NEWS
Artisti del persuadere, ma in trasparenza
Scritto il 2004-09-13 da lobbyingitalia su Italia

C’era una volta il faccendiere, che prendeva sottobraccio l’onorevole in Transatlantico per mettere in moto la leggina di spesa in favore del suo business o per saltare sul decreto omnibus di turno. La vigilia della finanziaria era una festa, un tripudio per il veterolobbismo di stampo pre-Tangentopoli. Poi c’è stata l’inchiesta di Mani pulite, la fine delle partecipazioni statali, l’indebolimento dei potentati familiari. Le cose si sono complicate.

La finanziaria attira ancora grande interesse, ma il Parlamento non è più un astro così centrale nel firmamento del potere. Il vincolo di stabilità e la sentenza della Corte Costituzionale del 1996, che ha imposto l’omogeneità dei decreti legge, ha fatto venir meno la pratica dei decreti omnibus , che erano un buon terreno per i lobbisti. Le deleghe legislative comportano un lavoro a monte più importante, dove i contenuti sono sempre più complessi, fuori dalla portata dei faccendieri vecchio stampo. L’ondata delle privatizzazioni ha portato alla ribalta le esigenze di trasparenza del mercato.

Con la creazione di autorità indipendenti, si è aperto un nuovo fronte istituzionale, chiamato a regolare interessi molto rilevanti. E i primi passi del federalismo hanno ulteriormente moltiplicato gli interlocutori. Per i lobbisti italiani è un mal di testa dietro l’altro. Ma anche un’occasione di crescita. «Il pregiudizio nei confronti dell’attività di lobbying come forma di corruzione è duro a morire, anche perché manca in Italia una consapevolezza diffusa del ruolo sociale delle imprese. Ma questa consapevolezza sta crescendo e così anche il mestiere del lobbista.

Certo è importante che la tutela degli interessi delle imprese si svolga in un contesto istituzionale chiaro, che sia governata dalla trasparenza e dalla correttezza dei comportamenti e delle relazioni fra i decisori e i corpi sociali», spiega Massimo Romano, responsabile delle relazioni istituzionali di Enel dopo una lunga esperienza in Federacciai, Ilva e Lucchini. Romano fa parte di quella categoria di lobbisti «privilegiati», che possono permettersi di dedicarsi anima e corpo a una sola causa e di conseguenza conoscono fin nei minimi dettagli le esigenze che rappresentano. Si tratta di un gruppo piuttosto ristretto, composto da personaggi del calibro di Eugenio Palmieri di Eni (ex direttore dell’Agi), o Silvio Sircana di Ferrovie (già capo ufficio stampa dell’Iri e portavoce di Romano Prodi), Gina Nieri, capo delle relazioni istituzionali e consigliere d’amministrazione di Mediaset, o Giuseppe Sammartino di Farmindustria (già Tim e H3G).

Accanto a questa categoria di lobbisti «tradizionali» ne emerge un’altra, sempre più attiva: quella delle società di consulenza specializzate nelle relazioni istituzionali, che rappresentano di volta in volta interessi diversi, ma sempre con un approccio molto professionale. «Questo fiorire di professionisti rappresenta la novità più significativa degli ultimi anni, una novità che segnala un progresso della cultura d’impresa italiana verso una maggiore trasparenza», commenta Ruben Razzante, docente di Diritto europeo dell’informazione e della comunicazione all’Università Cattolica di Milano.

Scottate dal lobbismo alla Calisto Tanzi e dai guai dell’antico clientelismo, le imprese apprezzano sempre di più la possibilità di portare le proprie istanze all’attenzione dei decisori in maniera serena e documentata, alla luce del sole. «Il mestiere del lobbista non è più quello di un intermediario con le entrature giuste, ma del professionista che fornisce tutte le informazioni del caso a chi deve decidere», spiega Massimo Micucci, fondatore insieme a Claudio Velardi e Antonio Napoli di una delle società italiane più aggressive su questo fronte, Reti, che si occupa soprattutto di piccole e medie imprese, si muove in un mercato sempre più affollato: da Pms di Patrizio Maria Surace a Fb Communications di Fabio Bistoncini, da Barabino di Luca Barabino (che si occupa principalmente di comunicazione, ma ha anche qualche professionista a Roma e a Bruxelles impegnato sul fronte delle relazioni istituzionali), a Sec di Fiorenzo Tagliabue, la fioritura è rigogliosa. Nel loro sito, Micucci e compagni citano una frase di John Fitzgerald Kennedy: «I lobbisti mi fanno comprendere un problema in tre minuti, i miei collaboratori in tre giorni».

