamento europeo a Bruxelles incontrare un lobbista è normale. Sono correttamente identificati come tali, sono tenuti a seguire regole di condotta e hanno un certo numero di limitazioni. Lo stesso vale negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, tra cui la Germania.

Al contrario, in Spagna 'lobby' è una parola che ha ancora una connotazione negativa e la sua regolamentazione rimane un 'tabù'. Ma deputati e senatori spagnoli intrattengono continui contatti e incontri con associazioni e organizzazioni di diversi settori (farmaceutico, automotive, ambientalisti, ONG, ecc), nonché con società di consulenza o professionisti rappresentanti di imprese impegnate nell’attività di influenza.

Il PP vuole dare maggiore trasparenza al rapporto tra politici e lobbisti, ed ha allo studio una legge sulla trasparenza per regolare l’attività di lobbying, il cui iter prenderà il via l prossimo settembre.

"L'idea è di aprire un dibattito in parallelo con l'elaborazione della legge sulla trasparenza e di inserire nella proposta la creazione di un registro dei lobbisti obbligtorio e un codice di condotta", hanno spiegato fonti del PP.

Per questo studio sono due modi possibili: o emendare la legge sulla trasparenza, cui il governo ha dato il via libera venerdì scorso ad essere trasmessa al Parlamento, attraverso una disposizione aggiuntiva che miri ad istituire un registro o farlo attraverso modificata. Come con la Casa Reale, la Cámara Baja non è tenuto a rispettare i principi e gli obblighi fissati nella nuova legge sulla trasparenza.

"Questa nuova legge sarà una valanga, perché subirà molti cambiamenti, e può essere sfruttata per introdurre delle modifiche adeguate", hanno aggiunto le fonti.

Un rapporto in favore di una regolamentazione

Al Congresso ci sono già parecchi deputati che sono interessati a regolare l’attività dei lobbisti e a migliorare la trasparenza delle funzioni. Uno è Santiago Cervera, PP, deputato e membro de la Mesa del Congreso, che ha preparato una relazione in favore della regolamentazione.

Oltre ai membri del Partito Popolare, Cervera ha affrontato il problema con i membri di altri gruppi, quali Ramon Jáurgeui (PSOE) e Jordi Jané (CIU), tra gli altri.

In questo lavoro, lungo quindici pagine, che sarà presto esaminato dal Consiglio, l'organo di governo del Congresso dichiara di voler "prendere in considerazione un modello simile al Parlamento europeo", che richiede ai lobbisti di iscriversi in un registro pubblico.

Debbono registrarsi tutti quei gruppi di pressione che intendano accedere al Parlamento. In cambio, le lobby sono soggetti ad un codice di condotta che disciplini i loro contatti con i deputati, con l’obbligo dichiarare gli interessi che essi rappresentano.
La norma include anche obblighi nei confronti dei deputati, che non possono ricevere doni dal valore maggiore di 150 euro, e sono tenuti a pubblicare il reddito ottenuto fuori dalle loro attività parlamentari, e infine pone dei limiti alla cd. Revolving door, cioè il passaggio degli ex deputati al soldo dei gruppi di pressione.

Quarto tentativo da parte del Congreso

Nella relazione di Santiago Cervera Si ricorda che la Cámara Baja ha già proposto tre volte la regolamentazione dei gruppi di interesse: la prima iniziativa fu del PP nel 1990, la seconda tre anni dopo da parte del CDS, e la terza nel 2008 su iniziativa di ERC-IU-ICV. Nessuna di queste proposte di legge è stata approvata.

La Spagna è uno dei pochi paesi europei che non dispongono di un regolamento lobby. Cervera sostiene nel suo report che le lobby sono una delle "espressioni genuine e legittime della democrazia partecipativa in cui viviamo" e quindi questa attività "dovrebbe essere facilitata dalle autorità pubbliche".

Ciò garantirebbe una maggiore trasparenza dell'attività parlamentare, rendendo il processo decisionale aperto alle lobbies e quindi all'interesse pubblico, rafforzando anche la competitività delle imprese spagnole "che potranno così disporre di canali simili a quelli in altri paesi."

