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Dopo poco meno di un anno che il Lobbying Act è diventato legge il registro dei lobbisti è stato lanciato questa mattina alle nove.
Secondo il Lobbying Act, le organizzazioni che eseguono operazioni e attività di lobbying sono obbligate a registrarsi e a dichiarare che si atterranno a un codice di condotta.
Tutti quelli che si registrano devono anche dichiarare i nomi dei clienti per i quali eseguono attività di lobbying.
Alle nove di questa mattina, il registro ha preso vita e i diretti interessati hanno creato un account e hanno caricato i nomi dei loro clienti.
L’Ufficio di Registrazione ha comunicato alle organizzazioni interessate che potevano iscriversi al registro in qualsiasi momento, basta iscriversi prima di eseguire attività di lobbying, come definito dal Lobbying Act.
Tra le prime società a iscriversi al registro ci sono Bell Pottinger, PLMR e FleishmanHillard. Tra le sei società fino ad ora registrate ci sono anche la Corporate Reputation Consulting, Incisive Health e la Public Affairs Company.
Come parte del processo di trasparenza l’ufficio del Registro ha provveduto a pubblicare un link accessibile attraverso il suo sito.
Alison White, addetta alla registrazione, ha asserito: “Vi annuncio che dopo soltanto 130 giorni di lavoro oggi il registro è aperto e operativo. Il registro ha l’obiettivo di migliorare la trasparenza del processo democratico e permettere al pubblico di vedere quali interessi sono rappresentati dai lobbisti. Il mio ruolo è di assicurare che tutti quelli che dovrebbero registrarsi si registrino. Continuerò a lavorare con i lobbisti affinché capiscano i loro obblighi”.
http://www.prweek.com/article/1339990/lobbying-register-launched-along-publicly-accessible-link-registrants?DCMP=EMC-CONPRWeekUKDailyNews&bulletin=uk/prweekdaily
L’ultima inchiesta sugli appalti svela il mondo sotterraneo dei gruppi di potere. In Parlamento sono ferme 15 proposte. Entro quando una regolamentazione?
Vista l’intraprendenza forse non sarebbe servito ad arginarlo, ma se in Italia fosse in vigore una legge sulle lobby il «signore degli appalti» Ettore Incalza avrebbe dovuto tenere nota di ogni incontro avuto con imprenditori e lobbisti vari - compresi quelli col progettista Stefano Perotti finito pure lui in galera - registrando data, nominativo e motivazioni dell’incontro, e soprattutto una volta all’anno avrebbe dovuto rendere tutto noto pena multe salatissime.
L’Italia però una legge sulle lobby ancora non ce l’ha anche se dal 1976 ad oggi sono stati almeno 50 i progetti di legge messi in campo e addirittura 15 (ben 10 al Senato e 5 alla Camera) quelli presentati nel corso dell’attuale legislatura. Nonostante gli scandali ricorrenti e le ripetute baruffe in Parlamento, la questione sembra però uscita dall’agenda del governo che pure nell’ultimo Documento di economia e finanza si era impegnato a intervenire per regolare le relazioni fra gruppi di interesse e istituzioni. E intanto nei ministeri (e non solo in quello delle Infrastrutture) ed in Parlamento lobbisti e gruppi organizzati - dai taxisti ai concessionari dei giochi sino alle varie associazioni di settore alle altrettanto numerose e potenti aziende pubbliche o ex pubbliche - fanno il bello ed il cattivo tempo, stravolgono e affondano leggi e combinano affari tagliati su misura per loro come raccontano le cronache di questi giorni.
Obblighi, criteri e sanzioni
Dal Pd (che in Senato firma addirittura la metà dei 10 progetti di legge presentati negli ultimi due anni) sino all’Ncd, da Forza Italia agli ex grillini come Luis Alberto Orellana sino ai socialisti, tutti i partiti prevedono l’istituzione di registri pubblici dei lobbisti, criteri oggettivi per la loro selezione, l’introduzione di codici deontologici e precisi obblighi a carico sia dei portatori di interessi che delle controparti pubbliche. E ovviamente sanzioni per gli inadempienti e per chi rende informazioni incomplete che vanno da un minimo di 5-10 mila euro ad un massimo di 50-75-100 mila euro. Su un punto solo si differenziano: la gestione dei registri. Per la senatrice Puppato (Pd) deve toccare all’Autorità anticorruzione, per il collega Ranucci agli uffici di presidenza di Camera e Senato, per Dorina Bianchi (Ncd) all’Antitrust, per Giuseppe Marinello (ex Pdl, ora Ncd) al Cnel e per il senatore Luigi D’ambrosio Lettieri (Fi) a Palazzo Chigi.
