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Martin: “Meglio Washington di Bruxelles”
Scritto il 2004-09-13 da lobbyingitalia su Interviste

Nell’ultima legislatura l’eurodeputato austriaco Hans-Peter Martin si è impegnato contro lo strapotere dei lobbisti nell’Europarlamento e nelle altre istituzioni dell’Unione europea, ma non è riuscito nel suo obiettivo di imporre maggiore trasparenza in questa attività a causa dell’opposizione trasversale a vari gruppi politici e perfino all’interno del suo partito (Pse). Adesso che è stato rieletto come indipendente, riscuotendo un forte consenso in Austria, intende riprendere la sua iniziativa, che ritiene essenziale per garantire il rispetto dei principi democratici nei processi decisionali. «L’Ue è di fatto guidata dalle lobby più influenti, che vantano un potere enorme anche all’interno dell’Europarlamento - afferma Martin -. Questo argomento costituisce ancora un grande tabù in Europa. So che non mi sarà facile ottenere risultati. Ma sono stato eletto anche per contrastare le lobby e manterrò l’impegno».

Qual è l’obiettivo minimo che vorrebbe raggiungere?
«È importante almeno avvicinare l’Europa agli standard Usa. Già nella passata legislatura ho realizzato un rapporto che puntava a far introdurre regole di trasparenza almeno simili a quelle imposte nel Congresso di Washington. Ma la mia proposta non è passata. Così oggi il tanto criticato rapporto dei lobbisti con i parlamentari statunitensi risulta più trasparente rispetto a quanto avviene nell’Europarlamento».

Si possono quantificare le dimensioni del problema?
«I più qualificati osservatori ammettono che circa l’80% delle decisioni rilevanti per le politiche economiche nell’Ue vengono prese a Bruxelles. Di conseguenza le tre istituzioni, Consiglio, Commissione e Parlamento, hanno assunto grande importanza. Le lobby imprenditoriali e le grandi società hanno agito di conseguenza. Ben 2.600 gruppi d’interesse hanno sede a Bruxelles. La Commissione ha stimato che impieghino circa 10 mila persone. Tra i lobbisti e gli eurodeputati si verificano circa 70 mila contatti individuali all’anno».

Quali sono le lobby più potenti?
«Varie ricerche segnalano che le più efficaci sono quelle attive nei settori economici in cui c’è meno concorrenza. In generale le lobby più influenti sono quelle delle grandi imprese perché sono rappresentate due volte a Bruxelles, singolarmente e tramite l’organismo di categoria, dove assumono i ruoli più autorevoli. Gli interessi delle piccole e medie aziende risultano molto meno tutelati».

Meno tutelato di tutti appare il comune cittadino...
«Certo. Se si fa eccezione per le lobby ambientaliste, come Greenpeace o Wwf, il cittadino e la società civile non sono rappresentati a livello Ue da organismi davvero influenti. Molti provvedimenti comunitari riflettono questa sproporzione anche quando nascono per tutelare i consumatori».

Qual è l’istituzione più influenzata dalle lobby?
«L’Europarlamento è ritenuto più accessibile rispetto alla Commissione e al Consiglio. Molti eurodeputati sono considerati molto sensibili all’influenza delle lobby e non appartengono solo alla destra. Ma perfino il centinaio di gruppi di lavoro del Consiglio, formati da diplomatici spesso giovani, costituiscono un obiettivo dei lobbisti. Nella Commissione il condizionamento si realizza già nei libri bianchi e verdi, prima che vengano scritti e molto prima che la Commissione annunci l’argomento al pubblico».

Il potere delle lobby è in ascesa o stabile?
«Nella Commissione l’influenza dei lobbisti appare aumentata sotto la presidenza di Romano Prodi. Secondo alcuni funzionari, proposte di direttive sono state segnalate direttamente dalle lobby industriali. Nell’Europarlamento si parla di rapporti interni fatti scrivere a funzionari della Commissione. E spesso degli eurodeputati presentano emendamenti alle proposte legislative formulati "parola per parola" dalle industrie».