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Beatriz Toribio - La Informacion

Il presidente Usa sembra aver perso la battaglia contro i produttori di pistole. Nonostante le sue pressioni, l'import è a livelli record. E la presa della National Rifle Association sul Congresso è più forte che mai «Se mi chiede qual è il settore in cui sento di essere stato più frustrato e più ostacolato è il fatto che gli Stati Uniti sono la sola nazione avanzata sulla Terra in cui non abbiamo leggi di buon senso per il controllo delle armi, nonostante le ripetute uccisioni di massa. Se consideriamo il numero di americani uccisi per terrorismo dall'11 settembre sono meno di cento, mentre le vittime della violenza delle armi sono nell'ordine delle decine di migliaia. Non essere in grado di risolvere questo problema è stato angosciante: ma non è un tema sul quale ho intenzione di smettere di lavorare nei restanti 18 mesi». Queste parole di Barack Obama arrivavano, consegnate al microfono di un inviato BBC, all'indomani della strage di Charleston, in cui Dylann Storm Roof, 21 anni, ha fatto fuoco con una pistola calibro 45 regalatagli per il compleanno dal padre, all'interno della Emmanuel African Methodist Episcopal Church durante una lettura della Bibbia. Il bilancio della sua azione: nove morti - tre uomini e sei donne -membri della comunità afroamericana che frequenta la chiesa tra cui anche il pastore, il reverendo Clementa Pinckney, senatore del Partito democratico. Un mix di impotenza e frustrazione del comandante in capo della Nazione più potente della Terra, che fa chiaramente trasparire l'influsso e la capacità d'azione della lobby delle armi negli Stati Uniti. Quasi sfrontata nell'attaccarlo («Il presidente Obama - affermarono commentando gli ultimi dati del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives -non si fermerà di fronte a niente per spogliare i cittadini del loro diritto costituzionale di difendersi»). E nell'evidenziare che proprio gli annunci di leggi più restrittive sulla detenzione delle armi hanno indotto le persone a correre ad acquistarle: «Barack Obama merita il premio di "Venditore di armi del decennio"» ha commentato, non senza sarcasmo, Erich Pratt, portavoce di Gun Owners of America. «Il presidente è stato implacabile nei suoi attacchi contro il Secondo Emendamento alla Costituzione (quello del 1791 che garantisce il diritto di possedere armi, ndr) e non c'è da stupirsi che la gente abbia paura e voglia proteggersi» ha aggiunto Jennifer Baker, portavoce della National Rifle Association (NRA). In effetti, i dati sembrano incontrovertibili: durante la presidenza Obama la produzione di armi da fuoco negli Stati Uniti è passata da meno di 4,5 milioni di unità a oltre 10,8 milioni di unità con un incremento del 140%: è vero che l'export è cresciuto nell'insieme, però riguarda meno di 400mila unità; ma è aumentato soprattutto l'import che nel 2013 ha superato i 5,5 milioni di unità toccando un record trentennale. Anche sul fronte della legislazione, le notizie non sono incoraggianti. Come riporta una meticolosa inchiesta del New York Times del dicembre 2013, cioè a un anno esatto dalla strage di Newtown (alla Sandy Hook Elementary School un ventenne aprì il fuoco uccidendo 27 persone, tra cui 20 bambini sotto i 7 anni), delle 109 nuove leggi approvate nei vari Stati solo un terzo ha effettivamente rafforzato le restrizioni sulle armi, mentre la maggior parte le ha di fatto ammorbidite. Ed è proprio su questo versante che si manifesta la potenza mediatica della lobby delle armi negli Stati Uniti. Una lobby capitanata dalla National Rifle Association (NRA), una delle più influenti degli Stati Uniti: un'entità che Obama conosce bene e di cui ha ripetutamente evidenziato l'influsso su Camera e Senato: «Sfortunatamente, la presa della NRA sul Congresso è estremamente forte - ha ribadito nei giorni scorsi. E non prevedo nessuna iniziativa legislativa all'orizzonte, finché l'opinione pubblica Usa non sentirà un senso d'urgenza che porti a dire "tutto questo non è normale, possiamo cambiare qualcosa e abbiamo intenzione di cambiarla"». Eppure, una recente ricerca dell'Harvard Injury Control Research Center smentisce numerose delle tesi sostenute dalla lobby armiera. A cominciare da quella secondo cui "possedere un'arma