Parlamento avanti piano
In Senato la commissione Affari costituzionali ha iniziato l’esame delle proposte solamente lo scorso gennaio. Alla Camera, nonostante il ddl presentato da Marina Sereni sia datato addirittura 13 aprile 2013, è invece tutto fermo. E il governo? Tanti buoni propositi, ma pochi fatti concreti. E del resto anche i tentativi più recenti, da quello di Prodi del 2007 a quello di Letta del 2013, non fanno ben sperare. Sono infatti tutti finiti in nulla soprattutto a causa delle alte burocrazie che non ci stanno a mettere in piazza i loro «affari» in nome della trasparenza. In Europa paesi come Regno Unito, Francia, Germania e Polonia hanno invece da anni meccanismi di regolazione più o meno efficaci. Particolarmente stringenti quelli varati di recente da Austria e Slovenia. A Bruxelles il database dell’Ue è operativo dal 2011 e conta ben 7mila lobbisti registrati su base volontaria: quelli italiani sono 602, pari all’8 per cento.
Ultimi per trasparenza
L’assenza di un registro dei lobbisti, secondo l’ultimo rapporto di Trasparency International, relega il nostro Paese in fondo alla classifica della trasparenza, con appena 11 punti su cento. Se a questo dato si aggiunge poi il livello relativo alle pari condizioni d’accesso (22 punti) ed un livello di integrità pari a 27, a causa dell’assenza di codici etici adeguati per lobbisti e decisori, si arriva ad una media finale di appena 20 punti. Contrapporre a queste cifre i dati sulla corruzione percepita è forse un gioco troppo facile, ma è altrettanto vero che stando al «Global corruption index» l’Italia in questa graduatoria è agli ultimi posti in Europa, al pari di Grecia e Bulgaria, e al 69esimo posto su 175 Paesi nella graduatoria mondiale. All’Italia vengono infatti assegnati 43 punti, gli stessi di Senegal e Swaziland.
Fonte: http://www.lastampa.it/2015/03/23/italia/politica/i-lobbisti-restano-senza-legge-suCTCxWJaGv9MdVQWTjeYK/pagina.html
Autore: Paolo Baroni
616,000 sterline, a tanto è previsto il costo per l’implementazione e la gestione del registro delle lobby. Le industrie contribuiranno per meno di un quarto di tale somma.
Secondo una relazione dell’Office of the Registrar of Consultant Lobbyists l’ufficio di Gabinetto si aspetta di recuperare 150,000£ di commissioni sul registro per il 2015-16. È stato già annunciato che la parcella annuale costerà intorno ai 750£ per le società ed i consulenti. Il costo totale, che ammonta a 616,000£, comprende i costi di implementazione (370,000£) e i costi di gestione (246,000£) per il primo anno.
Tra le spese più elevate ci sono 137,000 sterline per la creazione del sito web e il servizio di registrazione. I costi dello Staff, tra il 2014-15 e il 2015-16 ammontano a 134,000£, con il Registro stesso che costerà 66,000£.
Alison White, funzionario del registro ha dichiarato: “È parte integrante del Registro e dell’effettiva implementazione della legislazione quella di mantenere i costi al minimo”.
Specialmente nelle ultime settimane, all’avvicinarsi del giorno del lancio del Registro, il prossimo 27 Marzo, l’istituzione del Registro è stata criticata.
All’inizio di questo mese il presidente del consiglio d’amministrazione dell’APPC, Iain Anderson ha rimarcato la mancanza di chiarezza sia nelle linee guida e sia dei membri stessi del registro.
La scorsa settimana Lisa Nandy, il ministro “ombra” per la società civile dei Labour, ha stroncato il registro definendolo troppo frettoloso, mancante del supporto dell’industria ed uno spreco di soldi.
Fonte: http://www.prweek.com/article/1338799/lobbying-register-cost-616k-end-year-one?DCMP=EMC-CONPRWeekUKDailyNews&bulletin=uk%2Fprweekdaily
Un ONG denuncia la registrazione ingannevole di Goldman Sachs.
Una nuova ricerca pubblicata oggi mostra che troppe organizzazioni di lobbying importanti, inclusi i lobbisti finanziari della City of London Corporation, della Credit Suisse; le principali Corporations come Electrabel, Anglo American e General Motors; studi legali come Covington & Burling e Freshfields Bruckhaus Deringer; e altre società di lobbying, non sono elencate nel registro per la trasparenza nonostante esercitino lobbying all’interno dell’UE.
La ricerca di Alliance for Lobbying Transparency and Ethics Regulation (ALTER-EU) è stata pubblicata lo stesso giorno del rilancio del registro per la trasparenza del lobbying da parte della Commissione e del Parlamento. Tale proposta volontaria per la regolamentazione delle attività di lobbying non rende possibile capire la reale attività di lobbying svolta a Bruxelles, e la proposta della Commissione per un accordo inter-istituzionale non sarà certo la soluzione, in quanto non sarà vincolante per i lobbisti. Per ALTER-EU, le modifiche introdotte sono minime e non risolveranno i problemi principali.