Esistono corruzione e conflitto di interessi?
«Problemi collegati all’accettazione di doni sono stati discussi in numerose occasioni. Ma c’è ancora troppo poca attenzione ai coinvolgimenti individuali negli interessi delle industrie. La sistematica attività di lobbying nelle istituzioni Ue di ex commissari ed ex eurodeputati è spesso sottovalutata. Il commissario Martin Bangemann è passato direttamente nelle telecomunicazioni alla fine del mandato. Leon Brittan si è messo a curare gli interessi di Londra come centro finanziario».

Come si può intervenire?
«Nessuno si aspetta che le lobby forniscano analisi indipendenti di un problema che coinvolge i loro interessi particolari. Ma basterebbe consentire ai parlamentari di essere meglio informati sull’argomento in discussione. Inoltre non è sufficiente che gli eurodeputati si limitino a dichiarare i loro personali interessi finanziari. È indispensabile introdurre maggiore trasparenza e regole di comportamento più efficaci».

Chi è
Hans-Peter Martin (47 anni, nella foto) è un ex giornalista investigativo austriaco eletto nell’Europarlamento con il Pse nella scorsa legislatura. Ha assunto fama internazionale riprendendo in segreto con una videocamera i suoi colleghi eurodeputati responsabili di sprechi di denaro pubblico o di «fare la cresta» sui già molto generosi rimborsi-spese. Non ha risparmiato nemmeno i colleghi socialisti ed è stato espulso dal Pse. Ricandidatosi nel giugno scorso con una sua lista indipendente ha ottenuto un clamoroso successo elettorale con il 14% dei voti.