in casa rende più sicuri" (lo pensa solo il 5% degli intevistati, il 64% sostiene l'esatto contrario). Ma, soprattutto, l'inchiesta dimostra che per il 72% degli americani leggi più severe sulle armi aiutano a ridurre gli omicidi. Eppure questo punto di vista pare non riuscire a far breccia tra le maglie dei legislatori statunitensi. Inutile domandarsi di chi è il merito. DOVE PRENDONO I SOLDI I LOBBISTI? La National Rifle Association (NRA) è un'organizzazione ben strutturata tanto da essere considerata "la lobby più influente degli Stati Uniti". Potente con l'elettorato e, ancor di più, con il ceto politico: secondo il Centro Open Secrets l'influenza della NRA si fa sentire non solo attraverso i contributi elettorali, ma anche con i milioni di dollari di spese non rese pubbliche (off-the-book ) per diffondere annunci pubblicitari. Le sole sue spese di lobbying sono nell'ordine di svariati milioni di dollari all'anno, usati per esercitare la sua influenza su agenzie governative, membri del Congresso e su vari ministeri tra cui quelli degli Interni e del Commercio. Un'imponente organizzazione, fondata nel lontano 1871, che oggi può disporre di svariati milioni all'anno (il Washington Post parla, forse esagerando, addirittura di 250 milioni) raccolti attraverso donazioni e sostegni di singoli aderenti, spesso esentabili dalle tasse, ma soprattutto col contributo delle maggiori aziende produttrici di armi e delle ditte specializzate nella rivendita. Come riporta una delle rare indagini in questo oscuro ambito, promossa dal Violence Policy Center (VPC), la NRA ha messo a punto uno specifico "Corporate Partners Program " (Programma per le aziende) per incrementare i contributi da parte delle ditte produttrici e rivenditrici di armi. Tra i donatori primeggia Midway USA, un colosso nella vendita online (non ha negozi fisici) di armi e munizioni di tutti i tipi che non solo ha donato più di cinque milioni di dollari alla NRA di cui è lo sponsor ufficiale del meeting annuale, ma soprattutto ha contribuito a creare il "NRA Roundup Programme " per promuovere la raccolta fondi della lobby armiera. Seguono una serie di aziende produttrici di armi e munizioni: Smith & Wesson, Sturm, Ruger & Co., Blaser USA, Glock, Noser, Barret, Remimgton, Browning. C'era anche la Colt che nelle scorse settimane ha dichiarato bancarotta. Ma soprattutto spicca il gruppo Beretta USA che nel 2008 ha donato un milione di dollari all'"Istituto NRA per l'azione legislativa e le attività per la difesa dei diritti civili". Obiettivo: difendere e ampliare la portata del Secondo Emendamento. E in quei soldi c'è tanta Italia: la Beretta USA fa parte infatti della Beretta Holding, interamente controllata dalla famiglia Gussalli Beretta di Gardone Val Trompia in provincia di Brescia. BERETTA, DAL MARYLAND AL TENNESSEE PER PUNIRE IL GOVERNATORE "OSTILE" Il governatore di uno Stato decide di promuovere leggi più restrittive sulle armi? E io chiudo la fabbrica. È quello che la Beretta ha deciso nel febbraio 2014, chiudendo lo storico stabilimento di Accokeek nel Maryland per aprirne uno nuovo a Gallatin, nel Tennessee. In un comunicato, il presidente Ugo Gussalli Beretta, dimessosi poche settimane fa, giustificava la decisione attaccando frontalmente la decisione dell'allora governatore Martin O'Malley (un liberal del partito democratico) per la sua scelta di limitare la diffusione delle pistole. "Pattern of harassment" (una "prassi di molestie") contro i legali possessori di armi, fu definita la scelta del governatore. Una presa di posizione inusuale per l'azienda italiana che è stata duramente criticata dalle associazioni statunitensi per il controllo delle armi: «Contesta una legge che è molto meno restrittiva di quelle che in Italia proteggono la sua famiglia», ha commentato Jonathan Lowy, del Brady Center to Prevent Gun Violence. Gussalli Beretta ha ovviamente taciuto nella sua lettera i milioni di dollari di finanziamenti pubblici dello Stato del Tennessee ricevuti per aprire la sua azienda. Ma anche così funziona la lobby delle armi. Che nella cinquecentenaria azienda italiana fornitrice di armi alle polizie e all'esercito Usa trova uno dei suoi più attivi azionisti. Di Giorgio Beretta (Analista dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia) ed Emanuele Isonio

