EMERGENZA lobby sembra avere acquisito un duplice significato. Da un lato, sta ad indicare, correttamente, che si pone un problema di accresciute pressioni e di più o meno lecite interferenze di gruppi organizzati sui processi decisionali a tutti i livelli. Dall' altro, suggerisce che è iniziata una grande battaglia, con intenti più o meno nobili, affinché le lobbies emergano, facciano la loro comparsa alla superficie del sistema politico, vengano addirittura riconosciute. Anzi, si direbbe che a cominciare dal ministro Antonio Maccanico il problema vero sia quello di riconoscere le lobbies (naturalmente, per garantire che esse operino in piena trasparenza).
Tuttavia, il problema è mal posto e si rischia di non conseguire nessuno degli obiettivi dichiarati. La premessa di ogni dibattito e di ogni proposta di soluzione consiste nell' accettare come dato di fatto incomprimibile e persino positivo l' esistenza di numerosi gruppi che si organizzano a tutela dei propri interessi e di affermare l' importanza della concorrenza fra questi gruppi. La capacità di organizzazione e di pressione di questi gruppi sarà a sua volta un indicatore della modernità, del dinamismo, dell' elasticità di un sistema politico. In una democrazia, comunque in quella italiana secondo la Costituzione, possono essere posti limiti all' organizzabilità dei gruppi soltanto se questi sono associazioni segrete oppure se ricorrono alla violenza per fare valere i loro interessi.
Naturalmente, le modalità di articolazione degli interessi varieranno da gruppo a gruppo a seconda della loro legittimità, delle loro risorse, del tipo di decisioni che vogliono influenzare, delle strutture decisionali con cui debbono confrontarsi. Pertanto, qualsiasi proposta di regolamentazione dei gruppi di pressione e delle lobbies dovrebbe tenere conto di queste diversità, e questo non sembra il caso delle proposte legislative finora presentate.
INOLTRE, se la soluzione prescelta è, sulla falsariga degli Stati Uniti, quella del riconoscimento puro e semplice dei lobbisti (in Italia pudicamente autodefinitisi esperti di relazioni pubbliche) e della loro iscrizione e registrazione in un albo professionale, allora va subito rilevato che questa soluzione non ha dato nessun esito di regolamentazione concreta. Vale a dire che il processo decisionale statunitense ha semplicemente incorporato le pressioni delle lobbies, ma non è riuscito ad impedire influenze e interferenze con ricorso a mezzi illeciti.
Nel caso italiano, è facile prevedere che la creazione di un albo di lobbisti professionisti produrrebbe una sorta di distinzione fra i lobbisti buoni (quelli che si iscrivono) e i lobbisti cattivi (quelli che non si iscrivono). E' altresì facilmente ipotizzabile che alcuni grandi gruppi (come la Confindustria e i sindacati) non sarebbero certo inclini ad autodefinirsi lobbies (anche se la Cisl, per esempio, ha costituito un suo ufficio per le relazioni con il Parlamento) e che le cosiddette lobbies dei cittadini avrebbero non poche difficoltà a scrivere i nomi dei loro rappresentanti a fianco di quelli degli esperti di pubbliche relazioni dei petrolieri, dei farmaceutici, degli industriali produttori di armi, e così via. Infine, qualora sorgessero nuovi interessi (inevitabilmente suscitati da dinamiche economiche, sociali e culturali che accelerano), dovrebbero davvero attendere il tempo della registrazione prima di poter avere accesso alle sedi rappresentative?
Il caso degli Stati Uniti rivela che le lobbies operano premendo sui decision-makers sia a Washington, nella fase di elaborazione delle leggi, sia durante le campagne elettorali, costruendo i potenti Political Action Committees (talvolta veri e propri cartelli di lobbies). Tutta questa attività di organizzazione, di raccolta di fondi per le campagne e per le strutture operative dei candidati, per quanto regolamentata, non impedisce la corruzione. Vale a dire che, dal lato dell' input, non solo non esiste nessuna barriera adeguata all' attività dei gruppi ma, probabilmente, neanche la si dovrebbe cercare o creare.
CIO' CHE funziona negli Stati Uniti e che potrebbe funzionare anche in Italia, sono i rimedi sul lato degli outputs. Questi rimedi sono più difficili da attuare, ma promettono risultati incomparabilmente migliori. Poiché, bene o male, tutte le lobbies ricorrono all' utilizzazione del denaro, sotto varie forme, per finanziare con risorse diverse candidati, correnti, partiti, è necessaria una nuova, più moderna, più incisiva disciplina del finanziamento della politica, delle elezioni, dei partiti, e soprattutto un' adeguata e penetrante valutazione degli illeciti ampiamente commessi, con sanzioni che possono andare dalle multe alla sospensione del finanziamento pubblico, alla decadenza degli eletti e alla dichiarazione di indegnità a ricoprire cariche pubbliche. Vale a dire che è sul lato delle sanzioni, politiche e giuridiche, rapide che si deve cercare parte della soluzione. L' altra parte si trova sul lato delle istituzioni.
Alcune lobbies sono esse stesse forti come le istituzioni rappresentative e di governo, spesso più forti perché specializzate. Bisogna allora rendere il processo decisionale dal Governo al Parlamento e dal Governo alla Pubblica Amministrazione più trasparente, rafforzando al tempo stesso professionalità e autonomia della Pubblica Amministrazione e capacità di controllo del Parlamento sull' Esecutivo. Aprire il Parlamento ai lobbisti patentati (che sarebbero, poi, in grande misura, coloro che già hanno libero accesso a Montecitorio e Palazzo Madama) non serve affatto alla trasparenza. Semmai bisognerebbe dare maggiore pubblicità ai dibattiti e alle deliberazioni delle Commissioni parlamentari (e dei parlamentari lobbisti).
Gianfranco Pasquino - La Repubblica
