Ivo Caizzi - Corriere della Sera

Tony Podesta uno degli uomini più ricchi e potenti degli Stati Uniti è a Roma invitato dalla Ferpi, la federazione relazioni pubbliche, per parlare di “ fundraising in politica”. Scarica l'articolo in pdf “I soldi sono come l’acqua, anche se provi a imbrigliarli, trovano sempre la loro strada”, sa il fatto suo “the lobbyst”, il lobbista, come lo ha definito il Newsweek. Americano ma con nonni italiani di Chiavari. La sua presenza in Italia per un importante confronto tra Italia e Stati Uniti. Podesta oltre ad essere un grande lobbista potrà offrire anche il suo punto di vista anche nella veste di fratello di John, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e poi direttore del Transiton Team di Barack Obama. Parlando di Obama viene immediato il parallelismo con Renzi. “ Hanno molto in comune, sono più giovani dei loro predecessori, sono entrambi molto ambiziosi e pieni di energia. Renzi come Obama, vuole cambiare il sistema e renderlo più trasparente e stabile”. Così Podesta. Alla domanda: quanto i valgano i soldi in politica e se le regole attuali del finanziamento riescano realmente a contrastare l’influenza delle lobby, Tony sorride e poi commenta: “Negli Usa siamo stati a lungo come il Far West, ma senza lo sceriffo. Ancora negli anni 70 il senatore democratico Herman Talmadge era solito mettere in una larga tasca del cappotto i soldi dei finanziatori”. Molte leggi, come quella del 74’, hanno provato a limitare le donazioni: “Ma quando i soldi incontrano la politica le buone intenzioni non bastano”. Visione cinica ma molto realistica di come stanno le cose. Una recente sentenza della Corte Suprema ( il caso McCutcheon). Che toglie il tetto di spesa complessivo per le donazioni di privati. Aumentando l’appetito dei finanziatori ma anche della politica. “ Alcuni di noi non apprezzano. Era meglio un limite. Anche perché non potremo più rispondere a chi ci chiede altri soldi: mi dispiace ma non si può”. Il pensiero va così al Watergate e il famoso “follow the money”, seguire il flusso dei soldi, fà capire molto. “L’unico modo per avere una reale competizione, è che ogni partito abbia lo stesso numero di ricchi a sostenerlo. Obama e Romney nell’ultima campagna hanno speso la stessa cifra circa un miliardo di dollari”. Poi c’è la “parte” dei lobbisti: “Conoscete i fratelli Koch? In due hanno speso 25 milioni di dollari per sconfiggere 7-8 candiati democratici al Senato. Davvero difficile conoscere i veri finanziatori. “ C’è un tetto solo per i finanziamenti ai candidati., ma non ci sono limiti a quanto si dà ai gruppi indipendenti, che poi finanziano i politici. E sono importi che non sono soggetti a rendicontazione”. Ma allora la politica può mantenere la propria autonomia navigando fra miliardi di dollari? “ Sì. Guardate quello che è successo nel 2008. Obama aveva grandi fondi da Wall Street. Poi ha fatto la riforma bancaria, la borsa si è ribellata e i fondi sono passati al repubblicano Romney. Però le elezioni le ha vinte lo stesso. Morale: non sempre i soldi controllano la politica. In Italia parte ora il sistema della contribuzione volontaria e lo stop progressivo del finanziamento pubblico. Staremo a vedere. Anche negli States c’era un sistema di finanziamento pubblico: “Obama l’ha fatto fuori. Perché pensava di raccogliere molti più soldi dai privati, più dei 70 milioni pubblici previsti. Non l’ha fatto per motivi ideali: voleva vincere. Davvero difficile pensare che gli italiani abbiano intenzione di dare soldi ai partiti, che non godono affatto di popolarità: “Non è che siano così amati neanche da noi. Ma la gente i soldi li dà a Obama, non al partito.” Il problema è che in Italia i lobbisti sono visti di cattivo occhio e spesso vengono etichettati come persone poco serie. “ Noi diamo solo informazioni e punti di vista. E siamo controllati: dobbiamo fare una relazione trimestrale sui nostri conti clienti e sull’oggetto della nostra attività. Da voi manca la trasparenza”. Vogliamo pensare che sicuramente non esiste neanche a Washington la trasparenza assoluta. Siamo viziati dalla serie televisiva House Of Cards? O forse ci fa comodo pensarlo perché con regole chiare funzionerebbe anche in Italia? Nel dubbio si potrebbe cominciare a pensare ad processo di regolamentazione di una professione che esiste a tutti gli effetti e alla quale bisognerebbe guardare con più attenzione ed apertura senza il solito sospetto “all’ italiana” sempre e comunque laddove i flussi di denaro sono più corposi.