Mondo - Lobbyingitalia

Bruxelles città delle istituzioni Ue e delle lobby. Quasi tutte le grandi multinazionali, le industrie, le organizzazioni , i gruppi di interesse e anche e le Ong hanno almeno un ufficio nella capitale europea. Tra i corridoi e i bar dei grandi palazzi decisionali non è difficile notare i rappresentanti di varie organizzazioni intenti nel lavoro di lobbista. A influenzare maggiormente le decisioni delle istituzioni europee sarebbero le industrie che tra dicembre 2014 e giugno 2015, registrano già circa 4.318 incontri con rappresentanti e funzionari della Commissione Ue: è quanto riporta un’analisi della organizzazione anticorruzione Transparency International. Le organizzazioni attualmente iscritte nel registro Ue per la Trasparenza sono 7.821: il 75% di queste, circa 4.879, cerca di favorire gli interessi delle aziende. Mentre il 18 % è rappresentato dalle Ong e il 4% dai think tank e solo il 2% dalle autorità locali. Nella top list delle imprese che spendono di più per fare lobby figurano la Microsoft, Exxon Mobil e la Shell con una spesa che varia tra i 4,5 e i 5 milioni di euro, dedicato a questo scopo. Seguite subito dopo dalla Deutsche Bank AG, la Dow Europe GmbH e Google: quest'ultima ha già avuto 29 incontri con le istituzioni europee in questi mesi. Ma anche Ong come Greenpeace e il Wwf si sono incontrate diverse volte con l'esecutivo comunitario e tra le lobby presenti a Bruxelles BusinessEurope, la General Electric Company (GE) , Eurocommerce e Airbus group. «Le organizzazioni con un più alto budget per fare lobby hanno un grande accesso , in particolare nel settore finanziario, digitale ed energetico» osserva Daniel Freund di Transparency International. Le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese per lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea, in base al report. Tra i paesi che hanno ottenuto più incontri in questo periodo, al primo posto spicca il Belgio, poi la Germania, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Le organizzazioni italiane registrate sarebbero 597. Per ora, tra le italiane, la Confindustria avrebbe ottenuto più appuntamenti con rappresentanti istituzionali Ue, poi l'Enel e l'Eni. In generale le organizzazioni italiane sembrano spendere meno per le attività di lobby rispetto ad altri paesi e si focalizzano in particolare sul settore energetico. Il clima e l'energia, il lavoro e la crescita, l'economia digitale, i mercati finanziari e i trasporti sono i settori che attraggono di più i lobbisti di Bruxelles. Mentre i commissari Katainen, Hill e Oettinger hanno finora avuto pochi confronti con la società civile, tra il 4% e l'8 per cento. In particolare gli ambiti dei mercati finanziari e dell'economia digitale sono presi più di mira dalle imprese. Le nuove misure di trasparenza Ue sono però secondo l'analisi di Transparency International ancora poco seguite: l'80% delle organizzazioni presenti nel registro per la Trasparenza non ha riportato pubblicamente un solo incontro con commissari Ue o funzionari. Inoltre su 30mila funzionari che lavorano alla Commissione Europea neppure 300 sono soggetti alle nuove misure di trasparenza. Le nuove regole di trasparenza della Commissione riguardano solo l’1% dei funzionari e il 20% delle organizzazioni lobbistiche. Su questo punto Carl Dolan, direttore di Transparency International ha le idee chiare «Le istituzioni europee dovrebbero pubblicare “un'impronta legislativa” un documento pubblico con tutti gli incontri con le lobby e altri contributi che abbiano in qualche modo influenzato le politiche e le legislazioni». Tra i problemi principali riscontrati dall'organizzazione anticorruzione vi è anche la carenza nella qualità dei dati raccolti dal registro per le lobby che rimane per ora su base volontaria: molte organizzazioni rimangono ancora fuori da questo database, tra queste quattordici su venti dei più grandi studi legali mondiali tutti con un ufficio a Bruxelles, come Clifford Chance, White&Case o Sidley Austin. Mente undici di queste sono registrate ad esempio a Washington DC dove vige l'obbligo di iscriversi. «La maggior parte delle informazioni che i lobbisti volontariamente compilano nei file del registro risultano incomplete, poco accurate o totalmente insignificanti» ha affermato Freund. Secondo l'organizzazione oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l'accordo commerciale tra Ue ed USA non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. Per Transparency International si rendono indispensabili alcuni passi in avanti che riguardino l’obbligatorietà del registro delle lobby e l'introduzione di “un'impronta legislativa” , ossia una testimonianza dell'influenza dei lobbisti su una parte di legislazione.   Fonte: Irene Giuntella - Il Sole 24 Ore