Dalla mediazione all’informazione, quindi. «Chi fa le leggi - insiste Licia Soncini, ex Montedison, fondatrice di Nomos, una società particolarmente attiva sui temi dell’energia e dell’ambiente - non può essere onnisciente. Il compito del lobbista è appunto di spiegare nei dettagli le ricadute di un provvedimento, chiarendo preventivamente quali interessi rappresenta». L’attività di documentazione e la conoscenza approfondita delle procedure sono due punti chiave di questo lavoro. «I nuovi lobbisti - chiarisce Razzante - si studiano i dossier, approfondiscono gli aspetti critici, si presentano con una conoscenza delle regole e con una capacità d’intrecciare rapporti nel rispetto di codici etici ben precisi, tipici dei sistemi economici maturi».

Non a caso a questa categoria in forte crescita appartengono anche le grandi società anglosassoni che dominano il settore, come l’americana Weber Shandwick (del gruppo Interpublic), la più grande società di pubbliche relazioni del mondo, o Burson-Marsteller (del gruppo britannico Wpp, che schiera anche Hill & Knowlton), sempre più attive in Italia. «La necessità d’intrattenere anche un dialogo con Bruxelles, dove hanno origine le linee guida più importanti per quasi tutti i settori, porta molte aziende a scegliere una multinazionale come la nostra, che nella capitale europea ha un ufficio dove sono rappresentate 21 nazionalità diverse», spiega Eric Gerritsen (ex Procter & Gamble e Armando Testa), l’olandese ormai italianizzato che guida Burson Marsteller Italia. «Ma sempre più spesso il nostro ruolo è complementare a quello di chi si occupa di relazioni istituzionali all’interno delle imprese, che ci affida dei progetti specifici o delle aree più difficili da coprire», precisa Furio Garbagnati, amministratore delegato di Weber Shandwick.

La crescente complessità del panorama decisionale, la perdita di peso di centri di lobbismo istituzionale - come i sindacati o le associazioni di categoria - e la moltiplicazione dei nuovi gruppi di pressione, insomma, creano esigenze sempre più articolate di rappresentanza anche nel tessuto economico del Paese. «Non mi stupirei - sogna Razzante - di veder sorgere ben presto anche qui delle scuole di specialità, simili alle grandi scuole del mondo anglosassone».