Imprese - Lobbyingitalia

(Virginia Piccolillo) In settimana la bozza con le nuove regole per gli appalti. Renzi: Orsoni a casa, esempio per gli altri Scarica l'articolo in pdf Norme per ridurre le stazioni appaltanti, revisione del sistema di qualificazione di impresa, più trasparenza sui subappalti. Ma, a sorpresa, anche la legalizzazione delle lobby. Eccola la bozza del nuovo codice degli appalti, annunciato dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi come una delle contromisure che il governo intende adottare per evitare altri scandali Mose, la tangentopoli dell’impianto contro l’acqua alta a Venezia. Liquidato dal premier Matteo Renzi il sindaco Giorgio Orsoni («È uno di noi? Ha sbagliato? Bene, a casa. E che serva da esempio anche agli altri» ha detto ieri il leader pd), ora si punta a varare in fretta misure che facciano archiviare questa vicenda. Ma con quali esiti? Dipenderà da cosa verrà inserito nei provvedimenti. La revisione del codice degli appalti è uno dei punti chiave. La bozza è già pronta. In questa settimana verrà presentata ai gruppi parlamentari, alle parti sociali, all’Ance e a Confindustria, per le ultime limature. Per poter poi approdare al Consiglio dei ministri entro luglio. E Riccardo Nencini, viceministro delle Infrastrutture e segretario nazionale del Psi, che ha avuto la delega a riguardo ancor prima che esplodessero i casi Mose ed Expo, e ci lavora da Aprile, ci anticipa i punti salienti. A partire da una norma destinata a far discutere: la regolarizzazione delle lobby. Spiega Nencini: «Faremo in modo che i gruppi di pressione vengano alla luce del sole». Come? «Chiunque ricopra un ruolo istituzionale, se riceve un lobbista, dovrà annotare su un registro apposito tutto su quell’incontro: chi era, chi rappresentava e cosa chiedeva la persona ricevuta. Attualmente non c’è nessuna legge che regola questa attività, se si esclude quella della Toscana del 2001. Si tratta di mettere sulla stessa linea di partenza le aziende. Almeno dal punto di vista dell’informazione, ed evitare che chi è più vicino al governo possa trarne vantaggio». Ai dubbi se sia il caso di rendere la vita più facile alle lobby, il viceministro risponde così: «Lo fanno già ed è ipocrita non tenerlo presente. Gli Usa hanno deciso di renderli trasparenti». Nel testo della bozza, oltre allo stop alle deroghe, e la revisione del sistema di qualificazione delle imprese, anche il débat public: il coinvolgimento dei cittadini sulle Grandi opere con campagne informative sul territorio. Esclusa la possibilità di dire «no»: «Il decisore alla fine resta lo stesso. Ma se ci fosse stata sui lavori Tav, non avremmo evitato i black-block, però la popolazione sarebbe stata informata in tempo utile sui pro e i contro per valutare da sola l’impatto», chiarisce il viceministro. Ci sarà anche una riduzione delle 36 mila stazioni appaltanti per il milione di appalti banditi ogni anno. Ma non è tutto. Si punterà alla prevenzione dello sperpero con due diligence . A partire dal Mose. «Leggiamo di costi per sovrafatturazioni. Ma il ministero deve ancora erogare fondi. Bisogna capire se sono congrui, alla luce di quanto emerge, o se possono essere tagliati — conclude Nencini —. Io lo farei».

