Lobbista a chi? In Italia, la rappresentazione del professionista che opera per conto di un gruppo di pressione disegna più spesso una figura negativa o comunque dal profilo ambiguo, indefinito, per certi versi misterioso. Quello che la stampa definisce col termine “faccendiere”, dedito ad affari e accordi poco puliti e nient’affatto trasparenti. Eppure in Europa un registro comune e pubblico «per la trasparenza» raccoglie informazioni su figure che non hanno nulla da nascondere. Il lobbista vero insomma fa il suo mestiere, cerca di influenzare la politica nell’interesse di un qualsivoglia gruppo (di una lobby, appunto).
Il fenomeno, connaturato allo sviluppo delle democrazie moderne, è esso stesso indice di democrazia. Ben venga dunque l’istituzione di un nuovo registro unico di lobby e lobbisti, timbrato presso le istituzioni del Vecchio continente. Una novità assoluta portata dall’estate?
«Non esattamente». Pier Luigi Petrillo, docente di Diritto pubblico comparato, rammenta che «al Parlamento europeo il registro è aperto da dieci anni».
Nel 2011 si è stabilito di accorpare a quello un altro registro compilato però su base volontaria e depositato in sede di Commissione europea. Petrillo, professore dell’Unitelma Sapienza e della Luiss Guido Carli, studia e maneggia da tempo la materia. Ha scritto il recente “Democrazie sotto pressione. Parlamento e lobby nel diritto pubblico comparato” (Giuffrè Editore), mentre all’Unesco si è adoperato a sostegno della candidatura della dieta mediterranea a Patrimonio mondiale immateriale dell’umanità. E si era speso anche per sostenere la candidatura delle Dolomiti.
Dunque confessa, ha fatto lobbismo.
«In senso lato sì. In senso stretto ho portato avanti un lungo negoziato diplomatico. Per conto dei ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura italiani si è esercitata una pressione nell’interesse della doppia candidatura».
Professore, a cosa serve l’istituzione del registro comune Ue?
«Serve al cittadino per conoscere tutti gli attori presenti sulla scena politica continentale, lobbisti compresi. Come da copione previsto in ogni sistema democratico e dalla giurisprudenza. Ed è positivo che serva a conoscere quanti soldi sono nelle disponibilità di ciascuna lobby. Attenzione, però. Si deve partire dal presupposto che il registro comune nasce incompleto».
L’iscrizione non è obbligatoria?
«Il problema è che l’iscrizione al registro non è obbligatoria per la lobby con una rappresentanza presso la Commissione. Di fatto l’iscrizione non è nell’interesse della lobby. Io se fossi un lobbista non mi iscriverei».
Per ora in Europa si fa così. In Italia si fa ma non si dice. E in America come fanno?
«Negli Usa, dal 1946 si è pensato di regolamentare l’attività delle lobby. Poi, con gradualità, si è regolato il fronte della relazione dalla parte del decisore pubblico (il governo, il parlamento, l’amministrazione locale, ndr). Oltreoceano si è sempre più attenti a impedire il meccanismo della revolving door, della porta girevole. Per qualche tempo l’ex funzionario non potrà fare il lobbista».
Resta il fatto che in Italia la parola suona male.
«È così, non si constata la naturalezza del fenomeno lobbistico. E di fronte all’emergere del fenomeno o si finge stupore, o si manifesta indignazione. Come se l’attività del lobbista avesse bisogno di una legittimazione. Errore, la sua attività è pienamente legittima».
Come quella svolta dalle parti sociali?
«Precisiamo. L’attività di concertazione è un’altra cosa. Quello è un altro tavolo ancora. Le decisioni che si prendono a quel tavolo sono l’effetto di una trattativa».
Invece il lobbista come influenza il decisore?
«Ecco, il lobbista influenza, non concerta. Trasmette informazioni al decisore motivando l’urgenza o la necessità di un certo provvedimento. La lobby sostiene il decisore motivato a tutelare i suoi interessi. A proposito: si capisce bene l’importanza di regolamentare il sistema del finanziamento dei privati ai partiti politici».
Perché della scena politica italiana non si illuminano tutti gli attori?
«Per ragioni storiche e culturali è stata concessa rappresentanza e rappresentazione solamente ai partiti o quasi. Come se i partiti applicassero programmi e approvassero leggi ispirati da una visione del mondo senza tempo. Ma la società e i suoi interessi economici premono da sempre sui poteri legislativi ed esecutivi. Non c’è niente di scandaloso in questo. Ancora troppi si vergognano ad ammettere che il re è nudo».
Non si riconosce che il decisore è circondato da lobbisti. A Roma quanti sono?
«Impossibile a dirsi. Non intendo sbilanciarmi, in assenza di dati certi».
Servirebbe un registro?
«Eventualmente, basterebbe applicare norme già esistenti. Il riferimento ai cosiddetti interessi oscuri non dovrebbe riflettere un pregiudizio nei confronti del fantomatico lobbista cattivo. Piuttosto, dovrebbe esprimere l’interesse a illuminare il processo decisionale».
Così fan tutti per i propri interessi
L’Accademia Eraclitea di Catania, ente di formazione accreditato, dichiara di avere speso circa 100 mila euro per l’attività di rappresentanza dei suoi interessi presso le istituzioni europee (Parlamento e Commissione). Il network continentale delle distillerie di vino Widen, fondato da Bertagni Consulting, società di servizi alle imprese di Anzio, dichiara di avere speso meno della metà per lo svolgimento dello stesso compito presso le medesime sedi.
Dalla a alla z, nel nuovo Registro unico di lobby e lobbisti presenti a Bruxelles si scorre il sottoelenco delle rappresentanze provenienti dall’Italia: 358, a settembre. Su 4.322 comprese nell’elenco generale. Di queste 358, 278 risultano attive presso la Commissione (che gestisce la politica dell’Unione e il suo bilancio economico, che negozia gli accordi commerciali con il resto del mondo). In 123 rappresentano organizzazioni non governative e associazioni politiche, 120 rappresentano imprese, associazioni d’imprese e professionali e sindacati, 73 enti locali e altri enti, 42 società di consulenza in affari pubblici e altre società.
Qualche altro nome e qualche altro numero? Edison stima che fare lobbying – nel 2010 – le è costato più di 300 mila euro, Enel stima una spesa superiore ai 350 mila euro, Intesa Sanpaolo superiore ai 150 mila, Pirelli ai 100 mila, Unicredit 400 mila. Le Ferrovie dello Stato stimano una spesa – nel 2009 – superiore ai 350 mila euro, Fiat superiore ai 200 mila euro, Finmeccanica ai 250 mila, Terna 650 mila. E via registrando dati resi pubblici sul web, da incrociare con quelli relativi al budget a disposizione, al numero di lobbisti impegnati, ai centri d’interesse dichiarati (particolari settori e comparti economici).
Per quanto parziali, si tratta pur sempre dei primi dati utili per la rintracciabilità delle relazioni «legittime e continue» tra le istituzioni europee e i gruppi di pressione. Nell’attesa infinita, forse vana, di apprendere un giorno i primi dati sul legittimo e continuo lobbismo all’italiana.
Francesco Vergani - Espansione. L'essenza delle cose
