Le ricerche dell’ALTER-EU rivelano che troppe iscrizioni al registro sono basate su dati non affidabili o anche forvianti. Alcuni esempi includono:
Goldman Sachs dichiara meno di 50.000 euro di spese per attività di lobbying nel 2013. Questo è denunciato da alcune ONG.
Circa 150 società di lobbying o studi legali non rivelano i nomi dei clienti nonostante questo sia una chiara violazione delle regole.
Google e Novartis hanno accreditato al Parlamento Europeo più persone del loro numero totale di lobbisti.
Più di 200 società di lobbying o studi legali nascondono l’identità dei clienti iscrivendoli al registro con acronimi.
La società di Consulenza BearingPoint dichiara di non essere una società di lobbying e che ha un numero di lobbisti pari a zero, ma dichiara anche che le sue entrate, grazie all’attività di lobbying, equivalgono a €552,795,000!
Ci sono molte altre anomalie nel report.
Paul de Clerck dell’ALTEREU Steering Committee e membro della Friends of the Earth Europe ha detto:
“La proposta della Commissione di un accordo inter-istituzionale per introdurre un cosiddetto “registro obbligatorio” è forviante giacché non sarà veramente vincolante per i lobbisti e perciò non obbligatoria. Quello di cui c’è bisogno è una proposta legislativa che obblighi legalmente i lobbisti a essere totalmente aperti e onesti sulle loro attività e che imponga sanzioni più pesanti a chi non rispetta le regole del registro”.
Nina katzemich dello Steering Committee e membro del LobbyControl ha aggiunto:
“Anche con il rilancio del registro, i lobbisti possono ancora scegliere se essere trasparenti o meno, e possono ancora registrarsi con dati poco chiari. Nonostante ora il registro sia una condizione necessaria per incontrare i membri della commissione, senza cambiamenti sostanziali alla qualità del registro, i lobbisti possono dare un’impressione completamente sbagliata della loro attività e avere ancora accesso ai decisori di alto livello. Ciò è successo per esempio nel caso della Goldman Sachs. La loro registrazione è oggetto di reclamo da parte del LobbyControl, Corporate Europe Observatory e Friends of the Earth Europe”.
Helen Darbishire dello Steering Committee e membro del Access Info Europe dice:
“Attivisti, giornalisti e tutti i cittadini europei hanno il diritto di sapere chi fa lobbying, su quali dossier, e quanti soldi sono spesi. Una trasparenza totale è essenziale al fine di conoscere chi fa attività di lobbying a Bruxelles, e per assicurarsi un contributo equilibrato di tutti gli stakeholders”.
Da molto tempo il Parlamento Europeo sta invitando a un orientamento più duro per una regolamentazione del lobbying in Europa. ALTER-EU chiede alla Commissione Europea di fare una proposta legislativa per un registro vincolante per la fine del 2015, e che entri in vigore entro la metà del 2017.
27/01/2015
https://www.economicvoice.com/eu-lobby-register-still-failing-to-deliver-real-transparency/
Quando la legge federale imponeva al Carmen Group di redigere e pubblicare, trimestralmente per tre anni, le attività di lobbying poste in essere a livello federale per la Xavier University della Lousiana, il Gruppo utilizzò una frase molto vaga: “Hurricane Katrina related recovery issues”.
(Ndr. Lasciando completamente vago il loro obiettivo)
L’obiettivo vero del Gruppo era “concepire e implementare una strategia” con l’obiettivo di persuadere i funzionari federali a dimenticarsi dei 130 milioni di dollari prestati – del Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti – per far fronte all’emergenza dell’università quasi-distrutta.
La mossa iniziale riscontrò successo: la Senatrice Mary Landrieu, riuscì ad inserire un piano di prestito in un legge ad hoc – legge che il Presidente della Xavier University, Norman Francis, elogiò pubblicamente come “critica e importante”.
Secondo il Lobbying Disclosure Act, il pubblico dovrebbe essere informato sui tentativi posti in essere dai lobbisti, specialmente quando si tratta di iniziative volte ad ottenere una modifica di un prestito pagato dai contribuenti di un valore di decine di milioni di dollari.
Ma se non fosse stato per una causa legale, tra l’università e il Gruppo, il pubblico sarebbe stato ignaro di quello che il Carmen Group era chiamato effettivamente a fare, nonostante ci sia una legge che impone di descrive in dettaglio le attività svolte.
Il Lobbying Disclosure Act recita: “la fiducia pubblica sull’integrità del governo” aumenterà quando “l’identità e l’estensione dei sforzi di lobbisti remunerati per influenzare funzionari federali” saranno divulgati.
Nei progetti di lobbying e contratti di servizi ottenuti dall’Center for Public Intergrity, attraverso corti federali e statali, sono riscontrate molte più informazioni sulle attività di lobbying rispetto a quelle contenute nelle relazioni trimestrali sottoposte al Senato e alla Camera.
By Marcelo Rochabrun 25/08/2014
http://www.publicintegrity.org/2014/08/25/15344/lobbying-disclosures-leave-public-dark