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La lobby italiana? E' 15 anni indietro
Scritto il 2007-07-14 da lobbyingitalia su Interviste

Franco Spicciariello lo definisce “una cassetta per gli attrezzi”, che segue la creazione del primo Master italiano in Public Affairs, Lobbying e Relazioni Istituzionali presso l’università LUMSA di Roma, giunto alla seconda edizione. Il suo libro “Introduzione alle relazioni istituzionali” (edito da Luiss University Press e scritto con il collega Emanuele Calvario) mostra tecniche, procedure ed errori dei lobbisti nostrani.

L’attività di lobbying è un cortocircuito o un triangolo virtuoso?
L’attività di lobbying fa cortocircuito o diventa triangolo virtuoso con politica e istituzioni a seconda di come queste compiono il proprio lavoro. Politica e istituzioni hanno infatti bisogno dei lobbisti, del know how che solo loro sono in grado di trasmettere, anche per superare l’utopia che lo Stato possa normare qualsiasi settore senza il coinvolgimento di chi quei settori stessi li conosce bene e li rappresenta. Ma qui non mi riferisco al sistema della concertazione, ma ad uno più leggero di consultazione organizzata, che preveda uno scambio continuo tra i vari soggetti in campo, pubblici e privati. Anche per evitare che un ddl approdi improvvisamente sul tavolo di un Consiglio dei Ministri e poi venga stravolto in Parlamento dall’assalto delle lobbies.

E’ qui il cortocircuito?
Sono lobbies che peraltro fanno il loro lavoro di rappresentanza, nei confronti delle quali è la politica che deve essere capace di rendersi indipendente. Quando alcuni giorni fa il presidente dell’AGCM Catricalà ha criticato le lobbies per aver frenato le liberalizzazioni, ha errato nel momento in cui non ha fatto le dovute distinzioni fra le lobbies che quelle liberalizzazioni le vogliono e le sostengono e le lobbies che invece fanno solo blocco. Purtroppo al momento stanno vincendo queste ultime.

Perché i lobbisti sono sempre interessati a regolamentare l'attività e alla trasparenza ma non la politica, che non ritiene questo una priorità?
In realtà non tutti i lobbisti sono interessati a regolamentare l’attività, anzi. Molti rifuggono un qualsiasi tipo di regolamentazione, anche se per motivi diversi. Diciamo per “quelli buoni” la motivazione è relativa all’evitare strette alla professione che possano impedire il libero sviluppo del business del lobbying. Gli “altri” invece, perché il rischio sarebbe quello di rendere, in parte, trasparenti, attività che conducono in modo assolutamente non trasparente.

E' un modo, quello dei politici, per continuare a gestire le relazioni istituzionali in modo più “nascosto”?
Che i politici in realtà non abbiano nessuna volontà di normare i rapporti fra politica, interessi e istituzioni credo ormai sia più che chiaro. Credo che una delle motivazioni principali sia anche legata al fatto che molti dei nostri parlamentari sono a loro volta lobbisti, rappresentanti di interessi economici e territoriali, che molto spesso esulano assai da quell’interesse generale e pubblico. C’è poi anche un’evidente volontà di non rendere pubblici determinati rapporti di cui purtroppo spesso sappiamo solo dalle intercettazioni pubblicate dai giornali.

Cosa manca all'Italia per raggiungere la professionalità anglosassone?
Manca innanzitutto una cultura politica adeguata, sia nei “rappresentanti nel popolo” che, spesso, tra i lobbisti. Lobbisti tra cui è ancora troppo diffusa la figura del “a Fra’ che te serve”, fatta di maneggioni, chiacchieroni, spacciatori di relazioni. Fortunatamente una nuova generazione è nata da un po’ ed è attiva sul mercato. Persone capaci, preparate a rappresentare interessi fatti di complessità estreme nei confronti delle istituzioni.

Quanta strada è stata fatta?
Di strada ne è sta fatta un bel po’ rispetto all’epoca pre-Tangentopoli. La nascita di società che dichiaratamente affermano di occuparsi di lobbying è stata sicuramente di grande aiuto. Queste società, come alcune altre, sono l’embrione dentro al quale stanno crescendo i giovani che andranno a formare la prima schiera di professionisti che in questo paese avranno la libertà e l’orgoglio di definirsi lobbisti.

Come è cambiata l'attività di Public Affairs?
E’ cambiata insieme alle tecnologie che hanno rivoluzionato la nostra vita e gli affari negli ultimi 10 anni. Oggi non è nel semplice contatto, nella relazione pura e semplice, che la rappresentanza di interessi si svolge. C’è invece la necessità di essere pienamente padroni della materia, sviluppando la capacità di diventare addirittura i punti di riferimento, in termini di contenuti, per i politici e le istituzioni che si occupano di uno specifico settore. E’ cambiato poi il sistema di fare una campagna di lobbying, che oggi non usa certo solo la stampa, ma che grazie alla rete vede la possibilità a volte di trovare il sostegno (o l’opposizione) di migliaia di persone. Impensabile fino a pochi anni fa.

Qual è l’errore tipico di un lobbista?
“La legge è stata approvata. Ce l’abbiamo fatta”. L’Italia, più di molti altri Paesi, è piena di leggi approvate, promulgate e mai applicate o implementate. Riuscire ad ottenere un provvedimento normativo favorevole è certamente un grande risultato, ma dimenticarsi della successiva necessaria attività da parte della pubblica amministrazione o del Governo potrebbe essere un errore fatale per gli interessi rappresentati dal lobbista. Quindi, finita la battaglia per l’approvazione della norma, la guerra continua…

Si parla poco d’Europa….
Purtroppo la lobby italiana in Europa, nonostante la presenza di molti italiani, e almeno 15 anni indietro rispetto a quella portata avanti da buona parte degli altri paesi. Purtroppo spesso aziende e confederazioni non comprendono l’importanza del ruolo di Bruxelles. Le Regioni hanno rappresentanze prossime all’inutilità. Roma spedisce a certi comitati funzionari che spesso arrivano impreparati e che non parlano una parola d’inglese o francese. Per questo sto cercando, coinvolgendo molti bravi professionisti del settore, ed in vista delle elezioni europee del 2009, di elaborare in un volume le nozioni, le tecniche e i sistemi più adeguati di fare lobbying verso l’Unione Europea. Un qualcosa che anche molti nostri politici, magari maestri nel rappresentare interessi al parlamento italiano, si sono spesso mostrati deficitari.

Antonella Bersani - L'Opinione delle Libertà


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