Elena Comelli - Corriere della Sera

Tony Podesta uno degli uomini più ricchi e potenti degli Stati Uniti è a Roma invitato dalla Ferpi, la federazione relazioni pubbliche, per parlare di “ fundraising in politica”. Scarica l'articolo in pdf “I soldi sono come l’acqua, anche se provi a imbrigliarli, trovano sempre la loro strada”, sa il fatto suo “the lobbyst”, il lobbista, come lo ha definito il Newsweek. Americano ma con nonni italiani di Chiavari. La sua presenza in Italia per un importante confronto tra Italia e Stati Uniti. Podesta oltre ad essere un grande lobbista potrà offrire anche il suo punto di vista anche nella veste di fratello di John, ex capo di gabinetto di Bill Clinton e poi direttore del Transiton Team di Barack Obama. Parlando di Obama viene immediato il parallelismo con Renzi. “ Hanno molto in comune, sono più giovani dei loro predecessori, sono entrambi molto ambiziosi e pieni di energia. Renzi come Obama, vuole cambiare il sistema e renderlo più trasparente e stabile”. Così Podesta. Alla domanda: quanto i valgano i soldi in politica e se le regole attuali del finanziamento riescano realmente a contrastare l’influenza delle lobby, Tony sorride e poi commenta: “Negli Usa siamo stati a lungo come il Far West, ma senza lo sceriffo. Ancora negli anni 70 il senatore democratico Herman Talmadge era solito mettere in una larga tasca del cappotto i soldi dei finanziatori”. Molte leggi, come quella del 74’, hanno provato a limitare le donazioni: “Ma quando i soldi incontrano la politica le buone intenzioni non bastano”. Visione cinica ma molto realistica di come stanno le cose. Una recente sentenza della Corte Suprema ( il caso McCutcheon). Che toglie il tetto di spesa complessivo per le donazioni di privati. Aumentando l’appetito dei finanziatori ma anche della politica. “ Alcuni di noi non apprezzano. Era meglio un limite. Anche perché non potremo più rispondere a chi ci chiede altri soldi: mi dispiace ma non si può”. Il pensiero va così al Watergate e il famoso “follow the money”, seguire il flusso dei soldi, fà capire molto. “L’unico modo per avere una reale competizione, è che ogni partito abbia lo stesso numero di ricchi a sostenerlo. Obama e Romney nell’ultima campagna hanno speso la stessa cifra circa un miliardo di dollari”. Poi c’è la “parte” dei lobbisti: “Conoscete i fratelli Koch? In due hanno speso 25 milioni di dollari per sconfiggere 7-8 candiati democratici al Senato. Davvero difficile conoscere i veri finanziatori. “ C’è un tetto solo per i finanziamenti ai candidati., ma non ci sono limiti a quanto si dà ai gruppi indipendenti, che poi finanziano i politici. E sono importi che non sono soggetti a rendicontazione”. Ma allora la politica può mantenere la propria autonomia navigando fra miliardi di dollari? “ Sì. Guardate quello che è successo nel 2008. Obama aveva grandi fondi da Wall Street. Poi ha fatto la riforma bancaria, la borsa si è ribellata e i fondi sono passati al repubblicano Romney. Però le elezioni le ha vinte lo stesso. Morale: non sempre i soldi controllano la politica. In Italia parte ora il sistema della contribuzione volontaria e lo stop progressivo del finanziamento pubblico. Staremo a vedere. Anche negli States c’era un sistema di finanziamento pubblico: “Obama l’ha fatto fuori. Perché pensava di raccogliere molti più soldi dai privati, più dei 70 milioni pubblici previsti. Non l’ha fatto per motivi ideali: voleva vincere. Davvero difficile pensare che gli italiani abbiano intenzione di dare soldi ai partiti, che non godono affatto di popolarità: “Non è che siano così amati neanche da noi. Ma la gente i soldi li dà a Obama, non al partito.” Il problema è che in Italia i lobbisti sono visti di cattivo occhio e spesso vengono etichettati come persone poco serie. “ Noi diamo solo informazioni e punti di vista. E siamo controllati: dobbiamo fare una relazione trimestrale sui nostri conti clienti e sull’oggetto della nostra attività. Da voi manca la trasparenza”. Vogliamo pensare che sicuramente non esiste neanche a Washington la trasparenza assoluta. Siamo viziati dalla serie televisiva House Of Cards? O forse ci fa comodo pensarlo perché con regole chiare funzionerebbe anche in Italia? Nel dubbio si potrebbe cominciare a pensare ad processo di regolamentazione di una professione che esiste a tutti gli effetti e alla quale bisognerebbe guardare con più attenzione ed apertura senza il solito sospetto “all’ italiana” sempre e comunque laddove i flussi di denaro sono più corposi.

