Nell’edizione dello scorso 9 marzo, con il titolo “Milano / Lobby: iniziativa dell’Assorel a sostegno della regolamentazione delle attività”, la testata ha dedicato spazio sia alla cronaca e sia alla Cultura. La parte cronachistica diceva: “Il Presidente Assorel, scrive al Presidente del Senato Renato Schifani offrendo la disponibilità dei professionisti del settore per trovare finalmente una buona regolamentazione anche in Italia per le legittime attività di relazione con le Istituzioni”.
L’aspetto culturale – invece – andava colto nella proposizione esplicativa che suonava così: “Al lettore ricordiamo che l’espressione “lobby”, anglosassone, si traduce in italiano con la proposizione “gruppo di pressione” (o gruppo d’interesse).
Può essere costituito da un certo numero di gruppi, organizzazioni, individui, legati tra loro dal comune interesse di far valere i propri interessi, soprattutto presso le Istituzioni, a cominciare dal Parlamento”. Pareva argomento sufficientemente chiaro. Invece no. L’affezionato ed esigente lettore Mario Monaco ha fatto sapere di avere ben assimilato il concetto di “gruppo di pressione”, ma di essere all’oscuro circa le modalità operative del “gruppo” medesimo.
Osservazione che ha indotto chi scrive a ritenere che la nota richiamata non solo sia stata insufficiente a creare “popolarità” attorno al concetto di lobby, ma non abbia conseguito neppure la soddisfazione di ottenere “notorietà”. I due valori, ben noti agli analisti dell’opinione pubblica, in estrema sintesi indicano rispettivamente: il rapporto tra chi dichiari di apprezzare un’attività o un prodotto e chi invece dichiari di conoscere semplicemente un’attività o un prodotto (due brevi esempi: conosco, apprezzo, ho simpatia per un tipo di auto e l’acquisto; conosco un tipo di auto, ma ne acquisto un’altra che apprezzo e mi è simpatica).
Fuori dalle sabbie della teoria, per completare il quadro delle citazioni, conviene ricordare che nel 1593 la espressione lobby entrò nell’Enrico VI, parte II di William Shakespeare per indicare un “passaggio”, un “corridoio”. E senza scomodare oltre gli anglosassoni, richiamiamo l’attenzione degli italiani sull’attualità del tema affrontato. Infatti, le lobby che si profilano nel sistema italiano, ove regolamentate come richiesto con insistenza, dovrebbero costituire un raccordo, un ponte tra gli interessi delle imprese e le Istituzioni. Nient’altro – perciò – se non il modello shakespeariano, or ora ricordato.
Lontana da chi scrive la tentazione di violentare l’intelligenza del lettore. Tuttavia, al momento pare di rilevare che le imprese chiedano di essere poste alla pari dei consumatori tutelati dalle numerose associazioni. In proposito, sovviene l’affermazione fatta dal Presidente di Assorel (Associazione italiana delle agenzie di Relazioni Pubbliche), Beppe Facchetti, nella accorata lettere inviata al Presidente del Senato, Renato Schifani: “ I professionisti e le aziende che si occupano correttamente di lobby sono a disposizione del Parlamento perché - dopo una lunghissima attesa - si possa trovare una convergenza utile per un obiettivo che in Usa e nell’Unione Europea già garantisce un flusso informativo e di documentazione che è estremamente utile innanzitutto per le istituzioni democratiche".
In data 4 marzo scorso, il notiziario della Federazione Relazioni Pubbliche ha anche divulgato la “riflessione del Presidente Patrizia Rutigliano, pubblicata anche su Panorama Economy seguita alla presentazione della proposta Ferpi al Governo”. Che è partita da una premessa: “il confronto e il legittimo dialogo tra gruppi d’interesse e processo decisionale è importante per la salute della democrazia”. Insomma, lobby starebbe ad indicare l’azione di comunicazione, piuttosto che di pressione, degli interessi particolari degli imprenditori, presso le Istituzioni, a cominciare dal Parlamento.
Pare anche legittimo l’assunto del Presidente Rutigliano, a proposito della professionalità dei soggetti “lobbisti”, laddove afferma: “E la “registrazione” dei rappresentanti d’interessi, contenuta nelle linee guida del Presidente Schifani e prevista dal Ministro Catania, lungi dall’evocare la costituzione di nuovi albi, assicura la conoscibilità dell’attività di rappresentanza e consente la raccolta di elementi utili a prendere decisioni nell’interesse generale.
La pubblicità dei dati, delle informazioni e dei documenti prodotti dai rappresentanti d’interessi sancisce la democraticità di accesso alle istituzioni e consente la partecipazione alla fase di elaborazione di disegni di legge e regolamenti – come previsto dal decreto del MiPAAF, che richiama procedure di consultazione già in vigore presso altre istituzioni – e impedisce gli assalti alla diligenza cui si è assistito negli ultimi giorni fuori dall’aula della 10a Commissione in Senato. Un meccanismo premiale per i registrati ma che al contempo dev’essere sanzionatorio per chi si sottrae agli obblighi previsti”.
Tutto chiaro, ora? Sufficiente, verrebbe da commentare.
Domenico Esposito - Agorà Magazine




