Imprese - Lobbyingitalia

Si parte la mattina presto con la lettura dei quotidiani e la rassegna stampa. Poi si continua con il lavoro che le porta più tempo: il monitoraggio degli atti legislativi pubblicati sui siti del Parlamento e governativi. Comincia così la giornata lavorativa di Fabiana Nacci, 25 anni, barese che lavora a Roma per la società Utopia Lab, giovane società di lobbying romana. Fabiana lavora dietro le quinte, fa attività di studio, e non si definisce lobbista («sono una persona che sta acquisendo esperienza e aspira a diventarlo», afferma). «Lobbista», comunque, è una definizione che non le dispiace. La società per cui lavora si chiama infatti «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying»: ha una decina di dipendenti (il più anziano ha 32 anni; il presidente è Giampiero Zurlo, che ha esperienze di assistente parlamentare per il centrodestra) e il termine «lobbying» indicato subito, con l’obiettivo di sdoganare la parola che in Italia non gode di ottima fama. Fabiana, dopo aver frequentato il liceo classico Socrate a Bari, si è trasferita a Roma per studiare all’università Luiss: laurea triennale in scienze politiche, poi la magistrale in relazioni internazionali. «Una settimana dopo aver preso la laurea triennale ho risposto a un annuncio per uno stage segnalato dalla Luiss. Ho cominciato così e in seguito sono entrata a far parte del gruppo», spiega. «All’inizio avevo una vaga idea su quale fosse il mondo delle relazioni pubbliche. Avevo soltanto conosciuto dei lobbisti a Bruxelles, durante una simulazione per l’università al Parlamento europeo. Ho poi imparato il mestiere sul campo». E allora, cosa fa il lobbista? «Il nostro compito è modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti. Nel mio caso seguo l’iter legislativo. Leggo proposte e disegni di legge e capisco se possono interessare i nostri clienti, nel caso li avvisiamo e cerchiamo insieme di capire se ci sono possibilità di inserire, modificare o cancellare emendamenti, ovviamente solo se si tratta di proposte ragionevoli. Realizzo quindi una mappatura dei decision makers, ovvero le persone possono essere coinvolte nel processo decisionale, come i parlamentari o i sottosegretari. Dopo aver scritto il testo, il nostro capo contatta i decision makers». Un caso concreto? «Qualche tempo fa studiammo per conto di Smartbox (la società dei pacchetti turistici in regalo venduti anche nelle librerie, ndr) il Codice del turismo: abbiamo analizzato tutta la legislazione italiana e anche internazionale per capire quali modifiche andavano fatte per regolamentare il settore». Insomma, il lobbista deve saper convincere i politici. E per fare questo ci vuole una certa dose di bravura: «bisogna saper spiegare in modo chiaro e abbastanza celere qual è il problema». Il modello sono gli americani. Sul sito della società, in apertura, c’è una frase di John F. Kennedy: «I lobbisti impiegano dieci minuti e tre pagine per farmi capire un problema. I miei assistenti hanno bisogno di tre giorni e di una tonnellata di cartacce». Certo, non tutti sono avvicinabili. Inutile parlare con il Movimento Cinque Stelle per esempio, che a fine dicembre denunciarono una classe politica schiava della «folla dei lobbisti che assedia il Parlamento». «Ma noi operiamo nella massima trasparenza e il nostro lavoro è basato sulla nostra preparazione. Di certo non diamo mazzette o facciamo regali che possano influenzare il decisore pubblico», spiega Fabiana. Dicembre, tra l’altro, è il periodo peggiore per chi fa questo mestiere, perché viene discussa la Legge di stabilità, che contiene di solito migliaia di emendamenti diversi tra loro e messi alla rinfusa. «Abbiamo dovuto analizzare tremila emendamenti presentati al Senato e i tremila alla Camera, un incubo». Tra i clienti della società ci sono organizzazioni ambientali (FareAmbiente), grosse società (Mistralair di Poste italiane) e anche Google Italia, società che nel 2013 ha speso solamente negli Stati Uniti oltre 10 milioni di dollari per attività di lobbying. Per fare il lobbista c’è anche un corso di studi. Il mese prossimo partirà proprio alla Luiss la terza edizione del master di secondo livello in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa (le iscrizioni scadono il 17 gennaio). Il condirettore e cofondatore è il manager barese Francesco Delzio. «In Italia il termine lobbista – spiega Delzio – è vittima di una sorte cinica e bara. Viene considerata una professione oscura e condotta fuori dalla legge. Invece nel mondo anglosassone i lobbisti sono considerati professionisti a tutti gli effetti, che si muovono all’interno delle istituzioni nella massima trasparenza. In Italia, invece, la professione va ricostruita rispetto al modello Bisignani (coinvolto nell’inchiesta P4, ndr). Le materie fondamentali che insegniamo nel master – continua Delzio – sono tre: diritto, economia e comunicazione. Un lobbista può lavorare in un’agenzia, in una grande azienda, in un sindacato o in una organizzazione non governativa. Al momento c’è una grossa fetta di mercato aperta e ci sono diverse opportunità di lavoro in questo settore». Il settore è in crescita, dunque, anche se restano i problemi. «La vera causa della concezione di lobbista come sterco del diavolo – continua Delzio – sta nella mancanza di regolamentazione. Non c’è un albo». Dal 1976 sono stati presentati oltre 40 disegni di legge per regolamentare la professione. L’Unione europea, invece, prevede un albo ufficiale (anche se non vincolante): è il Registro per la trasparenza, che contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell’Ue», si legge sul sito. Sono iscritte oltre 5800 organizzazioni, di cui 503 italiane. E non sono soltanto società di lobbying. C’è di tutto: dalla Rai al Wwf, da Confindustria alla Federazione italiana hockey all’Ordine equestre Arcadia di Lecce. Infatti, conclude Delzio: «Chiunque è portatore di gruppi di interessi è un lobbista, anche i movimenti spontanei di cittadini che chiedono di parlare con le istituzioni». Fonte: Corriere.it

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