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Berlusconi e la pubblicità: che c'entra il lobbying indiretto?
Scritto il 2014-01-02 da Franco Spicciariello su Italia

Lo riporta uno lo studio dal titolo "Market-based Lobbying: Evidence from Advertising Spending in Italy", pubblicato dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti e ripreso da Repubblica.

Quando era presidente del Consiglio gli investimenti pubblicitari salivano, quando era all'opposizione calavano. Il guadagno di Silvio Berlusconi per gli spot trasmessi sulle reti Mediaset sarebbe, durante i diversi periodi di premierato tra il 1994 e il 2009, di un miliardo di euro.

Sarebbe questo il vero conflitto di interesse secondo il rapporto stilato da quattro economisti Stefano DellaVigna, dell’Università di California a Berkeley, Ruben Durante di Science Po a Parigi e Yale, Brian G. Knight della Brown University e Eliana La Ferrara della Bocconi di Milano, che hanno chiarito col conforto dei numeri come questo sia andato oltre la possibilità di usare il governo per favorire le proprie imprese.

I quattro però, parlano di lobbying indiretto, cioè "l'aumento della spesa in pubblicità sulle reti del premier da parte di gruppi di telecomunicazioni, del settore farmaceutico, della finanza o nell'industria dell'auto, per ingraziarsi Berlusconi e spingere il governo a prendere decisioni convenienti per loro", scrive Repubblica.

Che c'entra il lobbying indiretto?

Una definizione però quella di lobbying indiretto (grassroots lobbying), che lascia perplessi. Il grassroots lobbying (o appunto indirect lobbying) è infatti l'attività di lobbying portata avanti con l'intenzione di influenzare il processo di decision-making. Esso differisce dal lobbying diretto perché portato avanti coinvolgendo il pubblico - in senso ampio -, intere comunità o gruppi sociali, nell'attività di influenza/pressione sui legislatori.

Nello studio invece si parla di acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, sottolineando il fatto che negli anni in cui Berlusconi è al governo le cifre siano in continuo aumento, con in corrispondente calo sulle reti Rai. Secondo i quattro economisti le banche, compagnie assicurative o società di telefonia avrebbero così tentato di accattivarsi il favore dell'ormai senatore decaduto, comprando più spot (o spot più costosi) sulle sue reti. Un'affermazione che chiaramente esclude ogni classica attività di lobbying, e tanto meno qualsiasi coinvolgimento della comunità.

"L'investimento pubblicitario aggira gli obblighi di trasparenza del finanziamento ai partiti, ma può rivelarsi molto efficace" dice Ruben Durante da Yale, uno dei quattro economisti che ha lavorato allo studio.

La relazione tra la quota di inserzioni riservata a Mediaset, rispetto alla Rai, e i mandati di governo del centrodestra balza subito all'occhio. In particolare si è impennata dal 62% al 66% con la discesa in campo del Cav nel 1994; salita al 69% con la legislatura partita nel 2001; poi scesa durante l'esecutivo di Romano Prodi fino al 2008 e risalita fino al 70% quando Berlusconi è tornato al governo nella scorsa legislatura.

Illecito finanziamento?

L'acquisto di pubblicità sulle reti Mediaset da parte di gruppi nei settori regolamentati, quelli cioè che dipendono maggiormente dalle scelte del governo nazionale (a esempio le assicurazioni, la farmaceutica, i media e l’editoria e l’auto) sarebbe quindi cresciuto in maniera inequivocabile proprio negli anni nei quali Berlusconi è stato al governo.

Sorprende però che quattro studiosi di tale livello non abbiano avuto il coraggio di utilizzare le giuste categorie per quelle che sono comunque delle accuse, e che non hanno molto a che fare col lobbying, tanto più con quello indiretto. Il tema dello studio infatti, rileva più rispetto all'eventuale aggiramento delle norme sul finanziamento dei partiti, e sarebbe interessante se oltre un freddo studio sui numeri ci fosse un'approfondita inchiesta giornalistica a capire se dietro certi aumenti di spesa ci sia stato altro.

Visti i risultati di questo studio, forse sarebbe il caso che il Decreto legge sul finanziamento dei partiti in corso di conversione possa possa essere occasione di riforma oltre che del rapporto tra soldi e politica anche per regolamentare l'attività di lobbying, diretta o indiretta, visto e considerato che sono passati mesi da quando il governo Letta ha fallito nel tentativo di dare un quadro regolamentare al lobbying. Il tutto sperando che magari almeno i professori universitari nel frattempo inizino ad utilizzare la terminologia giusta.

Scarica lo studio SSRN in pdf

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