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L’iniziativa di regolare la lobby ripresa nel patto di maggioranza nella Comunità di Madrid tra il Partito Popolare e Ciudadanos (il “partito dei cittadini” madrileno) è un buon esempio degli effetti salutari di rigenerazione democratica che il movimento di Alberto Rivera sta ottenendo con i suoi accordi. La creazione di un Registro Pubblico degli Interessi in seno all'Assemblea, simile a quello che già esiste nel Parlamento di Bruxelles, è un primo passo necessario che le organizzazioni della società civile portatrici di legittimi interessi (associazioni di tutti i tipi, ONG e le stesse imprese, che la richiedono a gran voce da mesi) abbiano anche accesso a un dialogo trasparente con le istituzioni. Il governo ha perso l'occasione per raccogliere questa idea al Congresso dei Deputati e all’Unione delle camere territoriali del Paese quando ha elaborato la Legge sulla Trasparenza, di cui si parla da quasi un anno e mezzo. Storicamente, questa richiesta è stata portata in Parlamento da formazioni di diversi colori: da Alleanza Popolare agli albori della democrazia; da CDS e PSOE negli anni '90, e negli ultimi anni, da Sinistra Unita e CiU. Mariano Rajoy l’ha proposta durante il dibattito sullo stato della nazione nel 2013. Sembrava che sarebbe stato possibile portare avanti questa riforma con un insolito e quasi plebiscitario consenso politico. È però bastata la resistenza naturale di chi fa del traffico d'influenza e dell’opacità un proprio marchio di fabbrica a far sì che non fosse ancora stata portata alla luce alcuna legge. Assieme alla regolazione del lobbying dovrebbe essere prevista l'imposizione di un rigido regime di incompatibilità parlamentari. C'è il caso recente di pagamenti ingiustificati ai membri Federico Trillo e Vicente Martínez-Pujalte (già riportato qui) per aver prestato una consulenza “fantasma” ad una società di aggiudicazione di appalti pubblici in Castilla y Leon, dove governa il loro partito, il PP. La consulenza sarebbe stata la prova che l’appaltatore li avesse influenzati (ovviamente, in modo illecito) per avere dei punti di riferimento a proprio favore all’interno del gruppo politico di maggioranza. È proprio per evitare che questo all'oscurantismo lucroso rompa la fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti, che devono essere rispettate la massima integrità e responsabilità quando agiscono su quella linea sottile che unisce interessi pubblici e privati. I gruppi di interesse sono un elemento fondamentale del processo democratico di una società avanzata e possono arricchire e migliorare la decisione pubblica, come negli Stati Uniti. I meccanismi di controllo democratico sarebbero integrati da un codice di condotta e della diffusione regolare degli ordini del giorno dei deputati e funzionari, perché gli spagnoli esercitino il loro diritto di partecipare e conoscere i processi decisionali pubblici che li riguardano. Fonte: El Mundo

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