Imprese - Lobbyingitalia

(Virginia Piccolillo) In settimana la bozza con le nuove regole per gli appalti. Renzi: Orsoni a casa, esempio per gli altri Scarica l'articolo in pdf Norme per ridurre le stazioni appaltanti, revisione del sistema di qualificazione di impresa, più trasparenza sui subappalti. Ma, a sorpresa, anche la legalizzazione delle lobby. Eccola la bozza del nuovo codice degli appalti, annunciato dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi come una delle contromisure che il governo intende adottare per evitare altri scandali Mose, la tangentopoli dell’impianto contro l’acqua alta a Venezia. Liquidato dal premier Matteo Renzi il sindaco Giorgio Orsoni («È uno di noi? Ha sbagliato? Bene, a casa. E che serva da esempio anche agli altri» ha detto ieri il leader pd), ora si punta a varare in fretta misure che facciano archiviare questa vicenda. Ma con quali esiti? Dipenderà da cosa verrà inserito nei provvedimenti. La revisione del codice degli appalti è uno dei punti chiave. La bozza è già pronta. In questa settimana verrà presentata ai gruppi parlamentari, alle parti sociali, all’Ance e a Confindustria, per le ultime limature. Per poter poi approdare al Consiglio dei ministri entro luglio. E Riccardo Nencini, viceministro delle Infrastrutture e segretario nazionale del Psi, che ha avuto la delega a riguardo ancor prima che esplodessero i casi Mose ed Expo, e ci lavora da Aprile, ci anticipa i punti salienti. A partire da una norma destinata a far discutere: la regolarizzazione delle lobby. Spiega Nencini: «Faremo in modo che i gruppi di pressione vengano alla luce del sole». Come? «Chiunque ricopra un ruolo istituzionale, se riceve un lobbista, dovrà annotare su un registro apposito tutto su quell’incontro: chi era, chi rappresentava e cosa chiedeva la persona ricevuta. Attualmente non c’è nessuna legge che regola questa attività, se si esclude quella della Toscana del 2001. Si tratta di mettere sulla stessa linea di partenza le aziende. Almeno dal punto di vista dell’informazione, ed evitare che chi è più vicino al governo possa trarne vantaggio». Ai dubbi se sia il caso di rendere la vita più facile alle lobby, il viceministro risponde così: «Lo fanno già ed è ipocrita non tenerlo presente. Gli Usa hanno deciso di renderli trasparenti». Nel testo della bozza, oltre allo stop alle deroghe, e la revisione del sistema di qualificazione delle imprese, anche il débat public: il coinvolgimento dei cittadini sulle Grandi opere con campagne informative sul territorio. Esclusa la possibilità di dire «no»: «Il decisore alla fine resta lo stesso. Ma se ci fosse stata sui lavori Tav, non avremmo evitato i black-block, però la popolazione sarebbe stata informata in tempo utile sui pro e i contro per valutare da sola l’impatto», chiarisce il viceministro. Ci sarà anche una riduzione delle 36 mila stazioni appaltanti per il milione di appalti banditi ogni anno. Ma non è tutto. Si punterà alla prevenzione dello sperpero con due diligence . A partire dal Mose. «Leggiamo di costi per sovrafatturazioni. Ma il ministero deve ancora erogare fondi. Bisogna capire se sono congrui, alla luce di quanto emerge, o se possono essere tagliati — conclude Nencini —. Io lo farei».

Imprese - Lobbyingitalia

Si parte la mattina presto con la lettura dei quotidiani e la rassegna stampa. Poi si continua con il lavoro che le porta più tempo: il monitoraggio degli atti legislativi pubblicati sui siti del Parlamento e governativi. Comincia così la giornata lavorativa di Fabiana Nacci, 25 anni, barese che lavora a Roma per la società Utopia Lab, giovane società di lobbying romana. Fabiana lavora dietro le quinte, fa attività di studio, e non si definisce lobbista («sono una persona che sta acquisendo esperienza e aspira a diventarlo», afferma). «Lobbista», comunque, è una definizione che non le dispiace. La società per cui lavora si chiama infatti «Utopia Lab – Relazioni istituzionali, comunicazione & lobbying»: ha una decina di dipendenti (il più anziano ha 32 anni; il presidente è Giampiero Zurlo, che ha esperienze di assistente parlamentare per il centrodestra) e il termine «lobbying» indicato subito, con l’obiettivo di sdoganare la parola che in Italia non gode di ottima fama. Fabiana, dopo aver frequentato il liceo classico Socrate a Bari, si è trasferita a Roma per studiare all’università Luiss: laurea triennale in scienze politiche, poi la magistrale in relazioni internazionali. «Una settimana dopo aver preso la laurea triennale ho risposto a un annuncio per uno stage segnalato dalla Luiss. Ho cominciato così e in seguito sono entrata a far parte del gruppo», spiega. «All’inizio avevo una vaga idea su quale fosse il mondo delle relazioni pubbliche. Avevo soltanto conosciuto dei lobbisti a Bruxelles, durante una simulazione per l’università al Parlamento europeo. Ho poi imparato il mestiere sul campo». E allora, cosa fa il lobbista? «Il nostro compito è modificare, introdurre o eliminare disposizioni che interessano i nostri clienti. Nel mio caso seguo l’iter legislativo. Leggo proposte e disegni di legge e capisco se possono interessare i nostri clienti, nel caso li avvisiamo e cerchiamo insieme di capire se ci sono possibilità di inserire, modificare o cancellare emendamenti, ovviamente solo se si tratta di proposte ragionevoli. Realizzo quindi una mappatura dei decision makers, ovvero le persone possono essere coinvolte nel processo decisionale, come i parlamentari o i sottosegretari. Dopo aver scritto il testo, il nostro capo contatta i decision makers». Un caso concreto? «Qualche tempo fa studiammo per conto di Smartbox (la società dei pacchetti turistici in regalo venduti anche nelle librerie, ndr) il Codice del turismo: abbiamo analizzato tutta la legislazione italiana e anche internazionale per capire quali modifiche andavano fatte per regolamentare il settore». Insomma, il lobbista deve saper convincere i politici. E per fare questo ci vuole una certa dose di bravura: «bisogna saper spiegare in modo chiaro e abbastanza celere qual è il problema». Il modello sono gli americani. Sul sito della società, in apertura, c’è una frase di John F. Kennedy: «I lobbisti impiegano dieci minuti e tre pagine per farmi capire un problema. I miei assistenti hanno bisogno di tre giorni e di una tonnellata di cartacce». Certo, non tutti sono avvicinabili. Inutile parlare con il Movimento Cinque Stelle per esempio, che a fine dicembre denunciarono una classe politica schiava della «folla dei lobbisti che assedia il Parlamento». «Ma noi operiamo nella massima trasparenza e il nostro lavoro è basato sulla nostra preparazione. Di certo non diamo mazzette o facciamo regali che possano influenzare il decisore pubblico», spiega Fabiana. Dicembre, tra l’altro, è il periodo peggiore per chi fa questo mestiere, perché viene discussa la Legge di stabilità, che contiene di solito migliaia di emendamenti diversi tra loro e messi alla rinfusa. «Abbiamo dovuto analizzare tremila emendamenti presentati al Senato e i tremila alla Camera, un incubo». Tra i clienti della società ci sono organizzazioni ambientali (FareAmbiente), grosse società (Mistralair di Poste italiane) e anche Google Italia, società che nel 2013 ha speso solamente negli Stati Uniti oltre 10 milioni di dollari per attività di lobbying. Per fare il lobbista c’è anche un corso di studi. Il mese prossimo partirà proprio alla Luiss la terza edizione del master di secondo livello in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa (le iscrizioni scadono il 17 gennaio). Il condirettore e cofondatore è il manager barese Francesco Delzio. «In Italia il termine lobbista – spiega Delzio – è vittima di una sorte cinica e bara. Viene considerata una professione oscura e condotta fuori dalla legge. Invece nel mondo anglosassone i lobbisti sono considerati professionisti a tutti gli effetti, che si muovono all’interno delle istituzioni nella massima trasparenza. In Italia, invece, la professione va ricostruita rispetto al modello Bisignani (coinvolto nell’inchiesta P4, ndr). Le materie fondamentali che insegniamo nel master – continua Delzio – sono tre: diritto, economia e comunicazione. Un lobbista può lavorare in un’agenzia, in una grande azienda, in un sindacato o in una organizzazione non governativa. Al momento c’è una grossa fetta di mercato aperta e ci sono diverse opportunità di lavoro in questo settore». Il settore è in crescita, dunque, anche se restano i problemi. «La vera causa della concezione di lobbista come sterco del diavolo – continua Delzio – sta nella mancanza di regolamentazione. Non c’è un albo». Dal 1976 sono stati presentati oltre 40 disegni di legge per regolamentare la professione. L’Unione europea, invece, prevede un albo ufficiale (anche se non vincolante): è il Registro per la trasparenza, che contiene informazioni «su chi svolge attività tese a influenzare il processo decisionale dell’Ue», si legge sul sito. Sono iscritte oltre 5800 organizzazioni, di cui 503 italiane. E non sono soltanto società di lobbying. C’è di tutto: dalla Rai al Wwf, da Confindustria alla Federazione italiana hockey all’Ordine equestre Arcadia di Lecce. Infatti, conclude Delzio: «Chiunque è portatore di gruppi di interessi è un lobbista, anche i movimenti spontanei di cittadini che chiedono di parlare con le istituzioni». Fonte: Corriere.it

Imprese - Lobbyingitalia

LOBBYINGITALIA
NEWS